Realtà e giovinezza, la sfida

AMANTI DELLA VERITA‘ (95)

(Equipe degli universitari, Milano, 26 ottobre, in Realtà e giovinezza una sfida, “Quaderni di Tracce”, 1994)

Molti interventi di questa mattina hanno descritto una situazione che cambia, un tempo che cambia, un tempo in cui noi siamo e che si rende per molti aspetti difficile, una situazione che ci stringe; e volevo chiederti. In questo tempo, che potrebbe assumere anche caratteristiche peggiori, dove si àncora la nostra ripresa continua? (95)

(Don Giussani legge un volantino degli universitari di Bologna in risposta ad un discorso di Umberto Eco all’inaugurazione dell’anno Accademico) […] «A sentirlo (Eco), la storia si è mossa solo perché qualcuno voleva giocare e, a seconda dei secoli, ha operato finte donazioni, finte sette segrete, finti regni d’oltre confine, finte cosmologie, finte alchimie; e tutto questo “finto” ha creato qualcosa: Sacro Romano Impero, scoperte geografiche e astronomiche, la chimica, ecc. ….» […] «Nove secoli fa l’Alma Mater bolognese non nacque per il divertimento (per questo c’era anche vino buono e bordelli); era, invece, per una educazione ad “aver fame e sete”; era per fame e per sete di verità, non di falsità» è questo che vogliamo imparare: aver fame e sete. Questo è ciò che vogliamo ci sia insegnato. Invece, guai a coloro che sanno già e a coloro che non si aspettano niente! Guai ai soddisfatti, per i quali la realtà è casomai puro pretesto per alle loro agitazioni mentali, evasione e spreco! Aveva ragione la nonna di Umberto Eco (citata durante questa lezione inaugurale): «Studiano, studiano, e sono più bestie degli altri”; ma il nipote giullare non è riuscito ancora ad imparare la lezione».

Diceva il volantino: «Abbiamo bisogno di lavorare, sposarci, fare soldi, fare figli [a parte il fatto che, senza figli, l’umanità non andrebbe avanti] …Perché perdere questi 5 o 6 anni dentro questo box di giochi?»

Perché, cioè, perdere il tempo per acquistare falsità?

Chi partisse col giudizio: «La realtà è un falso», è falso lui, perché la realtà non si presenta all’uomo come falso: si presenta come «è», si presenta cioè come positività.

Il bisogno di lavorare, di far soldi, di sposarsi, di far figli,, eccetera: come mai i nostri amici oppongono al discorso di Eco tutto questo come «fame e sete» di qualcosa di positivo, di essere, di cosa che c’è, non di una falsità?

Dove trovano questo bisogno di positività? Nella realtà.

E la realtà dove emerge, dove la si vede? Nell’esperienza.

Chi non parte così, chi non dice quello che dice partendo dall’esperienza, parte da un preconcetto, che può fruttare anche miliardi!

Di fronte alla realtà uno si crea il preconcetto che vuole, e da quel preconcetto getta la sua ombra sulla realtà, colora la realtà secondo la sua immaginazione.

Invece la partenza originale dell’uomo non è quello che egli pensa sulla realtà, ma è la realtà stessa.

E la realtà emerge in quel fenomeno che chiamiamo «esperienza».

È nell’esperienza che noi troviamo, come prima parola, la curiosità di cui abbiamo parlato prima.

Tutto è falso se tu sei falso.

È solo un cuore corrotto che può dire: «La realtà è falsa».

La risposta dei nostri amici di Bologna è vera perché parte dalla loro esperienza; accostano la realtà come emerge nella loro esperienza.

C’è un filo che sottende a tutto questo, ed è un filo che chiamiamo «porta al destino»: c’è un punto di fuga. Questo sì.

Quanto più la realtà si percepisce nella sua concretezza, tanto più essa appare nella sua insoddisfazione finale.

Ma l’insoddisfazione finale è, casomai, una tristezza, non una falsità.

Il nichilismo, allora, questa sì, è un’alternativa, starei per dire, degna, degna per l’infinita disperazione in cui precipita.

Ma chiamare tutto «gioco» è proprio di un uomo ricco, fortunato, che non sente il dolore dell’altro.

La razionalità sta, infatti, nel riconoscimento, nella percezione di ciò che è la realtà come emerge nell’esperienza.

Essere ragionevoli significa riconoscere quello che emerge nell’esperienza.

E nell’esperienza la realtà emerge come positività.

È così positiva la realtà emergente nell’esperienza che inesorabilmente appare come attrattiva: è positiva perché si manifesta come attraente e promettente.

