Libro “Generare tracce nella storia del mondo” di don Luigi Giussani
Capitolo secondo
LA PERMANENZA DELL’AVVENIMENTO NELLA STORIA
(IL TEMPIO NEL TEMPO)
Links ai titoli e sottotitoli
- L’avvenimento permane nella storia attraverso l’unità dei credenti
- La legge generativa e dinamica della «compagnia»: l’elezione
- Il Battesimo: concezione, nascita della creatura nuova
- La compagnia guidata al destino è una dimensione dell’io: appartenenza
- Una concezione nuova dell’intelligenza e dell’affezione
- Una moralità nuova
- La responsabilità e la decisione
- La forma concreta della elezione e il tempio nel tempo
- La modalità persuasiva con cui lo Spirito Santo interviene nella storia: il carisma
1 – L’AVVENIMENTO PERMANE nella STORIA attraverso la COMPAGNIA dei CREDENTI (55)
La compagnia dei credenti è segno efficace della salvezza di Cristo per gli uomini, è il sacramento della salvezza del mondo.
E’ il corpo di Cristo che si rende presente, tanto che Lo si tocca, Lo si vede, Lo si sente.
Possiamo, per analogia, pensare al mistero dell’umana personalità che si documenta attraverso il corpo.
Il corpo non lascia vedere tutta la personalità, ma è il continuo inizio dell’inesauribile e misterioso cammino dentro di essa.
Gesù Cristo è presente qui e ora: Egli permane nella storia attraverso la successione ininterrotta degli uomini che per l’azione del suo Spirito gli appartengono, quali membra del suo Corpo, prolungamento nel tempo e nello spazio della sua Presenza.
Il Battesimo è il gesto con cui Cristo morto e risorto afferra gli uomini che il padre gli ha dato nelle mani e li porta dentro di Sé.
«Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (57)
Saulo sta andando a Damasco.
A un certo punto, lungo il cammino, una luce lo avvolge e lo getta per terra, ed egli cadendo ode una voce potente: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?».
Ciò stabilisce una identità tra la gente a lui estranea che andava a perseguitare e quell’Essere la cui voce riempì in quel momento cielo e terra, cioè tutta la sua vita.
San Paolo scrisse, qualche anno dopo, quel che aveva capito a partire da quel momento: i cristiani e Cristo sono una cosa sola.
Coloro che sono stati afferrati dal gesto del Battesimo sono stati inseriti in Cristo e sono immedesimati con Lui.
«Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete immedesimati con Cristo».
Rm 6,4
Tutti voi siete uno, un essere solo, una cosa sola in Cristo Gesù.
L’unità con Cristo coincide con l’unità fra i cristiani.
Non solo membra di Cristo, dunque, ma membra l’uno dell’altro.
La più grande rivoluzione è un’unità umanamente sperimentabile (60)
L’esigenza di unità sta alla radice di tutta l’espressione della vita dell’io, appartiene alla definizione dell’io.
Ogni grande rivoluzione umana ha avuto come ideale supremo l'universalità: fare di tutta l'umanità un cosa sola.
Ma quanto più l’uomo cerca di realizzare la sua aspirazione originale all’unità, tanto più questa unità gli si rivela impossibile, non raggiungibile dalle sue sole forze: nemmeno l’unità tra l’uomo e la donna, tra genitori e figli.
L’esigenza originale di unità dell’uomo si può capire solo alla luce del Dio uno e trino.
L‘Essere ultimo è comunionale nella sua stessa sostanza misteriosa.
Misteriosa, certo: noi non potremmo comprendere.
Non solo ci è stata rivelata; ci viene partecipata.
E’ quest’Uomo che rende la mia vita capace di compagnia e, in essa,le permette di attuare la sua capacità di fecondità, la sua creatività.
[…] afferrandomi e portandomi dentro di Sé, assimilandomi alla Sua personalità e facendomi diventare membro del suo corpo, attraverso l’azione del Suo Spirito, l’energia con cui Egli penetra il tempo e lo spazio e afferra l’uomo che il Padre gli dà nelle mani.
L’unità fra gli uomini scelti da Cristo, costituisce il miracolo più grande, che svela alla confusione degli spiriti umani la presenza del Mistero che fa tutte le cose.
Cristo è presente hic et nunc a noi nella unità che ci chiama a vivere, nella Chiesa.
Veramente l'ideale rivoluzionario dell'unità si è attuato in Cristo.
La compagnia di cui parliamo non è, dunque, una realtà fatta e trovata da noi.
Essa è voluta, resa consistente e permanente da un Altro.
Lo stesso spirito fa del caos di gente estranea, lontana, divisa, un cosmo, un ordine.
2. LA LEGGE GENERATIVA e DINAMICA della “COMPAGNIA”: l’ELEZIONE (65)
L’avvenimento di questo organismo che Dio ha destato perché sia nel mondo il punto di richiamo e il traguardo, la partenza e l’esito di tutto, ha una legge generativa che è anche quella del suo sviluppo.
Perché Cristo sia «tutto in tutti», c’è operata da Dio, dal Mistero, dal Verbo del Padre, una scelta, una elezione.
Il grande pedagogo (65)
La storia del popolo ebraico è il preavviso di ciò che sarebbe accaduto a tutta l’umanità.
