1984 – Esercizi spirituali «IO VI CHIAMO AMICI»

Esercizi spitituali di Don Giussani 1984


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Indice linkato dei vari momenti


Premessa: (211)

Dai discorsi e dalle iniziative sostenuti dai valori cristiani occorreva passare al cuore dell’esperienza cristiana, il riconoscimento della presenza di Gesù.

Nella società di massa, si predisponevano nuovi strumenti di comunicazione e di omologazione.

In un incontro riservato, il Santo Padre aveva espresso piena sintonia con l’esperienza del movimento e lo aveva definito inassimilabile.

Don Giussani ricordò agli universitari quell’episodio con queste parole: mentre era ancora seduto, e stava per girarsi sulla sedia per alzarsi, ha detto:

“Voi non avete patria, perché voi siete inassimilabili a questa società”

Poi ha fatto un momento di silenzio e, quasi mentre si alzava dalla sedia, ha ripetuto, questa parola: “Voi non avete patria“.

Era il definitivo passaggio dai “valori cristiani” alla conoscenza di Cristo, come ancora agli universitari disse don Giussani:

«Siamo andati avanti per dieci anni lavorando sui valori cristiani e dimenticando Cristo, senza conoscere Cristo».

Il problema è Cristo, conoscere Cristo”

Introduzione (214)

«Non dobbiamo scuotere di dosso noi stessi, ma dobbiamo consumare noi stessi»

KAFKA “TERZO – gLI OTTO QUADERNI IN OTTAVO.

Possiamo tradurre la frase, illuminati dalla fede, in questo modo: «Non dobbiamo scuotere di dosso noi stessi, ma dobbiamo convertire noi stessi».

Convertire che cosa significa? Volgersi da un’altra parte.

La parola cristiana è proprio “conversione”, perché vuol dire voltarsi a uno, a uno che ti chiama.

Bisogna che non pretendiamo già di sapere, perché quello che pretendiamo di sapere è niente, non c’è, è apparenza.

Per possedere quello che non possediamo, dobbiamo abbandonare ancora qualche cosa.

«E ciò che avete», i soldi, il lavoro, la salute, le persone amiche, «è ciò che non avete», perché ci possiamo perdere da un momento all’altro; non è lì la questione.

Ho detto che non bisogna strapparsi di dosso niente, perciò tutto è importante, ed è tanto più importante, quanto più è vicino, non è lì la questione: ciò che abbiamo bisogna guardarlo e sentirlo in modo diverso, cioè occorre una conversione.

La quaresima è il ricordo del lungo viaggio che gli ebrei hanno fatto per essere liberati dall’Egitto.

La Quaresima è il ricordo del grande passaggio, che per ognuno di noi è diventato verità nel Mistero di Cristo, con la morte e risurrezione, con questo passaggio spaventoso e inconcepibile e fantastico di Dio, consistito nel diventare uomo, morire e poi risorgere.

Questo passaggio sta alla radice della nostra persona e rende possibile la conversione a ognuno di noi, così che non c’è neanche uno fra noi che sia in circostanza tali – esteriori o interiori – che non possa cambiare.

Omelia (219)

Il Signore è il cuore della persona e della vita, è il cuore della vita.

Questa sarebbe, allora, la grande iniquità: che il Signore non sia il cuore della vita.

Se il Signore è il cuore della persona e della vita. Questa sarebbe, allora, la grande iniquità: che il Signore non sia il cuore della vita.

E c’è anche un sintomo per capire se il Signore è il cuore della vita: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»

Non ha più nessun idolo.

L’idolo è dire che è giusta questa cosa o quell’altra, e quell’altra ancora, che in fondo è misurata da noi, è voluta da noi, è un nostro istinto, o una nostra opinione.

«Chiediamo che il Signore diventi il cuore della nostra vita, così che uno, guardando la moglie o il marito, i figli, o il compagno di lavoro quello che è sul tranvai o sul treno insieme con lui, li guardi con amore, con l’amore e la tenerezza con cui dovrebbe guardare se stesso».

Come si fa a diventare così?

