1995 – Esercizi don Giussani: «Si può vivere così»

Esercizi don Giussani 1995 – Quinto libro collana “Cristianesimo alla prova”

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Indice linkato dei vari momenti

  1. IL PRESENTIMENTO DEL VERO
  2. l’AVVENIMENTO OGGI
  3. LA SCATURIGINE DELLA MORALITA
  4. Assemblea

Il presentimento del vero (85)

Don Pino : Il gesto che siamo venuti a fare c’entra con il nostro destino.

È definito da due parole: chiedere: cioè chiedere e ascoltare – e mantenere un rigoroso silenzio nel tempo in cui viene richiesto.

Giussani: Leggiamo ora una lettera di un’infermiera del policlinico di Milano:

(Estratti) «Mi presento, sono infermiera al Policlinico di Milano. È da qualche mese che nel mio reparto viene a curarsi una ragazza affetta da tumore, una fra le tante, come ne ho viste tante in questi anni: persone straziate dal dolore, con nessuna speranza.[…] Ma lei è diversa.

Diversa perché non arriva qui con lo sguardo rassegnato: è sempre serena, disponibile, attende con pazienza[….]Una volta, mentre le iniettavo la chemioterapia, le ho guardato il suo bel viso; i suoi occhi azzurri erano pieni di pianto e le sue labbra mormoravano qualcosa: era una preghiera.

[…] Rende sacro quello che per gli altri normalmente è una condanna. […] Io non capisco: posso solo invidiare questa forza interiore, che non è poi solo interiore, ma è forza di vita. Nono sono cristiana praticante, ma da quando ho conosciuto lei è come se mi fosse diventato palpabile che qualcosa deve esserci: è evidente nella sua persona, nella sua maniera di stare.

Se Cristo ha mai avuto degli occhi per me sono quelli di questa ragazza che ama tutto di più di come faccio io, che suscita in me un senso di bene, di gioia, solo nel vederla.

[…] Vedo in lei e capisco che anche una malattia come un tumore è sì un mistero, ma dentro un progetto buono, come dice lei. La sua obbedienza, il suo lasciarsi abbracciare fino in fondo non sono segno di rassegnazione, ma di chi ha capito, come lei stessa mi ha detto una volta, che nulla accade per caso, ma per gloria di Dio, nulla è povero, nessuna condizione è condannata all’aridità,, nessun tempo è privo di speranza.

[…] Non viene meno al suo dovere di studente; questa è una cosa che mi ha fatto molto riflettere.

Il Cristianesimo non ti solleva, quindi, dalle incombenze della vita, ma ti dà il giusto motivo per affrontarle.

[…] Non vuole dimenticare il dolore, lo vive. Il miracolo rende eccezionale la quotidianità. La presenza di questa ragazza mi cambia, mi fa desiderare di più dalla mia vita: una gioia inimmaginabile prima, ma sperimentabile ora. Anna.»

[…] La fonte di questa lettera è Gesù!

Tante volte ci domandiamo come fare a riconoscerLo veramente, attraverso che cosa si può riconoscerLo veramente, se abbiamo una aspirazione alla sincerità con cui desideriamo capirLo è proprio una cosa semplicissima: se Gesù è Dio fatto uomo, nato dalle viscere di una giovane donna di quindici diciassette anni, se Gesù è Dio fatto uomo, deve per forza essere semplice il modo con cui l’uomo, errabondo in mezzo ai suoi bisogni, Lo può riconoscere.

«Il cammino del Signore è semplice come quello di Giovanni e Andrea, di Simone e di Filippo, che hanno cominciato ad andare dietro a Cristo per curiosità e desiderio. Non c’è altra strada, al fondo, oltre a questa curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero»

Volantone di Pasqua 1997
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Quello che Anna, l’infermiera chiama «la promessa», quel presentimento del vero che l’uomo ha dentro di sé.

E non c’è un altro nome, non c’è un’altra fonte, non c’è un altro riferimento che noi possiamo richiamare come sostitutivo di questo: Cristo.

Per esempio, guardate con che semplicità è data testimonianza in quest’altra lettera, scritta da una ragazza che, forse, è la stessa di cui parlava Anna.

«“Eccomi, io vengo per fare la tua volontà”. È la sequela fino alla croce attraverso il dolore che c’è, esiste, entra nella carne, perché divenga più viva la fede. La difficoltà entra come straniera nella normalità del quotidiano, affinché il rapporto con Cristo sia più autentico, scuota dal torpore per aprire il cuore all’abbraccio sempre più ampio del Signore. Nasce la coscienza chiara che la presenza di Cristo, nell’istante, qualunque esso sia, si svela alla domanda dell’uomo e genera un rapporto nuovo, altrimenti irrealizzabile, disposto all’obbedienza totale, fino alla croce, con la certezza della risurrezione. La fatica, il dolore non sono nulla perché Lui mi ha già presa tutta

La difficoltà entra nella nostra vita per rendere più autentico il nostro rapporto con questa Presenza: Dio fatto uomo.

Questo riconoscimento, dicevo, è una cosa semplice. Noi ci imponiamo alla realtà opaca solo se ripetiamo con sincerità certe parole.

«Gesù»: posso essere incoerente fino al midollo delle ossa, incoerente cento volte al giorno, ma è pronunciando questa parola con sincerità che le cose cominciano a perdere la loro opacità, come se si disquamassero, come la notte che passa dall’alba alla prima aurora.

Una parola detta con sincerità, queste parole dei canti, per esempio, ripetute con sincerità…Ma che vuol dire «ripetere con sincerità»?

Vuol dire che le parole portano con sé un’attesa, riconoscono che la propria vita è un’attesa; queste parole potano in sé stesse questa verità di attesa.

«Fac ut ardeat cor meum in amando Cristum Deum, ut sibi complaceam»

Fà che arda tutta la mia persona nell’amare Cristo Dio, perché io Gli piaccia, Gli dia lode, collabori alla Sua Gloria.