San Paolo considera la storia del popolo ebraico «il grande pedagogo».
Esso in tutta la sua storia, fu fatto da Dio come pedagogia, come introduzione illuminante la natura del suo intervento nel mondo, nella storia.
Cristo, il Mandato (67)
La grande elezione, che Dio ha operato per il suo disegno nel mondo, è la chiamata di Cristo.
L'elezione di Gesù Cristo coincide con la missione di rendere visibile il misterioso disegno del Padre su tutte le cose.
Mandato da un Altro: questa espressione implica il mistero riguardo alla Sua origine e al suo fine, implica il mistero totale della Sua persona, che, in quanto sperimentalmente incontrabile, ed esistenzialmente constatabile, è legata esattamente al significato di questa parola: «mandato».
Nei suoi dialoghi più drammatici, Gesù ha spesso usato questa definizione di sé come contenuto di risposta: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero», «Io non posso fare nulla da me», «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato»
Sorprendere, nel Vangelo di san Giovanni, ogni espressione in cui Gesù traduce la sua coscienza d’essere mandato dal Padre genera una profonda commozione di fronte al Mistero; perché nella persona di Cristo il Mistero si rivela come il senso della storia umana e della realtà tutta.
Vediamo ora come, questa elezione di Gesù, che è la sua missione, si traduce in un elenco, nel senso greco della parola (dar prova di sé), giungendo fino a noi.
La scelta di Maria (70)
Maria è stata scelta perché fosse la prima casa di Dio nel mondo, il primo contesto, il primo ambito, il primo luogo in cui tutto era di Dio, che veniva a vivere tra noi.
Tutto ciò che Lei è – tutto – è per Dio, dimora Sua.
Il Corpo di Cristo che si dilata nel tempo e nello spazio: la Chiesa (71)
Questa dimora umana del Mistero, si è diffusa in tutto il mondo.
In questa diffusione, chi è il mediatore, chi rende quello che c’è nel suo ambito tutto per Cristo?
L’uomo, l’uomo chiamato, eletto, colui che risponde, l’uomo mandato a compiere la missione affidatagli da Cristo: quest’uomo rinnova il mondo, è il protagonista visibile della sua redenzione.
La realtà della casa di Nazareth
si è diffusa in tutto il mondo attraverso l'elezione di uomini costituiti come una FORMA, una realtà unica: è la Chiesa,
corpo di Cristo che si dilata nel tempo e nello spazio.
Qual è la forza che permette cioè il dilatarsi della Chiesa?
Ciò che permette questo continuo sviluppo
è il Fatto stesso,
l’Ospite di quella casa che fu il seno della Madonna.
Quest’Ospite, Re dell’universo, è morto in croce ed è resuscitato perché tutti capissero che egli è il Re dell’Universo.
La Chiesa è cioè l’umanità in quanto resa vera, unificata dalla presenza di Cristo attraverso quella energia ri-creativa che è il mistero dello Spirito della Pentecoste.
Cristo sarebbe irrimediabilmente lontano e perciò vittima della nostra interpretazione, se non fosse presente nella Chiesa vivente.
La Chiesa è perciò il metodo con cui Cristo si comunica nel tempo e nello spazio, analogamente al fatto che Cristo è il metodo con cui Dio ha scelto di comunicarsi agli uomini per la loro salvezza.
La familiarità di rapporto quotidiano di Dio con noi si esplica, anche e in modo particolarmente persuasivo, in avvenimenti e persone che richiamano direttamente a Lui: miracolo e santità.
Il miracolo è l'accadere di qualcosa che «COSTRINGE» a pensare a Dio.
Miracoli e santità. L’umanità dei santi è infatti come la mia, ma in essa fiorisce Qualcosa di più grande la cui esigenza è in me e in ogni uomo, ma come impossibile a realizzarsi.
Ma «quello che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio».
Uomini chiamati (75)
Il fiorire di una umanità eccezionale si inserisce nella dinamica generativa della compagnia nuova che è la Chiesa.
Cristo chiama alcuni perché tutti s’accorgano del suo avvenimento.
Nel brano degli Atti, il termine che sta dunque in cima alla fila, il più profondo, quello su cui poggiano la fede, l’incontro e tutta l’architettura della memoria, è: «scelti», «prescelti» dal Padre.
Noi, in quanto chiamati, siamo resi parte di quel virgulto che è iniziato nel seno della Madonna.
Questo uomo, nato da donna, morto e risorto, ha ricevuto potere su ogni carne, senza eccezione, perché «tutti» possano avere la vita eterna.
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga».
Il frutto è Lui stesso: che il mondo Lo conosca e Lo segua.
Gesù parla ad alcuni, a una decina di persone: tutta la sua signoria si concentra su alcuni che chiama amici; quello che egli ama coincide con il loro cuore, quello che egli crea coincide con le loro opere.
In capo a tutto sta la scelta che Cristo fa di noi: scelta, elezione.
Per la presunzione dell’uomo e per l’ideologia corrente, niente è più irrazionale e antidemocratico di questa parola: elezione, essere scelti.
Ma senza questa parola non ci sarebbe nulla.
La parola «ELEZIONE» segna il limite, la soglia, tra il nulla e l’essere.
L’essere fiorisce, dal nulla, come scelta, come elezione.
