Esercizi spirituali di don Giussani 1982

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Indice linkato dei vari momenti
Omelia (12)
“A ognuno di noi è stato preparato un posto (Gv 14, 1-4): questo ha un significato soprattutto innanzitutto finale.
E’ l’avvenimento o la parola più grande della vita, perché tutto lo scopo di un cammino, di una strada, e perciò di una vita, è la sua fine, il suo destino.
Nella storia ci è stato preparato un posto.
Come infatti Lui è venuto, è diventato uno di noi, come noi, per tutti gli uomini, così noi siamo coinvolti con la Sua persona per tutti gli uomini.
E come tu, padre, tu, madre, dovrai rendere conto dei tuoi figli, così ognuno di noi dovrà rendere conto di tutti i fratelli uomini.
La grazia della fede ci è stata data perché attraverso noi giunga agli altri uomini, attraverso la nostra vita sia partecipata a tutto il mondo.
Per questo siamo parte della Chiesa, della Chiesa di Cristo, cioè della modalità con cui Cristo, penetrando il tempo e lo spazio, si comunica, secondo il disegno misterioso del Padre, dell’universo.
Il desiderio di questa vita, la serietà di fronte alla vita come cammino al destino segnato, la responsabilità di fronte al senso del tempo, il desiderio della via è ciò che determina, quando ci alziamo al mattino, magari sovvertendo tutti i dati istintivi, il nostro stato d’animo.
Questa è la povertà dello spirito: perché la volontà della via, è riconoscere che tutto è in funzione di un Altro, afferma un Altro.
1a condizione (13)
Il senso delle cose che esistono è la gloria di Cristo e la gloria di Cristo è attraverso la coscienza con cui l’uomo vive ogni cosa, tutto.
La serietà, la responsabilità, il desiderio, l’amore alla via; questa è la tensione della giornata, la consistenza di ogni giorno.
2a condizione (14)
La seconda condizione risponde ad una verità su noi stessi.
E la verità su di noi è, di fronte a quel desiderio, il timore, il tremore, il terrore dell’evidenza della nostra debolezza, l’evidenza della nostra incapacità.
è una sproporzione alla serietà e alla responsabilità.
Corrisponde a questa coscienza del nostro niente, ed è quello che diceva negli Atti degli apostoli Paolo ad Antiochia: “Noi vi annunziamo la buona novella, che la promessa è compiuta”.
Quale promessa? La promessa fatta ai padri, la promessa che è la struttura stessa dell’uomo, resa acutamente intelligente dall’incontro cristiano, ma pur inscritta già nella struttura stessa dell’uomo: la sete, il desiderio della strada che essa conduca alla fine.
Il compimento è già realizzato con la risurrezione di Cristo; Dio l’ha attuato per noi resuscitando Gesù.
Se il primo è la serietà di una responsabilità di fronte alla strada, questo secondo fattore vince la paura della nostra debolezza.
Tra noi c’è qualcosa che accade, che è più forte della nostra fragilità, più forte della nostra debolezza.
Qualcosa che accade, che è più forte della nostra fragilità, più forte della nostra debolezza….qualcosa che accade e mi vince, è vittorioso su di me.
La pace, la certezza e quindi la possibilità stessa della letizia – principio operativo perché solo nella letizia l’uomo può diventare creatore –
tutto ciò non proviene da noi.
Vibra tra di noi e attraverso noi prosegue dentro il tempo: Cristo risorto, la fede.
Il primo fattore è la serietà di cuore, il secondo fattore è la fede.
La fede, la potenza di Cristo risorto.
Che questo non sia più estraneo, come lo è normalmente, fino ad ora, per noi: articolo di credo e totalmente assente dalla memoria, dalla coscienza, dalla motivazione dei nostri atti, dalla ragione della nostra gioia, estraneo.
Sono dunque queste le due condizioni del cammino: povertà e fede, serietà della vita e accoglienza piena di gratitudine del FORTE che c’è tra noi.
Dunque povertà di spirito, che ci renda umani, che ci faccia partire con verità, e compagnia piena di forza vittoriosa sulla nostra meschinità, compagnia di perdono,
che ci renda capaci di compiere la nostra via attraverso lo stesso nostro male.
Chiediamo l’umiltà della povertà, la povertà dello spirito, e la fede; chiediamo questa giustizia, la giustizia, perché il giusto ci ha chiamati, affinché abbiamo a partecipare alla Sua giustizia.
Introduzione alle lodi (19)
“Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4)
La familiarità con Cristo (18)
Non ci sarà fedeltà [ … ] se non si troverà nel cuore dell’uomo una domanda, per la quale solo Dio offre risposta, dico meglio, per la quale solo Dio è la risposta
Giovanni Paolo ii – omelia durante il viaggio nella repubblica domenicana 26/1/1979
Come è importante che questa umanità si ritrovi insieme, si aiuti opportunamente a non dimenticarsi! E per non “dimenticarsi”, bisogna che la risposta sia presente.
Perché l’uomo possa credere in se stesso, deve credere in Dio, dato che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. Quando all’uomo si toglie Dio, non lo si restituisce a se stesso, ma lo si toglie a se stesso.
Giovanni paolo ii – cracovia 26 dicembre 1976
«Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco. / Uno sconosciuto lontano lontano. / Per lui il mio cuore è colmo di nostalgia. / Perché egli è presso di me, [ …]// Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? / Che colmi tutta la terra della tua assenza?»
Par Lagerkvist – Poesie
Ecco io volevo innanzitutto dire che la situazione in cui versiamo è troppo probabile che renda intellettuali o intenzionali i nostri “credi”, renda intellettuali e intenzionali le nostre parole, le parole dei nostri discorsi.
….. cioè non fosse presenza.