Questa è la sintesi: Gesù! RiconoscerLo è la sintesi di ciò che il mondo può fare verso il Mistero che lo sottende da tutte le parti, il mistero di Dio; questo mondo è oggetto della fantasia creatrice di Dio, oggetto della sua affezione redentrice, oggetto della sua amicizia elettiva, di un Dio che si pone all’uomo come padre.

Se la Sua fantasia creatrice, la Sua affezione redentiva, la Sua amicizia elettiva hanno plasmato l’uomo, è perché voleva stabilire con esso un legame d’amore generativo, continuamente generativo e ultimamente salvifico, trascinando nel Suo vortice amoroso tutte le debolezze e le squalifiche che l’azione dell’uomo meriterebbe.

Dio è come una sorgente infinita di preferenza di cui non deve dar conto a nessuno, ma che ci hanno colpito.

L’uomo perde sé stesso nella pretesa di essere misura di sé, cadendo sotto la pianificazione dei progetti di un potere socialmente dominante per un mondo non libero, quindi schiavo, per esempio, di chi può scrivere romanzi che fanno furore.

La libertà di questo povero uomo è qui:

«Io sono la via, la verità e la vita. Se seguirete la verità, se seguirete me, sarete liberi» (Gv 14,6 / Gv 8,31-32)

«Fac ut ardeat cor meum in amando Cristum Deum ut sibi complaceam»

Bisogna ammettere che questa è l’unica affermazione possibile per un cammino eterno, come è il sospiro e l’aspirazione dell’uomo.

Gesù è l’unica cosa che obbliga l’uomo a giocare tutta la sua libertà!

Come dice Rebora: « Dire sì, dire no/ A qualcosa che io so», che noi sappiamo. Lo sappiamo.

È tutto confuso, ma sappiamo dov'è la sorgente e sappiamo dov'è il punto di riferimento.

Questo povero uomo è, dunque, destinato a superare infinitamente se stesso:

e tutto diventa facile. Il cammino diventa tutto facile.

Tutto è facile, come per un bambino ricercare e seguire. Per un bambino è facilissimo.

Tutto è facile anche se resta drammatico.

Per quanto indifferente ti sembri di essere, seguire è un atto drammatico che devi compiere.

Perché il dramma è il rapporto tra l’io, questo «io» fatto da Lui, e Dio, il Padre, e questo compagno di cammino strano, stupefacente, eccezionale che è Cristo.

Seguire è un atto di libertà, è un riconoscimento della libertà, è il supremo riconoscimento della libertà, perché si segue ciò che si ammette e si riconosce connesso con il Destino, ciò che si riconosce con certezza connesso con il Destino.


L’avvenimento oggi (98)

Punto 1°

La Sua presenza è una cosa semplice da registrare, da cogliere, perché il modo con cui si rende presente questo Mistero, è innanzitutto un avvenimento.

Cambia: è come una interferenza, per cui tutti i suoni e le note della musica che riempiono l’atmosfera restano alterati, acquistano cioè un altro significato.

Esso si presenta sempre sotto la forma di un incontro, di un incontro significativo, di un incontro che cambia qualche cosa – nella nostra mente, nel nostro modo di vedere -, mette per lo meno qualche alternativa alle sicurezze di prima o alle incertezze di prima.

(Estratti di una lettera)

«La settimana scorsa sono stata a Gerusalemme per un congresso e ho avuto modo di visitare i luoghi santi.

[…] Mi ha colpita e commossa anche la storia che è inscritta in quei luoghi fisici.[…] Ma la cosa più bella in assoluto è stata vedere i nostri tre del Gruppo adulto di Nazareth, tre giovanissimi. È bellissimo, è commovente vedere come si trattano, come trattano i frati del Fatebenefratelli che sono con loro e ai quali si piegano in tutto, come trattano gli ospiti.

[…]Io sono stata tre giorni con loro: era evidentissimo in loro come il lavoro della professione profetica non lasci tregua ad ogni azione e ogni azione è “offerta a”. La bellezza e l’intensità umana che ne conseguono sono un cosa splendida da contemplare.

[…] La bellezza umana della loro compagnia mi ha fatto desiderare, per la prima volta con la ragione e il cuore insieme, di poter dare la vita perché il Signore sia ospitato così, viva così tra noi, cioè perché il Gruppo adulto sia, il movimento sia»

È un’altra cosa quella compagnia e il modo con cui agiscono è diverso, diverso: cambia.

È una “dimora” diversa dalle altre quella dell’uomo in rapporto con la casa di Nazareth di tanti anni fa, dove abitava Gesù, e in rapporto con la casa di Nazareth dei tre ragazzi, che sono così perché c’è Gesù in loro e tra di loro. È la stessa cosa, lo stesso Avvenimento e, per chi ci va, lo stesso incontro.

(Dopo il primo incontro con Gesù, Andrea e Natanaèle) «Abbiamo visto il Messia» «Tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il re d’Israele!».

Si sono incontrati con un uomo veramente eccezionale. Eccezionale, così che niente era paragonabile all’impressione che Lui faceva loro.

Ed è un «eccezionale» – quello di Gesù – che corrisponde al bisogno ultimo e profondo del nostro cuore!

Che strano, il nostro cuore ha un bisogno ultimo, imperioso, profondo, di compimento, di verità, di bellezza, di bontà, di amore, di certezza finale, di felicità, perciò l’imbatterci in una risposta a queste esigenze, dovrebbe essere la cosa più ovvia e più normale.

Riconoscere questa eccezionalità è semplice: come trovarsi di fronte a una cosa che ti invade riempiendoti di stupore: tu resti a bocca aperta come un bambino.

La presenza è un avvenimento semplice da constatare, da riconoscere.

Si può dire: è un fatto – un fatto! – semplice da constatare.

È un avvenimento che ti fa compiere l’incontro con una Presenza, la cui sorpresa penetra il tuo essere.

