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A–B–C–D–E–F–G–I–L–M–N–O–P–R–S–T–U–V
Lettera «C»
Indice linkato alle varie parole
- Calcolo
- Cambiamento
- Camminare / cammino
- Canti
- Capire
- Carisma
- Carità
- Carne
- Casa
- Centuplo
- Certezza
- Chi è costui?
- Chiamata e compito
- Chiarezza vs astratto – giusto
- Chiesa
- Ciclostilati
- Circostanza
- Clausura
- Comandi di Dio
- Cominciare
- Commozione
- Compagnia – compagno
- Compassione
- Compimento
- Compito e chiamata
- Comprendere
- Comunicare
- Comunione e Liberazione (CL)
- Comunità
- Concetto
- Concretezza
- Condivisione
- Confessione
- Connivenza
- Conoscenza – conoscere
- Contentezza
- Convivenza
- Coraggio e speranza
- Corrispondenza
- Coscienza
- Costruire
- Creature e libertà
- Cristianesimo
- Cristiano
- Croce
- Cultura
- Cuore
- Curiosità
Calcolo
(324) La gratuità – da cui è bandito ogni calcolo, ogni attesa di ricompensa, ogni previsione di tornaconto – implica la totale assenza di «ragioni» che la ragione capisce, che la ragione spiega.
La carità implica l’assenza di ragioni, cioè di tornaconto, di calcolo, di proporzionalità ad attese: un ritorno, insomma.
Cambiamento
(349ss)L’applicazione della legge dell’amore, questa suprema imitazione di Dio, presto o tardi, determina un tipo di vita diversa. (350) In tutto ciò che fa, porta l’accenno di un cambiamento di cui il dolore, per un amore non realizzato bene, rappresenta l’esempio più mordente, che nessuno al mondo ha.
Gli aspetti di questa modalità nuova di rapporti tra la gente:
- L’affermazione dell’altro perché c’è e come è
- La condivisione dei bisogni
- Perdono
- Attaccamento all’altro
Nella misura in cui nell’uomo agiscono questi atteggiamenti nuovi, avvengono altre due cose, sinteticamente espressive del possibile cambiamento dell’uomo:
- Un cambiamento della mentalità: Uno che applica queste cose sul tranvai, dietro lo sportello del burocrate [….] dimostra una mentalità diversa dagli altri. (351) Chi opera così, opera un cambiamento di mentalità. Cambiate la testa, cambiate il nous, il modo di ragionare, le categorie della ragione così da cambiare il vostro cuore: vi farà venire una metamorfosi del vostro cuore.
- Il frutto principale di questo cambiamento, il vertice di questo cambiamento di mentalità è l’offerta della propria vita: se l’amore ne è la legge, il vertice è l’offerta della vita.
(437) «Vieni Signore Gesù», che è il grido con cui termina tutta la Bibbia. Tutta la Bibbia termina con questo grido, e non deve terminare la mia giornata con questo grido? Uno che fa così tutte le sere, è uno cambiato; se fai così tutte le sere sei cambiato, e devi farlo con forza, senza pretese, perché tu non sai quando il Figlio dell’uomo verrà dentro la tua vita, ti prenderà per il collo e ti cambierà, ti costringerà a cambiarti o ti darà lo charme irresistibile per cambiarti.
Metanoia
(87) Il governo di sé. Ci vuole una forza di strappo, una forza per strapparti a questa attrattiva, così che tu ponga l’energia nell’andare verso il destino. si chiama mortificazione, capacità di mortificazione o di penitenza. Penitenza che in greco si dice metànoia, vuol dire «cambiamento di direzione»: invece di andare di qui dove sei più attratto, tu devi fare uno sforzo per cambiare direzione, per cambiare la decisione da prendere.
(93) È nella comunità che si è aiutati a capire […] quando si sceglie il male, ad avere la forza del dominio di sé per strapparsi al male – per la mortificazione, penitenza o metànoia, cambiamento di mentalità -, per aderire a ciò che porta al destino e per attendere il destino di tutti i giorni, tutti i giorni attendere che venga.
Camminare/cammino
(123) La coscienza chiara del destino non è necessaria perché tu cammini verso la verità del tuo destino. Tu puoi scegliere le cose che ti portano verso il tuo destino anche semplicemente per il terrore che «senza questo cosa ti rimane?».
(154) Quello fino ad ora vi è stato detto non l’avete capito, se non in parte: chi più, chi meno, chi pochissimo e chi nulla; ma non importa, perché il Signore ci ha messi insieme perché camminassimo. E camminare vuol dire anzitutto capire il rapporto tra il momento che passa e dopo un istante non c’è più, i rapporti che abbiamo e che dopo un poco si dimostrano diversi da quello che pensavamo: il rapporto che c’è fra l’istante e il destino dell’istante.
Per uno che cammina, un passo cos’è? Il rapporto tra quello che faccio adesso e il destino a cui vado incontro.
(355) La carità è un servizio senza calcolo, senza tornaconto che fai per facilitare il cammino all’altro. Se, per esempio, il fare quel che ti chiede è perché lui vuole andare a vedere un film, allora gli dice: «Senti, guarda, fallo tu!» (altrimenti non sarebbe un facilitare il suo cammino).
Facilitare il cammino di uno vuol dire aiutarlo a sentire di più il suo destino, aiutarlo a non sentirsi solo nella fatica.
Motivo del cammino
(42) Abbiamo detto che l’unico motivo per cui si cammina su questa strada è Cristo, non ci sarebbe alcun altro motivo sufficiente per ciò che questa strada significa.
Canti
(291) […] Tutti i nostri canti si riconducono alla scoperta di quel che ho detto: a giudicare il significato di quel che facciamo; a stabilire il valore del tempo; a giudicare l’esaltazione che facciamo della figura in cui si fissa la stima di noi e delle cose
Capire
(148) Capire le cose che uno dice esige il minimo di fatica che si possa concepire, esige semplicità, esige di avere il cuore di bambino; stare attenti a come lui le fa esige anche questo curiosità da bambini. Diciamo che la regola della vita è la sequela. Il concetto implica: primo, qualcosa che si ha davanti; secondo, qualcosa di cui cerchiamo di capire le parole; e, terzo, qualcosa di cui cerchiamo di capire come fa a farle, a viverle. L’insieme di questo si chiama sequela.
(230) Quanto più uno è amico e vicino, tanto più le cose chiarissime in lui non le capisci, sono astratte perché non permetti ad esse che c’entrino con te.
Capire Cristo
(74) […] noi non possiamo capire Cristo e seguire Cristo se non attraversiamo anche tutti i sentimenti umani, perché solo nel seguire Cristo essi diventano cento volte più grandi, più veri, non si tralascia nulla, diventa più vero tutto.
Capire e esperienza
(77) Per capire le parole che riguardano la nostra persona, cosa bisogno fare? […]Per capire che cosa è la libertà cosa dobbiamo fare? Dobbiamo partire dall’esperienza facendo la quale uno si sente libero. C’è una certa esperienza in cui uno si sente libero, e una in cui non si sente libero. Quando si sente libero? Quando ha soddisfatto un desiderio.
Capire e guardare /rileggere / ripetere
(227) Per capire Dante bisogna rileggerlo, chi pretendesse di capirlo leggendolo una volta di corsa, non capisce niente.
(230) Di fronte alla scoperta che c’è una Presenza e tu la possiedi, possiedi Cristo e Lui possiede te! Con questa presenza capisci cos’è il tuo destino , dov’è il tuo destino, sei sicura di arrivarci e ci arrivi.
(289) Prendete pezzo per pezzo, parola per parola, frase per frase, guardatela in faccia, pregate la Madonna che ve la faccia capire, poi parlatene tra di voi, ma questa è l’ultima cosa da fare!
(322) Adesso cominciamo a fare i primi passi necessari per capire qualchecosa, lentamente; poi voi li riprenderete a casa, anche se queste cose, più che nella banalità di una pretesa analisi chiarificatrice, entrano in noi come osmosi, come per pressione osmotica; entrano in noi se guardiamo il mistero di Cristo, come Giovanni e Andrea che lo guardavano parlare e non interloquivano.
(371) Se ascolti la musica in modo immaturo, non capisci niente, ascoltare in modo più maturo è incominciare a capire. E quanto più ci stai sopra e tanto più capisci, perché questa è veramente una cosa prodigiosa: quanto più un pezzo è complesso, quanto più tu ci stai, tanto più ti si rivela, ti si svela.
(375) Continuamente dicendomi (la mia mamma) queste frasi, col tempo, man mano, che il tempo passava, acquisivano intensità di significato e io, prima di conoscere quel che volessero dire queste frasi, sentivo l’emozione che davano, che dettavano, e dopo ho capito bene anche quello che dicevano; ma dopo però, col tempo.
(381) Si vorrebbe capire d’un colpo solo, si vorrebbe capire subito, si vorrebbe capire subito fino a sentire subito. E, invece, bisogna ripetere le cose, e anche ripetendole sembra che non si capiscano. Anzi, tante volte, ripetendole sembra che si capiscano di meno, che è una forma di impazienza. Perché se uno è costretto a ripetere le cose per capirle, o desidera ardentemente a verità,, oppure sbuffa, a un certo punto sbuffa: sbuffare coincide con il capire meno.
Ma se la cosa è vera e uno ci resiste e ripete e punta gli occhi, a un certo punto è come se, non prevista, iniziasse l’aria crepuscolare del mattino, e uno incomincia a capire. Da allora in poi diventa un trionfo, perché è come il sole dopo l’alba: trionfa. E anche se ci sono tante obiezioni, tante oscurità, tante paratie che oscurano la visione diretta delle cose, il trionfo della verità sta nel fondo del cuore; uno capisce che la verità è lì, lo capisce.
Capire e tempo
(177) Attraverso la fede noi arriviamo a capire che tutto questo moto – il movimento del mondo come il movimento, che sembra piccolo, della mia vita[…] che il tempo si muova, [—] lo scopo di questo moto […] tutto ciò si muove, la fede ci fa capire e vantare che è per la gloria di Dio.
Capire e vedere
(177) La fede ci fa sperare Attraverso la fede noi arriviamo a capire che tutto questo moto, […] lo scopo di tutto questo moto per cui ti alzi al mattino ed è una cosa piccola, […] tutto ciò si muove, la fede ci fa capire e vantare di capire che è per la gloria di Dio, nella speranza della gloria di Dio.
La fede di fa sperare di vedere che tutto quanto si muove, si muove per la gloria di Dio; la fede ci fa sperare di vedere questo. Il primo modo di vederlo non è vederlo: il primo modo di vederlo è capirlo, è capire.
Carisma
(398) Carisma vuol dire grazia, dono, dono che l’Infinito fa di sé, e indica la modalità esistenziale di temperamento, di mentalità, di ambiente per cui questo dono assume per te una certa fisionomia, un accento, uno sguardo particolari.
Chi è stato raggiunto da un carisma, non può più seguire Cristo abbandonando il carisma: sarebbe un tradimento.
Se Cristo ti ha fatto conoscere se stesso attraverso queste circostanze rappresentate da queste facce, è attraverso queste facce, queste circostanze che ti cambia, che ti fa diventare grande il cuore, l’anima, la testa.
(408) (Domanda) «Perché nella lezione sul sacrificio parli di carisma?». Don Giussani: Se la vita storicamente è un carisma – cioè dono dello Spirito, cioè partecipazione al mistero dell’Essere, partecipazione all’anima creatrice del cosmo, partecipazione alla felicità di ogni singolo uomo come supremo destino della storia -, in quanto implica un sacrificio (croce), lo implica solo in quanto richiesto dal carisma stesso: cioè l’opera dello Spirito è un disegno drammatico e il sacrificio è inevitabile parte di questo dramma.
Cos’è il carisma? Carisma è una parola che viene dal greco, vuol dire dono. E il dono è la comunicazione dell’Essere, del mistero dell’Essere alla nostra vita. Per questo il carisma è dato dallo Spirito Santo, donun Dei Altissimi. Lo Spirito Santo si comunica alla vita attraverso determinate circostanze.
Carità
(322ss) La carità, questa terza colonna che tiene in piedi il grande tempio di Dio che è il mondo, indica il contenuto più profondo, scopre l’intimità, scopre il cuore di quella Presenza che la fede riconosce.
La carità indica il contenuto più profondo e più intimo di quella realtà suprema che la fede ci fa riconoscere
(354) (domanda) «Lei ha detto che la carità agisce per puro amore dell’altro e per il suo destino. […] lavoro con della gente un pò più vecchia di me e ogni tanto mi fanno fare lavori che non vogliono fare. Come si pone la carità nei confronti di una persona così durante il lavoro?». È proprio perché non ci sono ragioni che, se lo fai, diventa carità; può diventare cretinaggine o può diventare carità
(355) È proprio perché non ci sono ragioni che, se lo fai, diventa carità; può diventare cretinaggine o può diventare carità. La carità si situa nel rapporto con un altro, quando non c’è nessuna ragione, non c’è nessun tornaconto, non c’è nessun calcolo – come normalmente accade in ogni iniziativa dell’uomo verso l’altro -, ma l’unica ragione è che è un uomo, amato da Dio; questo «amato da Dio» può essere implicito o esplicito, ma è un uomo in preda alla pigrizia.