CONVERTIRSI vuol dire tirare via gli occhi dalle cose che ci appaiono o che noi rendiamo grandi,

quando in realtà sono piccole e valgono solo in funzione di una cosa grande che è la vita, cioè il rapporto tra me e Dio, perché l’uomo è quel punto della natura in cui la natura vive il rapporto con l’infinito, con Dio.

Che Cristo ci converta, così che abbiamo a vivere o – come ho detto prima – a fiorire.

Che la nostra vita fiorisca!

Voltarsi a uno che ti chiama (225)

Il deserto è quel cambiamento di atteggiamento che ci fa resistere alla pura reattività, a essere determinati meramente dalla reattività;

il deserto è quell’allontanamento dalla modalità istintiva che porta dentro il rapporto la luce della coscienza ultima, della coscienza del fatto che tutto è parte del disegno di Dio, che porta dentro l’azione la volontà di Dio.

Ci sono tante forme per imparare questa conversione, o questo deserto, e il movimento è la nostra forma.

La Fraternità è il cammino maturo di questa esperienza, ed è al di là d’ogni cosa.

E’ meraviglioso che «cammino maturo» significhi fino alla fine.

Che una donna ami l’uomo fino alla fine, che uno sia padre o madre fino alla fine sono le cose che fanno amare al realtà fino alla fine, sono le cose che fanno amare al realtà fino alla fine, sono le cose che fanno intuire che la morte non è la fine, che il fine non è il finire, ma è proprio come il traguardo, un traguardo e una porta, una soglia a cui si deve arrivare, varcando la quale tutto sta nella sua verità.

1° (228)

«Lo scriba disse: Hai detto bene Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza, e amare il prossimo come se stessi vale più di tutti gli olocausti e sacrifici» Gesù vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: “Non sei lontano dal regno di Dio” E nessuno più aveva fiato per interrogarlo» Mc 12,28-34

Mi ha colpito molto Mc 12,28-34 perché la verità su cui la vita è costruita – la verità, che è proprio la carne, la carne della nostra vita, come la carne del corpo: la carne è la carne, la verità su cui la nostra vita è costruita, quando la si guarda in faccia, prima di tutto non stanca mai e poi si capisce sempre di più.

Non c’è nessuno, infatti, neanche uno fra noi, che possa sottrarsi all’impressione grande di questa pagina del Vangelo: dice che

Dio è tutto

Non esiste un’altra verità. Tutte le verità sono in funzione di questa: Dio è tutto.

Chi si è fatto sa sé? Che cosa si è fatto da sé?

«Siate voi, dunque, perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»

Chi può essere perfetto come è perfetto il Padre?

Per il Padre il centro di tutto, ciò che spiega tutto, la perfezione di tutto che cosa è?

E’ Cristo.

«Tutto il Padre gli ha dato nelle sue mani.»

Perciò, «essere perfetti come il Padre» vuol dire riconoscere, accettare, abbracciare Cristo.

Essere perfetti come il Padre non è un seguito di leggi da assolvere, ma

una Presenza da accogliere.

La perfezione sta, dunque, nel riconoscere, nell’abbracciare, nel vivere la presenza di Cristo. Come bambini.

Qual’è la perfezione di un bambino? E’ stare dietro a sua madre.

«Essere perfetti come il Padre che sta nei cieli» significa riconoscere ed accogliere e abbracciare e vivere il più possibile la Sua presenza,

come il bambino il più possibile vive attaccato alla madre, o col pensiero di sua madre nel sottofondo, così che Cristo sia come il sottofondo, il pensiero più continuo possibile, il contenuto della nostra coscienza, di una coscienza la più viva possibile, la più continua possibile.

Così tutto nella nostra vita cambia, deve cambiare, se comincia a diventare normale la coscienza della Sua presenza: presenza, perché se non è presenza, noi neghiamo e soffochiamo Dio.

La bestemmia, la vera bestemmia, la vera negazione, la bestemmia che nega Dio, è quella che nega Cristo.

Che cosa più concreta di questa c’è nella nostra vita, che cosa più reale e concreta di questa Presenza c’è nella nostra vita?