Punto 2° (104)

Per la prima volta, da quando Gesù è venuto, il mondo non è più cristiano.

È riuscito, l’uomo che ha rifiutato Gesù, l’uomo che quando Lazzaro è balzato dalla tomba è corso dai nemici di Gesù ad accusarlo, questo uomo è riuscito a creare un mondo se una società senza Cristo: ci è riuscito.

Il problema tremendo è che il nostro è un mondo, una società senza Cristo: famiglia, scuola, lavoro, vitalità sociale, creazioni sociali, governo dei popoli, guerre e paci senza Cristo.

Di fronte al suo avvenimento o Lo si riconosce o si è ostili – ostile vuol dire nemico.

Un odio a Cristo. Non è una esagerazione.

Questo odio a Cristo qualifica la storia, la storia umana: è come il risultato o documento permanente che la ferita misteriosa del peccato originale lascia nel tempo umano.

Questo odio si articola e diventa concreto giorno per giorno, attraverso tutti i poteri.

L’odio a Lui è il tema necessario – necessario! – per ogni potere, per ogni potere umano che non tragga la sua origine consapevole, umile e drammatica dall’obbedienza al potere supremo del Padre che fa tutte le cose.

I dirigenti, coloro che hanno responsabilità dell’azienda, quasi fosse il loro tempo nel mondo, pretendono, oltre alle ore richieste, anche il tempo libero, in nome dell’amore all’azienda, […] a salvaguardia dei destini della fabbrica.

Nel tempo dell’uomo, che scivola verso il nulla, la pretesa non è solo quella delle ore di lavoro; anche – ripeto – il tempo libero tende ad essere concepito e determinato da chi guida la fabbrica, da chi ha la responsabilità della fabbrica, perché tutto sia il più possibile omologato sotto l’impero della grande menzogna: il ripudio della dipendenza di una forza più grande, da un potere più grande da cui tutti i poteri derivano, da cui ogni essere deriva.

Il mondo non può non odiare Cristo – odiarlo! -. Per questo anche uomini di Chiesa, l’abbiamo visto nel nostro secolo, subiscono e cedono tante volte essi stessi alla grande tentazione.

Questo è il contenuto della pedagogia che in tutte le sue espressioni il mondo adotta: non far più pensare a Cristo.

Cristo è un nome, anche onorevole, se volete, a cui si può pensare leggendo un libro, ma che è totalmente esiliato dalla vita intera dell’uomo.

Quando si tratta di parlare del cristianesimo o di Gesù con un discorso fatto di idee e parole, questo è ammissibile; ma quando Gesù diventa un progetto di vita, a qualsiasi livello, non è più tollerabile, eccetto che a quel livello che non interessa minimamente allo Stato e a tutte le sue trame, eccetto che a livello della coscienza individuale.

Meno di una anno prima della sua morte, nell’ultimo colloquio avuto con Jean Guitton, Paolo IV gli disse:

«C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel vangelo di san Luca: “Quando il figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me è strano. Rileggo talvolta il vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia».

Se Gesù ha detto: «Come il mondo ha odiato me, così odierà anche voi», noi non siamo appena responsabili dell’odio a Cristo, ma siamo anche vittime dell’odio del mondo.

Punto 3° (113)

Vediamo ora, proseguendo l’amarezza della meditazione vera che stiamo facendo, l’ultimo capillare dell’odio a Cristo.

Il capillare più interessante, il terminale più decisivo dell’odio a Cristo è in me, è in te, è nella mia mente, è nel mio cuore, nella tua mente, nel tuo cuore: il rifiuto comincia lì, la dimenticanza è generata e coltivata lì, l’assenza e l’inospitalità si induriscono lì, in te, in me.

L’odio, non clamorosamente espresso – non necessariamente -, l’odio, almeno come estraneità palesemente confortata e alimentata, questo è in me, è in te.

Tu ed io siamo chiamati, attraverso la vocazione cristiana, a rendere presente il mistero della Sua presenza, facendo della Sua volontà la forma delle nostre azioni.

Per essere non cristiani non è necessario ammazzare o andare contro tutti i dieci comandamenti di botto: è l’assenza di Cristo che rende tali.

L'assenza di Cristo è l'assenza della Sua vita.

La nostra mancanza di ospitalità blocca la possibilità di comunicazione del messaggio che Cristo è destinato a portare nel cuore di ogni uomo e perciò blocca l’evoluzione più buona dell’umanità.

L’assenza di Cristo demolisce e deprime, mette sotto forma stabile di depressione l’umano

Meno possibilità della Tua presenza, o Cristo, meno umanità per il mio cuore e il tuo cuore; meno possibilità della Tua presenza, o Cristo, meno umanità nel rapporto dell’uomo con sua moglie, della donna coi suoi figli.

Questo atteggiamento da che cosa è provocato? Anche in me, anche in te, è provocato dalla stessa fonte avvelenata del mondo, della storia del mondo, quella fonte avvelenata della menzogna che costituisce il mistero del peccato originale.

Se c’è un’ipotesi di apertura e di luce, è il Mistero. E il Mistero è la strada da seguire.

Punto 4° (117)

L’origine di questo nostro atteggiamento, dunque, è la stessa origine che ha la cattiveria del mondo: il peccato originale.

Ma c’è un altro motivo: nessuno ci educa.

Non siamo educati.

Occorre che questa mancanza di educazione sia rimediata. È per una educazione che tu mi stai vicino: questa è la prima coscienza da acquisire.

Educarci, tu ed io: questo è lo scopo.

Ed educarci vuol dire entrare dentro nella realtà tutta, dentro tutto il tempo, tutto lo spazio, e conoscere e abbracciare tutto il riverbero che tempo e spazio hanno sullo sviluppo della nostra mente e del nostro cuore, della nostra anima, del nostro io.

Perciò tutto si viene a conoscere in modo giusto.