Bene fino a un certo punto lo aiuto. […] Sì, se sa di ripetere il cammino di Cristo. .
La carità è un servizio senza calcolo, senza tornaconto che fai per facilitare il cammino dell’altro. Se, per esempio, il fare che ti chiede è perché lui vuole andare a vedere un film, allora gli dici: «Senti, guarda, fallo tu!» altrimenti non sarebbe facilitare il cammino. Facilitare il cammino di uno vuol dire aiutarlo a sentire di più il suo destino, aiutarlo a non sentirsi solo nella fatica.
(359) (Domanda) «Quando lei ha spiegato la carità e la gratuità, mentre parlava ho pensato che questo mi colpiva più profondamente rispetto a tutto ciò che ho sentito quest’anno […] Però allo stesso tempo io, in questa settimana, vedevo che questa è la cosa di cui meno sono capace».
(360) Giussani: Noi non siamo capaci di carità, se non con l’aiuto di Dio, perciò l’atto più grande che possa fare l’uomo è quello di fare il mendicante.
(361) Quello che fai con carità, lo fai non per il tornaconto, lo fai per dono di te e per commozione, per stupore o per commozione.
Il tornaconto è qualcosa che viene alla fine e che dimostra la ragionevolezza e la giustizia della carità: è giusta la carità, tant’è vero che ti dà il centuplo quaggiù, ma tu non lo fai per il centuplo: se calcoli per avere il centuplo, ti brucia via anche il poco che hai.
(363) (Domanda) «Lei diceva: la carità è il contenuto più profondo e misterioso di quella Presenza che la fede ci fa riconoscere; e uno non lo può capire, per questo deve seguire. Subito dopo diceva: è nell’esperienza che la carità produce effetto e cambia le cose, e soprattutto dialoga imperiosamente con il cuore e risponde esigenze costitutive del nostro animo. Allora volevo capire questo: qual’è l’esperienza che supremamente ci fa capire questa carità?
(364) Ciò che ci fa supremamente capire la carità è l’addentrarci nel mistero e questo ha una lunghezza d’onda che si chiama eternità. Supremamente la carità è un’esperienza che ha come termine l’infinito, l’eterno: la incominci da bambina e non termina più. La carità infatti misura il tuo destino, ciò per cui sei nata.
(377) Io posso dare il mio corpo alle fiamme e non valermi niente se non ho la carità. Dare il corpo alle fiamme può essere un’impeto, mentre la carità è una presenza per la quale io do la vita, alla quale do anche la vita: proprio polo nord e polo sud, un capovolgimento impressionante. Capite per favore che razza di differenza mentale c’è tra noi e gli altri?
(419) Tutto quello che si fa è per il destino degli uomini. Questo lo abbiamo meditato quando abbiamo parlato della carità: concepire la propria vita per il destino degli altri, che è una cosa che incomincia a non essere astratta.
Charis
(324) La carità deriva dal greco charis, che vuol dire gratis o gratuità. La carità, dunque, richiama la forma suprema dell’espressione amorosa.
La carità implica l’assenza di ragioni, cioè di tornaconto, di calcolo, di proporzionalità ad attese: un ritorno, insomma. La ragione di un’azione è il ritorno che l’azione ha.
Ecco la carità abolisce totalmente – totalmente, nel senso assoluto del termine – ogni ritorno. Vale a dire: la carità agisce per puro amore, nel senso che: dato, fatto. Dato, fatto: non c’è più nessuna aggiunta, non c’è più nessuna appendice.
Non per avere qualcosa io, ma per il bene dell’altro, e il bene dell’altro è il rapporto con il destino. Il rapporto con il destino è il rapporto con una Presenza.
(325) La carità è amore puro, si esaurisce nel volere il bene dell’altro ed è il bene-bene che vuole dell’altro, cioè il suo destino, cioè il suo rapporto con Cristo.
Carità e fede
(284) È questa l’unica vera rivoluzione nel mondo: la fede come conoscenza e la carità, guardare in faccia Cristo, come morale.
(322) La carità, questa terza colonna che tiene in piedi il grande tempio di Dio che è il mondo, indica il contenuto più profondo, scopre l’intimità, scopre il cuore di quella Presenza che la fede riconosce.
La carità indica il contenuto più profondo e più intimo di quella realtà suprema che la fede ci fa riconoscere.
(379) Cos’è la fede? È il riconoscimento di una Presenza, una Presenza su cui poggiare tutti quello che fai, tutto quello che sei e tutto quello che sarai. Come è fatta questa Presenza? Questa è la carità. Perciò senza giungere alla carità non si capisce cos’è veramente l’oggetto della fede.
Ma come è fatta questa Presenza? La risposta alla domanda è la carità: questa Presenza è fatta di amore.
Carità e possesso
(358) Nel seguire Cristo si ha la vita eterna e il centuplo quaggiù, il centuplo quaggiù come affettività e il centuplo quaggiù come ragione, unità di ragione.
(Domanda): « Vorrei capire meglio quando san Paolo dice: “Senza la carità non sono nulla, senza la carità nulla mi giova».
Giussani: Se io non ho questa apertura piena di stupore e quindi di mossa di dono, mossa di offerta, di intensità di fronte all’Essere fatto uomo, se non ho questa emozione profonda, tutto non vuol dire niente, tutto non mi serve
Primo oggetto della carità
(339) Cosa è questa carità senza della quale non siamo nulla? È che il primo oggetto della carità dell’uomo si chiama Gesù Cristo. Il primo oggetto dell’amore e della commozione dell’uomo si chiama «Dio fatto carne per noi», ed è perché c’è Cristo che non c’è nessun uomo che non mi interessi.
(356) (Domanda) «Lei diceva che il primo oggetto della carità, dell’amore, della commozione dell’uomo si chiama “Dio fatto carne per lui”, ed è perché c’è questo Cristo che non c’è più alcun uomo che non mi interessa. Vorrei capire un po’ meglio cosa vuol dire che il primo oggetto della carità è Cristo».
Giussani: (Se la Bellezza con la B maiuscola) diventasse uomo, ma quale uomo sarebbe degno di attenzione che spalancasse il nostro stupore attivamente fino a desiderio di consacrargli la vita, che tutta la vita sia per Lui, più di un uomo di questo genere? Era quello che provavano certe persone guardando Cristo: guardandolo veniva in mente questo!
(357) Il primo oggetto perciò della carità, come dono di sé e come commozione…perché è una commozione prendere coscienza che c’è tra noi una persona che è la più bella del mondo (andate a rileggere la prima parte del salmo 45); e non solo la bellezza più grande, fatta uomo, che si incontra sulla strada, che sta con noi come in compagnia tutti i giorni…oltre che la bellezza, ha una bontà tale che dà la vita per gli uomini, dà la vita per me e, come dà la vita per me, dà la vita per te […] da una parte la prima carità è verso di Lui; dall’altra parte, questa carità verso di Lui tende a toccare qualsiasi uomo: qualsiasi uomo fa più facilmente pietà.
Ragione della carità
(325) La carità agisce per per puro amore, solo per amore.
Non per avere qualcosa io , ma per il bene dell’altro, e il bene dell’altro è il rapporto con una Presenza, perché il suo destino è diventato uno che cammina per le strade.
Carne
(93) E lo Spirito Santo come ci aiuta? Attraverso le viscere di una donna: Cristo è nato dalle viscere di una ragazza di diciassette anni, cioè attraverso le viscere della nostra esperienza comune, di una esperienza in comunità,: dalle viscere di un’esperienza concreta lo Spirito ci comunica la luce e l’aiuto.
(112) – In qualunque punto del grafico. Cristo non è nient’altro che l’incarnarsi – il diventar carne, nato da una donna – della linea ultima, vale a dire del termine ultimo che definisce la libertà. La libertà è capacità di rapporto con l’infinito.

L’infinito lo abbiamo segnato con una linea ultima: quella linea è il Verbo, è il Mistero che è diventato carne. Carne vuol dire un bambino piccolo[…] ha gettato il suo riflesso sul modo con cui tu vedi il cielo stellato.
Che l’infinito diventi carne vuol dire che l’infinito entra nell’unica grande esperienza della storia, che è la realtà dell’Essere, la realtà del Mistero, vissuta dall’uomo con la misura umana. Perciò in tutte le cose tu trovi il riverbero concreto di Cristo.
(247) Dio risponde in modo preciso: si chiama Cristo. Un uomo nato da una donna ebrea in quel buco dove c’è scritto nel bronzo: Verbum caro hic factum est. il Verbo si è fatto carne, È una risposta. Perché Dio si può conoscere soltanto se si rivela.
Casa
(78) – La nostra esperienza ci dice che abbiamo il senso di sollievo e della libertà quando un nostro desiderio è soddisfatto e ci dice che quando un nostro desiderio non è soddisfatto c’è almeno un istante di compressione negativa, come una schiavitù.
Tutti coloro che vanno via di casa lo fanno per questo. E tutti coloro che, rimanendo in casa, ritornano a casa alla sera senza molto gusto è per questo motivo: si sentono compressi nei loro desideri.
(169) Una casa non è bella perché sono tutti amici, in quanto allegri e contenti: bisogna vedere perché lo sono! È il perché lo sono che rende stabile e non menzognero il loro convivere; diventa, infatti, un condividere il destino, condividere il cammino al destino.
(305) Ma se in un paese c’è una casa di un Gruppo adulto che vive la sua vocazione – in quel paese qualcosa di nuovo sta e cresce, e si vede nell’uno, nell’altro, non in tutti uguale.
Centuplo
(102) «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù» (cfr Mt 19,29; Mt 10,29-30)
Perciò chi lo segue avrà il centuplo quaggiù.
Il centuplo quaggiù vuol dire che amerete cento volte di più la vostra ragazza, amerete cento volte di più il vostro ragazzo, amerete cento volte di più il papà e la mamma, amerete cento volte di più i vostri compagni di scuola, che sono cinque anni che siete insieme e c’è una estraneità totale.
Perciò: chi mi segue, segue il destino, chi tende al destino avrà il destino, raggiungerà il suo destino e avrà il centuplo quaggiù.
(103) Il destino è tirare la riga fra tutte quante le cose, e questo avverrà soltanto alla fine perché è possibile solo da un altro punto di vista: dal punto di vista di quello che fa le stelle. «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù», saprà godere di quelle stelle cento volte tanto.
(145) Il centuplo è la riuscita vera, che inizia già in questo mondo, e si compie nell’eterno.
(361) È giusta la carità, tant’è vero che ti dà il centuplo: se calcoli per avere il centuplo quaggiù, ti brucia via anche il poco che hai.
(422) Questo anticipo in questo mondo, questo pregustare, nel rapporto che io ho con te – anche avendoti visto una sola volta -, questo anticipo che presente con te nel rapporto con te come ti vedrò per sempre nella trasparenza eterna, nella trasfigurazione eterna, nella serietà dell’eterno, si chiama centuplo quaggiù.
Siamo chiamati ogni giorno, la sera, a domandarci quanto centuplo abbiamo vissuto. E non può essere – come vengono da me a lamentarsi – che non provano il centuplo quaggiù; certo, non lo provi perché immagini il centuplo come lo vuoi tu, immagini il centuplo come allargamento dell’istintività.
Centuplo e sacrificio
(420ss) Per pensare alla tua vita, per amare il tuo destino, per amare la tua felicità […] che cosa devo sacrificare? Devo sacrificare la reazione immediata, di piacere o di dispiacere, di simpatia o di antipatia.
L’immediato lega, incatena. Per amare veramente una persona occorre un distacco.
Occorre un sacrificio, il sacrificio dell’immediato.
(421) Non si può stabilire un rapporto con niente se non con un distacco dentro. Se tu non ti distacchi dalle stelle non capisci: se tu fissassi una stella senza distacco, non capiresti che è una stella dentro l’infinità stellare: è il sacrificio che permette lo svelarsi della verità della «cosa» o «persona» presente.
(422) Questa verità nel modo di amare che Cristo aveva, stupiva quelli che lo guardavano: rimanevano a bocca aperta.
In questo modo Cristo si metteva in rapporto con le persone realizzando un amore più utile, una amore più compagnia nel cammino, un amore che anticipava, come un sussulto, la tenerezza eterna.
(422) Questo anticipo in questo mondo, questo pregustare, nel rapporto che io ho con te – anche avendoti visto una sola volta -, questo anticipo che presente con te nel rapporto con te come ti vedrò per sempre nella trasparenza eterna, nella trasfigurazione eterna, nella serietà dell’eterno, si chiama centuplo quaggiù.
Siamo chiamati ogni giorno, la sera, a domandarci quanto centuplo abbiamo vissuto. E non può essere – come vengono da me a lamentarsi – che non provano il centuplo quaggiù; certo, non lo provi perché immagini il centuplo come lo vuoi tu, immagini il centuplo come allargamento dell’istintività.