La maturità non è essere perfetti moralisticamente, come tutti noi penseremmo, la maturità è che questa coscienza diventi quotidiana:

«O Cristo, se così posso dire, mio»

«Signore Ti riconosco e Ti abbraccio. O Cristo, se così posso dire, mio! Dammi sempre più consistente e sempre più luminosa, la percezione della Tua presenza» Che è la fede; perché la fede è solo questo, «solo»: riconoscere che c’è un uomo che è Dio.

Dio è diventato uno di noi ed è rimasto con noi.

2° (236)

Aspetti immediati della coscienza di questa Presenza.

La certezza e la sicurezza che Lui è la strada.

Ciò che conserva la vita, ciò che la fa diventare vita, che la fa arrivare al suo destino viva, è la coscienza di questa Presenza.

Quello che stiamo descrivendo adesso è proprio la conversione.

La conversione è tu che stai lì a parlare con una persona, uno ti chiama per nome e tu ti volti. Dobbiamo, nella giornata, voltarci a quella Presenza!

La prima caratteristica dell’affezione a Cristo è questa sicurezza e certezza, perché Cristo è il senso della vita e la forza di tutto,

perché Cristo è il Mistero di Dio che è diventato uomo.

«Maestro ti vogliamo bene», è più potente che lo dica io adesso, che lo dica tu adesso, dopo duemila anni, perché qui è proprio la forza divina che vince il tempo!

«Chi è sicuro di me, farà le cose che faccio io, e ne farà di più grandi»

Gv 14,12

Allora capisco il bambino che vede in te “padre” e in te “madre” l’immagine ideale della sua umanità, anche se disturba, disubbidisce, trasgredisce, cade, fa i capricci e si annoia; però guai se non avesse quell’immagine ideale della sua umanità che sono suo padre e sua madre!

Crescerebbe handicappato nel sentimento di sé stesso, pieno di complessi.

Anche se sbaglia, anche se adesso è fragile e incoerente, e non è capace di portar niente, capisce che però lui diventerà come suo padre e sua madre: questa è la sicurezza.

– Allora capisco: questa affezione diventa sorgente anche della mia vita ascetica, mi fa venire voglia di essere migliore, mi fa venire voglia che sia corretto questo e quest’altro, mi fa desiderare di non sbagliare più, senza che m i scoraggi mai se sbaglio ancora.

3° (240)

Se non posso fare niente senza di Te, allora l’unica cosa che faccio è mettermi con Te e aspettare.

Ma non è un aspettare di uno che dorme, è l’aspettare di uno che va dietro.

Per cui non esiste mai nessuno mio errore, nessuna mia debolezza, che possa diventare una ragione per dire: «Ti pianto, mi fermo».

L’uomo non tollera che Dio gli diventi familiare.

E’ come se non lo sopportasse. Perché, se Dio diventa familiare, vuol dire che tutta la propria vita deve centrarsi su di Lui, deve girare intorno a Lui!

Se la prima caratteristica dell’affezione a Cristo è la sicurezza, la seconda caratteristica deve essere la familiarità, l’intimità: l’intimità e la familiarità.

Dio è diventato familiare: questa è realmente la questione grande, dobbiamo essere colpiti da questo.

Cosa è Cristo nella nostra vita?

Non nelle nostre teorie, non nei nostri discorsi, ma nella nostra vita, quella che ci fa alzare al mattino?

Ma il cristianesimo che cosa è nel mondo se non quel gruppo di uomini, quel pezzetto di umanità, che riconosce che Dio è diventato uomo fra noi e basta?

E noi, con tutto il nostro discorso e la fede che abbiamo, e le pratiche che facciamo, possiamo vivere come se non ci fosse.

La nostra morale è il pagare il pedaggio a una paura o a una presunzione o a un mettere posto le cose, cioè a un contratto, a un calcolo, vale a dire è moralismo.

La questione centrale non è essere capaci di fare così, così e così, di rispettare le legge così e così: no, è l’affezione a Cristo.

Sto svolgendo l’idea cristiana di memoria, perché la conversione cristiana è la memoria di Cristo, cioè la coscienza della Tua presenza, o Cristo.

La coscienza della Tua presenza, questo è ciò che cambia il mondo.