Questa lontananza di Cristo dal cuore, salvo che la Sua presenza sembri operare in certi momenti, genera anche un’altra lontananza, che si rivela in un ultimo impaccio tra di noi – sto parlando anche di mariti e mogli -, in un ultimo impaccio vicendevole.
L’assenza della conoscenza di Cristo (come familiarità), la lontananza di Cristo dal cuore rende lontano l’ultimo aspetto del cuore dell’altro, salvo che nelle azioni comuni.
C’è anche un rapporto, indubbiamente c’è il rapporto vicendevole, ma è solo in operazioni, opere, in gesti comuni in cui ci si ritrovasse o vi ritrovaste.
Ma quando vi ritrovate nell’azione comune, essa leggermente – poco o tanto- rende ottuso l’orizzonte del vostro sguardo o del vostro sentire.
C’è un impaccio che è lontananza Sua, che è come una presenza non Sua, un essere non determinante il cuore.
Non manca nelle azioni: in tante azioni può essere determinante, ma nel cuore? Nel cuore no!
Questa lontananza spiega anche un’altra lontananza, che si rivela pure in un ultimo impaccio nei rapporti tra di noi, nello sguardo tra di noi, perché è solo Cristo nostro fratello che ci può rendere realmente fratelli!.
Io non ritengo, infatti, che sia una caratteristica statisticamente normale che il diventare grandi ci abbia reso più familiare Cristo, ci abbia reso più presenza quella “grande assenza”.
[…] Il diventare grandi è molto, molto difficile che abbia ad evitare una «de-moralizzazione»
Se la moralità è tendere a qualcosa di più grande di noi, la demoralizzazione vuol dire l’assenza di questa tensione.
Voglio dire che c’è una demoralizzazione in noi che caratterizza il diventare grandi.
Questa è una responsabilità, paradossalmente, che non si può scaricare sulla compagnia.
Il cuore è l’unica cosa in cui è come se non ci fossero patners.
La nostra compagnia dovrà essere una strana compagnia: è come una compagnia su cui non si può scaricare nulla.
Il contrario della de-moralizzazione è la speranza.
La speranza è, immediatamente, la speranza di sé, la speranza del proprio destino, la speranza del proprio “ultimo”.
La parola che definisce il contenuto di questa speranza è quella che ha detto l’angelo alla Madonna: “A Dio nulla è impossibile“.
L’uomo nuovo che Cristo è venuto a destare nel mondo è l’uomo per cui questa affermazione è il cuore della vita: «A Dio nulla è impossibile».
Come si fa a vivere in funzione del Regno di Dio?
Come si fa a vivere il matrimonio in funzione del regno di Dio?
“A Dio nulla è impossibile”; non al Dio dei nostri pensieri, ma al Dio che si è reso uomo, al Dio vivente che si è reso presenza tra di noi.
Ora, è questa la strana radice che io ho chiamato «cuore»: e la vicinanza di Cristo al nostro cuore, questa presenza di Cristo nel nostro cuore è ciò che deve produrre il cambiamento profondo del nostro soggetto.
E’ l’indicazione di una direzione senza la quale uno non trova mai se stesso e non può realmente contribuire a edificare un mondo nuovo.
A volte è come se nessuno riconoscesse il Signore, perché tutte le teste sono ripiegate sugli errori altrui, sui propri problemi e progetti.
Sembra che sia insostenibile la fatica di rialzare lo sguardo da sé a quella Presenza.
Così Cristo non riesce a mobilitare niente veramente di noi, non gli diamo gloria.
Si pensa a Cristo e si fa il nome di Cristo, ma non si riconosce il Signore risorto, vittorioso e presente.
Credo che veramente dobbiamo prendere alla lettera ciò che dice Cristo: “Se non sarete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli“.
Ciò che caratterizza il bambino è che la sua consistenza è la presenza di un altro, di un grande, di una donna o di un uomo: quella è tutta la sua consistenza.
E l’avere il cuore bambino vuol dire tirare su la faccia dai propri problemi, dai progetti, dai propri difetti, dai difetti altrui, per guardare Cristo risorto.
Rialzare lo sguardo da sé a quella Presenza
Senza questa semplicità, senza questa povertà, senza che abbiamo la capacità di rialzare lo sguardo da noi stessi a quella Presenza, è impossibile una compagnia che levi da sé quell’impaccio, per cui essa diventi veramente al cammino.
È impossibile.
Vale a dire, è impossibile una compagnia che diventi veramente aiuto al cammino al destino, se per la gente di quella compagnia il destino non è tutto.
Ci siamo messi insieme perché questa semplicità avvenga in noi: da una parte deve essere incrementata una coscienza vivida del nostro peccato, dall’altra parte, deve essere incrementata la certezza e la sicurezza che tutto questo male che è in me è vinto – vinto! – da una presenza.
Come per il bambino: in qualunque condizione sia, la presenza della madre o del padre è la sicurezza che tutto andrà a posto che tutto è bene.
Che Cristo diventi presenza al nostro cuore, alla radice di tutto ciò che esprime la nostra persona e il nostro essere: io credo che il cambiamento a cui dobbiamo aspirare sia questo.
E’ un cambiamento non delle cose che facciamo, non delle cose che non dobbiamo fare, ma del cuore.
La nostra compagnia sarà solo per questo, mirerà solo a questo.
Il problema è che le persone che vivono quest’esperienza la vivano fino in fondo.
Viverla fino in fondo non vuol dire smettere di essere peccatori, ma essere veri: questa verità è nella fede, e la fede è riconoscere che Dio è diventato uomo e che è risorto per noi, ha già vinto per noi, e che questo uomo che ha vinto è presente.
Ma non è presente se non penetra nel cuore.
Se penetra il cuore, è il contenuto più immediato del nostro sguardo;
il nostro sguardo non è più prigioniero di quello che siamo o di quello che gli altri sono o delle circostanze.