Certezza
(201) La difficoltà a delineare come possa essere questo futuro non è obiezione alla certezza del futuro. La difficoltà a delineare come sarà il paradiso non incide, non infirma la certezza sul paradiso.
Insisto su questo, perché a mio avviso molto vuoto, molto timore, molto disinteresse avviene in noi perché confondiamo l’incapacità che abbiamo a immaginarci il futuro con la certezza di questo futuro: la certezza è l’oggetto della ragione; la delineazione di come è questo futuro è una capacità immaginativa che ha chi più chi meno.
Allora ho voluto scostare il velo di una obiezione inutile: confondere l’immaginazione e la fantasia con la ragione.
La certezza è oggetto della ragione; meglio, è fondata sulla ragione, non sull’immaginazione; e la vaghezza della immaginazione non dà nessun motivo per dubitare della ragione.
Approfondimento della certezza
(44) Il secondo capitolo del vangelo di Giovanni termina dicendo: «Di fronte a quel miracolo, credettero Lui i suoi discepoli»; era il miracolo del cambiamento dell’acqua in vino. Ma come, non hanno già creduto nel capitolo precedente? E infatti questo è un ritornello che continua nel vangelo: quando c’è un grosso miracolo, ecco il ritornello che riprende: «Credettero in Lui i suoi discepoli», Molto giustamente questa ripetizione non solo non è inutile, ma conferma la verità di quello che si sta dicendo, di quello che il vangelo dice, perché è il gioco dell’approfondimento della certezza in noi.
certezza della fede/fiducia/speranza
(181) La certezza del futuro è basata su una cosa presente che riconosci con certezza; la certezza di un presente ti rende certo di un futuro.
La speranza come certezza di una cosa futura poggia su tutto il passato cristiano, poggia su tutta la memoria cristiana, poggia su tutta la certezza di quella Presenza che è incominciata duemila anni fa
(183) In quello che abbiamo detto le parole più importanti sono: primo, la fede, riconoscere con certezza una Presenza; secondo, la parola certezza che riguarda il futuro; e terzo, il nesso tra il primo e il secondo punto.
(187) La speranza cristiana è certezza, una certezza che riguarda il futuro invece che il presente.
(191) La dinamica della speranza è un desiderio che non potrebbe resistere nel tempo, sarebbe amaramente deluso, se non fosse sorretto, retto come ragione dalla fede, dalla certezza del potere della grande Presenza.
(314ss) La fiducia è generata dal fatto che siamo certi che l’oggetto della nostra speranza, la felicità, ci sarà data, perché Dio è morto per quello. La certezza della speranza coincide con la certezza di quell’abbandono che si chiama fiducia.
(316) La certezza della speranza si rovescia tutta nell’abbandono della fiducia; perciò la fiducia è certa, la fiducia reca con sé, trascina con sé una certezza che rallegra il cuore anche nei momenti peggiori.
(317) La certezza della fiducia non è nient’altro che il corollario, la conseguenza della certezza della speranza.
Certezza e costruzione
(33) Non si può costruire se non sulla roccia, su ciò che è certo. Senza certezza non si costruisce niente.
Certezza e povertà
(264ss) Da questa libertà dalle cose, che nasce dalla certezza che Dio compie tutto Lui, scaturisce un’altra caratteristica dell’animo povero che è la letizia.
Dalla libertà delle cose – che nasce dalla certezza che Dio compie – una condizione di letizia: è qui che la fede fa nascere la letizia.
Certezza sul futuro
(180ss) Se la fede è riconoscere un Presenza certa, se la fede è riconoscere una Presenza con certezza, la speranza è riconoscere una certezza per il futuro che nasce da questa Presenza.
Se la fede è riconoscere una Presenza certa, la speranza è riconoscere con certezza un futuro che nasce da questa fede; la fede è riconoscere una Presenza con certezza, su questa certezza nasce la certezza per un futuro.
(181) La certezza del futuro è basata su una cosa presente che riconosci con certezza; la certezza di un presente ti rende certo di un futuro.
Io capisco la vostra difficoltà: la certezza nel futuro, ad esempio la certezza che ci sarà la fine del mondo, non si appoggia sul presente come una pietra si appoggia su un’altra pietra nella costruzione di una chiesa o di un palazzo.
(184) È la certezza di un presente, perciò di un significato nel presente che, nel tempo, dà luogo ad una certezza nel futuro.
Chi è costui?
(55ss) Di fronte a questo in cui tutto è così chiaro – «Se non credo a Te non credo ai miei occhi», questa è la sostanza della posizione di Pietro – di fronte alla domanda «Chi è Costui?» e di fronte alla risposta che Pietro dà, uno può dire sì i dire no: aderire a quello che dice Pietro oppure andar via come sono andati via tutti gli altri. L’unica cosa razionale è il sì. Perché? Perché la realtà che si propone corrisponde alla natura del nostro cuore più di qualsiasi nostra immagine.
Il no non nasce da ragioni, mai: nasce da uno scandalo. Lo scandalo è una parola greca che vuol dire una pietra su una strada, un inciampo. L’inciampo nel cammino alla verità è una forma di menzogna, si chiama preconcetto: uno si è già fatto, si è già costruito un parere su di Lui. Cristo è contrario a quello che io vorrei […]
(56) È contrario a ciò in cui uno ripone la sua speranza: inutilmente, perché non c’è nessuna speranza che poi accada. Il no nasce soltanto dal preconcetto.
(74) L’eccezionalità crea uno stupore, lo stupore porta sempre con sé una domanda segreta: come fa ad essere così? Chi è costui? come fa a succedere così?
Chiamata e compito
(417)ss Cristo per realizzare la sua opera nel mondo sceglie alcuni
(418) […] a cui ha aggiunto nella fila del tempo il nostro nome, il vostro nome: se siete qui, in qualche modo vi ha tirato i capelli, in qualche modo ha almeno sfiorato il vostro abito, se siete qui vi ha toccati; in qualunque modo abbia fatto vi ha toccati, vi ha chiamati.
Per che cosa vi ha chiamati? Per riecheggiare la sua testimonianza nel mondo, per renderlo presente nel mondo. Siamo chiamati per rendere testimonianza a Lui.
Come si rende testimonianza a Lui?
(419)Vivendo con Lui. Uno che legge tutti i giorni il Vangelo, uno che fa la comunione tutti i giorni, uno che dice «Vieni Signore», uno che guarda certi suoi compagni per i quali è già diventato più abituale questo, può incominciare a sentire cosa voglia dire vivere con Lui. Vivere con Lui si può dire in un altro modo: vivere come Lui.
Come Lui ha vissuto? Concependo la vita per il mondo, per il disegno di Dio nel mondo, cioè per tutti gli uomini. Tutto quello che si fa è per per la vita degli uomini, per il destino degli uomini, perché raggiungano il loro destino.
Chiarezza vs astratto/giusto
(229) «Dicevi che queste parole sono chiare e astratte e questo di per sé è apparentemente una distrazione. Volevo chiedere se me lo spiegavi, perché capisco che le parole risultano chiare, ma è come se poi rimanesse non una distanza, ma…»
Se tu senti una parola chiara, quella parola fugge al vento, s’allontana con il vento se tu non la guardi, non la fissi, cioè se non ti interessa. Per sentirla astratta ti deve non interessare; prima ti deve non interessare, poi la senti astratta.
Perciò, quando si sentono queste cose e sembrano astratte, prima di tutto non bisogna meravigliarsi perché è parte della tentazione che il peccato originale ha lasciato perennemente in noi.
(242) Di fronte a questi problemi che vi paiono chiari ma astratti, io ho risposto prima al nostro amico che gli sembravano astratti nonostante fossero chiari, perché li aveva rifiutati prima; non gli interessavano prima.
(243) E infatti c’è una categoria che rifiutava: «chiari ma astratti» non è dire «giusti ma astratti».
«Chiari» vuol dire che parlo in termini logici, «giusto» vuol dire che è pertinente alla vita, che aiuta la vita, che sostiene la vita. Questa cosa è giusta per la mia vita anche se mi appare astratta.
Bisogna raggiungere il concetto di giusto, cioè che la mia vita senza destino è una vita da cani ed è una vita che va a finire in marciume. Giusto, una cosa giusta ci vuole! Anche se è astratto, però mi è necessario; riconosco che mi è necessario, soltanto che è astratto, non capisco ancora, non sento ancora, non vedo ancora: questo è umano.
Per rendere il «giusto» concreto e non astratto devo far la fatica di stabilire rapporti, di vivere dei rapporti. Perché siamo obbligati a stare in compagnia? È una applicazione della necessità di questi rapporti.
(244) Nel rapporto, lentamente, il giusto – di cui non capisco bene come si fa a farlo e sembra astratto – incomincia a diventare concreto. L’amore come tenerezza e gratuità lo impari da una persona che vive l’amore come gratuità e tenerezza, non lo impari teoricamente.
La vita la impari nel concreto, non teoricamente.
Mi raccomando quest’ultima cosa che è stata detta.
È nei rapporti che l’Essere si cala. La forma che il metallo incandescente dell’Essere assume sono i rapporti.
Chiesa
(93) Se tu ti aspetti la soddisfazione da una cosa che domani può essere polvere, avrai polvere. Ma questa cosa, chi la richiama? Non può richiamarla nessuno, nessuno di noi ha la forza per richiamarla: solo insieme, così è la Chiesa che, nel mondo, richiama il mondo.
(306) Nel terzo volume di Scuola di Comunità, dove rispondo alla domanda se il valore della Chiesa sta nella Chiesa particolare o nella Chiesa totale. Dicevo: o è nella chiesa totale o non è in nessuna Chiesa. La Chiesa particolare non la la capacità di cattolicità, di totalità, non ha la capacità di esprimere un senso del tutto, perché essendo una Chiesa particolare, esalta i suoi aspetti particolari, le circostanze in cui è.
Solo la Chiesa universale, cioè la Chiesa come unità tutta attorno al Papa, solo quella è veramente una cultura che sfida la cultura del mondo.
(307) L’unica pretesa universale che si attua, e si attua anche in tre che vivono in una casetta piccola, sperduta, è la Chiesa.
Allora non è popolo e non è sorgente di popolo, non è fattore di passaggio alla realtà di popolo, una persona che non abbia una coscienza o una concezione o un senso della totalità: questa è data adeguatamente soltanto dalla fede.
(314) In voi Cristo si rende sensibile, toccabile. Perché voi siete parte di Cristo, tanto che siamo parte gli uni degli altri, «non sapete che siete membra l’uno dell’altro?».
Questa è una realizzazione di quella universalità che tutte le teorie rivoluzionarie hanno sognato, ma non certamente realizzato; nella chiesa è realizzato.
Ciclostilati
(198) Perché scrivete queste cose? Dovreste averle già scritte. Guai ad aspettare i ciclostilati, prima di tutto perché non arrivano mai a tempo e in secondo luogo perché se scaricate la sicurezza delle parole che vengono dette sul fatto di possedere un ciclostilato, è come se pretendeste di essere dome Dante alighieri perché possedete la stampa della Divina Commedia, mi spiego?
Invece è per quello che vibra in voi, che si rigenera in voi, che diventate capaci di ridire, di commentare, di sentire, di risentire voi.
Circostanza
(126) «Ultimamente mi è capitato di vivere un rapporto con un ragazzo di 27 anni malato di tumore. È stato un rapporto provocatorio, perché quello che lui aveva dentro era un desiderio di vita e, davanti alla malattia che aveva già segnato il suo destino…»
Abbiamo dunque una natura che è desiderio di vita, e una situazione che va verso la morte.
«Lui sentiva che il suo destino era contrario a quel desiderio che…»
No! È sbagliato l’uso della parola «destino»! Il destino era per la vita e le circostanze erano per la morte: vince il destino! Perciò c’è l’immortalità e la vita non si risolve soltanto nei limiti che hai qui.
(195) Si capisce bene che tutte le circostanze in cui l’uomo vive sono tentazione di sogno oppure segni dell’ideale.
Cosa vuol dire segni dell’ideale? Vuol dire che l’uomo scopre che l’attrattiva che tutte le circostanze hanno è qualcosa di provvisorio che rimanda all’attrattiva definitiva e ultima della grande Presenza.
Significa che tutte le circostanze, per quanto di bene, di bello e di affascinante hanno, richiamano alla insuperabile bellezza della presenza del Mistero, della presenza di Cristo.
Clausura
(159) Se uno pretendesse di avere un rapporto con il mistero di Dio a prescindere dalla compagnia, e specialmente a prescindere da una autorità che la guidi, si illude, è una illusione.
Tant’è vero che tra le tante persone del movimento andate in clausura, tutte quelle uscite – e sono molte – perché sono uscite? La grande difficoltà non è il silenzio, la solitudine; tutte escono per l’incapacità a portare la comunità.