Le due caratteristiche dell’affezione a Cristo sono:

  • La sicurezza e la certezza
  • La caratteristica più immediata dell’affezione è la familiarità. E’ la totalità della vita che si coinvolge con Te o Cristo, è una familiarità, – questa è la parola più grande -; potremmo dire che è una affezione affettuosa, in cui però tutto quello che faccio è coinvolto con Te.

4° (246)

«Io sono la tua via, la tua verità, la tua vita», uno che dice così che cosa ti dice? Che ti vuole bene! Ma se ti vuole bene, vuol dire che tu vali. Come io valgo? Cosa valgo io? Niente, niente!

Eppure, se ti vuole bene, vali.

La prima conseguenza dell’affezione a Cristo è la scoperta dell’amore, della tenerezza verso se stessi; lo stupore, l’ammirazione, la venerazione, il rispetto, l’amore a sé, a sé!

Perché, quando uno dice «l’amore a se stesso», dice l’amore di un Altro che lo sta facendo, l’amore al dono di un Altro: io sono grazia!

Confondiamo l’amore e la tenerezza verso noi stessi con l’amor proprio.

L’ esistenza, la vita, per questo è sacra: perché non è mia!

L’AMOR PROPRIO è l’attaccamento alle proprie reazioni, di due tipi: alle proprie reazioni come istintività e alle proprie reazioni come opinione.

E chi è fondato sull’amor proprio l’ultimo pensiero che ha è l’amore a se stesso.

Chi è attaccato all’amor proprio è lontanissimo da se stesso: non ha né attenzione, né stima, né tenerezza verso se stesso.

Chi è attaccato all’amor proprio, di fatto, ha stima solo di sé, quando riesce; se non gli riescono le cose, allora è proprio disperato.

Invece, chi ha scoperto, come conseguenza dell’affezione a Cristo, questa tenerezza e questo rispetto verso di sé, verso la creatura di Dio, anche se le circostanze non sono favorevoli, anche se tante cose non riescono, perfino se non riesce come bene, è libero anche di fronte al suo male: è nel dolore, ma è lieto.

Perché non ci può essere dolore dei propri peccati se non nella letizia della certezza, della sicurezza e dell’amicizia di Cristo: se non nella misericordia.

La prima conseguenza del riconoscimento della presenza di Cristo, di Dio fatto uno di noi, è l’amore e la tenerezza verso se stessi.

In secondo luogo, questa Presenza è familiare, c’entra dovunque, comunque, con tutto!

La conseguenza dell’affezione a Cristo è il ritorno a noi stessi, l’amore e la stima, la venerazione e la tenerezza verso sé, verso questo qualcosa che non è mio, ma da cui parte tutto, perché è me stesso: qualcosa che non faccio io ma che fai Tu.


Dall’affezione a Cristo una realtà umana nuova (253)

Chi potrà mai parlare dell’amore all’uomo proprio di Cristo, traboccante di pace?

Dionigi l’aeropagita

Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita

gregorio nazianzeno

E’ il rapporto affettivo con la presenza di Cristo che sola – “sola” nel senso assoluto del termine – rende capaci di affezione verso gli altri.

Ama il prossimo tuo come te stesso.

Come fai a fare unità con l’altro, quando non c’è unità con te?

E non c’è unità con te, se non ti ami di un amore vero, se non hai stima e tenerezza verso di te – non verso quello che pensi o che fai, non verso le tue reazioni -: non l’amor proprio, ma l’amore a te come creatura di un Altro.

1° (256)

Quando mente lo sguardo che dai a tua moglie o a tuo figlio?

Quando non la guardi o non lo guardi secondo quello che veramente è, secondo la sua dignità e il suo valore, che è il rapporto con Cristo – rapporto con l’infinito e perciò rapporto con Cristo -, quando non guardi il cuore, quando, guardando la faccia e la persona, non arrivi al cuore.

Perché è il cuore di quella donna o di quell’uomo il valore, è il suo rapporto con l’infinito quel cuore dove nascono le grandi esigenze del proprio destino.

«Non mentitevi».

Voi vi guardate senza mentirvi se vi guardate come parte dello stesso corpo della stessa realtà nuova.