Gli amici di Bologna sono stati innanzitutto razionali.

 Non solo hanno applicato la ragione, ma hanno anche applicato qualcosa d’altro: quell’attaccamento originale che l’uomo ha alla realtà.

La curiosità non è soltanto fame e sete di conoscere; la curiosità è fame e sete di conoscere perché la natura dell’uomo «ci tiene», è affezionata alla realtà.

Come mai allora ci si può disgiungere dall’evidenza di questo riconoscimento e dalla naturalezza di questa affezione?

Qui entra in gioco la libertà che si introduce come una lama a separare i due poli.

Da una parte si avrà la schizofrenia di chi pensa e basta, di gente per cui il puro pensare, il puro costruire con il propio pensiero è valido; e dall’altra gente per cui l’istinto, ciò che sciocca immediatamente e istintivamente, è tutto: un idealismo astratto e teorico o un empirismo istintivo.

Questa società è così perché ha trionfato l’impostura di fronte alla realtà.

L’uomo ha tentato da due secoli di essere lui la misura della realtà. Perciò la realtà è quella che vuole lui.

L’uomo non inventa nulla, riceve.

Se si misconosce questo ricevere, se si misconosce come donato, se non riconosce questo, l’uomo si trova a pretendere, e gonfiandosi, gonfiandosi, come la rana di esopica memoria, a un certo punto si trova a scoppiare.

Il nichilismo è lo scoppiare dell’uomo che pretende di costruire tutto secondo sé stesso.

Per «riprendere» abbiamo la strada definita: accusare l’esistenza come bisogno di costruire e, perciò, bisogno di un destino, di uno scopo; la razionalità, ragione amata veramente guida dell’uomo, luce dell’esperienza; e la libertà, che nella sua possibilità di scelta sia l’abbraccio dell’esperienza nella totalità dei suoi fattori.

Ma come mai corbellerie o idee così astratte possono diventare saggezza comune da determinare tutta la cultura che riempie giornali, televisioni, libri?

È così perché gli inventori di essa hanno avuto il sostegno del potere;

il potere ha reso contenuto dell’educazione della gente «quel» contenuto.

Come faremo noi a resistere, a «riprendere», pur sapendo che bisogna applicare la ragione, l’affezione, la libertà come abbraccio di tutti i fattori dell’esperienza, pur sapendo che la realtà emerge nell’esperienza?

Solo la compagnia tra di noi può sostenere non il rischio, ma il coraggio del singolo.

Ma una compagnia che tutta quanta si esaurisca nel sostenere la ripresa del singolo non può essere trovata tra gli uomini, tra gli uomini soli.

Occorre la presenza di qualcosa d’Altro, la presenza di un Altro.

La compagnia e Gesù, la compagnia umana con la realtà di Gesù dentro di essa: questo è ciò che ci dà la capacità di riprendere .


Per noi la realtà è buona, però tante volte osserviamo che la realtà ci viene contro, cioè che la realtà sembra non mantenere la promessa. (101)

Un altro intervento diceva: «Ci è stato riferito che in una assemblea di responsabili don Giussani ha detto che la nostra origine, quello che ci tiene insieme, il fondamento storico della nostra esperienza è il Battesimo. Che cosa vuol dire questo?». (101)

Quello che hai detto è vero:

la natura appare, s’affaccia promettente, ma poi delude la sua promessa, sempre.

(Leopardi in Silvia: «O natura, natura, / Perché non rendi poi / Quel che prometti allor? Perché di tanto / Inganni i figli tuoi?)

Ci dovremmo ammazzare tutti.

E, invece, macché, nonostante questo, nonostante questa ipotesi, nessuno lo vuole, ed è soltanto una schizofrenia quella che può indurre a «ammazzarsi», a farsi ammazzare dalle proprie mani: uno è attaccato alla vita, è attaccato alla realtà, alla realtà vivente, è attaccato a sé stesso.

Ma per il secondo colpo, il colpo della delusione, negare il primo, l’attrattiva che la natura come volto immediato ha, è un delitto, è una bugia, è la follia menzognera di chi dice: «Tutto è falsità», ma molto più seriamente è la follia menzognera del nichilista.

Se le cose «sono» non possono essere spiegate con il «non esserci».

Se la realtà «è», è un «è» che spiega!

Noi non riusciamo a cogliere questo «è», proprio per la contraddizione in cui le cose incorrono nella loro storia: che si presenta come positiva, promettente, ma poi la promessa non è mai mantenuta così come a noi è stato di pensarla, immaginarla e desiderarla.