Il mistero di Dio […] vibra […] dentro la preferenza umana, perché LA PREFERENZA UMANA è L’OMBRA della SCELTA della LIBERTA’ DI DIO
3. IL BATTESIMO: CONCEZIONE, NASCITA DELLA CREATURA NUOVA (79)
Un fatto oggettivo (79)
Egli si è mosso verso di noi e ha stabilito, come vir pugnator, UNA LOTTA PER L’INVASIONE DELLA NOSTRA ESISTENZA, si chiama Battesimo.
Un fatto talmente reale che è descrivibile in tutta la sua esteriorità, che ha una data precisa, ci ha investito, anche fisicamente, in un momento determinato.
…con quell’impatto che prende il nome di Battesimo, ha avuto inizio in noi qualcosa di irriducibilmente nuovo in noi.
E’ un evento reale, che entra dentro una situazione e la cambia, la determina in modo diverso.
Immedesimazione con Cristo (80)
Il Battesimo […] rende combattiva la vita, fa capire che la vita è un combattimento per l’affermazione di Cristo.
Implica la partecipazione della mia persona al Mistero della persona di Cristo: la mia persona è incorporata nel Mistero della persona di Cristo.
«Voi che siete stati battezzati vi siete immedesimati con Cristo».
Gal. 3,27
«Ma non sapete che siete membra gli uni degli altri?».
Rm 12,5 ; Ef 4,25
Questo è il culmine a cui Cristo è giunto come Signore della storia.
E il gesto che rende possibile il cammino della nuova creatura, rifatta dalla potenza di Dio e capace perciò di cose nuove, è l’Eucarestia, viatico , cibo del cammino.
Dentro il segno della materia, realmente avviene quello che il segno indica: Cristo diventa un’unità con me.
In un segno realmente si comunica alla nostra vita un rapporto ontologico, inimmaginalmente profondo.
Nascita della creatura nuova (82)
Il Battesimo è l’inizio di una personalità nuova, di una «creatura nuova» nel mondo.
L’espressione «CREATURA NUOVA» è come un refrain continuamente rieccheggiato nel Nuovo Testamento.
Una novità contradditoria al mondo (83)
Siamo immersi in una realtà «mondana» contraria a ciò che ci è accaduto: essa ha bisogno dell’avvenimento di Cristo, ha bisogno che sia testimoniato e vissuto, ma come coscienza e affezione, è radicalmente estranea e in opposizione alla personalità nuova, alla «creatura nuova» cui Cristo dà inizio.
Anche chi è stato scelto può affondare dentro l’oceano melmoso del mondo: cedendo alla smemoratezza, non vivendo la memoria, che è la coscienza della presenza di Cristo.
La fede è riconoscimento e memoria di quell’Evento reale determinante la vita.
[….] percepire il Mistero che vibra nel momento e nel gesto, è dato da un «INCONTRO».
L’incontro incomincia a gettare una luce aurorale su qualcosa che è accaduto prima.
In questo senso l’incontro è sorgente di memoria.
4 – LA COMPAGNIA GUIDATA al DESTINO E’ una DIMENSIONE dell’IO: APPARTENENZA (84)
Non esiste nessuna persona compiuta se non in compagnia: una persona genera compagnia ed è generata dalla compagnia.
«Appartenenza» è il nome di un rapporto che giunge fino a questo punto: mi appartieni e ti appartengo, io appartengo alla compagnia creata dall’avvenimento di Cristo e questa compagnia, in ogni suo fattore, appartiene a me ed io ad essa.
Il nostro io appartiene a questo «Corpo» che è la compagnia cristiana e in esso attinge il criterio ultimo per affrontare tutte le cose.
L’appartenenza a Cristo è il contenuto di una nuova coscienza.
Nell’appartenenza al Dio che è diventato Uomo, la nostra dipendenza totale, il nostro «essere fatti», diventa chiaro.
E’ un’Altro che mi definisce, coincide con la volontà e con la forza di un Altro, sono di un Altro,cioè di Colui che mi crea.
L’appartenenza alla compagnia comunque nasce da un avvenimento, da un incontro, dal quale scatta l’inizio di una novità per me, di una percezione e di una adesione a me stesso diverse: scatta l’inizio di una creazione nuova di me che non può essere ricondotta a quello che io penso e sento di me.
Un’idea, un discorso, una logica non cambiano la persona.
Nell’appartenenza la persona compie l’esperienza di una coesione dei particolari entro cui la sua vita si situa: la vita così acquista un nuovo significato e una nuova unità.
Qui si capisce il valore della compagnia cristiana, di questo strumento ideato da Dio come riflesso di Sé stesso – perché Dio è una compagnia -; essa ci richiama a ciò verso cui andiamo, al significato di quello che siamo, […] secondo l’ideale che sorge dall’essere stati assimilati a Cristo in quel momento che è il più grande della vita e che si chiama Battesimo.
Questo è il bisogno di una compagnia vera, perché essa sia sorgente di missione in tutto il mondo: non discepolanza, non ripetitività, ma figliolanza.
Perciò per l’organicità vivente della compagnia cristiana, non esiste niente di più contraddittorio che, da un lato, l’affermazione della propria opinione, della propria misura, del proprio modo di sentire come criterio ultimo e, dall’altro, la ripetitività.