Se non abbiano coscienza di questo, è perché è molto labile, è molto timida la memoria di Cristo, perché Cristo non ci è familiare, perché non è la nostra sicurezza.

Questa dunque è la parola assolutamente nuova, perché è una parola che rende l’uomo simile a Dio: come Lui ha perdonato, così perdonate.

Perdonare

La parola “perdonare” vuol dire abbracciare la differenza, qualsiasi differenza; e la suprema è quella di chi ti odia, del nemico.

Se una madre non accettasse la differenza nel suo bambino, la differenza da quello che si aspetta, da quello che si immagina, da quello di cui ha bisogno al momento, da quello che corrisponde o non corrisponde al suo nervoso, al suo stato d’animo, che sciagura sarebbe!

E’ un pezzo di umanità nuova.

Scatta quel fenomeno impossibile, umanamente, che si chiama PACE.

La pace è un fenomeno in cui tutto diventa costruzione.

«Non mentitevi gli uni e gli altri»,

vale a dire guardatevi come vi vede Dio, cioè come vi vede Cristo, abbracciatevi perciò come vi abbraccia Cristo!

Da Cristo, dall’affezione a Lui nasce una realtà umana in cui la legge è il perdono.

Che cosa vi impedisce questo clima di fraternità?

Lo schema del mondo

san paolo – rm 12,2

Che cosa vuol dire assumere lo schema del mondo?

“Non sopravvalutatevi”, non tenete come valore vostro un valore fittizio, sovraesposto, artificioso, precario.

«Non sopravvalutatevi, io dico a ciascuno: non valutatevi più di quanto è conveniente, ma valutatevi in maniera di avere voi una giusta valutazione (il rapporto con questa Presenza) , ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato»

RM 12,3

” Gareggiate nello stimarvi l’un l’altro”

Rm 12,10

Allora uno è pieno di stima per gli uomini, per la gente di cui Cristo lo ha circondato, per la compagnia con cui cammina.

Abbiamo doni diversi, però tutto quanto è per costruire il corpo di Cristo.

E’ lo schema del mondo che impedisce la carità, cioè quel rapporto con l’altro vissuto in modo totalmente gratuito.

La gratuità, che è l’ideale per cui il cuore dell’uomo è fatto, è infinita.

Scatta, scaturisce, là dove lo sguardo all’altro è senza menzogna, vale a dire il bene che si fa è spoglio totalmente di calcolo, e può essere spoglio totalmente di calcolo solo se si vede nell’altro il destino che gli freme nel dentro, il cuore, il suo rapporto con Cristo.

Lo schema del mondo, all’opposto, è il sopravvalutarsi, lo stimare sé più degli altri.

Il pretesto nel non trattare bene l’altro, è un non rispetto della sua libertà.

Accogliete fra di voi chi è debole nella fede, senza discuterne le esitazioni.

Non distruggete l’opera di Dio per una questione di opinioni

rm 14, 1-20

2° (266)

C’è un miracolo che nasce in questa realtà di uomini nuovi che non assumono, anzi lottano contro lo schema della carne o lo schema del mondo, cioè lo schema della propria opinione e della propria istintività: il miracolo si chiama unità.

L’unità è più grande di qualsiasi opera che tu metta in piedi!

Un solo Dio padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

Ef 4, 1-6

Questa unità è il miracolo che tutte le ideologie sognano, dimostrando immediatamente quanto sia impossibile, perché per affermarla – per fare questa unità – tentano di distruggere gli avversari, creano la guerra, la violenza e la guerra.

Il veleno contro l’unità, il serpente: si chiama ira!

Impedire l’ira tante volte è impossibile: ma non fatela lunga, per favore, non tramonti il sole sopra la vostra ira!

E’ più importante quello che pretendi avere o è più importante questa costruzione della nostra unità e del corpo, dell’opera, che Cristo è venuto a iniziare nel mondo? Cosa è più importante?


3° (268)

Nasce una condivisione profonda tra l’uno e l’altro di noi ed essa diventa legge della vita, diventa una clausola così radicale che la tensione a spezzare il proprio schema coincide con il valore tout court della vita morale.