Cristo è tutto! L’odio a Cristo è l’odio al senso della vita, perché il senso della vita dà una responsabilità che uno non può più gestire per sé stesso, è una responsabilità davanti a un Altro, a quell’Altro da cui tutte le cose fluiscono, a questo uomo, Gesù, che è l’Altro – Iddio, il mistero di Dio – diventato carne.

Perciò, l'odio a quest'uomo è odio al nostro stesso destino di felicità, di saggezza, di verità, di bellezza.

Tutto questo è, se avviene in noi, l’odio a Cristo: dimenticanza o indifferenza, è lo stesso.

Comunque il mondo ci insegna a odiare il destino.

È odiato il nostro destino; il mio destino è odiato dal mondo, così come è odiato Cristo.

La nostra educazione è metterLo nella nostra testa, e metterLo nel nostro cuore […] brandendo tutta quanta la capacità di morso che Egli ha sulla nostra carne e sulle nostre ossa.

E così, noi arriviamo a un punto – se siamo fedeli nel tempo – a un punto di tempo, un momento di tempo, in cui tutto questo diventa improvvisamente evidente e comprendiamo che al di fuori di questa proposta, che ci abbraccia penetrandoci, non c’è né compagnia, né parentela, né fine, né destino, né significato, né vita.

Noi, purtroppo, collaboriamo col mondo a guerreggiare contro Cristo, al quale siamo ostili almeno per questa terribile e disumana cosa che sono la dimenticanza e l’indifferenza.

È questo che ci rattrappisce: la dimenticanza e l'indifferenza.

Sapete qual è il sintomo che questo atto di accusa o, meglio, che questo richiamo doloroso che facciamo a tutti noi è vero?

È l’inospitalità, l’estraneità, la superficialità, il formalismo, l’astrattezza, la non tenace ricerca che noi viviamo verso la Scuola di comunità.

Bruci tutto il movimento, si svaghi nell’aria tutta la realtà del movimento, muoia il movimento se la Scuola di comunità non diventa parola mia, evidenza mia, ragione mia, cuore mio, affezione mia, suggerimento di parola, di preghiera mia, se essa non mi presenta la grande ipotesi del Tuo volto, o Cristo, la grande immagine della Tua presenza.

La Scuola di comunità è lo strumento che ci ridesta a questa Presenza e, lentamente, insieme, fa penetrare questa Presenza, la fa sentire, la fa capire, mi fa stupire, ci rende discepoli.

Oggi dobbiamo chiedere a Cristo perdono e aiuto per la nostra convivenza che, se non parte dalla intelligenza, non è umana, non sarebbe umana, sarebbe greggismo devoto, una “piosità” da schiavi, direbbe Péguy, non degna di Dio né dello spirito di ognuno di noi.

La Scuola di comunità ci forma a capire come questa esperienza sussista senza che noi ce ne accorgiamo, come essa debba diventare nostra; se è fatta diventare nostra, allora ingrandisce.


La scaturigine della moralità (124)

Punto 1°

«Tu chi sei?» Cristo ha risposto: «Io sono il mandato dal Padre» ( Gv 8, 25-29), l’espressione tra gli uomini del mistero del Padre, la presenza tra gli uomini del mistero che fa tutte le cose, a cui tutti gli uomini sono soggetti.

Per questo l’orgoglio dell’uomo si è ribellato dalle origini, pretendendo una autonomia impossibile.

L‘autonomia dell’uomo di fronte al mistero di Dio equivarrebbe alla nullificazione dell’uomo, al ritorno al nulla.

Così, nei dialoghi più drammatici che Gesù ebbe a sostenere, quanto spesso ha usato questa definizione di sé come contenuto di risposta!

  • «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,38-39.44).
  • «Io non sono venuto da me, e chi mi ha mandato è veritiero e voi lo conoscete» (Gv 7,16-28).
  • «Non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato non mi lascia solo» (Gv 8,16.26-29).
  • «Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e che a Dio tornava...» (Gv 13,23)
  • «Se conoscete me, conoscerete anche il Padre […] Chi ha visto me, ha visto il Padre […] Io sono nel Padre e voi in me»; «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato». (Gv 14,7-9.20.31).
  • «Hanno visto (le mie opere) e hanno odiato me e il Padre mio» (Gv 15,15.24).
  • «Tutto quello che il Padre possiede è mio»; «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo»; «Voi vi disperderete […] ma io sono solo perché il Padre è con me» (Gv 16,15.28.32).

Leggere il Vangelo di San Giovanni, cercando di sorprendere ogni espressione in cui Gesù traduce questa sua coscienza d’essere il mandato dal Padre, genera una commozione di fronte al Mistero, perché questo Mistero è il senso del moto dell’universo ed è il senso della storia umana.

Punto 2° (126)

(Pietro quando va alla riva dove Gesù, risorto, sta cucinando del pesce) […] tutta la sua vita, anche nella familiarità con il Maestro, tutta la sua vita era stata tribolata, per il suo carattere impetuoso, per la sua imponenza istintiva, per il suo farsi avanti…

In quel suo difetto vedeva che tutto era difettoso in lui: quel tradimento gli aveva fatto emergere con chiarezza tutto il resto dei suoi errori e quanto lui non valesse niente, quanto fosse debole, debole da far compassione.

Ma da quell’incontro, Egli ingombrò tutto il suo animo, tutto il suo cuore.

Con quello dentro il cuore, con la memoria di Lui continua, guardava la moglie e i bambini, e i compagni di lavoro, e gli amici, e gli estranei, i singoli e le folle, e pensava e si addormentava.

Quell’uomo era diventato per lui come una grande, immensa rivelazione non ancora chiarita.

«Simone, mi ami tu?» «Sì Signore, io Ti amo» come facevi, Simone, a dir così? Come faceva a dir così dopo tutto quello che aveva fatto? Quel «» era comunque l’affermazione del riconoscimento di una eccellenza suprema, di una eccellenza innegabile, di una simpatia che travolgeva tutte le altre.