Comandi di Dio
(287) Salmo 119, 45-48 «Davanti ai re parlerò della Tua alleanza senza temere nessuna vergogna, e sarò pieno di letizia per i Tuoi comandi che ho amati [ Per la Tua presenza, i Suoi comandi sono la Sua presenza, che amo. E la Sua presenza va a sinistra e tu vai a sinistra, va a destra e tu vai a destra, si siede e tu ti siedi; si fermava a mangiare e tutti si fermavano a mangiare, faceva un miracolo ed erano tutti là a bocca aperta] ...Gioirò per i tuoi comandi, che ho amato»
Cominciare
(382) L’importante è cominciare, ed è talmente importante l’incominciare che tocca a Dio: se siete qui è perché Dio ha cominciato. Non siete qui perché voi avete cominciato, ma se siete qui è perché Dio ha cominciato
Ragionevolezza del cominciare
(11ss) «C’è stato qualche cosa per cui io mi sono sentito di incominciare». E, secondo me, questa è proprio la risposta: è la sua, ma semplificata. Noi incominciamo una cosa che non conosciamo. Perché la incominciamo? Perché c’è stato qualcosa per cui ci sentiamo di incominciare.
(14) Insomma, ciò per cui cominciate non è ipotetico proprio perché ci impegnate la vostra vita, fate entrare in gioco la vostra vita e la vita può essere fatta entrare in gioco solo là dove c’è l’intuizione o il presentimento di una risposta a quello che la vita vuole: la vita è fatta per la felicità.
È ciò per cui è fatta la vostra vita che siete destinati a trovare, a scoprire, a capire per questa strada man mano che la percorrerete. E, per questo, è ragionevole l’incominciare, è ragionevole tutto ciò che corrisponde al desiderio della vita.
(15) È ragionevole che voi abbiate incominciato oggi, perché c’è stato qualche cosa che vi ha fatto presentire come l’esigenza del vostro cuore – l’esigenza di felicità, di giustizia, di verità e di bellezza del cuore – troverà la risposta all’esigenza del cuore. E la ragionevolezza è la risposta all’esigenza del cuore.
Quando una cosa è ragionevole? Quando corrisponde alle esigenze del cuore. Perciò, se su questa strada avete intuito di poter trovare la risposta alle esigenze del vostro cuore, fare questa strada è ragionevole, anche se non la si conosce ancora.
(68) Ragazzi, stiamo incominciando, che cosa rende ragionevole l’incominciare? LA ricerca della corrispondenza alle esigenze del cuore (e non c’è quasi nessuna filosofia, nessuna proposta di vita, nessuna emozione sulla vita, che incominci dando conto di questa che è la cosa più sostanziale della vita.
Commozione
(222) Qual è il fenomeno per cui l’uomo si muove? Si commuove e quindi si muove? Il desiderio di felicità è la risposta.
(335) In tutte le altre concezioni questa unità di Dio con il mondo o con l’uomo è detta in modo arido e meccanico.
È come nel dottor Schweitzer: devi dedicarti, «devi»; come i terzomondisti del dopo concilio e del dopo guerra: andare, sacrificarsi per l’umanità, devii andare, non è commozione.
Da un giudizio, la commozione. Ma occorre stare attenti ad un particolare: questa commozione e questa emozione veicolano, portano con sé un giudizio e un palpito del cuore. È un giudizio, perciò un valore razionale nel senso che dà la ragione, porta in sé la sua ragione. E diventa palpito del cuore per questa ragione. Non è carità, l’emozione o la commozione, se non ha dento di sé questo giudizio e questo palpito del cuore.
(336) Qual è la ragione? «Ti ho amato di una amore eterno, perciò ti ho fatto parte di me, avendo pietà del tuo niente»: il palpito del cuore è la pietà del tuo niente, ma la ragione è che tu partecipassi all’essere.
Di fronte al niente, come di fronte ad un animale si può usare il termine compassione; ma di fronte all’uomo non può essere chiamato che commozione, perché l’uomo è chiamato alla felicità, l’uomo è grande e chiamato alla felicità, l’uomo è grande come Dio ed è chiamato alla felicità di Dio. Che sia schiacciato dalla meschinità, distrutto dalla distrazione, svuotato e ridiventato niente per una pigrizia senza misura, questo genera proprio compassione.
(352) «Dio ha pietà per l’uomo», l’amore di Dio per l’uomo è pieno di commozione, questa commozione ha una ragione: Dio vede l’uomo fatto per la felicità e in presa a tentazioni e a debolezze e a confusione che gli impediscono questo, che gli attardano il cammino, glielo fanno più difficile. Allora la compassione verso l’uomo diventa commozione; gli va vicino e gli dice: « Dai coraggio, che vengo anche io».
(353) Allora la compassione verso l’uomo diventa commozione; gli va vicino e gli dice: « Dai coraggio, che vengo anche io».
Tu dici che la commozione è il primo sentimento che si ha verso la realtà. Io dico che il primo sentimento che si ha verso la realtà è la curiosità, non una compassione. Caso mai è lo stupore di fronte a una cosa più grande; non una compassione, che è verso qualcosa di più piccolo.
«Perché lo stupore diventi commozione cosa deve accadere?» Lo stupore diventa commozione quando c’è qualche cosa che potrebbe impedire questo, che è nemico di questo. Lo stupore diventa commozione quando il cuore di Dio o di chi giudica si immedesima col cuore dell’uomo e risente in sé tutto il desiderio che l’uomo ha. Non è appena stupore, ma è l’emozione di partecipare a un desiderio per cui l’uomo fa una giusta fatica, per cui l’uomo sa aspettare con pazienza.
(363) Cosciente del fatto che tu partecipi all’essere, allora sono pronto a sentire emozione e commozione quando ti incontro o quando ti capitasse qualche cosa. L’emozione o la compassione sono verso qualche cosa che c’è e se qualcosa c’è, c’è perché c’è un’Altra cosa; da sola non si è fatta, e questa è la ragione del vivere: la ragione del vivere è ciò per cui siamo fatti, la ragione del vivere è un Altro.
Se tu usi il linguaggio normale, a questo Altro dai del Tu; la parola «Tu» esprime in modo supremo, sintetico e supremo, la coscienza di una Presenza dalla quale tu sei fatta perché non c’eri e da sola non ti fai: «Io sono tu-che-mi-fai», che è la scoperta più grande, più tranquillizzante, più commovente, più stupefacente, più bella che l’uomo possa fare.
Commozione di Cristo
(329ss) (Giussani introduce l’argomento con una serie di citazioni Bibliche)
(332) -Questa carità di Dio per l’uomo, questo dono di sé fatto di una emozione, di una commozione. Si può avere compassione per un animale straziato che sta crepando, non si può avere commozione per esso; per l’uomo sì.
La carità di Dio per l’uomo è una commozione, un dono di sé che vibra, si agita, si muove, si realizza come emozione, nella realtà di una commozione: si commuove. Dio si commuove! «Che è mai l’uomo perché Tu te ne ricordi?». (Salmo 8,5)
(333) Ecco dunque il punto: Dio si è commosso per il nostro niente. Non solo: Dio si è commosso per il nostro tradimento, per la nostra povertà rozza, dimentica e traditrice, per la nostra meschinità. Dio si è commosso per la nostra meschinità, che è ancora più che essersi commosso per il nostro niente.
«Ho avuto pietà del tuo niente, ho avuto pietà del tuo odio a me. Mi sono commosso perché tu mi odi», come un padre e una madre che piangono di commozione per l’odio del figlio. Non piangono perché sono colpiti, piangono di commozione, vale a dire di un pianto totalmente determinato dal desiderio del bene del figlio, del destino del figlio: che il figlio cambi per il suo destino; che si salvi. È una compassione, una pietà, una passione.
(334) Mi ha scelto perché si è commosso della mia meschinità!
Ciò che qualifica la dedizione del Mistero a noi, la dedizione con cui il Mistero crea il mondo e perdona la meschinità dell’uomo, è un’emozione, è una commozione, ha dentro una commozione.
Commozione e affezione
(341) La verità della vita è, affermare l’essere e questo porta con sé un’affezione, un attaccamento, che può essere duro come la pietra.
(366) Non esiste attaccamento a sé, se non è pieno di commozione. La commozione unisce, lasciando distaccato.
Uno, innamorato, per essere commosso veramente, deve stare a un metro, anche due, lontano dalla faccia, e guardando la faccia si commuove.Non esiste devozione a se stessi se non è piena di commozione, perché ci si vede in qualche modo uscire da sé, abbandonare sé e muoversi per amore.
Ragione della commozione
(335) Da un giudizio, la commozione. Ma occorre stare attenti ad un particolare: questa commozione e questa emozione veicolano, portano con sé un giudizio e un palpito del cuore. È un giudizio, perciò un valore razionale nel senso che dà la ragione, porta in sé la sua ragione. E diventa palpito del cuore per questa ragione. Non è carità, l’emozione o la commozione, se non ha dentro di sé questo giudizio e questo palpito del cuore.
(336) Qual è la ragione? «Ti ho amato di una amore eterno, perciò ti ho fatto parte di me, avendo pietà del tuo niente»: il palpito del cuore è la pietà del tuo niente, ma la ragione è che tu partecipassi all’essere.
Di fronte al niente, come di fronte ad un animale si può usare il termine compassione; ma di fronte all’uomo non può essere chiamato che commozione, perché l’uomo è chiamato alla felicità, l’uomo è grande e chiamato alla felicità, l’uomo è grande come Dio ed è chiamato alla felicità di Dio.
Che sia schiacciato dalla meschinità, distrutto dalla distrazione, svuotato e ridiventato niente per una pigrizia senza misura, questo genera proprio compassione.
(352) La compassione che Dio ha per l’uomo ha una ragione: l’uomo è fatto per la felicità e il suo stato meschino o di peccato o di fatica o di ignoranza gli impedisce questo, tende a impedire questo.
L’amore di dio per l’uomo è pieno di commozione, questa commozione ha una ragione: Dio vede l’uomo fatto per la felicità e in preda a tentazioni e a debolezze e a confusione che gli impediscono questo, che gli attardano il cammino, glielo fanno più difficile.
Allora la compassione verso l’uomo diventa commozione; gli va vicino e gli dice: «Dai, coraggio, che vengo anche io con te».
Sorgente della commozione
(341) Qual è la sorgente di questa emozione e di questa commozione che abbiamo sottolineato essere necessarie per amare se stessi, per affermare se stessi? La sorgente di questa commozione, in Cristo come in me stesso, è lo Spirito di Cristo. È lo Spirito di Cristo la sorgente della compassione e della commozione; per questo Cristo lo chiama il Consolatore.
Commozione vs compassione
(332) Voglio dire che questa carità di Dio per l’uomo, questo dono di sé è fatto di una emozione, di una commozione. Si può avere compassione per un animale che sta crepando, non si può avere commozione per esso; per l’uomo sì.
La carità di Dio per l’uomo è una commozione, un dono di sé che vibra, si agita, si muove, si realizza come emozione, nella realtà di una commozione: si commuove. Dio che si commuove! «Che è mai l’uomo perché Tu te ne curi?» (Salmo 8,5)
(335) Da un giudizio, la commozione. Ma occorre stare attenti ad un particolare: questa commozione e questa emozione veicolano, portano con sé un giudizio e un palpito del cuore. È un giudizio, perciò un valore razionale nel senso che dà la ragione, porta in sé la sua ragione. E diventa palpito del cuore per questa ragione. Non è carità, l’emozione o la commozione, se non ha dentro di sé questo giudizio e questo palpito del cuore.
(336) Qual è la ragione? «Ti ho amato di una amore eterno, perciò ti ho fatto parte di me, avendo pietà del tuo niente»: il palpito del cuore è la pietà del tuo niente, ma la ragione è che tu partecipassi all’essere.
Di fronte al niente, come di fronte ad un animale si può usare il termine compassione; ma di fronte all’uomo non può essere chiamato che commozione, perché l’uomo è chiamato alla felicità, l’uomo è grande e chiamato alla felicità, l’uomo è grande come Dio ed è chiamato alla felicità di Dio. Che sia schiacciato dalla meschinità, distrutto dalla distrazione, svuotato e ridiventato niente per una pigrizia senza misura, questo genera proprio compassione.
(361) (La compassione) è una reazione uguale e contraria a una disgrazia che succede. Una donna distesa per terra, pallida, morta: hai compassione, una razione uguale e contraria a una cosa brutta che è capitata. La commozione è qualcosa che tocca te, piega te e nei limiti del possibile ti fa fare qualche cosa. […] quella è commozione reale.
Perciò ho detto compassione per gli animali e commozione verso l’uomo. Si può dire commozione di fronte a un cane che va sotto la macchina? No, compassione sì.
Compagnia /compagno
(67) […] bisogna domandare. C’è un aiuto umano a questo, che è la compagnia. Ma non una qualsiasi compagnia: la compagnia di persone che sono chiamate a cercare come te. E tu capisci che quella compagnia è l’unica è l’unica realtà veramente umana, totalmente umana, che esista al mondo.