La comunità è, dunque, un luogo umano nuovo dove il perdono vive, dove tutto quello che abbiamo accennato viene desiderato e chiesto, viene perseguito in un lavoro quotidiano.

La comunità è il luogo dove tu innanzitutto esprimi la fede.

Il primo aspetto, ciò che si vede, della presenza di Cristo nel mondo è il crearsi di queste comunità, cioè di queste realtà di persone che sono insieme perché sono state chiamate da Lui.

E’ proprio un miracolo, gente che sarebbe stata estranea, che non è insieme, per una connivenza di interessi, ma perché c’è Cristo.

E se siamo insieme perché c’è Cristo, allora dobbiamo distruggere quest’opera per le nostre opinioni o per l’esigenza della nostra istintività?

Che vita è la vostra se non avete vita in comune? / Non esiste vita se non nella comunità,/ E non esiste comunità se non è vissuta nella lode a Dio / Persino l’anacoreta che medita in solitudine / Per il quale i giorni e le notti ripetono le lodi di Dio, prega per la Chiesa, il Corpo di Cristo incarnato.

T.S. Eliot – Cori da “la rocca”

Vivete dispersi su strade che si snodano come nastri / E nessuno conosce il suo vicino o si interessa a lui / A meno che il suo vicino non arrechi troppo disturbo / Ma tutti corrono su e giù con le automobili /Familiari con le vie, ma senza un luogo in cui risiedere.

eliot

Un gruppo di Fraternità o una comunità del movimento dovrebbe essere la prima dimora, quella che fa diventare dimora anche il rapporto con la moglie o il marito.


Un uomo nuovo! Bene, questo uomo nuovo ha una capacità impossibile, che è il perdonare, l’abbracciare come proprio il diverso.

Abbiamo sottolineato una parola, lo “schema”: non bisogna lasciarsi prendere dallo schema della carne, cioè dall’affermazione di sé, vale a dire dalla sopravvalutazione di sé come opinione.

La libertà non è che l’altro possa fare ciò che gli pare e piace: la libertà vuol dire la strada all’infinito dell’altro.

Perciò non giudicare mai.

E infine il miracolo che nasce da questo uomo nuovo capace di perdonare, ed è l’unità, una unità che si deve vedere.

L’unità: per questo vinciamo ogni ira e viviamo fino in fondo una condivisione, la condivisione.

Si capisce che c’è libertà, se si agisce con letizia, perché Iddio ama solo chi dà con letizia! Anche questa è una storia, una cammino, nessuno giudichi né gli altri, né se stesso.


Omelia (276)

Dobbiamo veramente far prevalere l’amore sulla nostra attività, sul nostro attivismo, la conoscenza di Dio sulle nostre opere, su tutte le nostre opere.

Guardiamo il Vangelo: che differenza c’è veramente tra il fariseo e il pubblicano? Che il pubblicano era in una posizione convertita.

La conversione è del proprio essere, e non può innanzitutto identificarsi con qualcosa, che noi programmiamo, progettiamo e facciamo.

La conversione è un avvenimento la cui natura è pace.

Allora uno è proteso ad ascoltare per poter cambiare, ad ascoltare per obbedire, a guardare per imitare, a seguire per costruire la cosa di un Altro.

Come è più facile di quanto ci sembri l’essere nella posizione del fariseo!

Anche se non ripetiamo la spavalderia clamorosa delle sue espressioni, però il contenuto del nostro atteggiamento realmente lo ripete.

La conversione è una sola cosa: è riconoscere che cosa è Cristo e, davanti a Lui, che cosa sono io.

Egli, proprio per farci convertire veramente, permette alla nostra vita la lunga, altrimenti tristissima, umiliazione del peccato, dell’errore.

Ma Egli permette questo per rendere evidente e far capire al nostro cuore, così cocciuto nel porre la speranza nelle sue sole forze, che Egli solo è.

Ecco la conversione: Tu solo sei.

Chi, fatto un programma e un progetto, testardamente, cocciutamente porta avanti la sua dedizione a quello, mangia se stesso, distrugge se stesso.