Tutto resta inscritto in quello sguardo: Tu e io.

Coerenza e incoerenza era come se passassero finalmente in secondo ordine, dietro alla fedeltà che sentiva carne della sua carne, alla forma di vita che quell’incontro aveva plasmato.

È questo «» la scaturigine della moralità, il primo fiato di moralità sul deserto arido dell’istinto e della pura reazione.

Non c'è moralità senza che il gesto abbia come motivo una Presenza.

La moralità esige, per esser posta, una risposta.

L’azione morale è una risposta a una domanda che sale dalle profondità del nostro essere – dal cuore, direbbe la Bibbia, dal nostro cuore -: è una risposta al Mistero che ci fa. Mistero che ci fa: nessuno sa dire come noi «Padre» a Dio.

«Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà»: così il mandato dal Padre ci ha insegnato a iniziare la nostra vita insensata, la nostra vita tesa al compimento: la nostra moralità.

Non esiste moralità al di fuori di un dialogo con «la» Presenza, con una persona che è «la» Presenza.

L’uomo sussulta per qualsiasi percezione abbia della grande Presenza, reale, da cui tutto il suo essere nasce.

Perché il «» di Pietro è scaturigine della moralità?

Pietro ne aveva fatte di tutti i colori, eppure viveva una simpatia suprema per Cristo.

Capiva che tutto in sé tendeva a Cristo, che tutto si raccoglieva in quegli occhi, in quella faccia, in quel cuore.

Non si potevano obiettare i peccati passati; neanche l’incoerenza futura era obiezione: Cristo era la fonte, il luogo della sua speranza.

Egli è comparso davanti a noi e ha detto: «Tu fai questo; la tua vita dammi per questo; compi questo ufficio; realizza questo compito nella tua vita». Mi ha dato una vocazione.

Ed è in Lui che io ho la speranza; ho speranza in Lui a prescindere o prima di aver contato gli errori o le virtù mie.

In Te ho questa speranza, chiunque io sia, per quanti errori abbia commesso e che adesso neanche il ricordo, ma, chiunque io sia, Tu sei la mia speranza.

Allora scaturisce, scatta dal fondo, il fiore del desiderio della giustizia, del desiderio dell’amore vero, autentico, della capacità di gratuità: «Chiunque ha questa speranza in Lui, purifica se stesso, come egli è puro».

Solo l’uomo che vive questa speranza in Cristo continua la sua vita nell’ascesi, nello sforzo per il bene. E anche quando egli sia palesemente contradditorio, desidera il bene.

La moralità, l’essere morale, il dover essere: questo scompiglia l’uomo, fa impaurire, ma Cristo no.

Punto 3° (134)

Come mail il «» a Cristo è detto da Simone?

Il perché di questo «» era che aveva intravisto in quegli occhi che l’avevano fissato quella volta, che lo avevano fissato tante volte durante le giornate seguenti, gli anni seguenti, aveva intravisto chi era Dio, chi era lo Jahvè biblico, il vero Jahvè, la verità su Jahvè.

Dio si riposa, secondo S.Ambrogio, propriamente non per il fatto di aver creato l’uomo comunque, ma l’uomo in quantoessere cui rimettere i peccati”. […]

È come dire che Dio, per un disegno misterioso e mirabile, le cui ragioni appartengono al suo insondabile segreto, quando decide di creare vuole esprimere di sé come prerogativa ultima e compiuta la sua misericordia.

Crea l'uomo per essere misericordioso.

Questo ha sentito Simone, da qui nasce il suo: «Sì, io Ti amo».

Il senso del mondo e della storia è la misericordia di Cristo.

Giovanni Paolo II, nella sua enciclica sulla misericordia, ridice appunto questo: che la misericordia è l’estrema definizione di Dio che il cristianesimo conosca, l’estrema, l’ultima.

Amarlo sopra ogni cosa, dunque, non vuol dire che io non abbia peccato o che io non abbia a peccare domani.

[…] Noi attingiamo letizia. Letizia, perché uno, con la coscienza di tutta la sua pochezza, è lieto di fronte all’annuncio di questa misericordia: che Tu, Gesù, sei misericordia.

È mandato dal Padre per farci conoscere che l’essenza di Dio ha come caratteristica suprema per l’uomo la misericordia: «Tutto questo (i peccati passati) non esiste, non è mai esistito: Egli solo è».

È da questa letizia che sorge la pace, la possibilità della pace. Anche in tutte le nostre sfortune, anche in tutte le nostre cattiverie, anche in tutte le nostre incoerenze, in tutta la nostra debolezza, in questa debolezza mortale che è l’uomo, noi possiamo realmente respirare la pace, sospirare la pace, generare pace.

Generare pace e rispetto dell’altro.

È nel rispetto dell’altro che si genera la pace con l’altro, perché rispettare l’altro vuol dire, come l’etimologia della parola suggerisce, guardare l’altro con l’occhio a un’altra Presenza.


Assemblea (140)

Il «» di Simone è l’inizio di una strada morale, di una morale.

La strada morale si apre con quel «» o no si apre.

Il «» di Simone è l’inizio di una moralità vera. della moralità vissuta.

È l’inizio della storia umana, quando la vita diventa storia umana, veramente umana, cioè morale.

Quel «» inizia questa strada.

Non è l’analisi dei fenomeni che gremiscono l’esistenza dell’io, della persona, non è l’analisi dei comportamenti umani in vista di un bene comune; non è questo l’inizio di una morale; può darsi che questo sia l’inizio di una morale laica, ma non di una morale umana.

L'atto di inizio di una moralità umana è un atto d'amore.

Per questo esige la presenza, esige una presenza […] che colpisca, raccolga tutte le nostre forze, le solleciti attraendole a un bene ignoto, eppur desiderato, eppure atteso.

Protagonista della morale è la persona intera.

E la persona ha come legge questa parola che tutti crediamo di sapere: la persona ha come legge l'amore.