La speranza è la fede che piace di più a Dio, diceva Péguy, perché la speranza è la letizia nel guardare la vita che il bambino ha quando s’accorge che c’è lì sua madre e nel primo istante la guarda, è la letizia con cui ognuno di noi è stato chiamato a guardare e ad affrontare il mondo nella certezza semplice che tutto è già compiuto, perché Cristo è risorto e Cristo è risorto in lui.
Assemblea (43)
Giussani: Lo scopo della nostra assemblea è quello di aiutarci a chiarire la modalità di vita di questa esperienza che chiamiamo, anzi, che la chiesa chiama “Fraternità di Comunione e Liberazione”.
(La Fraternità) non è un’assemblea di gente in comunione tra di loro se non si è tesi ad ascoltare e a recepire, a ospitare quello che il Signore suggerisce alla nostra vita attraverso le parole di un intervento.
L’assemblea di oggi vuole il più possibile chiarire, diciamo “oggettivamente”, che cosa sia, che cosa intenda, come debba essere e anche quel che vuole dire e anche quello che vuol dire alla nostra esistenza la vita di una Fraternità.
La grande occasione che Dio ha dato alla nostra vita: un compito nel mondo e nella Chiesa, secondo una particolare modalità di incarnazione storica che è il nostro carisma – creare ambiti di vita nuova e rendere pubblica ragione della propria fede – così da renderlo non soltanto un momento della Chiesa di oggi, ma già profezia e albore del mondo di domani.
Lettera di due giovani sposi che hanno avuto una grossa croce subito, per una gravissima malattia della loro bambina.
«La prima preghiera che ci è salita alle labbra è stata che non si compisse, per la nostra bambina, il nostro progetto, il nostro desiderio su di lei, ma il disegno del Padre, convinti che lì, e non nella nostra affannosa ansia, stava la possibilità di fare della prova un reale momento di edificazione.
Forse per la prima volta ho intravisto il valore della parola “OFFERTA“, il bagliore di pace e di certezza che da essa deriva, perché sia pure in questa sia pur parziale e incompleta disposizione dell’animo e dell’intelligenza si intravede la verità della fedeltà di Cristo, la realtà della Sua presenza.
[…] Credo che la prima opera sia quella di costruire se stessi nella fede. La prima pietra di questo edificio è la presenza, LO STARCI.
[…] Per me e per i miei amici il pericolo è quello di attendere che l’eroico entri nel quotidiano, dimenticandoci che è altrettanto necessario che il quotidiano diventi eroico.
Infine stiamo imparando L’OBBEDIENZA. […]L’UNICA VERA CONDIZIONE per superare le diversità di accenti è non pretendere che la propria esperienza diventi automaticamente quella dell’altro.
Ma il rispettare ognuno la libertà del compagno di strada. Ma il rispettare ognuno la libertà del compagno di strada è obbedire al movimento, cioè obbedire alla strada comune.
[…] La mortificazione, io credo, non deve essere la rinuncia alla propria esperienza per lasciare che di affermi l’altro, ma la comune volontà di seguire il cammino della nostra comune amicizia, cioè il movimento e questa è la cosa più difficile.
[…]Credo che la cosa più dura da accettare sia l’essere liberi: in fondo le cipolle d‘Egitto sono più immediatamente concrete e più immediatamente consonanti con la nostra meschinità».
Ho letto questo brano perché mi pare che descriva inoppugnabilmente la figura del soggetto di cui la Fraternità ha bisogno.
Il soggetto di cui la Fraternità ha bisogno è questo.
Dove TUTTO STA NELLA LIBERTA‘ perciò nella responsabilità che costituisce la nostra personalità, perciò
nella responsabilità di fronte a Cristo, in cui consiste e si esaurisce la nostra personalità.
Entrare nella Fraternità vuol dire entrare in una regola, e la regola è seguire una compagnia guidata al destino che è Cristo.
Lettera
«Ho pensato a lungo alla regola per la Fraternità e ho individuato una piccola cosa, che quando veniva osservata cambiava la mia giornata: il momento di preghiera, breve, ma insieme a mio marito, al mattino.
La regola consiste in questo, che io propongo questa preghiera.
È una regola per me prima di tutto.
La cosa impressionante è che questa breve cosa cambia la giornata»
«Meditavo la frase sulla moralità di von Speyr
“La santità non consiste nel fatto che l’uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto“.
VON SPEYR
Io allora avevo un po’ di timore e di paura nel fare la domanda, perché è una cosa grossa, richiede una totalità.
Mi fa ancora paura, ma ho deciso di iscrivermi lo stesso. La domanda di iscrizione alla fraternità si chiude con la frase: “Con l’aiuto di Dio e della Vergine Immacolata”. Con questa speranza nel loro aiuto invio il modula per la richiesta»
Intervento (50): «Mi ha colpito direttamente oggi la questione di fondo, cioè la lontananza del cuore dal centro della nostra vita. Forse che allora la questione è nella modalità del nostro appartenere? Forse che questo vuole introdurre una rottura nella posizione personale con cui io desidero e appartengo a questa compagnia?»
Giussani: La condizione per poter camminare su questa strada è la sincerità della domanda che faceva Tommaso: «Mostraci la via. Come facciamo a sapere al via?».
Sono la verità e la sincerità di questo desiderio che costituiscono l’essenza del cuore (il senso religioso).
Noi siamo attaccatissimi a tante cose cui la vita dà spunto, gestiamo questi spunti, e siamo attaccatissimi a una sorta di “managerismo” del movimento.
Quello che manca è la moralità, la moralità come reale e semplice desiderio del cammino, della strada.
Intervento(52):«Come è possibile che questo non diventi una rendita che pian piano perde di significato e si svuota, come un bilancio famigliare o un conto corrente bancario da cui continuamente si preleva e basta?»
Giussani: A differenza del conto bancario questa radicalità rappresenta proprio l’aumento del capitale tutte le volte che essa viene ricordata.