La nostra vera ricchezza è quella del bambino.

La nostra vera ricchezza è quella di vivere la coscienza della Sua presenza

Chi si ferma a qualcosa di proprio rivela che ha in primo piano un suo progetto e non invece l’amore a Cristo, la fede in Cristo, quella fede che vince il mondo in noi e attorno a noi, quella fede che è la radice della pianta nuova che preghiamo la Madonna di farci vedere crescere: non sappiamo come, non sappiamo quanto; ma ci faccia vedere crescere il movimento nel mondo.


L’amore all’unità, la passione per il cammino (282)

E il cenno del nostro Signore sono gli avvenimenti, i rapporti, gli incontri che ci fa compiere, le circostanze in cui ci fa imbattere.

Nello sguardo a Cristo si opera tutta una semplificazione della vita, che libera la nostra anima e la nostra coscienza dall’ira, dalla violenza con cui essa normalmente difende le cose che pensa o le reazioni che in essa si fanno strada.


Beati in poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli

La suprema testimonianza della verità è che noi non abbiamo niente, che noi non eravamo niente, e che non siamo capaci di niente.

Cristo l’ha detto chiaro: «Senza di me non potete fare niente».

Dobbiamo aiutarci, con la presenza vicendevole, a non porre noi al Signore le condizioni per poterlo servire e, analogamente, aiutarci a non porre noi ai richiami che il movimento ci fa, le condizioni per poterli seguire, perché altrimenti impariamo solo noi stessi: se non obbediamo, impariamo quello che già sappiamo, cioè imponiamo noi stessi e non cambiamo più!

La tristezza di sentirci così resistenti al Mistero, la tristezza per questa resistenza che ci sentiamo addosso, per rimediare un po’ alla quale noi ci mettiamo insieme, per aiutarci, per stimolarci, per richiamarci, questa tristezza non è soltanto nostra, è anche dei più grandi santi.

Che mirabile cosa che Egli abbia voluto rimanere in questo mondo legato e condizionato alla nostra vita!

La carne nuova ci è data, il sangue nuovo ci è dato, la fede ci è data, attraverso questa compagnia lunga, che scende da Lui, scende da Lui fino a noi.

1° (289)

La prima caratteristica della nostra compagnia è il richiamo a Cristo, nostro destino.

Il nostro destino, Dio, è diventato compagno della mia vita e al mia vita ne deve essere investita.

Si è toccati quando qualcosa cambia: magari posso cambiare per un minuto, in quel minuto in cui piango e dico: «Signore, dal profondo io grido a Te: ascolta la mia preghiera. Perché devo fare così tanta resistenza a darti quello che Ti spetta? Aiutami Signore!».

La potenza con cui sta salvando il mondo passa attraverso questa miserabile cosa che siamo tutti noi.

La cosa più inconcepibile è che Dio sia tra noi, uomo tra noi, e che noi viviamo come se non lo fosse.

2° (293)

La seconda caratteristica della compagnia è quella di atteggiamento diverso tra di noi.

Tra di noi il secondo fattore deve essere proprio questo: un cammino verso un’attenzione diversa, un trattarsi diverso, una sensibilità per cui il dolore dell’altro diventa mio.

Come dice la Lettere agli Ebrei: «Pensate a coloro che sono perseguitati come se voi lo foste nel vostro stesso corpo».

3° (296)

In terzo luogo, quello che ci è stato dato, ci è stato dato perché fosse dato, vale a dire è per un compito, per una missione.

Cristo lo si dà attraverso una umanità nuova che si dimostra.

Cristo si rivela attraverso l’umanità nuova che crea. Così, Cristo lo si comunica attraverso una umanità nuova che noi viviamo con gli altri.

Il Movimento è il primo grande spazio per questa comunicazione e per questa dedizione missionaria.

La partecipazione alla vita del movimento coincide con la volontà della fede di ogni giorno, con l’offerta quotidiana a Dio di quello che si fa.

Vivere nella vita quotidiana il senso della Sua presenza e l’impeto e il desiderio generoso che tutto il mondo Lo riconosca: questo è il movimento!