«Dio, l'Essere, è amore»

1 Giovanni 4,8

L’amore è un giudizio commosso per una Presenza connessa col destino…[…] che io scopro, intravedo, presènto connessa con il mio destiono.

Su questo vi prego di fare attenzione.

Stefano Alberto: Tu hai sottolineato che il cammino del Signore è semplice. Semplice è riconoscerLo, semplice è dire di sì.

E tanti chiedevano: «Ma se è semplice, perché l’esperienza quotidiana indica piuttosto una fatica per riconoscerLo, una fatica invece di una semplicità nell’affrontare le circostanze di ogni giorno?»

Giussani: La semplicità è l’applicazione della fede, della speranza e della carità. Ho il presentimento e sono spalancato a questo presentimento: fede.

Certo manchiamo di semplicità. Ecco la risposta!

La semplicità è portare avanti, seguire lo sviluppo e l’evoluzione di un sentimento che è nato in noi o di un progetto che abbiamo incominciato, senza che nient’altro dall’esterno, nient’altro perciò di estraneo, intervenga a mobilitare diversamente il mio impegno, ma operi solo la sorgente da cui l’impegno è iniziato, che ha destato in me la fantasia e la volontà di quell’impegno.

Non semplice o artificioso è ciò che evolve qualcosa che è iniziato in me introducendo, lasciando che si introducano fattori esterni, che hanno altro motivo di ragione per esserci e per muovermi. Mentre la semplicità è rimanere alle ragioni che nascono dalla fonte che Dio m’ha fatto scaturire dal cuore.

La prima idea che mi premeva sottolineare è che il «» è l’inizio di una vita morale, l’inizio di una strada morale.

Tant’è vero che il capitolo 21 di san Giovanni termina con l’ingiunzione più grave dell’obbedienza, della virtù dell’obbedienza, che è una virtù morale: «Seguimi».

È la virtù più difficile che esista, perché per arrivare al mio destino io debbo aderire al disegno di un Altro, alla misura di un Altro, ai passi di un Altro, alle mosse di un Altro, a un Altro, ai passi di un Altro, alle mosse di un Altro, a un Altro, un Altro: devo obbedire!

Del resto il soggetto dell’atto morale è la persona e la legge di una persona è l’amare: affermare un altro.

L’amore, infatti, è un giudizio morale commosso per una presenza connessa . che noi almeno presèntiamo connessa – con il nostro destino.

Seconda idea: Questa strada morale incomincia con il «».

Immaginatevi Pietro mentre dice: «Sì, io Ti amo»: tutto comincia da lì, tutta la sua vita.

Questa strada assicura il nesso tra l’amore a Cristo, tra il modo con cui io mi rapporto con Cristo, e la missione, cioè lo scopo ultimo per cui il Creatore mi dà la vita e si fa riconoscere come Padre.

Assicura il nesso tra la coscienza che ho del rapporto con Te, o Cristo, e la missione, il compito di tutta la mia vita.

[…] tanto che nel breve quadrato o rettangolo di stanza in cui servo […] mia madre, mio marito: servendo mio marito servo il Mistero che fa tutte le cose.

Non è umano un gesto se non si rapporta alla totalità.

E la legge morale altro non è che la descrizione di come una situazione come quella che sto vivendo possa essere al servizio di Dio nel Suo disegno totale.

Io, mentre vi parlo, posso dire dentro di me con sincerità: «Padre, Ti offro questo sacrificio, questa umiliazione di parlare della Tua parola con questa grevità, con questa pesantezza, con questa incapacità, in questa sproporzione; Te lo offro per il mistero della Croce di Tuo Figlio.»

Questo rende giusto il parlarvi: non quel che dico, ma ciò per cui lo dico. Ma il “mio” atto, il ripetervi quelle parole sacrosante questo dipende da me: è quel famoso giudizio commosso per una presenza connessa con il mio destino.

La strada morale, il «» di san Pietro, apre la connessione della mia vita chiamata, la vocazione della mia vita, col disegno universale di Dio.

Ma questo nesso, che cosa produce? In che cosa consiste?

Questa connessione Gesù la esprime rispondendo al «» di Pietro con una frase semplice a capirsi: «Pasci i miei Agnelli, Pasci le mie pecorelle. Pasci il mio gregge».

[…] questo gregge è un insieme vivente nuovo che diventa protagonista della storia, diventa lo strumento di Cristo, della vittoria di Cristo nella storia, della gloria di Cristo nella storia.

Il «» di Simone diventa così l’inizio di un rapporto nuovo dell’uomo, della singola persona, con tutto, con tutta la realtà.

Il rapporto con la realtà cambia aspetto: il rapporto tra uomo e donna cambia aspetto; le regole di una educazione cambiano aspetto; il modo di alzarsi al mattino o di andare al lavoro cambia aspetto; il modo di affrontare la pesantezza di una incongruenza, o di un dubbio che viene, o di un interrogativo che grava sul cuore, diventa diverso; davanti a una morte e davanti a una vita che nasce, l’atteggiamento diventa diverso.

In tutti gli atteggiamenti diversi trionfa la pietà, la pietà che Cristo ebbe per l’uomo.

Pietro è stato il primo pastore che Egli ha posto a guida di questo gregge senza pastore, che è l’insieme vivente umano senza di Lui.

Ma leggiamo la Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi, capitolo quarto, i versetti dal 4 al 9: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini.» «La vostra affabilità»: ci sono persone che sono così umane dei rapporti, che sempre fanno venir voglia di appoggiarsi a loro, di andare da loro, di sentire loro.

Ecco, questa affabilità sia caratteristica di tutti gli appartenenti a questo gregge, che è questa nuova realtà vivente.

«In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi»

Fil 4,4-9


Tutto, tutto diventa familiare e interessante: interessante quando ci si imbatta in esso, familiare sempre, anche quando non è ancora visto, anche quando non lo si conosce.

Tutto quello che c’è, tutto quello che esiste viene abbracciato dalla mia vita.