Allora il compagno diventa veramente un altro sé e nasce da estranei come noi una affezione più grande di quella che si ha per la madre e il padre, fino all’emozione. Perché il giudizio di corrispondenza matura fino ad identificarsi con l’emozione. C’è una emozione di fronte alla compagnia che Dio ti ha data per il cammino scoperto, per il cammino della vocazione, che giunge ad una emozione più grande di quella che hai per tuo padre e tua madre, come dice il santo evangelo del resto, non perché dimentichi tuo padre e tua madre, ma perché impari a capire che l’importanza di tuo padre e tua madre è che hanno in qualche modo collaborato a questa strada così se fossero due delinquenti, li ami come ami i tuoi compagni.
(89) La chiamata di Gesù implica sempre il consegnarvi a una comunità, l’appartenenza a Gesù coincide sempre con l’appartenenza a una comunità.
(90) Queste comunità sono come le braccia di Cristo sul bambino, l’occhio di Gesù che conta i capelli del capo.
(106) «La volta scorsa lei, nella lezione sulla libertà, ci ha detto: “Ditemi se queste cose sono possibili a una persona isolata“. Allora io volevo chiedere che peso, che attenzione dobbiamo dare a questa nuova compagnia durante la settimana, in che modo fa parte subito della natura stessa delle cose di cui stiamo parlando».
Questa libertà può essere riconosciuta e vissuta da soli? Teoricamente sì, esistenzialmente è impossibile perché da solo l’uomo è preda dell’ambiente in cui vive.
(107) La compagnia, come quando si va in montagna, la compagnia come richiamo vicendevole […] al destino, allo scopo, all’allegria, o alla letizia, o alla purità delle cose, ti aiuta ad agire con libertà, ti fa capire di più cosa è la libertà.
(108) Dopo anni di compagnia uno è diverso, al lavoro è diverso dagli altri, in famiglia: è un uomo nuovo
(159) Se tu aderisci all’indicazione che l’altro ti dà, che l’autorità ti dà, se cerchi di capirla, scopri la verità e la vita più di prima e questo ti rende ammirato dell’altro e ti fa affezionare all’altro.
Capire questo vuol dire incominciare a capire come nasce la nostra compagnia, come nasce l’amicizia.
Un compagnia positiva in questo senso può nascere solo da una amicizia; l’amicizia è la virtù, l’energia che costruisce la compagnia. .
Se uno pretendesse di avere un rapporto con il mistero di Dio a prescindere dalla compagnia, e specialmente a prescindere da un’autorità che la guidi, si illude, è un’illusione.
(164) I primi cristiani e il Medioevo hanno convertito il mondo per questo, creando questa compagnia.
L’affezione è come il cemento per la compagnia. In questo cemento la compagnia cresce e diventa costruzione, il tempio di Dio in questo mondo a cui Dio sarebbe ignoto.
L’opposto di una compagnia che nasca così è un egoismo pieno di illusioni, vale a dire quella posizione che cerca sollievo nei propri pensieri, che è contro la ragione. Perché cercare la soddisfazione nei propri pensieri è contro la ragione? Perché la ragione è coscienza della realtà, non dei tuoi pensieri avulsi da un riferimento al reale.
(169) Questa prima terna di parole – fede, libertà e obbedienza o amicizia – rappresenta la terna della parole fondamentali di tutto il nostro vivere: la giustizia è la fede; la libertà è la fede; e l’amore è la fede che si traduce nella concretezza della compagnia.
Queste tre parole decidono di quello che siete e sarete. Confondere queste parole o non aver chiare queste parole, vuol dire perdere l’orientamento.
(170) Nella compagnia in cui Egli ci mette noi camminiamo verso di Lui guidati, perciò sicuri, e partendo dall’attrattiva che umanamente le singole persone operano in noi. È potenziato ciò che naturalmente ci attira, è assicurato, e fa frutti; altrimenti ciò che naturalmente ci attira ci ferma, ci fermerebbe. Avete capito?
Cristo ci chiama dentro una compagnia attraverso la quale noi siamo guidati ad andare a Lui – e questa è la grande sicurezza, la fede; la grande certezza, la fede – e nella quale siamo veramente liberi, perché aderiamo a qualcosa che ci attira: nella compagnia in cui Cristo ci mette resta intatto tutto il volume di attrattiva che i singoli fattori esercitano su di noi.
Non si rinnega niente di quello che ci attira, si parte da quello che ci attira. Questa è la libertà.
(295) Il Signore vuol bene, questo Mistero di cui è fatto il tempo – la vita che è passata fino ad ora – vuole il nostro bene, vuole la nostra felicità, ama il nostro destino e per questo ci ha stretto dentro una compagnia che ha come unico valore, attraverso tutto – attraverso il gioco e attraverso il pianto in comune, attraverso la collaborazione e attraverso l’aiuto -, di richiamarci alla bontà del destino, al fine buono: l’essere è bene.
Questo Mistero è bene, questo Tu enigmatico è buono: attraverso questa compagnia ci prende per mano: MI PRENDE PER MANO.
Se è vicino si percepisce: come si percepisce? La compagnia, la compagnia in cui ci stringe, che non avremmo mai scelta così, mai.
(313) Appena sto un po’ attento io dico: questi sono persone che il Signore mi ha messo vicino, parte di me; perciò il fatto di essere insieme a questa compagnia, è proprio essere immerso nella presenza di Cristo, fisicamente testimoniata, perché ciò che ha creato questa mossa o quel moto per cui siete qui è un Altro, non è solito.
E voi non mi condannate perché sbaglio, non mi condannate, e il fatto che sono abbracciato dalla vostra presenza e reso oggetto di attenzione dei vostri occhi misericordiosi e del vostro cuore, questo è proprio il segno del fatto che Lui mi guarda, che Lui mi abbraccia, che Lui mi porta, che Lui mi cambia, e che Lui mi richiama: tutti verbi inerenti alla nostra compagnia.
In voi Cristo si rende sensibile, toccabile, […] udibile.
Perché voi siete parte di Cristo, tanto che siamo parte gli uni degli altri: «Non sapete che siete membra l’uno dell’altro?» (Gv 1,1).
Compagnia al destino
(295) Il Signore vuol bene, questo Mistero di cui è fatto il tempo – la vita che è passata fino ad ora – vuole il nostro bene, vuole la nostra felicità, ama il nostro destino e per questo ci ha stretto dentro una compagnia che ha come unico valore, attraverso tutto – attraverso il gioco e attraverso il pianto in comune, attraverso la collaborazione e attraverso l’aiuto -, di richiamarci alla bontà del destino, al fine buono: l’essere è bene.
Compagnia e libertà
(90) La comunità è letteralmente, fisicamente Gesù che fa queste cose, Gesù presente. Allora è nella comunità che impari che cosa è il destino; e ti dà la fede, ti sostiene nella fede, governa ed educa la tua fede; ti fa capire che cosa è la libertà, ed educa la tua libertà, nella coscienza del senso religioso sviluppato e nella coscienza del sacrificio da fare e, quindi, nella consapevolezza umile e senza inutile disperazione del tuo peccato, del tuo peccare, della facilità al peccare.
(93) È solo nella compagnia che questa mortificazione o questa seduzione dell’essere, che è il senso religioso, questo fascino dell’essere o questa coscienza della propria fragilità, dovuta a qualcosa che è una scelta – è un bene poter scegliere, ma è un male poter scegliere male, perciò è ambiguo; non è che la libertà sia in una posizione cattiva, è in una posizione ancora ambigua, può scegliere il bene e può scegliere il male -, sono richiamati.
È nella comunità che si è aiutati a capire questo, ad aver coscienza di quando si sceglie il male, a riconoscere quando si sceglile male, ad aver la forza del dominio di sé per strapparsi dal male – per la mortificazione, penitenza o metànoia, cambiamento di mentalità -, per aderire a ciò che porta al destino e per attendere il destino tutti i giorni, tutti i giorni attendere che venga.
(106ss) Questa libertà può essere riconosciuta e vissuta da soli? teoricamente sì, esistenzialmente è impossibile perché da solo l’uomo è preda dell’ambiente in cui vive.
Se da soli è così difficile, è insieme che diventa più facile. Insieme che cosa vuol dire? Quando ci capita di fare con altri la stessa strada. E quando questa compagnia con altri sia guidata e formata, guidata e sostenuta da un richiamo a ciò che è giusto, che è vero, da un richiamo a ciò che è la libertà veramente, da un richiamo al destino per cui siamo fatti, da un richiamo religioso insomma, da un richiamo cristiano.
(107) La compagnia, come quando si va in montagna, la compagnia come richiamo vicendevole al destino, allo scopo o all’allegria, o alla letizia, o alla purità delle cose, ti aiuta ad agire con libertà, ti fa capire di più cosa è la libertà.
Compagnia e utopia
(164) Il rimedio non è certo quello di parlare di morale e di valori, come fanno anche tanti nostri superiori, ma è quello di creare, di mostrare a tutti, di far vedere a tutti che una compagnia fatta perché si è incontrato Cristo, una compagnia che si crea perché si è incontrata delle gente che ha incontrato -Cristo, fa realizzare quello che tutta la politica, tutta la cultura e tutto il resto non valgono a farci vivere.
[…] altrimenti non è una compagnia, altrimenti l’amicizia è quello che dicono tutti, o è quella che ho chiamato utopia…
Compassione
Compassione vs commozione
(332) Voglio dire che questa carità di Dio per l’uomo, questo dono di sé è fatto di una emozione, e di una commozione. Si può avere compassione per un animale straziato che sta crepando, non si può avere commozione per esso.
(335) Da un giudizio la commozione. Questa commozione e questa emozione veicolano, portano con sé un giudizio e un palpito del cuore.
È un giudizio, perché è un valore razionale, nel senso che dà la ragione, porta con sé la ragione. Non è carità, l’emozione, o la commozione, se non ha dentro di sé questo giudizio e questo palpito del cuore.
(336) Qual è la ragione? «Ti ho amato di un amore eterno, perciò ti ho fatto parte di me, avendo pietà del tuo niente»: il palpito del cuore è la pietà del tuo niente, ma la ragione è che tu partecipassi all’essere.
Di fronte al niente, come di fronte a un animale, si può usare il termine compassione; ma di fronte all’uomo non può essere chiamato che commozione, perché l’uomo è chiamato alla felicità, l’uomo è grande e chiamato alla felicità, l’uomo è grande come Dio ed è chiamato alla felicità di Dio.
Che sia schiacciato dalla meschinità, distrutto dalla distrazione, svuotato e ridiventato niente per una pigrizia senza misura, questo genera proprio compassione.
(362) La compassione è una reazione uguale e contraria a una disgrazia che succede (Un gattino a terra morto). La commozione è qualcosa che tocca te, piega te e nei limiti del possibile ti fa fare qualcosa (Telefonare all’ambulanza per una donna a terra): è una commozione reale. Perciò ho detto compassione verso gli animali e commozione verso l’uomo. Si può dire commozione di fronte a un cane che va sotto la macchina? No, compassione sì.
Compimento
(187) «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona la porterà a compimento nel giorno di Cristo» Fil 1,6.
Essere sicuro che Lui porta a compimento quello che mi ha dato, vuol dire essere sicuro della mia felicità, essere sicuro del mio destino, essere sicuro del mio compimento, essere sicuro dello scopo della vita.
La speranza cristiana è certezza, una certezza che riguarda il futuro invece che il presente.
È un bel respiro perché te l’ha data Lui, è evidente che te l’ha data Lui, perché ce l’hai e non te la sei data tu: e se è anche Lui che la porta a compimento, quasi quasi puoi dormire tranquillo.
(252) Perciò anche la tribolazione delle tentazioni, le prove degli affetti, la fatica della purità, la fatica della coerenza, della giustizia, sono tutte esperienze attraverso cui l’uomo è condotto da Dio per essere più Cristo, per essere più compiuto.
(348) Redimere vuol dire far essere, cioè salvare; salvare vuol dire in latino conservare. conservarlo epr che cosa? Perché si compia, perché sia completamente se stesso e perciò sia eterno: senza la parola eterno un io non diventa più se stesso e tanto meno si compie.
Compimento e obbedienza
(143) L’obbedienza al Padre è , per Cristo uomo, seguire il Padre; lo stesso sentimento deve essere in noi verso di Lui: seguire Cristo, obbedire a Cristo.
Lui ha seguito il Padre, allora il Padre lo ha glorificato, lo ha esaltato.
Compito e chiamata
(417) Cristo per realizzare la sua opera sceglile alcuni. Per compiere la sua opera ha scelto alcuni … a cui ha aggiunto, nella fila del tempo, il nostro nome, il vostro nome; se siete qui, in qualche modo vi ha tirato i capelli, in qualche modo ha sfiorato il vostro abito, se siete qui vi ha toccati: in qualunque modo abbia fatto vi ha toccati, vi ha chiamati.
Per che cosa vi ha chiamati? Per riecheggiare la sua testimonianza nel mondo, per renderlo presente nel mondo.
Comprendere
(252) Guardate ragazzi che noi con Dio, rispondendo all’incontro fatto con Gesù, cioè col Dio fatto uomo, comprendiamo solo quello in cui ci inoltriamo come esperienza umana.