Ed è questo l’unico significato della compagnia: quello di ricordarci, di impedirci di scordare quotidianamente quella radicalità.
Intervento (52): «Nella nostra realtà, della fraternità siamo solamente in tre, e non ci incontriamo mai. Allora ci siamo posti la domanda: qual’è l’aiuto che la fraternità ci dà?»
Giussani: Se una volta ogni tanto (una volta al mese almeno) vi trovaste a fare un buon pranzetto insieme, basterebbe perfino quello perché la vostra amicizia percepisse educativamente un segno oggettivo cui appoggiarsi e in cui esprimersi.
L’amicizia è coscienza del cammino che io faccio con l’altro, coscienza del destino comune, così che se uno di voi tre si rompe una gamba, è impossibile che voi vi troviate con lui soltanto alla Scuola di comunità: andate a trovarlo!
Intervento (53): «Il grosso rischio è quello che noi, come gruppo, finiamo per morire nel nostro buco o per ricercare un riferimento a esperienze più adulte solo quando ci va, quando ci pare».
Giussani (54): Il gruppo si tiene chiuso quando vive sull’interpretazione, cioè sulle opinioni e sui risentimenti dei componenti.
Ma quando si è spalancati a quello che è accaduto e che accade nel mondo, cioè a Cristo, attraverso la parola scritta della Sacra Scrittura e la parola vivente della vita della chiesa, allora il cuore si dilata.
Per facilitare questa fedeltà al fatto del Signore e del Suo Corpo nel mondo, del Suo avvenimento nel mondo, la Fraternità si costituisce anche come sorgente di riferimento.
Da qui il valore dell’obbedienza.
Intervento (54): «Parlavi della famigliarità con Cristo. Quali sono i passi da fare nel cammino per sviluppare questa familiarità? Quali sono i segni che questa familiarità già è incominciata ad avvenire, che l’isolamento di Cristo dal nostro cuore si rompe, comincia a rompersi»?
Giussani (55): 1° – La domanda, la mendicanza a Cristo, o preghiera; 2° – L’obbedienza a una compagnia in Suo nome, perché questo richiama a Cristo e il richiamo alla memoria diventa domanda, mendicanza, preghiera.
Quando diventa familiarità? Il segno è la semplicità, è percepire che il tuo cuore diventa semplice .
«Nella semplicità del mio cuore, lietamente ti ho offerto tutto, e per questo io ho visto il tuo popolo con grande gioia offrirti i tuoi doni».
Liturgia Ambrosiana, festa del Sacro Cuore
Che si crei un popolo, una umanità che viva nella gioia il riconoscimento di appartenere a Dio, dipende dal fatto che ci siano persone che offrano se stesse a Dio.
Il secondo sintomo è che questa semplicità incomincia ad avvenire nella compagnia: cioè accetti, incominci ad accettare, incominci a perdonare.
E il perdono – come sempre dico – è innanzitutto l’accettare il diverso, l’abbraccio del diverso.
Intervento (56): «Concretamente quale opera ci è chiesta oggi nella Chiesa».
Giussani (56): L’opera che ci è chiesta nella Chiesa di oggi si chiama “movimento”, movimento di Comunione e Liberazione.
Una madre di quattro figli, la nonna vecchia e la ragazza madre affidata vive il movimento tra le quattro mura della sua casa e, se ha questa coscienza, appartiene alla nostra compagnia più profondamente che neanche tutti i responsabili con il loro indaffararsi. L’opera è il movimento.
Perché senza che si costruisca un certo cuore, non si serve, anche agitandosi molto.
Intervento (57): «All’interno della nostra confraternita abbiamo dovuto registrare una difficoltà di questo genere. I sintomi sono la fatica a parlarsi, il silenzio, una bruschezza di modi non semplicemente formale. Cosa vuol dire questo? Cosa manca alla nostra umanità per spalancarsi ad altro?»
Giussani (58): Voglio semplicemente dire che la difficoltà del vostro raduno conta un millesimo di fronte all’atteggiamento normale, al tipo di coscienza, di compagnia e di amicizia che avete.
Così che, quando ti alzi al mattino, incominci la giornata e gli altri della Fraternità non ti sono estranei.
Non è il raduno ma è una intesa.
(Per quanto riguarda l’impaccio) Dovete guardarlo non come una obiezione, questo impaccio, ma come invito a una verità maggiore della vostra personale anima con Cristo.
Perciò non state lì un’ora imbragati, imbranati, tra silenzi mortuali e arzigogoli forzati!
Dopo un po’, se siete impacciati, bevete un bicchiere di vino e dite un’Ave Maria alla Madonna.
Intervento (59): «Si è detto che il cambiamento del cuore è un fatto inevitabilmente personale e non può essere, quindi, scaricato sulla compagnia. Come la fraternità può aiutarci a un lavoro che, in fondo, è personale, cioè a recuperare l’adesione che resta profondamente di ciascuno di noi»?
Giussani (59): Io ho usato una parola, la parola “richiamo“, che è una parola vasta.
Si va da questo aspetto banale, esteriore, di richiamo, che è importante, anzi, decisivo (perché non siamo degli angeli), fino al richiamo che è dato dall’esempio, dallo spunto dell’esperienza altrui, dalla emozione e dalla tenerezza d’una parola, che viene detta in compagnia.
E’ l’uomo che va al suo destino, ma è nella dimensione sociale del proprio essere che l’uomo trova il cammino.
Intervento (60): «Il motivo per cui ho aderito alla Fraternità è l’aver percepito la proposta del movimento come una proposta per la mia vita. Quello che ti chiedo è come la Fraternità ci può aiutare a crescere in questo».
Giussani (60): Per sapere se usare il tempo per andare ad una assemblea o stare a casa, perché tua moglie ha bisogno, per capire questo non si può ragionare sulle due cose: innanzitutto bisogna che si approfondisca e scaltrisca una terza cosa che è il cuore.