Non vi è condanna per nessuno, ma solo netto contrasto, netta insurrezione contro il metodo del mondo e della sua vita.

Perciò – ed è la terza osservazione su cui volevo attestami – l’odio del mondo è reale, l’odio del mondo a Cristo è reale, reale!

È odio a Cristo e a chi Lo rappresenta, a chi cioè prende sul serio la sua vita come sequela di Cristo, a chi Lo testimonia.

Anzi, non potendo accoppare più Cristo, accoppano i testimoni.

È odio reale e anche menzogna cosciente fare e dire e sostenere ciò che non è vero.

Chi non riconosce Cristo, chi lavora con questo odio contro la verità di Cristo, odia anche la persona: è intollerabile, per lui, anche la mia persona, la persona del testimone.

Stefano Alberto:Sì ma qualcuno ha obiettato: «Ma dov’è questo odio nel mondo? Non è un poò esagerato parlare di odio a Cristo?

Giussani: Figlio mio, Svegliati! Leggi certi giornali tre giorni di seguito: è una penitenza non da poco, ma falla!

Elliot (nella prima metà del secolo scorso) nei Cori da la Rocca:

(Estratti da pag. 150) «Vi ho dato la parola, e voi l’usate in infinite chiacchiere, Vi ho dato la mia Legge e voi fate contratti, Vi ho dato le labbra, per esprimere sentimenti amichevoli, Vi ho dato i cuori, e voi li usate per sospettarvi.

Leggete molto, ma non il Verbo di Dio, costruite molto ma non la casa di Dio.

[…] Dove il Mio Verbo non è pronunciato […] e il vento dirà: Qui atei dignitosi vi furono: unico loro monumento la strada asfaltata e un migliaio di palline di golf perdute”.

[…] Che concetto avete della vostra convivenza civile? “Vi accalcate vicini perché vi amate l’un l’altro?” Cosa risponderete? ” Ci accalchiamo per trarre denaro l’un l’altro”?, per sfruttarci oppure “Questa è una comunità?” È l’ideologia al potere»

Elliot – Nei Cori da la Rocca

Prima di conoscere Elliot noi conoscemmo un prete cecoslovacco. Adesso è morto. Ma che grandezza quell’uomo, da come l’abbiamo conosciuto, nella profondità del suo cuore, quando abbiamo letto la sua Lettera ai cristiani d’Occidente:

«Fratelli, voi avete presunzione di portare utilità al regno di Dio assumendo quanto più possibile il saeculum, la sua vita, le sue parole, i suoi slogan, il suo modo di pensare.

Ma riflettete, vi prego, cosa significa accettare questa parola. Forse significa che vi siete lentamente perduti in essa? Purtroppo sembra che facciate proprio così. È ormai difficile che vi ritroviamo e vi distinguiamo in questo vostro strano mondo. Probabilmente vi riconosciamo ancora perché andate per le lunghe, per il fatto che vi assimilate al mondo, adagio o in fretta, ma sempre in ritardo. Vi ringraziamo molto, anzi quasi di tutto, ma in qualcosa dobbiamo differenziarci da voi.

Abbiamo molti motivi per ammirarvi, per questo possiamo e dobbiamo indirizzarvi questo ammonimento. “E non vogliate conformarvi a questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, affinché possiate distinguere qual'è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli è gradito, ciò che è perfetto" (Romani 2,2)

Non conformatevi! Mè syschematìzesthe! Come è ben mostrata in questa parola la radice verbale e perenne: schema.

Per dirlo in breve, è vacuo ogni schema, ogni modello esteriore. Dobbiamo volere di più, l’apostolo ci impone:Cambiare il proprio modo di pensare in una forma nuova".

[…[ Non si cambia secondo un qualsiasi modello che è comunque sempre fuori moda, ma è una piena novità con tutta la sua ricchezza. Non cambia il vocabolario ma il significato. Quindi non contestazione, desacralizzazione, secolarizzazione, perché questo è troppo poco di fronte alla ricchezza cristiana.

Riflettete su queste parole e vi abbandonerà la vostra ingenua ammirazione per la rivoluzione, il maoismo, la violenza (di cui comunque non siete capaci). Il vostro entusiasmo critico e profetico ha già dato buoni frutti e noi, in questo, non vi possiamo indiscriminatamente condannare. Solo ci accorgiamo, e ve lo diciamo sinceramente, che teniamo in maggior stima il calmo e discriminante interrogativo di Paolo: “Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede, fate la prova di voi medesimi. O non conoscete forse neppure che è in voi Gesù Cristo?” (2Cor 13,5).

Non possiamo imitare il mondo proprio perché dobbiamo giudicarlo, non con orgoglio e superiorità, ma con amore, così come il Padre ha amato il mondo (Gv 3,16) e per questo su di esso ha pronunciato il suo giudizio.

Non pensare e in conclusione arzigogolare, ma pensare con saggezza (cfr Romani 12,3). Essere saggi così che possiamo discernere quali sono i segni della volontà di Dio. Non ciò che è parola d’ordine del momento, ma ciò che è buono, onesto, perfetto. Scriviamo come gente non saggia a voi saggi,, come deboli a voi forti, come miseri a voi ancora più miseri! E questo è stolto perché certamente fra di voi vi sono uomini e donne eccellenti».

Josef Zvěřìna

Allora, in un quarto passaggio, possiamo ben sintetizzare che cosa quel «» di san Pietro a Cristo produce, o quali siano le condizioni in cui quel «» può essere detto in modo veritiero, autentico, semplice.

Innanzitutto, Gesù, mentre chiedeva: «Simone, mi ami tu?», distruggeva nella mente di lui ogni risentimento, anzi, ogni ricordo di tutte le magagne e di tutti i tradimenti di quel pover’uomo che aveva davanti.