Lo dice Ratzinger, con altre parole, che diventa ragionevole per l’uomo – cioè accoglibile, diventa approvabile dall’uomo – solo qualcosa che è passato nella sua esperienza.
Perciò anche la tribolazione delle tentazioni, le prove degli affetti, la fatica della purità, la fatica della coerenza, della giustizia, sono tutte esperienze attraverso cui l’uomo è condotto da Dio per essere più Cristo, per essere più compiuto.
Comunicare
(165) Voi desterete l’amore a Cristo negli altri attraverso la presenza vostra, amorosa di Cristo, la vostra presenza amorosa di Cristo. È solo attraverso una presenza che si comunica agli altri. La presenza umana nel mondo, in tutti i suoi termini possibili, secondo tutti i termini di cui è composta, si chiama compagnia o comunità.
Comunione e Liberazione
(282) In questo libro («L’idea di movimento», in Un avvenimento di vita pag. 346) si parla anche della storia del Movimento come di ingenua baldanza. Il Movimento di è reso grande e cammina con ingenua baldanza: ingenua, vale a dire senza niente che ci si intruda, che non derivi dall’origine, senza niente di artificioso…infatti chi è artificioso non gusta il Movimento, non lo vive; ingenua baldanza, è la sicurezza fino in fondo che dà l’abbandono: solo quando un bambino – salmo 131 – è tra le braccia della mamma è baldanzoso, abbandonato.
Il segno dell’abbandono è come se a uno si prosciugassero tutte le sorgenti dell’orgoglio; non si inorgoglisce più, gli diventa impossibile inorgoglirsi perché niente è suo.
Se Tu sei il Signore e quindi tutto è tuo, se io riconosco questo, diventa tutto mio: ti seguo e diventa tutto mio.
(358) Proprio a questo si riconduce tutto il nostro discorso – il discorso che facciamo con la Scuola di Comunità, ma tutto il nostro discorso nel Movimento da quarant’anni -: nel seguire Cristo si ha la vita eterna e il centuplo quaggiù, il centuplo quaggiù come affettività e il centuplo quaggiù come ragione, unità di ragione.
Comunità
(90) Queste comunità sono come le braccia di Cristo sul bambino, l’occhio di Gesù che conta i capelli del capo.
La comunità è letteralmente, fisicamente Gesù che fa queste cose, Gesù presente. Allora è nella comunità che impari cos’è il tuo destino; e ti dà la fede, ti sostiene nella fede, governa ed educa la tua fede; ti fa capire che cosa è la libertà ed educa la tua libertà, nella coscienza del senso religioso sviluppato e nella coscienza del sacrificio da fare e, quindi, nella consapevolezza umile e senza inutile disperazione del tuo peccato, del tuo peccare, della facilità al peccare.
Perciò la comunità ti dice di non scandalizzarti della tentazione che provi e di non scandalizzarti neanche dell’errore che fai; ma indomabilmente riprendi la strada.
(98) Questa energia per riprenderti e richiamarti è venuto a dartela Lui direttamente: è la comunità in cui vivi dentro la Chiesa, a cui appartieni; ti fa appartenere ad una comunità in cui Lui ti aiuta così. La comunità è ciò a cui si appartiene: è più del padre, della madre e della famiglia.
Comunità e clausura
(159) Se uno pretendesse di avere un rapporto con il mistero di Dio a prescindere dalla compagnia, e specialmente a prescindere da una autorità che la guidi, si illude, è una illusione.
Tant’è vero che tra le tante persone del movimento andate in clausura, tutte quelle uscite – e sono molte – perché sono uscite? La grande difficoltà non è il silenzio, la solitudine; tutte escono per l’incapacità a portare la comunità.
Concetto
(222) Vediamo se il nostro concetto di speranza è diventato immagine in voi. È il concetto che diventa immagine, anche se il concetto nasce incoscientemente da un’immagine, cioè dà un’impressione delle cose; poi si fa il concetto e diventa umano, l’impressione diventa umana; ma dal concetto poi ridiventa immagine, cioè diventa poesia, diventa motivo ricostruttore, ricostruttivo, che converte il mondo.
Concretezza
(310) L’ultimo – come sono astratti tutti quelli che vogliono essere troppo concreti – l’ultimo pensiero che sarebbe venuto in mente a quei due (Andrea e Giovanni), non l’avessero visto più per sei mesi, sarebbe stato il dubbio che fosse stata una illusione.
(376) Comunque, le mie risposte sono l’espressione di una maturità di esperienza che voi non avete ancora, per cui resta in voi un residuo di impressione di astrazione,, di quel che dico rimane in voi un residuo astratto. Ma ripetendo continuamente quel che vi dico, col tempo che passa, passa l’astrazione e si capisce che era astratto quello che ci sembrava concreto prima.
(405) Non dobbiamo aver paura del sacrificio: dobbiamo aver paura dell’astratto; l’astratto è la condanna della nostra dignità umana. L’astratto è ciò che elude il tuo nesso con il destino, perciò l’astratto è ciò che elude ciò per cui il tuo cuore è fatto, e tende ad identificare il concreto con la punta del naso che si tocca, con i capelli che si riavviano, con la panca che fa male, col gelato che piace, e tutto questo è così ironicamente concreto da finire nel marcio della tomba.
Condivisione
(350) La condivisione dei bisogni. È attraverso il bisogno che l’uomo è spinto al suo destino, attraverso il bisogno impara che gli manca qualcosa. Condividere il bisogno vuol dire sorprendersi presenza amorosa a cui interessa il destino dell’altro come di se stesso.
Confessione
(34) Quando preghiamo, quando facciamo la Comunione, quando facciamo la Confessione, che può essere fatta una volta almeno ogni 15 giorni, ricordiamo sempre che ciò che determina quell’atto è la passione e la preoccupazione per il proprio destino.
Connivenza
(102) […] Amerete cento volte di più i vostri compagni di scuola, ché sono cinque anni che siete insieme e c’è un’estraneità totale, non c’è amicizia tra voi, c’è soltanto connivenza: una connivenza per andare in montagna insieme il sabato e la domenica, ma non c’è amicizia perché amicizia è un rovesciare la propria esistenza nella vita dell’altro.
(415) Perché non diventi connivenza, ma amicizia reale tra di noi, deve prima passare attraverso Cristo, bisogna prima riconoscere che Cristo è la sorgente più grave di dolore della nostra vita, di sacrificio della nostra vita: Come Lui è morto, così noi dobbiamo morire. eppure il riverbero umano ed esistenziale di questo sacrificio è una gioia, come Lui ha detto: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» Gv 15, 11.
Conoscenza / conoscere
(45) Qual è la prima caratteristica della fede in Cristo? La prima caratteristica è un fatto! Qual è la prima caratteristica della conoscenza? È l’impatto della coscienza con la realtà; se non è una realtà è un sogno, non è conoscenza.
La prima caratteristica della fede cristiana è che parte da un fatto, un fatto che ha la forma di un incontro.
(364) L’obbedienza ti rende cosciente di una Presenza così misteriosa che tu, per saperla, per conoscerla dovrai seguire chi già la conosce, passo dopo passo, per sempre; così l’obbedienza come seguire colui che già conosce è un’intelligenza: andare in montagna e seguire uno che non conosce è da cretini.
Conoscere Cristo
(42) Cristo è l’oggetto reale della nostra fede. Come facciamo a conoscere Cristo in modo tale da potervi appoggiare tutto il sacrificio della vita?
Come si fa a conoscere Cristo? Evidentemente dei metodi che abbiamo accennati, usati dalla ragione, quello che qui si applicherà sarà la fede. Cristo non lo conosciamo direttamente, né per evidenza, né per analisi dell’esperienza.
Conoscenza e affezione
(131) La fede è un atto di conoscenza; la libertà è condizione perché esso avvenga. Questo atto di conoscenza, come ogni atto di conoscenza, che sentimento genera? Che tipo di affettività genera? A ogni conoscenza consegue un’affettività: Che tipo di affettività consegue alla conoscenza per fede?
(132) L’affettività è un comportamento. L’affezione è un atteggiamento verso l’oggetto conosciuto.
L‘affezione giusta che nasce da un oggetto conosciuto si chiama virtù.
La virtù è un atteggiamento giusto verso l’oggetto conosciuto, l’atteggiamento giusto, normalmente giusto, verso l’oggetto conosciuto, un atteggiamento abitualmente giusto verso l’oggetto conosciuto.
Conoscenza e amore
(232) L’uomo scopre, quindi conosce, e crea ciò che ama; dove, allora, capisci che l’amore non è sogno solo in quanto è un anticipo giusto della felicità finale.
Conoscere e cominciare
(12) Non siete d’accordo che non c’è nessuno di voi che sia qui per il quale non ci sia stato qualcosa per cui ha detto: «Incomincio»? qualcosa…perciò, pur non sapendo la strada, pur non conoscendo la cosa, l’avete incominciata. Anche perché dovete ammettere che questa è una norma generale: prima di conoscere, per conoscere, bisogna incominciare.
Conoscenza e fede
(272) Ho detto che la fede è una forma di conoscenza che è oltre il limite della ragione. Perché è oltre il limite della ragione? Perché coglie una cosa che la ragione non può cogliere: «La presenza di Gesù tra noi».
La ragione non può percepirlo come percepisce che sei qui tu, è chiaro? Però non posso non ammettere che c’è. Perché? Perché c’è un fattore qua dentro, c’è un fattore che decide di questa compagnia, di certe risonanze di questa compagnia, così sorprendente che se non affermo qualcosa d’altro non do’ ragione dell’esperienza, perché la ragione è affermare la realtà sperimentabile secondo tutti i fattori che la compongono, tutti i fattori.
La fede è un atto dell’intelletto, è un atto di conoscenza che coglie la Presenza di qualcosa che la ragione non saprebbe cogliere.
Conoscenza e metodo della fede
(21ss) Il fidarsi provoca una conoscenza mediata, conoscenza che avviene per una mediazione, per un testimone.

“A” sono io, “B” è Nadia; entrando in rapporto con Nadia che è lì seduta vicino sull’aereo, io vengo a sapere di Carlo “C“. Poi incontrando Guido (D), gli dico le cose che Nadia mi ha detto come se le avessi viste io.
(24) Quello che “A” viene a sapere di “C”, in modo tanto sicuro che lo dice anche a “D”, lo viene a sapere attraverso “B”, attraverso un testimone; è una conoscenza indiretta, che si chiama conoscenza di fede: conoscenza di un oggetto, di una realtà attraverso la testimonianza, è un testimone che rende testimonianza.
(25) Se ho delle ragioni adeguate per fidarmi di Nadia e non mi fido, faccio un atto irragionevole.
Si chiama fede, conoscenza per fede, il riconoscimento della realtà attraverso la testimonianza che porta uno, che si chiama appunto testimone o teste.
Quindi la fede non è soltanto applicabile a soggetti religioso, ma è una forma naturale della conoscenza, una forma naturale di conoscenza indiretta: di conoscenza però!
(27) Togliete questa conoscenza per mediazione, dovete togliere tutta la cultura umana, tutta, perché tutta la cultura umana si basa sul fatto che uno incomincia da quello che ha scoperto l’altro e va avanti. Se non si potesse ragionevolmente fare così, l’estrema esponenza della ragione, che è la cultura non potrebbe esistere.
La cultura, la storia e la convivenza umana, si fondano su questo tipo di conoscenza che si chiama fede, conoscenza per fede, conoscenza indiretta, conoscenza di una realtà attraverso la mediazione di un testimone.
Quello di cui parleremo sarà un contenuto di fede: parlare di Cristo, dell’anima, del destino, del Mistero, è parlar di fede.
Il contenuto di tutto quello che diremo non si vede, eppure lo si può conoscere attraverso una testimonianza, attraverso dei testimoni.
Quello che noi faremo insieme poggia tutto sulla ragione nella sua dinamica caratteristica che porta il nome di fede, poggerà tutto sulla ragione in quanto capace di fede, la fede essendo la capacità estrema della ragione.
Quanto più uno è morale, tanto più è capace di fidarsi, quando meno uno è morale, tanto meno è capace di fidarsi, perché l’immoralità è come una schizofrenia o una dissociazione psichica.
(37) La fede è un metodo – un modo per – della ragione, un modo di conoscenza della ragione o, più brevemente, un metodo di conoscenza.
Che metodo di conoscenza è? È un metodo di conoscenza indiretto. Perché filtra, è mediato dal fatto che la ragione si appoggia a un testimone: non vede direttamente, immediatamente lei l’oggetto, ma viene a sapere dell’oggetto attraverso un testimone.
(38) Gli altri metodi della ragione usano soltanto un pezzo dell’uomo; questo invece, il metodo della fede, usa tutto l’uomo. Perché? Perché bisogna fidarsi del testimone.
Per fidarsi di una persona in un modo giusto e ragionevole occorre impegnare tutta la realtà della propria persona, occorre applicare l’acume dell’osservazione, occorre implicare una certa dialettica, occorre una sincerità del cuore, occorre che l’amore alla verità sia più forte che non l’antipatia, occorre un amore alla verità.