Ma allora vuol dire che di fronte alla realtà, l’uomo è di fronte ad un mistero.

E di fronte al mistero l’uomo si sente piccolo, umile, senza pretesa, senza presunzione.

Deve fare un altro passo: grida!

La nostra ripresa è un grido a ciò che fa il sole, il cielo stellato e il mare, a ciò che fa la madre e il padre, a ciò che fa me, è un grido a quel mistero che fa tutte le cose.

Non puoi eliminare, non puoi eludere la promessa della gioia.

Non puoi eluderla, devi eludere te stesso per eludere la promessa della gioia e, comunque sia, la riposta alla tua obiezione è che è mistero.

L’uomo non può intuire, né tanto meno definire che cosa significhi questa promessa originale e sostanziale, propria della natura che si presenta ai miei occhi, che emerge nell’esperienza, e la delusione del tempo.

Ma Uno ha detto: «Io sono la via, la verità, la resurrezione, la vita».

Quell’uomo si pone come Dio.

E poco prima di andare a morire ha detto: «Vi ho dato tutto quel che vi ho dato, vi ho detto tutto quello che vi ho detto, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

La gioia è il riverbero della felicità.

Chi può promettere la gioia? Nessuno! Nessuna madre può promettere la gioia con coscienza al figlio.

Insomma è mistero il fatto che la realtà prometta e poi non mantenga, nel tempo.

Ma non si può per questo cassare la sua originale natura di promessa, non si può!

Allora, per gli uomini tutto è mistero, la realtà è mistero:

e quello che di positivo può sopravvivere nell’uomo così infelicemente percosso è una domanda.

Un grido come domanda: l’uomo è un mendicante.

C’è un uomo, esistito duemila anni fa, che ha detto:

«Io sono la via, la verità e la vita».

Quest’uomo grida così nella vostra vita.

Come grida? Attraverso la tradizione del popolo cristiano e attraverso la misteriosità del pane che è il Suo corpo, che dà vita alla vostra vita: cibo della vita, non cibo dello stomaco.

«Egli solo è».

Quanto più questa affermazione è vera, quanto più questa constatazione e questo riconoscimento sono veri, tanto più scaturisce una intelligenza nuova della realtà, un’affezione umana nuova, che cambia l’amore alla donna, all’uomo, ai figli, agli amici, agli estranei, per cui non c’è più nessun nemico.

 Tutta la vita è investita dalla grazia di questa affezione nuova, che è da conoscere.

Questa sì che è una promessa che vi facciamo noi: se sarete fedeli a questa compagnia, capirete e amerete questa modalità nuova di affrontare il mondo, capirete perché la natura promettente è spaccata da un contro senso di apparente negazione, quell’apparente negazione che ha ucciso sulla croce Dio fatto uomo.

Per cui è un sacrificio, non una negazione quello che vi è chiesto.

Il nostro Destino è fra noi, ma c’è una distanza che non ce lo fa ancora vedere bene, non ce lo fa ancora amare bene.

Ma il tempo che passa fa capire e sentire sempre di più.


Nel permanere della positività, di un’esperienza positiva, a volte la coscienza del limite personale che sembra dominante, e il dolore, la paura, il timore, è come se gettassero un’ombra di scetticismo e di nichilismo, di quel nichilismo di cui parlavi prima … (106)

Tu sei figlio del mondo: sei figlio di tua madre che è di carne, di tuo padre che è di carne.

Tu sei figlio loro, sei figlio del mondo.

Ma c’è Uno fra noi la cui realtà non può essere riconducibile totalmente alla nostra, anche se della nostra è fatto.

Creando me, Dio ha già vinto il nulla, il nulla che ero, secondo quel sentimento espresso dal profeta Geremia:

«Ti ho amato di un amore eterno, perciò ho avuto pietà di te e ti ho tratto dal nulla, avendo misericordia del tuo niente, del tuo nulla».

È venuto a casa nostra, amici miei, per questo non conosco quasi nessuno di voi, ma siete più che amici.


Siate mendicanti dell’Essere.

L’uomo nasce come mendicanza della felicità, dell’amore, della giustizia – che sono altre parole per indicare l’Essere.

Siate mendicanti: pregate ogni giorno!

Vi giuriamo che non passeranno anni così numerosi da scoraggiare, ma a suo tempo, nel giorno che Lui vorrà,

luce sarà fatta nei vostri occhi e affezione sarà data al vostro cuore che non avreste mai immaginate.

A 70 anni si può già dire così.


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