Quanto più il tuo cuore matura, tanto più capirai quello che devi fare.
Allora, la Fraternità di aiuta – come richiamo, come sollecitazione, come insistenza e come esempio – a questa maturazione del cuore.
Così bisogna che noi desideriamo percorrere la via della certezza di ciò che ha risolto questa via, vale a dire al presenza di Cristo.
Quanto più si approfondisce il senso di questa Presenza, tanto più acquistiamo l’equilibrio per fare una cosa e per farne un’altra.
Questo ci rende più adulti nelle scelte e il sintomo è che si è liberi.
Il dolore del limite, della nostra approssimazione non ce lo toglieremo mai, ma il dolore, è una cosa che costruisce, mentre la recriminazione, l’incertezza, l’indecisione distruggono, logorano.
Intervento (62): «Come la Fraternità può aiutarci, nel vivere la condizione del lavoro, tenendo presente che siamo un po’ sparsi, svolgiamo lavori diversi ecc…? Come il nostro raduno della Fraternità può essere di aiuto all’unità del movimento nella nostra regione»?
Giussani (62): L’importante non è innanzitutto che si faccia la Scuola di Comunità: non è Fraternità perché fa la Scuola di comunità, ma è Fraternità perché ci si riconosce fratelli sullo stesso cammino, gioiosi della stessa certezza, e perciò ci si aiuta.
E il ritrovarsi a scuola di comunità è un aspetto di questo aiuto.
E’ facendo diventare più grande il soggetto che le altre cose vanno a posto.
Se c’è un gruppo di dieci persone tutte divise tra di loro, c’è un solo modo per favorire una risoluzione delle “lotte intestine” o delle ruvidezze che dominano i rapporti: che uno incominci lui ad essere capace di perdono, di accoglienza, esprimendo con fedeltà quello che in coscienza, dal Signore e dal proprio impegno sembra imparare.
Dunque la sincerità con Dio e la verità dell’imparare, cioè una obbedienza alle direttive del movimento, ai contenuti direzionali che il movimento dà, renderà quel punto che voi siete un punto pacifico in mezzo alla bufera, che lentamente assorbirà gli altri.
Intervento (64): «Il richiamo che più mi ha colpito era quello della semplicità del cuore. La cosa che quando ho incontrato il movimento più mi ha reso attento, mi ha scosso, è stata l’accoglienza che è stata fatta nei miei confronti all’inizio.»
Giussani (65): Se siamo stati accolti, perché non dobbiamo anche noi partecipare accogliendo gli altri?
Il peccato originale è come una forza che ci attira a terra: peccato vuol dire venir meno, come uno a cui viene il collasso e crolla. Abbiamo addosso questa inclinazione al nulla
Perciò bisogna contrastarla; e per questo occorre qualcosa che non è nostro – perché noi, per nostro conto, andremmo a fondo -: si chiama «grazia».
Intervento (65): «L’accoglienza, la solidarietà tra di noi è il punto da cui partire oppure l’opera comune da realizzare e qualcosa d’altro?»
Giussani (65): La solidarietà tra di voi è la conseguenza dello scopo per cui vi mettete insieme.
Lo scopo per cui vi mettete insieme è quello di essere aiutati a desiderare Cristo e a credere Cristo, e basta.
La forza del nostro movimento nei primi anni è stata questa.
Abbiamo affrontato problemi culturali e sociali in proporzione intensi come quelli che affrontiamo ora, ma metodologicamente eravamo più chiari, netti (i miei amici dei primi anni possono dirlo):
il punto di partenza era Cristo, era lo stupore, era la semplicità del riconoscimento di quell’Avvenimento, di quello che accadeva, che era accaduto e che accadeva nel mondo: Cristo.
La solidarietà tra noi non è lo scopo.
La solidarietà è l’esito, il primo istintivo corollario del fatto che la mia vita vuole Cristo.
Intervento (67): «In che termini la regola dovrebbe essere vissuta tra di noi per essere un incentivo alla Fraternità e non un capestro oppure una discriminante»?
Giussani (67): La regola deve essere fissata liberamente da ogni Fraternità.
Perciò se coloro che vi partecipano non sono consoni, in immediata comunione, nel fissare la regola, non sono più liberi, e allora è inutile farlo.
L’idea centrale della Fraternità è che tutta la responsabilità, tutta l’iniziativa, sta nella persona, che è adulta e perciò responsabile del suo destino.
Il criterio di scelta della compagnia deve essere semplicemente quello di una facilitazione: mi metto con chi mi facilita di più, facilita di più questa mia responsabilità di fronte al mio destino.
In questo senso, la Fraternità è una cosa assolutamente diversa dal movimento come struttura organizzata, naviga a livello assolutamente libero: il creare la Fraternità, il contribuire a darle un contenuto ecc…, dipende totalmente dalla responsabilità della persona.
Intervento (68): «Il più grande frutto che io vedo oggi, in questo riconoscimento ufficiale della Chiesa, è che riconoscendoci fratelli ci si riconosce dentro una storia di paternità. Ti chiederei di chiarirci meglio come evitare che la compagnia della Fraternità cada nello strutturalismo o nel sentimentalismo. Fino a che punto mi è lecito rompere le scatole ai miei amici perché mi aiutino a maturare giudizi di verità di cui ho bisogno».
Giussani (69): Fai benissimo a rompere le scatole ai tuoi fratelli e a chiedere che ti aiutino: è un segno che li sento come fratelli.
L’intimismo si evita perseguendo la strada della responsabilità propria di fronte a Cristo, quindi come responsabilità di aiutare gli altri amici a camminare verso il loro destino, verso Cristo, perciò a vivere la loro storia di responsabilità di fronte a Cristo.