È tutta la persona che viene impegnata.
Per questo la fede è un metodo di conoscenza che impegna nel suo avvenimento la totalità della persona. Per questo è il metodo più dignitoso, più prezioso. Infatti tutta la convivenza umana non potrebbe esserci se non attraverso l’uso di questo metodo.
Se tutti noi non ci fidassimo l’uno dell’altro che cosa accadrebbe?
La convivenza, la storia, la cultura sono tutte basate su questo metodo: sul metodo della fede.
(57) Realmente la conoscenza per fede è la prova della serietà e dignità dell’uomo.
Dir di no alla fede è realmente e soltanto perché si è impediti in qualcosa che si vorrebbe, qualcosa che si vorrebbe e che non coincide con l’esigenza originale e profonda del cuore, con l’esperienza elementale.
Conoscere l’altro
(247) Dio si può conoscere soltanto se si rivela. Ma questo è analogicamente vero per noi. Una persona non la si conosce se non si rivela, se non si dice.
Legge del dinamismo della conoscenza
(267) La povertà appartiene a una legge dinamica della conoscenza, a una legge del dinamismo della conoscenza: per conoscere occorre un distacco.
[…] Per conoscere un quadro non dobbiamo andar lì con l’occhio a un millimetro.
Contentezza
(367) Il modo per corrispondere al meglio alla corrispondenza che le ti documentava, era dimostrare che anche tu eri preoccupata di rivederla, cioè di essere lì puntuale. La tua contentezza è valida per metà, manca quel sacrificio di sé che la compie, che la rende utile, e per cui la tua contentezza coincide con il puro amore.
Contentezza vs letizia
(261) Passa la figura di questo mondo,, non sta in quel che appare la consistenza della nostra contentezza: questa è la descrizione motivata della letizia. La letizia è qualcosa che sta perché si appoggia a qualcosa che resta, anche le la figura di questo mondo, quello che appare adesso, passa.
Convivenza
Convivenza e metodo della fede
(27) La cultura, la storia e la convivenza umana, si fondano su questo tipo di conoscenza che si chiama fede, conoscenza per fede, conoscenza indiretta, conoscenza di una realtà attraverso la mediazione di un testimone.
(38) Per questo è il metodo (conoscenza per fede) più dignitoso e prezioso. Infatti tutta la convivenza umana non potrebbe esserci se non attraverso l’uso di questo metodo, lo sviluppo della convivenza come esistenza della società, una società piccola come la famiglia o la società nella sua totalità.
Il metodo di conoscenza qual è? La convivenza è tutta attraverso il metodo della fede. Se tutti noi non ci fidassimo gli uni degli altri cosa succederebbe? Di fatto laddove manca la naturalità di queste cose vanno in giro con i coltelli, con le pistole: nessuno può fidarsi più di nulla.
Quindi la convivenza umana, la cultura, la società, la storia sono tutte basate su questo metodo: sul metodo della fede.
(39) Qual è la sorpresa più grossa che avete avuto la volta scorsa? Sentir parlare di fede in cui non c’entrano né Dio, né la Madonna, né i santi, ma sentir parlare di fede come aspetto della ragione. Perché più importante? Perché su di essa è fondata la convivenza, la storia, la cultura.
Ma prima ancora perché tale metodo implica l’impegno della totalità della persona.
Convivenza e testimone
(41) Quando si è giusti nel fidarsi di una persona? Quando quella persona sa realmente quel che dice e non vuole ingannare, secondo le due categorie che sono vecchie come tutta la filosofia scolastica, ma che sono di buon senso: se io sono sicuro che quell’individuo lì sa quel che dice e non mi vuole ingannare.
Se uno raggiunge la certezza che una persona sa quel che dice e non lo vuole ingannare, allora logicamente deve fidarsi, perché se non si fida va contro se stesso, va contro il giudizio formulato che quella persona sa quel che dice e non mi vuole ingannare.
Coraggio (e speranza)
(16) Che coraggio ci vuole per sostenere la speranza degli uomini! Perché quello che incominciamo, lo incominciamo sinceramente: lo incominciamo sinceramente, con un certo residuo di paresse, con un certo residuo di pigrizia, però lo incominciamo sinceramente.
Ma che coraggio occorre avere per sostenere lo sviluppo di questa speranza di questa attesa!
Corrispondenza
cfr. Ragionevolezza
(21) Come fai a capire che una cosa corrisponde al tuo cuore? Paragonandola: tu paragoni la cosa col tuo cuore.
Che tipo di azione è? È un giudizio: uno riconosce che la cosa corrisponde al suo cuore, corrisponde a sé; lo riconosce, è un riconoscimento.
(61ss) «Io non ho ancora capito bene la parola “corrispondenza” intesa come giudizio: soprattutto nei rapporti queste esigenze non sono così chiare».
I criteri sono ben chiari e sono dentro di te: si chiamano cuore, esigenza di felicità, di verità, di bontà. Questo incontro corrisponde alle mie esigenze di felicità, di verità, di bellezza, di bontà? Puoi dire subito sì per impeto: allora l’emozione tende a diventare giudizio. Per tutta la gente di adesso è così: l’emozione è uguale al giudizio (mi piace, non mi piace); e questa è la fine dell’uomo, è il prevalere, il predominio della bestia, dell’animale.
(62)Comunque il giudizio è l’applicazione dei criteri, che hai nel cuore, all’oggetto che ti crea una emozione.
Corrisponde alla chiamata alla vocazione che Dio mi ha dato? E perciò corrisponde alla strada della mia felicità? Perché la strada della felicità è il destino a cui Dio ti ha chiamato, è la vocazione a cui Dio ti ha chiamato, è il compito che Dio ti ha affidato.
(63) Il giudizio è la corrispondenza con le esigenze del cuore.
L’emozione è una reazione.
(67) Il giudizio di corrispondenza matura fino ad identificarsi con l’emozione. C’è una emozione di fronte alla compagnia che Dio ti ha dato per il cammino scoperto, per il cammino della vocazione, che giunge ad una emozione più grande di quella che hai per tuo padre e tua madre.
«Il riconoscimento di questa corrispondenza on sempre è immediato, a me spesso chiede una fatica e un sacrificio. ad esempio sul lavoro, riconoscere anche di dover lavorare meno per dare più tempo e spazio a Cristo, chiede un sacrificio»
Il riconoscimento è sempre un sollievo, è sempre una luce ed è sempre un gioia, è sempre una sicurezza.
(68) Nota bene: Mai l’applicazione di questo giudizio di corrispondenza, mai l’applicazione del ricordo di Cristo, può coincidere con la diminuzione del tuo dovere: […] il tuo lavoro devi farlo tutto.
La corrispondenza alle esigenze del cuore o è una corrispondenza che sfida la totalità, oppure non è: deve essere totale.
(367) «[…] Io ero rimasta commossa perché capivo che c’era la possibilità di una corrispondenza più profonda nel nostro rapporto, perché io so che questo, anche se lei non lo riconosce e magari non lo capisce bene, è l’inizio di una possibilità più vera di un rapporto, di una corrispondenza.»
È stata la scoperta della possibilità di una corrispondenza fra te e una compagna con cui non lo avresti mai sospettato.
Il modo per corrispondere al meglio alla corrispondenza che le ti documentava, era dimostrare che anche tu eri preoccupata di rivederla, cioè di essere lì puntuale. La tua contentezza è valida per metà, manca quel sacrificio di sé che la compie, che la rende utile, e per cui la tua contentezza coincide con il puro amore.
Coscienza
(321) L’abbiamo cantato prima nella Lodi: « La terra inneggia gioiosa a Cristo risorto dai morti»; è nella coscienza nostra che inneggia la terra gioiosa.
L’uomo non è un cane, per questo la terra inneggia gioiosa attraverso la coscienza dell’uomo.
(322) La coscienza dell’uomo è quella capacità che l’uomo ha di radunare tutte le cose al loro destino, alla loro origine e al loro destino: unisce, per questo è lo strumento del Creatore per compiere la sua opera.
Coscienza di Cristo / destino
(87) La coscienza del destino. Primo: una coscienza chiara del destino, l’amore al destino. Se uno perde di vista il destino, allora sbaglia.
Perché il destino della vita non è quello che vogliamo noi, è il mistero di Dio, la coscienza del Mistero, la coscienza del destino.
Coscienza del tempo
(289ss) Tutte le volte che ci raduniamo così, volenti o nolenti, restiamo percossi dalla coscienza del tempo che passa, del tempo che è passato, del tempo che passa.
Ma la coscienza del tempo che è passato ci illumina, ci rende più scaltri, vuole attivarci in modo più intelligente la coscienza del tempo che passa.
(290) Il tempo passato è un’esperienza che ci dovrebbe rendere più attenti al tempo che passa, coscienti del suo senso: il senso è la direzione in cui va il tempo che passa.
Tutto quello che vediamo, tutto quello che sentiamo è oggetto o soggetto di una mobilità che passa e filtra tutto – le montagne, le stelle le facce – attraverso qualcosa che è in noi, la coscienza del destino e la libertà: allora diventa mobilitazione, coscienza del tempo passato che diventa coscienza del tempo che passa.
Costruire
(33) Non si può costruire se non sulla roccia, su ciò che è certo. Senza certezza non si costruisce niente. sì si può costruire la piccola azione quotidiana senza che essa abbia lo slancio di riconoscere in un altro fenomeno, in un’altra azione una presenza amica.
(203) In che senso lo Spirito è luce? Primo, ci fa capire che non sono le prove a definire la vita, la vita non si esaurisce nella prova; ma, secondo, attraverso le prove – la prova è un «attraverso» – ci fa camminare costruendo così la nostra vita, la nostra vita non verrà mai meno. Per costruire bisogna passare attraverso la fatica, anche se non è la fatica che ne esaurisce
(265) «Se non è facile trovare tra noi gente certa è perché non c’è povertà. La povertà è una conquista molto adulta. Essere certi di alcune grandi cose: è la fede. La parola fede dice l’essenziale rapporto con “qualcosa d’altro” da noi, dalle nostre opinioni, dai nostri progetti, dagli esiti del nostro agire: un Altro, più grande di tutto quello che noi possiamo concepire e costruire, da cui il nostro essere ultimamente dipende, nostro destino.
La gente che ha costruito la chiesa di Sant’Ambrogio a Milano era povera perché certa di alcune grandi cose, più grandi anche dell’opera che era stata capace di realizzare. Solo il rapporto con questo 2qualcosa d’altro” permette di costruire opere grandi e belle, di costruire incessantemente e di superare se stessi anche nella bellezza di ciò che si crea.
La fede è la certezza di una “grande Presenza”, che permette la costruzione del mio rapporto con la realtà, della mia opera e del mio intervento nella società, che permette al mio lavoro di erigersi ai miei occhi come una cosa utile e “bella”.»
Creature (e libertà)
(82ss) Come fa Dio a diventare stimolo perché l’uomo di muova? Attraverso le creature. Le creature sono il modo con cui l’infinito diventa presente nel cuore dell’uomo e gli desta la sete di sé. Gli desta la sete, gli desta l’esigenza della felicità, della giustizia, della verità e dell’amore.

L’esigenza della giustizia, della verità, dell’amore si mettono in moto attraverso lo stimolo che viene dalla creatura, che è il pezzettino di tempo e di spazio, quel pezzettino di cosa (a,b.c.d….) attraverso cui il Mistero infinito ti tocca, perché tutte le cose sono segno di Dio.
(83) La libertà entra in azione, il dinamismo della libertà entra in azione perché toccato dalle creature, seguendo come Dio gli appare, e gli appare nel segno delle cose.
(84) Nel dinamismo della libertà è implicato la possibilità di peccato: scegliere davanti alla creatura ciò che immediatamente soddisfa di più, invece che usare della creatura per tendere di più a ciò che è il destino per cui si è fatti. Il peccato è debordare, uscire dalla strada al destino per soffermarsi su qualcosa che interessa di più al momento.
(97) «Cosa significa che tutte le creature non compiono l’ampiezza del mio desiderio?»
Perché non coincidono con l’oggetto totale del mio desiderio. Perciò, primo, il mio desiderio ci balla dentro e perciò può scegliere; ma soprattutto, tende a scegliere quello che lo attira di più, l’emozione più che la corrispondenza, l’emozione momentanea più che la corrispondenza al destino. È naturale!
Non c’è nessuna creatura cattiva; la cattiveria sta nell’atto di scelta di ciò che è in contraddizione con il tuo destino. Il male è solo nell’atto di scelta della libertà; perciò il fattore di peccato è l’uomo, è la libertà dell’uomo.
(109) «Le creature attraggono la libertà. Io mi sento spesso come richiamata da tante cose, tante cose che vorrei fare, occasioni, situazioni in cui mi butterei dentro, e vorrei che la realtà andasse avanti per un progetto buono»
(110) Ogni cosa creata è un riverbero della perfezione, dell’oceano di perfezione, della sterminata perfezione del mistero dell’Essere.