E’ la filiazione che genera.
Così si moltiplica e si dilata il grande Mistero della sua Presenza, affinché tutti Lo vedano dando gloria a Dio.
Il sacrificio più grande è dare la vita per l’opera di un Altro. (89)
L’appartenenza rappresenta la parola più importante per definire la natura della creatura nuova attraverso cui si veicola l’ontologia dell’Avvenimento.
Perciò, APPROFONDIRE LA COSCIENZA DI SE’ COME APPARTENENZA è la prima linea di sviluppo di un’autocoscienza matura, cioè di una antropologia cristiana.
Dalla percezione del valore antologico dell’appartenenza nasce la formula morale più intensamente riassuntiva e più indicativa per la prassi della nostra vita:
«Il sacrificio più grande è dare la vita per l’opera di un Altro».
Questa frase ricorda l’esperienza stessa di Cristo che dà la vita per l’opera del Padre.
5 – UNA CONCEZIONE NUOVA dell’INTELLIGENZA e dell’AFFEZIONE (90)
Diventare una «creatura nuova» significa avere una coscienza nuova, una capacità di sguardo e di intelligenza del reale che gli altri non riescono ad avere, e una affezione nuova, una capacità di adesione e di dedizione al reale, all’altro da sé, che non è nemmeno immaginabile.
Nell’esperienza di un grande amore [..] tutto diventa un avvenimento nel suo ambito
romano guardini
La conoscenza nuova nasce dall’adesione a un avvenimento, dall’affectus a un avvenimento a cui si è attaccati, a cui si dice sì.
Pensare partendo da un avvenimento significa anzitutto accettare che io non definisco quell’avvenimento, ma piuttosto sono definito da esso.
La mentalità nuova non nasce per un processo di deduzione analitica a partire da certi principi o criteri che poi si applicano, ma da un avvenimento.
Non è una applicazione mia, ma è l’obbedire a quello che ho incontrato.
La conoscenza nuova implica perciò l‘essere in contemporaneità con l’avvenimento che la genera e continuamente sostiene.
Chi privilegia le sue analisi o le sue deduzioni adotterà alla fine gli schemi del mondo, che domani saranno diversi da quelli di oggi.
La modalità con cui nasce il criterio per giudicare può essere sinceramente indicata dalla parola SGUARDO.
Si tratta di stare davanti all’avvenimento incontrato senza troncare a un certo punto la lealtà dello sguardo per la preoccupazione di affermare quel che ci pare e piace o ci «interessa».
E’ la lealtà dello sguardo all’avvenimento che porta lontano:
è un affectus, come quello che aveva Simone, così puramente e profondamente affezionato a Gesù, ciò che porta lontano la capacità di giudicare adeguatamente la realtà.
«Pur vivendo nella carne»: per vivere il cristianesimo non ci è richiesto di rinunciare a nulla, ma di cambiare il rapporto con tutto.
«Pur vivendo nella carne», vale a dire nella situazione così come è, […] appartengo a un avvenimento, a una origine che cambia la modalità dello sguardo:la modalità dello sguardo diventa fede.
Non c’è nessuna evidenza più grande, non esiste niente di più evidente, per un uomo che usi la ragione, del fatto che in questo istante, in questo momento, io non mi faccio da me:
io sono Tu che mi fai, io sono un Altro che mi fa.
Tutto infatti nasce da lì, non si fa da sé.
Per questo, la persona che ho davanti, chiunque essa sia, è e segna la strada seguendo la quale io arrivo a Cristo, al Tu di cui ogni cosa è fatta, e perciò di essa ho stima, rispetto, l’adoro, posso adorarne il volto.
«Pur vivendo nella carne vivo nella fede del figlio di Dio»: questa è la definizione del cambiamento profondo dell’intelligenza e dell’espressione dell’uomo.
6 – UNA MORALITA’ NUOVA (94)
Conoscenza nuova e moralità nuova hanno la stessa origine.
Per Simone figlio di Giovanni e per Paolo l’origine della conoscenza nuova è identica all’origine della loro moralità: un Avvenimento presente.
Dall’appartenenza alla compagnia di Cristo nasce una nuova concezione del problema morale.
L’azione è vera, è morale, solo se corrisponde al disegno totale; se ne lascia via una parte non è più morale.
Analogamente (alla ragione),
un atto è morale quando mantiene l’originale apertura alla realtà con cui Dio ci crea continuamente.
La corruzione della moralità – oggi particolarmente in voga – si chiama moralismo.
Il moralismo è la scelta unilaterale di valori per avallare la propria visione delle cose.
Il moralismo si traduce in due sintomi gravi:
A) il primo è il fariseismo. Nessuno è più antievangelico di chi si considera onesto, perché non ha più bisogno di Cristo.
B) il secondo sintomo perciò è la facilità alla calunnia. Da un lato quindi giustificazione per sé stessi. Dall’altro, odio e condanna del prossimo.
Chi è capace di moralità?
Ogni uomo nella sua debolezza è peccatore.
Nella coscienza di essere peccatori, sorgono la possibilità di una discrezione, la nostalgia di una verità per sé e per l’altro, il desiderio che almeno l’altro sia più buono di sé, l’umiltà.