Lo strutturalismo, invece, non so come possa avvenire nella Fraternità: ho addirittura detto che non ci sono ruoli!
Forse, ecco, può avvenire, se si identifica la Fraternità con il raduno, ma di questo ho già parlato prima: è un cuore, non un raduno.
Intervento (70): «C’è sempre un maggior numero di persone che vi partecipa con impegno (nella Fraternità) inventando cose nuove. Ma è come se questo fosse vissuto in alternativa ai luoghi classici della comunità».
Giussani (71): Perfetto. È un rilievo molto importante.
Dico che tutti debbono innanzitutto vivere le caratteristiche fondamentali del movimento, come per esempio l’impegno nell’ambiente, l’impegno comunitario nell’ambiente.
Questo è il primo aspetto dell’opera.
Se degli studenti fanno cooperative per le mense universitarie e poi in università non si vedono, mi spiace, quello non è movimento, perché la possono fare anche i pagani una cooperativa efficiente, sopratutto se hanno foraggiamenti dalla regione, essendo socialcomunisti.
Intervento (72): (riassumo) «Un nuovo gruppo di Fraternità è subentrato ad altri già presenti con più esperienza e questo ha creato un po’ di scombussolamento».
Giussani (72): Io proprio non riesco a capire che cosa abbia creato questo.
Chi sente l’impegno a creare una Fraternità, che la crei.
Non la proponiamo ai ragazzini del liceo e non la proponiamo neanche agli universitari, la proponiamo alla gente adulta, che è capace di responsabilità della propria vita di fronte a Cristo, e quindi di responsabilità di aiuto e amicizia.
Fatela! Non avete bisogno di nessuno e di nient’altro.
Il sintomo che la direzione è giusta è che la gente che vive la Fraternità ritrova una libertà, una gratuità, una generosità e una magnanimità maggiori nel vivere il movimento, perché la Fraternità non è una alternativa al movimento.
Il minimo che deve derivare dal fare una Fraternità è che il cuore si apra agli altri, si apra alla comprensione, al perdono, alla condiscendenza, alla pazienza e a tutto, altrimenti non saranno capaci neanche di stare insieme tra di loro: staranno insieme per l’azione di guerra, per l’azione bellica, come un commando; ma il commando non dura tutta la vita, a meno che abbiano venduto il cervello all’ammasso.
Intervento (75): «Vorrei che tu riprendessi e chiarissi le condizioni perché sia possibile non soggiacere continuamente al limite, non decadere».
Giussani (75): Insisto nel dire che la serietà con la vita esige innanzitutto molta semplicità.
Se parte dall’impegno pur serio con la propria vita, la creatività è precaria, perché è impossibile che non diventi innanzitutto una affermazione di sé stessi: la propria operatività diventa affermazione di sé, e quanto più uno ha capacità di ricchezza di doti tanto più il pericolo è imminente, anzi, non si può evitare.
La serietà con il vivere, la serietà di fronte alla vita fa venire un grande bisogno di certezza, una certezza che si scopre nella presenza di un altro, dell’annuncio di Cristo.
Se l’origine della vostra dedizione a quest’opera è un entusiasmo per Cristo, è una certezza della fede.
La serietà del vivere può diventare una tristezza senza fondo, anzi, non riesco a capire come la serietà del vivere possa non diventare una grande tristezza.
La serietà del vivere è triste.
Fate sempre il paragone del bambino: per un bambino la vita è una cosa tristissima, se non ha lì il padre e la madre, cioè un altro; ed è in nome di questa presenza che si mette a giocare, e il gioco gli diventa respiro educativo, pacificatore e creativo della sua personalità.
Credo che la PASSIONE PER COSTRUIRE – una passione per costruire che non decada – possa attizzarsi solo dallo stupore di Cristo, dalla fede: è per questo che la costruttività non ci rende possessivi, non ci rende gretti, accaniti nella nostra idea, non ci rende egoisti.
Perché possiamo aver preso spunto da Cristo, dalla Chiesa e dal movimento, per atteggiarci secondo dinamiche etiche, morali, cioè atteggiamenti, che sono di tutti.
La partenza è la passione per Cristo, è lo stupore appassionato di quello che è accaduto e che accade.
Questo è l’unico fattore di diversità, il resto ce l’ho in comune con tutti.
Qualunque altra partenza ci fa diventare pretenziosi, si pretende: gli altri devono soggiacere a noi, debbono fare quello che diciamo noi, debbono stimare quello che facciamo noi.
No! siamo liberi da tutte queste circostanze.
Quello che rende possibile costruire è la certezza che la vittoria è già data, il compimento è già dato: deve manifestarsi in quello che facciamo, e si manifesta nella misura in cui Lo accogliamo, Lo riconosciamo.
Omelia (80)
Chi vede noi, chi vede il mistero della nostra unità, chi vede il mistero della nostra comunione ha visto Cristo, VEDE CRISTO, esperimenta Cristo risorto, Cristo che vince, la Sua parola che richiama, la sua presenza che muta, che cambia, che sfida e cambia, la sua compagnia che compie, che apre al senso di tutte le cose e che inizia, rende inizialmente vera, l’esperienza del compimento attraverso la pace.
E’ nella nostra compagnia, è nella nostra unità, è nella nostra comunione, è in questa presenza dei fratelli che noi possiamo sperimentare la Sua Presenza.
C’è un luogo, uno strumento, in cui questo Cristo vittorioso è riconoscibile, percepito e sperimentato: la comunione nostra, la compagnia vocazionale, uomini che insieme sono stati chiamati, non da altro, ma dal Suo Spirito.
E’ questo lo strumento per conoscere Cristo risorto.
Noi siamo nel mistero della Sua persona, il mistero della sua persona è in noi.
Il miracolo è il cambiamento dell’uomo.