Va a lavorare, va ad insegnare, e non può non cercare di realizzare lì quello che ha dentro: ma se è costretto a stare a casa, lo vive lo stesso.

Coincide con la vita.

4° (298)

In questo senso la Fraternità è sembrata dapprima per molti un traguardo, invece è una cosa da imparare.

Cosa vuol dire che la Fraternità è l’aspetto più maturo del movimento?

Vuol dire che oramai bisogna imparare, bisogna che noi impariamo l’esperienza del movimento senza le oscurità e i limiti di quando eravamo più giovani.

È la definitività di una vita.

Egli è presente…Attraverso che cosa? Dov’è?

«Egli è presente attraverso coloro che Lo riconoscono, e coloro che Lo riconoscono Lo rendono visibile mettendosi insieme»

Che Lui sia presente lo si vede, si dimostra dal fatto che ha una forza di mettere insieme.

In qualche modo, questa appartenenza a una compagnia grande, a una unità che è fatta per quella potente Presenza che riconosciamo e che è Cristo, in un certo modo questa appartenenza cercherà di esprimersi.

È ‘ questo il valore simbolico ed educativo del sacrificio del fondo comune.

Se uno ha a cuore questo, anche chi fa il minimo, ma con il cuore, è impossibile che non tenda anche a fare il massimo.

E se dobbiamo dare la vita, a maggior ragione dobbiamo dare anche dalle nostre tasche; ma dalle nostre tasche significa anche dalle nostre energie, dai nostri pensieri.

Però lo dobbiamo riconoscere, come è facile amare il proprio amore ai figli e non i figli, o prima che i figli!

Come c’è il pericolo di essere attaccati al proprio modo di amare i figli, prima e più ancora che amare veramente i figli, così è tra di noi.

Se ci sono delle persone che non amiamo così come Cristo le ama, se ci sono delle persone di cui non vogliamo il bene prima e più di tutte le modalità che noi riteniamo giusto usare nei rapporti con loro, noi siamo come fuorigioco.

Non c’è uno solo qui presente che sia in condizioni tali per cui questa strada non sia possibile.

Perciò, abbiamo riconoscenza vicendevole, ma sopratutto abbiamo riconoscenza verso la nostra unità, perché senza questa unità tutto si sfalderebbe.

Tenete fede a quei punti in cui la nostra unità vi raggiunge e vi dice: «Coraggio!».

Questi punti sono: il Ritiro mensile, e, più immediatamente e quotidianamente, per chi ha un gruppo, il gruppo; un gruppo che abbia un minimo di regola, di cui il punto fondamentale è la preghiera, perché dobbiamo rendere giustizia a Dio che è tra noi!

La preghiere, tra cui innanzitutto il sacramento perché la Sua presenza urge questa unità profonda che è la comunione con Lui, perché questa è la sorgente della comunione fra noi.

Non si può fare del male a un proprio fratello, sia pure in nome della giustizia, quando si va a prendere il corpo di Cristo!.

Lasciatevi guidare, per favore, lasciatevi guidare, perché il Signore vi ha messo insieme attraverso certa gente, seguendola, camminerete, non seguendola, vi perdereste.


Omelia (307)

«Non guardare all’aspetto o all’imponenza della statura. Io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore »

1 Sam 16,7

Le tenebre possono anche prendere il posto della luce.

E, infatti, quando anche nel servire Cristo, anche nella nostra strada di fede, prevale il nostro pensiero, prevale quello che noi sentiamo, prevale un nostro calcolo, prevale la difesa di quello che vogliamo noi, di ciò che è nostro, allora i frutti della luce scompaiono.

Il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità

Ef 5,9

ricordandoci che la giustizia suprema è il perdono.

Ma la tenebra può prendere ancora il posto della luce.

Stiamo all’erta.  «Chi segue me, avrà la luce per tutta la vita», dice Gesù.

Stiamo all’erta! Seguiamo! Seguiamo ciò che il Signore ha reso segno Suo, seguiamo questa compagnia, che è come un pezzo del Suo corpo: Egli l’ha scelta per noi.


Esercizi spirituali predicati da don Giussani

1° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA


2° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE


3° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE


4° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO


5° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI


6° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO


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