San Paolo dice anche: «Io non giudico nessuno, neanche me stesso».
Solo Dio misura tutti i fattori dell’uomo che agisce e la sua misura è oltre ogni misura: si chiama misericordia, qualcosa per noi ultimamente incomprensibile.
La moralità è una tensione di ripresa continua.
Il male non ci ferma:possiamo cadere mille volte, ma il male non ci definisce, come invece definisce la mentalità mondana, per cui alla fine gli uomini giustificano quello che non riescono a fare.
Caratteristica della vera moralità è allora il desiderio di correzione.
«Simone, mi ami tu?» (98)
Il capitolo 21° del Vangelo di Giovanni è la documentazione affascinante dell’etica nuova.
Pietro era un uomo di 40 o 50 anni, con famiglia e figli, eppure così bambino di fronte al mistero di quel compagno incontrato per caso.
Dal primo incontro Egli ingombrò il suo animo, tutto il suo cuore.
Con quella presenza dentro il cuore, con la memoria continua di Lui, guardava la moglie e i bambini, i compagni di lavoro, gli amici e gli estranei, i singoli e le folle, e pensava e s’addormentava.
Quell’Uomo era diventato per lui come una grande, immensa rivelazione non ancora chiarita.
La terza volta che Gesù gli rivolse la domanda, dovette chiedere la conferma di Gesù stesso: «Sì, signore, Tu lo sai, io ti amo».
Questo “SI‘” è la scaturigine della moralità, il primo fiato di moralità sul deserto arido dell’istinto e della pura reazione.
Pietro ne aveva fatte di tutti i colori, eppure viveva una simpatia suprema per Cristo.
I peccati passati non potevano costituire obiezione e nemmeno tutta l’immaginabile sua incoerenza futura: Cristo era la fonte, il luogo della sua speranza.
«Chiunque ha questa speranza in Lui purifica se stesso come egli è puro».
La nostra speranza è in Cristo, in quella Presenza che, per quanto distratti e smemorati, non riusciamo più a togliere – non fino all’ultimo briciolo almeno – dalla terra del nostro cuore per tutta la tradizione dentro la quale Egli è giunto fino a noi.
Allora […] scaturisce, scatta dal fondo del cuore, il fiore del desiderio della giustizia, dell’amore vero, autentico, della capacità di gratuità.
Come l’inizio di ogni nostra mossa non è un’analisi di ciò che gli occhi vedono, ma un abbraccio di ciò che il cuore attende, così la perfezione non è l’espletare delle leggi, ma l’adesione a una Presenza.
Solo l’uomo che vive questa speranza in Cristo continua tutta la vita nell’ascesi, nello sforzo per il bene.
La ragione ultima del “sì” (103)
Qual’è la ragione vera del “sì” a Cristo detto da Simone?
«Sì, io ti amo», disse Pietro.
E la ragione di questo “sì” consisteva nel fatto che egli aveva intravisto in quegli occhi […] chi era Dio, che era Jahvè, il vero Jahvè: misericordia.
In Gesù si svela il rapporto di Dio con la sua creatura come amore e quindi come misericordia.
La misericordia è la posizione del Mistero verso qualsiasi debolezza, errore o dimenticanza dell’uomo: Dio, di fronte a qualsiasi delitto dell’uomo, lo ama.
Egli, Gesù, si rivolge a noi, si fa “incontro” per noi, chiedendoci una cosa sola: non «che cosa hai fatto», ma «mi ami?».
Egli è mandato dal Padre per farci conoscere che
l’essenza di Dio ha come caratteristica suprema per l’uomo la misericordia.
Anche in tutte le nostre sfortune, in tutte le nostre cattiverie, in tutte le nostre incoerenze, in tutta la nostra debolezza, in quella debolezza mortale che è l’uomo, possiamo realmente respirare e sospirare pace, generare pace e rispetto per l’altro.
E rispettare l’altro significa guardarlo con l’occhio a un’ altra Presenza.
“Rispetto” vuol dire «guardare una persona tenendone presente un’altra».
Così il lavoro acquista una nobiltà, una leggerezza d’animo più grande, pur in mezzo a tutte le tribolazioni con cui ci alziamo dal letto.
E il rinnovarsi di questa coscienza è la preghiera del mattino.
Un uomo che guardi sua moglie percependo e riconoscendo l’Altro, Gesù, dentro e oltre la figura di sua moglie, può portarle rispetto e venerazione, può avere stima per la sua libertà, che è rapporto con l’infinito, rapporto con Gesù.
L’inizio della moralità nuova è un atto d’amore (106)
La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e in cui trova la sua massima soddisfazione
San tommaso
L’inizio di una moralità nuova è un atto d’amore.
Protagonista della morale è la persona intera, l’io intero.
La persona ha come legge l’amore.
«Dio, l’essere, è amore», scrive san Giovanni.
L’amore è un giudizio commosso per una Presenza connessa con il destino.
La morale cristiana è la rivoluzione in terra, perché non è un elenco di leggi, ma un amore all’essere: uno può sbagliare mille volte e sempre gli sarà perdonato, sempre sarà ripreso e riprenderà il suo passo sul cammino, se il suo cuore riparte con il «sì».