Noi potremo compiere opere che Egli ha compiute, anzi, me potremo fare di più grandi, perché momenti o esperienze come quelle che noi facciamo, come questa ora, allora, al suo tempo, erano impossibili, erano inconcepibili.
E’ la sfida tra la scelta d’una PROPRIA INTERPRETAZIONE, ultimamente di un proprio sentire, da una parte, e dall’altra, l’OBBEDIENZA AL SEGNO, che è il miracolo più grande, perché è realmente strapparsi l’animo.
L’obbedienza al segno ha come voce o come espressione sua tipica il grido a Cristo, la preghiera.
L’OPERA DELLA FRATERNITA’ E’ IL MOVIMENTO (85)
La dove due o tre si riuniscono Ti riconosciamo presente, ed è la Sua presenza che genera una umanità diversa.
Ma che cosa è la vita di una amicizia come la nostra, se non
un’eucarestia che continua nel giorno, letteralmente una comunione continua, che investe la giornata?
Lì noi vediamo il Suo Volto risorto.
E’ la coscienza della sua presenza che mi rende improvvisamente e veritieramente presenti anche coloro che Egli mi ha fatto incontrare sul cammino.
Ciò che dovunque, altrove, è una frustrazione, / qui non è che una lunga e dolce obbedienza; / ciò che dovunque, altrove, è costrizione di regola,/ qui non è che punto di partenza e movimento di abbandono;/ [ … ] ciò che dovunque, altrove, è una lunga usura e logoramento,/ qui non è che sostegno e occasione di crescita;/ ciò che dovunque, altrove è confusione,/ qui non è altro che l’apparire sull’orizzonte della bella avventura
Péguy – «Preghiera di residenza»
Questo brano di Peguy, che invito tutti a rimeditare, deve descrivere il clima da creare nei nostri gruppi di fraternità.
Nessuno giudichi se stesso o gli altri, ma è giusto che l’immagine ideale ferva nel cuore e risospinga la nostra barca sull’onda ogni mattina.
All’inizio del movimento, nei primi anni, non si costruì sui valori che Cristo ci aveva portati, ma si costruì su Cristo, ingenuamente fin quando volete, ma il tema del cuore, il movente persuasivo era il fatto di Cristo, e perciò il fatto del Suo corpo nel mondo, della Chiesa.
Noi non conosciamo il mistero di Dio, perché non ci è familiare.
Cristo ragione dell’esistenza, Cristo motivo della nostra creatività, non attraverso la mediazione dell’interpretazione, ma di schianto.
E’ come un appassionato desiderio di recupero della purità originale della vita del nostro movimento, per moltissimi ignota.
Abbiamo voluto, con la Fraternità, invitare a una forma di impegno che mirasse, innanzitutto, a un aiuto al cuore di ognuno, a un aiuto perché ognuno cammini di fronte a Cristo, e, in secondo luogo, ad assicurare persone che costruiscano l’opera del movimento con una maturità di fede sempre più grande, perciò in modo creativamente più sicuro.
Tutta la fatica, tutta l’energia, tante volte dolorosa, che moltissimi fra voi usano, danno, subiscono, per il loro servizio al movimento, non può non essere sostenuta.
La Fraternità ha lo scopo di proteggere, indirizzare e sostenere la volontà di chiunque intenda impegnarsi con l’esperienza del movimento fino in fondo.
Come afferma l’articolo quinto dello Statuto: membri effettivi sono «coloro che si impegnano» a vivere «in pieno lo spirito» della Fraternità «sia nella sostanza che nella forma».
E’ il rendere reale l’inno delle Lodi, è la creazione di ambiti umani dove la certezza del Benedictus diventi, realmente, non solo un pezzo delle Lodi del mattino, ma movente della vita, l’orizzonte della vita, ciò che determina il cuore della vita.
La forma della Fraternità è la nostra compagnia, è la compagnia.
Questa compagnia è innanzitutto la Fraternità come tale.
La Fraternità si realizza, come norma, attraverso o dentro gruppi di amici che si costituiscono liberamente.
Gli spunti per questi coaguli in cui la fraternità si realizza possono essere i più vari possibili.
L’amicizia vera deve essere la caratteristica di simili solidarietà, perché l’amicizia vera è una compagnia al destino, cioè a Cristo.
L’amicizia si definisce dallo scopo per cui si è insieme, e per cui essa nasce.
L’amicizia vera, l’amicizia in cui è l’uomo che viene toccato fin nel cuore, è una compagnia al destino.
Perciò quella dei gruppi della Fraternità è una amicizia formativa, diciamo ascetica, perché vuole essere un alveo che costringa alla verità di sé, cioè che costringa a un rapporto vero con Cristo.
Perciò quello che ci occorre è il desiderio reale, di fronte al Signore, di impegno con Lui, secondo la grazia che ci è stata fatta, secondo la grazia dell’esperienza che ci è stato dato di toccare.
Come conseguenza più clamorosa si deve stabilire una solidarietà reale fra tutti i membri.
Che IL MISTERO DELLA CHIESA incominci a rendersi più visibile, incominci a dimostrarsi, a manifestarsi, là dove della gente è stata così investita e arricchita di grazia come noi.
INCOMINCIAMO A FARLO VEDERE NOI!
Una solidarietà reale e non sentimentale quando il movente, la ragione che la determina è la persona nella sua totalità, cioè la persona nel suo destino.
Questo è l’unico punto intero.
Quindi è una solidarietà non sentimentale che investe la totalità della persona, cioè la persona nel suo destino.
Come è lontana e astratta ancora, per noi, questa percezione del rapporto!
E senza questa percezione nel rapporto fra noi siamo disumani, siamo “infraumani”. [… ] Perchè i nostri rapporti sono così inesorabilmente sentimentali e strumentali, così parziali!
La Fraternità è come il culmine del movimento e nello stesso tempo è il cuore o la radice del movimento.