Se dunque ogni creatura è un riflesso della ricchezza di Dio, tu, quanta più sensibilità hai, tanto più sei strappata da tutte le parti: dal grande, dal piccolo, da ciò che ti pigia davanti, da ciò che ti schiaccia, che ti urta di dietro ….da tutte le parti.
Attraverso le circostanze, se tu sei disponibile come animo e attenta come animo a Dio, Lui ti fa vedere quello che è utile o meglio perla tua vocazione, compreso il tuo lavoro, perché il lavoro è parte integrante della vocazione.
Cristianesimo
Cristianesimo vs buddismo
(335) In qualsiasi religione panteistica, Dio si unisce all’uomo e al mondo per compiere l’ordine del mondo, per compiere l’ordine dell’uomo, per compiere l’armonia del tutto.
È la frase che mi sono sentito dire dai bonzi a Nagoya, in Giappone, quando sono andato a fare una conferenza coi buddisti: «per compiere l’armonia del mondo».
Allora io ho fatto la conferenza e ho descritto il concetto di armonia che è in comune col cristianesimo, che il cristianesimo capisce ed afferma. Però gli ultimi tre minuti ho detto che questa armonia è entrata nelle viscere di una ragazza e ne è uscito un uomo: un uomo. Un uomo è l’armonia del tutto.
Cristianesimo Vs religioni
(245) Dio doveva, per farsi conoscere, per rispondere a quella domanda, Dio doveva fare un passo Lui e dire: «Eccomi, sono qui». Ed è stato un solo caso nella storia ed è proprio questo caso che è insopportabile a tutti.
Quei trecento capi di religione che fecero la simbolica processione da San Carlo al Duomo andavano d’accordo sul fatto che nessuno poteva pretendere di conoscere esattamente la soluzione.
(246) Eran trecento tentativi e nessuno di quei trecento ha detto: «Noi abbiamo la risposta», nessuno l’ha testimoniata – prudentemente, altrimenti non potevano essere radunati trecento ricercatori di Dio.
Erano tutti ricercatori di Dio il cui nome e volto ci sono ben noti: ne conosciamo il nome e la faccia.
Cristianesimo vs storia del pensiero umano
(97) Tutta la storia del pensiero umano divide ciò che è bene da ciò che è male, mentre il cristianesimo dice: male non è niente, non c’è nessuna creatura cattiva; la cattiveria sta nell’atto di scelta di ciò che è in contraddizione con il tuo destino.
Il male è solo nell’atto di scelta della libertà; perciò il fattore di peccato è l’uomo, è la libertà dell’uomo.
Cristiano
(134) Quello che (Gesù) incominciò a dire di nuovo, lo disse dentro l’antico: era un nuovo modo di vedere il mondo. Le parole erano le stesse: era un modo nuovo di vedere le parole antiche.
Insisto perché questa è la vita del cristiano, essere cristiano è questo: una novità che si apre il varco dentro le parole antiche.
(179) «Forti di tale speranza, siamo ripieni di sicurezza». Dico semplicemente che l’uomo cristiano è fatto così: è fatto di fede su cui nasce e attecchisce il fiore che si chiama speranza.
Croce
(388) La croce di Cristo ha rivelato, da una parte il dominio che il sacrificio ha sulla vita di tutti gli uomini, dall’altra, che il suo significato non era necessariamente negativo, anzi, che aveva un significato misteriosamente positivo: era la condizione perché gli uomini raggiungessero il loro destino: «Con la tua croce hai salvato il mondo», con la tua croce, o Cristo, hai salvato il mondo.
(439) ho studiato quando avevo dieci anni una poesia che incomincia così: «Quando nacqui mi disse una voce: tu sei nato a portar la croce», dove la croce non è la finis rei, non è la fine della questione; la questione non finisce come croce, incomincia: la croce è una condizione.
Cultura
(38) Quindi la convivenza umana, la cultura, la società, la storia sono tutte basate su questo metodo: sul metodo della fede.
(39) Qual è la sorpresa più grossa che avete avuto la volta scorsa? Sentir parlare di fede in cui non c’entrano né Dio, né la Madonna, né i santi, ma sentir parlare di fede come aspetto della ragione. Perché più importante? Perché su di essa è fondata la convivenza, la storia, la cultura.
Ma prima ancora perché tale metodo implica l’impegno della totalità della persona.
Cultura e metodo della fede
(27) La cultura, la storia e la convivenza umana, si fonda su questo tipo di conoscenza che si chiama fede, conoscenza per fede, conoscenza indiretta, conoscenza di una realtà attraverso la mediazione di un testimone.
(38) Quindi la convivenza umana, la cultura, la società, la storia sono tutte basate su questo metodo: sul metodo della fede.
Cultura moderna
(305) Adesso la cultura che si insegna a scuola e alla tivù manca completamente di quello, non è più un popolo; sono tutti un branco di pecoroni.
Cuore
cfr. esigenze originali
(193) Ma il sogno del cuore dell’uomo non può sostenere le ragioni di una certezza, della certezza che le esigenze siano esaudite.
Si chiama ideale l’oggetto della certezza che le esigenze del cuore hanno di essere esaudite. Le esigenze del cuore poggiano la loro certezza nella domanda che fanno alla grande Presenza.
Il sogno è dato dal fatto che le esigenze del cuore, le esigenze originali hanno talmente sete di essere esaudite che, dimenticando la grande Presenza, tendono loro a darsi, a immaginare la forma che le esaudirà.
Ho detto:
- le esigenze del cuore sono esigenze di felicità.
- (194) senza fede questa certezza di felicità non può essere ragionevole, ma acquista la forma, una forma che le dà il cuore stesso, prendendo pretesto da qualche presenza che non è ancora la grande Presenza, e questo si chiama sogno; il cuore dell’uomo è tentato dal sogno.
- invece, il cuore dell’uomo è fatto per la felicità. Se riconosce la grande Presenza, se vive la certezza della grande Presenza, capisce che è dalla grande Presenza che può venire la ragione della certezza che i suoi desideri si attuino; perciò la domanda con l’aiuto della grande Presenza di raggiungerli così come essa vi ha dato forma eterna: questa forma si chiama ideale. Cioè, la speranza si traduce in desiderio di sogno o in desiderio ideale.
(211ss) Il cuore dell’uomo è una promessa. Qual è il contenuto della promessa? come si fa a conoscere questo destino? Il cuore dell’uomo. L’uomo nasce con questo cuore, cioè nasce con questa speranza; l’uomo nasce con un cuore in cui sta una promessa, nasce con un cuore in cui sta una promessa, nasce con un cuore che si può definire colo come promessa. Il cuore della vita è una promessa. e questa è la ragione per cui uno si deve tutti i giorni ristabilire in azione, rimettersi in azione.
(212) Così la vita che ci è data è speranza, ragionevole speranza, speranza ragionevolmente fondata. Perché? Perché ci viene da Dio – non ci siamo fatti noi – e ciò per cui Dio ci ha fatti lo sentiamo nel cuore, corrisponde a quello che il cuore è. Come Abramo ha sentito la prova, così a noi nella vita tante volte viene da rinnovare questo lamento: «Non ho questo, non ho quest’altro. chissà?»
(220) È esattamente il pericolo che tutti noi corriamo: il prevalere delle nostre immagini sull’attesa che Dio ci ha destato nel cuore e che Cristo ci ha rinnovata, anzi ci ha precisata. Come l’ha precisata? Ce l’ha precisata come rapporto con Lui: «Fidatevi di me». Perciò la fiducia nel Mistero che ha fatto il mondo diventa la fiducia quotidiana, normale, amicale con uno della compagnia, con Lui.
Cuore e ragione
(59) Non esiste una parola che noi diciamo che non c’entri con quello che viviamo, con la vita, che non si rivolga perciò al cuore; il cuore che è il luogo proprio della ragione. La ragione sta dentro il cuore, altrimenti è un aquilone.
(191ss) Le esigenze del cuore dicono che l’oggetto del cuore c’è, perché l’uomo è destinato ad essere felice, giusto, vero. È destinato a questo, ma la certezza che questo accadrà non può essere sostenuta dal nostro cuore.
La certezza che questo accadrà può derivare soltanto dalla Presenza che la fede riconosce, dalla Presenza eccezionale che la fede riconosce. Solo questo può reggere la ragione di una certezza del futuro.
Il cuore dell’uomo è fatto di esigenze fondamentali o ideali, perciò è spinto verso il futuro nella direzione di quelle esigenze ideali.
È spinto verso il futuro, il cuore è spinto verso il futuro dal desiderio che queste esigenze si compiano. Quando questo desiderio diventa certezza? Diventa certezza nella misura in cui realizza la sicurezza nel potere della grande Presenza.
Come fa il cuore, come fa la speranza, come fa questo desiderio di attuazione del bene a diventare certezza che la grande Presenza risponderà?
La speranza, come esigenza che si attui quello che il cuore desidera, non può essere certezza che nasca dallo stesso cuore, perché il cuore non sa, desidera ma non sa.
(192) Il desiderio diventa sicuro di sé quando lo domanda, quando domanda, quando il desiderio del cuore diventa domanda. E la domanda si sostiene su una certezza nella risposta che la grande Presenza dà, perché la grande Presenza lo ha promesso.
«Domanda», questa era la parola. Ma «l’ha promesso» è fondamentale, è ciò che rende ragionevolmente certa la domanda stessa. Anche se la promessa è già implicata nel fatto che la Presenza c’è.
Le esigenze del cuore pretendono di essere esaudite.
Si chiama ideale l’oggetto della certezza che le esigenze del cuore hanno di essere esaudite. Le esigenze del cuore poggiano la loro certezza nella domanda che fanno alla grande Presenza.
Il sogno è dato dal fatto che le esigenze del cuore, le esigenze originali hanno talmente sete di essere esaudite che, dimenticando la grande Presenza, tendono loro a darsi, a immaginarsi la forma che le esaudirà.
Il cuore dell’uomo ha esigenza di felicità. Se vive la fede, allora è certo che questa felicità gli sarà data dalla grande Presenza, perché la grande Presenza lo ha promesso.
(223) Come si chiamano ne Il senso religioso? Le esigenze del cuore o in sintesi, cuore, come dice la Bibbia più giustamente.
Il cuore non è un pezzo di carta. Perciò la parola bibbia «cuore» è più solida, più completa di quella che usiamo noi, «ragione».
Esigenze del cuore
(15) È ragionevole che voi abbiate incominciato oggi, perché c’è stato qualcosa che vi ha fatto presentire come l’esigenza del vostro cuore – l’esigenza di felicità, di giustizia, di verità e di bellezza del cuore – troverà risposta su questa strada. E la ragionevolezza è la risposta alle esigenze del cuore.
Quando una cosa è ragionevole? Quando risponde alle esigenze del vostro cuore.
(16) C’è qualcosa per cui abbiamo detto, abbiamo sentito che il destino per cui il cuore è fatto, le esigenze del cuore, le esigenze più vere della vita su questa strada potrebbero trovare la risposta: questa corrispondenza c’è su questa strada. Perciò è ragionevole l’aver detto: «Io chiedo di entrare»
(59) In un incontro l‘eccezionale è l’esperienza di una corrispondenza di quello che incontri con le esigenze del cuore: una corrispondenza al cuore eccezionale rispetto ai rapporti soliti.
(63) Il giudizio è notare la corrispondenza con le esigenze del cuore. Le esigenze del cuore – quelle fondamentali che stanno sempre – indicano il nesso col destino, il rapporto con il destino, il rapporto con Dio. Se tu vai contro queste esigenze, se tu vai contro il disegno di Dio, se tu vai contro la legge di Dio, vai contro le esigenze del cuore. perciò non ci può essere un sentimento che resti umano se non è giudicato. L’emozione è una reazione.
(64) La corrispondenza è un giudizio che paragona l’emozione che è destata in noi con le esigenze del cuore che descrivono la via al destino. L’emozione è giudicata quando viene affrontata in paragone con le esigenze del cuore che esprimono l’ultimo criterio da seguire, che è la volontà di Chi ci ha fatti e ci aspetta alla fine; descrivono la strada al destino.
(81) Il cuore è esigenza di felicità, di giustizia, di felicità e in tutto quello che l’uomo raggiunge non c’è mai questo. Perciò, ciò a cui l’uomo tende è qualcosa che è al di là, sempre al di là: è trascendente.
Così la coscienza di sé percepisce l’esistenza di qualcosa d’altro, cioè di Dio. Segniamo così: Dio è l’estremo limite a cui il desiderio dell’uomo tende.
Curiosità
(353) Io dico che il primo sentimento che si ha verso la realtà è la curiosità, non una compassione.
Curiosità dell’inizio
(13) Dovete ammettere che questa è una norma generale: prima di conoscere , per conoscere, bisogna incominciare.
Però, qui, non si tratta di curiosità, non si tratta neanche di una ricerca scientifica. Si tratta di una dedizione della vita.
E quindi uno incomincia, decide di cominciare. Non per curiosità, non per una ricerca anche scientifica, ma perché dentro lì ci deve essere la questione, l’ ci deve essere
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