L’importante di quel «Sì, Signore, io ti amo» è una tensione di tutta la propria persona, determinata dalla coscienza che Cristo è dio e dall’amore a quest’Uomo che è venuto per me.
La morale è amore, è amore all’Essere diventato uomo nella storia, che mi raggiunge attraverso una misteriosa compagnia che storicamente si chiama Chiesa o Corpo misterioso di Cristo o Popolo di Dio: io Lo amo dentro questa compagnia.
Perché il bene non è il «bene» ma l’adesione a Lui, è il seguire quel volto, la sua Presenza, il portare la sua Presenza ovunque, il dirlo a chiunque, perché questa Presenza domini il mondo – la fine del mondo sarà nel momento in cui la Presenza diventerà evidente a tutti.
E il male è offendere l’oggetto dell’amore e dimenticarlo.
La morale è in me che amo Colui che mi ha fatto e che è QUI.
Se non fosse questo, la morale la potrei usare esclusivamente per affermare un mio vantaggio; sarebbe in ogni caso disperante.
La permanenza della moralità nuova (109)
COME questo avvenimento si mantiene vivamente presente nella nostra esistenza?
Tale risposta è nel termine cristiano «MEMORIA».
Nella memoria, l’avvenimento che sperimento, secondo tutta la sua ricchezza viene immerso nel flusso del tempo e dello spazio, fa parte di una storia.
La prima condizione per la moralità nuova è fare memoria di quella Presenza che eccede i termini dell’umano conoscere, vale a dire riconoscere qui e ora la Presenza che non si può ridurre a nessuna ipotesi umana.
La permanenza di questa Presenza è grazia, puro avvenimento, a cui noi resistiamo nell’aderire qui e ora.
Lo riconosciamo e vi aderiamo.
Accettare questa novità assoluta, che riaccade mille volte al giorno, è l’aspetto supremo della libertà.
Come per Giovanni e Andrea, per Simone, per Zaccheo, l’inizio del nostro cambiamento è una grazia, un dono.
Lo stupore dell’incontro, la continuità dello stupore, l’adesione a quella Presenza che permane implicano l’abbraccio e l’unità con tutti coloro che quella Presenza stessa ci pone vicino.
Essa si è resa oggetto del nostro sguardo perché attraverso di noi, con i nostri difetti, e il dolore per essi, e l’impeto strano che ne deriva, sia più conosciuta e amata.
7 – LA RESPONSABILITA’ e la DECISIONE (111)
Siamo stati amati: per questo «SIAMO».
Il grande problema del mio esistere è la mia risposta: la mia risposta al Tu che mi chiama, il mio corrispondere.
Se io sono perché sono amato, devo rispondere: da qui nasce la responsabilità.
La responsabilità si esprime come decisione della libertà di fronte alla Presenza riconosciuta come totalmente corrispondente al proprio destino.
(Per Pietro) lo stupore iniziale era un giudizio che diventava immediatamente un attaccamento: era un giudizio che era come una colla, un giudizio che incollava Pietro e i discepoli a Lui.
Tutti i giorni aggiungevano manate di colla e non potevano più liberarsi.
Il «SI» di Simone non è stato l’esito di una forza di volontà, non è stato l’esito di una «decisione» dell’uomo Simone: era l’emergere, il venire a galla, di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di Lui (perciò era un atto di ragione) per cui non poteva che dire «sì”.
La decisione, dunque, nasce come l’instaurarsi di una simpatia.
[…] perché la dove si genera un rapporto che giunge fino a una simpatia profonda, al rinnovarsi di un attaccamento nato da uno stupore imparagonabile, la razionalità è un avvenimento.
8 – LA FORMA CONCRETA della ELEZIONE E’ il TEMPIO e il TEMPO (115)
Cristo prende l’uomo nel Battesimo, lo fa crescere, diventare grande, e in un incontro gli fa sperimentare la vicinanza di una realtà umana diversa, corrispondente, persuasiva, educativa, creativa, che in qualche modo lo colpisce.
Ha incontrato una determinata compagnia e ha percepito il soffio nuovo di una promessa di vita, ha presentito una Presenza corrispondente all’attesa originale del cuore.
Il mistero di Dio, che sarebbe stato altrimenti percepito lontanissimo, astratto, diventa così una urgenza nella vita di ogni giorno, suggerimento per guardare il cielo e la terra, emozione e commozione nello spalancare il cuore a una preferenza, che è vera se apre al bisogno di tutto il mondo, partecipando così alla grande pietà di Cristo.
La dimora dell’uomo (117)
Dio si rivela alla sua creatura nel tempo e nello spazio, perciò in termini umanamente comprensibili.
Il Suo Mistero, come Mistero, viene irresistibilmente comunicato all’uomo.
Le circostanze implicano un luogo in cui Dio chiede all’uomo che tutto sia incentrato e si operi come segno del rapporto Suo con l’uomo e dell’uomo con Lui, e sia totalmente funzione della volontà di Dio nella storia.
Questo luogo si chiama biblicamente «dimora», «casa», «tempio».
Un Altro ci ha fatto incontrare ciò che è decisivo per introdurci nel rapporto certo e definitivo col nostro Destino.
E la forma di questo incontro è quella di una compagnia precisa, con un volto che la diversifica da tutte le altre compagnie.