Noi, come guida della fraternità, chiediamo che siano salvati tre punti:
1°La preghiera – 2° come simbolo e segno di povertà, l’adesione, la partecipazione al fondo comune della fraternità – 3° obbedienza alla diaconia centrale che dirige la realtà della Fraternità e ne ha responsabilità di fronte all’autorità ecclesiastica, di fronte alla Chiesa.
E’ come una salvaguardia, da una parte, e una direzione, una direttiva ideale, dall’altra.
E’ augurabile che ogni gruppo abbia un prete come presenza al suo interno o come riferimento per un consiglio.
La Fraternità come tale assicura un aiuto spirituale attraverso l’organizzazione di un Ritiro periodico.
Poiché è l’unico punto di riferimento oggettivo il ritiro può essere tenuto dai singoli gruppi, però questa iniziativa deve essere sempre resa nota al responsabile regionale.
Più liberi di così si muore; ma anche più profondamente impegnati di così nell’esperienza del movimento si muore!
Perché quello che vogliamo, L’OPERA che dobbiamo realizzare – l’opera è parte dello scopo della fraternità, come avete visto nella lettera che vi ho mandato – è il movimento.
La Fraternità permette, primo, di vivere l’esperienza secondo la libertà del proprio temperamento e della propria storia, secondo, di creare opere: non una organizzazione diversa dal movimento, ma opere.
Non può esistere ostilità o alternativa tra la fraternità e la struttura di Cl, ma la Fraternità è come un correttivo profondo che lentamente agirà in funzione di una magnanimità, di una agilità, di una comprensività, di una libertà più grande anche nell’organizzazione.
Di fronte a Cristo le diversità non debbono diventare decisive per il riconoscimento dei nostri rapporti, perché il perdono è l’accettazione della diversità: il perdono è la prima caratteristica fondamentale del rapporto tra Dio e noi – si chiama misericordia.
La prima condizione non è l’attrattiva, ma il perdono.
Perché l’attrattiva sta dietro la faccia, è qualcosa che sta dietro la faccia.
E’ opportuno precisare che l’unica autorità all’interno della Fraternità è la Diaconia centrale.
La diaconia centrale si compone dei responsabili regionali, dei responsabili dell’attività nei diversi ambienti (uno per la scuola, uno per l’università, uno per il lavoro,uno per la vita cittadina, uno per il mondo della cultura) e di un certo numero di membri cooptati.
La partecipazione al fondo comune è obbligatoria e libera: obbligatoria, perché ognuno deve partecipare; libera, assolutamente libera, come quantità.
La povertà non è non aver nulla da amministrare: la povertà e amministrare avendo come scopo supremo che tutto sia in funzione del regno di Dio, in funzione della Chiesa.
Il fondo comune verrà utilizzato di norma per i seguenti scopi: assicurare gli strumenti organizzativi necessari alla vita della Fraternità; sostenere importanti e significative attività missionarie e culturali del movimento, soccorrere le più gravi situazioni di bisogno che vengano segnalate alla Diaconia centrale.
Ma badate, per favore, che una regola per laici nel mondo, come è la Fraternità, applica i valori ascetici del convento alla nostra vita, perché la dipendenza da una persona, anche se è una rogna, può essere un approfondimento del sentimento più grande dell’uomo, che è la dipendenza da Dio, cioè può educare alla coscienza del proprio essere come dipendenza.
Non si può sentire quello che è dentro un altro uomo, quello che vale per un altro uomo, se non lo si percepisce nella propria personale umanità.
Non esiste niente di maggior aiuto al cammino di una persona come il fatto stupefacente che altra gente accetti di stare con lui: è una cosa dell’altro mondo! Perciò vivetela anche tra di voi questa semplicità.
Omelia (109)
Il fatto che noi conosciamo Cristo con sicurezza, con certezza, nella nostra vita, darà frutto.
«Che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Il suo comandamento è credere nel nome del Figlio Suo, Gesù Cristo. E’ rimanere, come tralci, dentro questa vite.
Allora, sì: «Se rimanete in me, darete frutto, e un frutto che rimane», cioè che costruisce una realtà umana diversa in noi, fuori di noi, nella società.
Però aggiunge un’altra cosa san Giovanni: il suo comandamento è che crediamo nel nome del Figlio Suo «e ci amiamo gli uni e gli altri».
Non è possibile che il riconoscere Cristo, il cercare Cristo e l’invocare Cristo non disquami subito tutta la rigidezza e l’estraneità che abbiamo tra di noi.
E’ impossibile, perché il Cristo che invoco, mio destino, è il tuo destino.
Basta!
Essere in Cristo, Cristo presente nel cuore, e amarci gli uni e gli altri.
Incominciamo, da vicino.
Esercizi spirituali predicati da don Giussani
1° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA
- Prefazione di Carrón
- 1982 – Il cuore della vita
- 1983 – Appartenenza e moralità
- 1984 – Io vi chiamo amici
2° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE
- Prefazione di Carrón
- 1985 – Ricominciare sempre
- 1986 – Il volto del Padre
- 1987 – Sperimentare Cristo in un rapporto storico
3° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE
- Prefazione di Carrón
- 1988 – Vivere con gioia la terra del Mistero
- 1989 – Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina
- 1990 – Guardare Cristo
4° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO
- Prefazione di Carrón
- 1991 – Redemptoris missio
- 1992 – Dare la propria vita per l’opera di un Altro
- 1993 – «Questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda»
5° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI
- Prefazione di Carrón
- 1994 – Il tempo si fa breve
- 1995 – Si può vivere così
- 1996 – Alla ricerca del volto umano
6° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO
- Prefazione di Carrón
- 1997 – Tu o dell’amicizia
- 1998 – Il miracolo del cambiamento
- 1999 – «Cristo tutto in tutti»
- TEMI di «Dare la vita per l’opera di un Altro»