Una dimora è come il coagularsi della compagnia, della comunità, della carità, in una dimensione reale, quotidiana, di spazio.
La grande dimora della Chiesa si realizza infatti dentro le case, le dimore, che indicano il condensarsi, il coagularsi della sua vita in una dimensione quotidiana di spazio e tempo.
Tale dimora può essere di due specie
a) Famiglia
Questa è la vocazione normale, senza la quale finirebbe la storia: la famiglia, radice del perenne sviluppo della storia, casa di Gesù, dimora del Figlio dell’uomo.
La famiglia è un segno originale, dato dallo stesso Creatore.
La compagnia dell’uomo e della donna è per la generazione di un popolo.
L’incontro di un uomo e di una donna non può essere definito dallo scopo esclusivo di avere dei figli, ma innanzitutto dall’essere compagnia al Destino, come realizzazione dello scopo fondamentale di qualsiasi tipo di compagnia umana.
Questo legame diventa, perciò, esempio di ogni altra compagnia.
Che cosa occorre perché un uomo e una donna diventino padre e madre?
Innanzitutto uno sguardo diverso tra di loro.
La prima condizione del loro nuovo guardarsi è la permanenza, il legame essenziale, da cui estrae il profumo dell’appartenenza.
E’ a questo punto che incomincia il meglio: la gratuità.
Se la donna non piacesse più, la strada resterebbe la stessa e il legame permarrebbe uguale, anzi più perfetto, cioè gratuito.
In questa gratuità l’amore è quasi costretto a pigiarsi dentro la strettoia per cui esso sfocerà nella carità.
E’ un avvenimento che dà inizio a questo legame, come un bambino dà un nuovo inizio a una famiglia: in Esso emerge il legame stabile, cioè di appartenenza.
Qui la vita comincia a essere soddisfatta, a godere di sé in senso creaturalmente giusto.
La coscienza di partecipare alla costruzione del Regno di Dio infonde un’onda nuova nel cuore, per cui il sentimento amoroso – attraverso una strettoia tremenda che si chiama croce – diventa autentica carità, raggiunge la verginità, la gratuità, cioè la carità come partecipazione alla verginità, essendo la verginità la totalità della vita vissuta nel riconoscimento che Cristo è tutto in tutti.
B) Monastero
Monastero, o convento o, come espressione di nuove forme di dedizione a Dio, «casa» secondo le varie modalità della chiamata, sono fatti, creati, costruiti da chi è stato scelto come pietra viva a formare, a generare, una esistenza sperimentabile a tutti, con la quale si dimostri, per la sua stessa forma visibile, che «Egli solo è»: nel monastero, nel convento o nella casa, queste pietre vive, coloro che sono chiamati e scelti, sono lì per dimostrare nella verginità, forma visibile della loro stessa vita, che Egli solo è, cioè che Cristo è il re dell’universo e che tutto ha consistenza in Lui.
Così scopriamo anche quale sia il valore di quel pezzo di Chiesa che esiste là dove noi abitiamo e che si chiama Parrocchia.
E lì anche la comunità, l’amicizia tra di noi, si alimenta nei Sacramenti, si alimenta della parola di Dio annunciata.
Nella casa uno vede nell’altro il mistero di Cristo presente come volto.
Uno impara dalle stesse difficoltà del rapporto – illuminate dal giudizio della sua presenza – a vedere nell’altro il mistero di Cristo.
Perciò il rapporto con tutte le cose diventa occasione di bene nel presente che trascorre, capace continuamente di recuperare, di provocare letizia, di essere fonte di gioia, di sicurezza e di amore, il cui culmine è il perdono.
E’ un altro mondo che dobbiamo costruire, e di esso siamo i primi testimoni.
La dimora (famiglia, monastero, casa) indica la realtà in cui si vive, nei rapporti quotidiani, con pazienza, con comprensione, dove tutto è per noi, dove tutto ci accoglie, dove tutto ci sospinge alla speranza, dove tutto lenisce le ferite, dove tutto di noi, tutto quello che siamo, viene accolto.
Attraverso questi capillari la Chiesa vive nel grande contesto del mondo intero.
Un Avvenimento genera continuamente un legame, un’appartenenza, un modo di vita diverso, una moralità nuova, una perfezione dalla quale viene il frutto che collabora al giardino terrestre, al paradiso terrestre.
Così abbiamo la nostra parte nell’attuazione del disegno di Dio, nell’esplodere della gloria umana di Cristo nella storia.
9 – LA MODALITA’ PERSUASIVA con CUI lo SPIRITO SANTO INTERVIENE nella STORIA (127)
Questo dono della carità di Dio rende possibile la fede, la coscienza della presenza di ciò che è iniziato come Fatto nella storia di 2000 anni fa.
La caratteristica dell’intervento dello Spirito di Cristo, che provoca esistenzialmente l’Avvenimento dentro un tempo e uno spazio, si chiama “carisma”.
«La fede è una obbedienza di cuore alla forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati»
J. Ratzinger
Il CARISMA rappresenta proprio la modalità di tempo, di spazio, di carattere, di temperamento, la modalità psicologica, affettiva, intellettuale, con cui il Signore diventa avvenimento per me e, allo stesso modo, anche agli altri.
E’ così che Cristo resta presente con noi ogni giorno fino alla fine del mondo, dentro le circostanze storiche che il mistero del Padre stabilisce e attraverso le quali ci fa riconoscere ed amare la Sua presenza.
Il fenomeno dei Movimenti nella Chiesa, è l’autocoscienza che risorge nell’ambito della Chiesa stessa.
La Chiesa è resa casa vivente, viva, calorosa, piena di luce e di parola, di affettività, di spiegazione, di risposta, dai Movimenti.
Essi sono quelle unità di compagnia create dai carismi, da questi doni fatti dallo Spirito a chi Lui sceglie.
Ciascuna delle modalità storiche con cui lo Spirito mette in rapporto con l’Avvenimento di Cristo è sempre un «un particolare», una particolare modalità di tempo e di spazio, di temperamento e di carattere.
Ma è un particolare che abilita alla totalità.
Per utilizzare un’immagine, potremmo dire che il carisma è come una finestra attraverso cui si vede tutto lo spazio.
La riprova di un carisma vero è che apre a tutto, non chiude.
Se il carisma è la modalità con cui lo Spirito di Cristo ci fa percepire la sua Presenza eccezionale, ci dà il potere di aderirvi con semplicità e amorosità, è vivendo il carisma che si illumina il contenuto oggettivo del dogma.
Il carisma è dunque la modalità con cui lo spirito facilita e rende più consapevole e più fruttuosa la percezione del dogma, la percezione del contenuto reale dell’Avvenimento.
Nella Chiesa, nata dallo Spirito di Cristo morto e risorto, ontologicamente tutto è carisma.
Il primo carisma è l’Istituzione, perché essa è lo strumento della presenza dello Spirito di Cristo che agisce e si comunica nel Magistero e nei Sacramenti.
La questione del rapporto tra carisma e istituzione appare allora come decisiva; essa evidenzia che i due termini non sono estrinseci l’uno all’altro.
Ogni carisma rigenera la Chiesa dovunque, rigenera l’istituzione dovunque, obbedendo ultimamente a ciò che è garanzia del carisma particolare stesso: Grazia, Sacramento, Magistero.
Negare la novità del carisma particolare significa soffocare la vitalità dell’istituzione.
D’altro canto, la ragione d’essere del carisma particolare si giustifica solo in rapporto alla totalità.
«Nella Chiesa, tanto l’aspetto istituzionale, quanto quello carismatico [ …] sono coessenziali e concorrono alla vita, al rinnovamento, alla santificazione, sia pure in modo diverso e tale che vi sia uno scambio, una comunione reciproci»
Un carisma in atto: la responsabilità di ciascuno (131)
(Il Signore) da una parte ci fa entrare nel grande popolo del Corpo misterioso della Chiesa, l’erede del popolo prediletto; dall’altra ci tocca secondo una determinata originalità assunta dallo Spirito, secondo una certa forma, secondo un certo carisma.
Noi viviamo il popolo intero della Chiesa tanto meglio quanto più siamo fedeli al nostro carisma, per così dire alla nostra personalità investita dallo Spirito.
Ma in questa grande compagnia in cui Dio ci ha immessi col suo avvenimento non ci sono i migliori tra gli uomini.
Proprio per questo ciò che permane evidente è il miracolo della comunicazione del Signore avvenuto dentro al nostra vita.
«Non ci sono fra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Deboli e disprezzabili siamo così noi».
Prima lettera ai corinti 2,12
L’essenza del carisma di Comunione e Liberazione è riassumibile nell’annuncio, pieno di entusiasmo e di stupore, che Dio è diventato uomo e che questo Uomo è presente in un «segno» di concordia, di comunione, di comunità, di unità di popolo: solo nel Dio fatto uomo, solo nella Sua presenza e, quindi, solo attraverso – in qualche modo –la forma della Sua presenza, l’uomo può essere uomo e l’umanità può essere umana.
E’ qui la sorgente della moralità e della missione.
Ognuno ha la responsabilità del carisma incontrato.
Inevitabilmente, infatti, quanto più uno diventa responsabile tanto più il carisma passa attraverso il suo temperamento, attraverso quella vocazione irriducibile a qualsiasi altra che è la sua persona.
Il carisma si flette secondo la generosità di ognuno.
Questa è la LEGGE DELLA GENEROSITA’: dare la propria vita per l’opera di un Altro.
Il paragone con il carisma, così come ci è stato dato, tende a correggere la singolarità della versione, della traduzione, è correzione e suscitazione continue.
[ … ] dobbiamo rendere comportamento normale il paragone con il carisma come correzione e come ideale continuamente risuscitato.
Tale paragone deve diventare abitudine, habitus, virtù.
La linea dei riferimenti indicati è la cosa più viva del presente, perché un testo da solo può anche essere interpretato male; è difficile interpretarlo male, ma può accadere.
Dare la vita per l’opera di un Altro, non astrattamente, è dire qualche cosa che ha un riferimento preciso e storico: per noi vuole dire che tutto quello che facciamo, tutta la nostra vita è per l’incremento del carisma cui ci è dato di partecipare, che ha una sua cronologia, una sua fisionomia descrivibile, indica nomi e cognomi e, all’origine, un nome e un cognome.
Parlare di carisma senza storicità non è parlare di carisma cattolico.