La condizione perché il «» di san Pietro produca una nuova umanità, un popolo nuovo, quindi un flusso umano diverso, desto, vigile, con una mentalità, con uno sguardo che vede le cose, giudica le cose, tratta le cose in modo diverso da quello del mondo; perché questo «» diventi fecondo, così evidente nella sua fecondità, così decisivo per la storia dell’umanità, così protagonista degli eventi umani, occorre che esso si esalti, si appoggi, costruisca, accetti – accetti – il perdono.

Accettare il perdono è forse la cosa più difficile, anche se rimane semplicissima: è semplice, ma dura.

All’origine del popolo nuovo c’è il perdono, su cui si costruisce il «», e che viene ottenuto da quel «» per tutti.

Il perdono è innanzitutto una riduzione a nulla di tutto quello che ho fatto. Ma anche di tutto quello che farò.

E, in secondo luogo, il «» di san Pietro sprigiona una attività che è in contraddizione con le approssimazioni, le negazioni e gli odi mondani.

Allora diventa abituale nello svegliarsi al mattino, dicendo l’Angelus, offrendo la giornata, aver presente che la propria debolezza, negli errori che commetterà quel giorno, è già perdonata. Perciò si offre la giornata: Ti offro, Dio, questa mia giornata, comunque sia, perché, da una parte, Tu l’abbia a perdonare, abbia ad azzerare il ricordo dei miei mali, e, dall’altra, Tu abbia a tenerla tesa, tesa a Te, in tensione verso di Te.

Dentro il perdono, appoggiati al perdono, si riprende da capo mille volte al giorno.

Esattamente come un padre e una madre di fronte al bambino piccolo: gli perdonano continuamente, debbono perdonare continuamente perché cresca. E non ci sarà mai fine a questo perdono, anzi, dovrà aumentare col tempo che passa.

Ultima osservazione: il popolo che ne nasce è uno, uno, uno!

«Tutti voi […] che siete stati battezzati vi siete rivestiti di Cristo: non esiste più né giudeo, né greco, né schiavo, né libero, né uomo, né donna, ma tutti voi siete una persona sola in Cristo Gesù»

Gal 3,26-28

Questa unità non è una omologazione o una identità di volti senza senso, senza significato: sono volti precisi, ogni gruppo, ogni realtà di questo popolo, essendo nato da una grazia particolare dello Spirito, grazia particolare che si chiama «carisma».

Ogni pezzo di questo popolo nasce da una storia in cui un incontro ha messo insieme le persone e segnato la via.

La verginità è riconoscere Cristo «tutto in tutti»; tendere a vivere Cristo «Tutto in tutti», non esonerandoci dal nesso con le singole cose, con le singole persone, ma plasmando questo nesso secondo una verità che non avremmo mai sognato e che non riusciamo a raggiungere bene, ma che siamo sicuri di raggiungere un giorno, il giorno che Lui vorrà.

Perciò la verginità è l’ideale della purità, dell’ascesi, che il «» di san Pietro apre per tutti i cristiani, qualsiasi compito chieda loro: famiglia o sacrificio della propria vita per richiamare a tutti gli altri cristiani e a tutti gli uomini che l’unico valore della vita è Cristo e il sacrificio è offrire tutta la vita a Cristo.

L’unità del popolo cristiano è l’unità dei singoli gruppi, quelli nati e investiti dalla stessa grazia dello Spirito, o carisma, si costruisce così.

Innanzitutto, c’è un avvenimento iniziale che rivela un bisogno pertinente alla esistenza e alla sopravvivenza stessa del popolo.

Poi questo inizio, questo avvenimento iniziale mantiene il suo principio di unità innanzitutto come sussidiarietà realizzata.

Quindi sussidiarietà come facilitazione alla via: la via è resa più facile come difesa dal nemico – il nemico è il mondo, la realtà, in particolare la realtà umana, concepita non dal punto di vista di Cristo, non come riferimento a Cristo – e ogni momento è un cosciente passo per raggiungere il destino.

In tutto ciò, ultimamente, si esaurisce il significato del popolo; si esaurisce per l’eternità, per vivere l’eterno che è dentro tutto quello che si fa, si esaurisce come collaborazione allo scopo della creazione, come collaborazione a Gesù in croce.

Questo popolo è fatto da gente che tutte queste cose, in qualche modo, accetta di viverle; ne sente il riverbero, e là dove ancora non le capisce bene, chiede a Dio la grazia di capire e ai fratelli la grazia di essere aiutata.

Per esempio, quando uno si allontana da questa compagnia, quando uno se ne va, si porta dietro una nostalgia che il tempo che passa acuirà come una strozza alla gola.

Lettera: «Carissimo don Giussani […] l’esperienza che ho fatto alle vacanze internazionali a La Thuile, dove centinaia di persone vivevano con un cuor solo, unico, fà sì che ogni volta di più io senta questa storia come assolutamente mia. Voglio permanere in questa compagnia, caro don Gius, perché è l’unica che mi fa ricordare – in mezzo alle mie distrazioni, alle mie difficoltà, alla mia incostanza – qual’è il vero destino della mia vita, il modo vero di guardare mia moglie patrizia, i miei quattro figli, i miei amici, le persone che dipendono da me nel mio lavoro e tutta la realtà.

[…] Grazie per i fratelli maggiori che ci hai donato: mi sono particolarmente vicini e sono alcuni dei volti più autorevoli che ho davanti a me. Ti lascio con un forte abbraccio dall’Argentina. Jorge Maria

E, finalmente, quest’ultima testimonianza che proviene dalla giovanissima comunità di Novosibirsk in Siberia.

«Caro don Giussani, […] Se sapesse quante e quali discussioni e liti con Paolo sulla utilità della Scuola di Comunità! Consideravo senza senso trovarsi a leggere un libro che non toccava il mio cuore ed era scritto in modo totalmente complicato.

In quest’anno e mezzo, quasi non capivo una parola, nulla mi toccava: era noioso.

Sono andata a casa e, un po’ per curiosità, e un po’ per spirito di iniziativa, mi sono seduta e ho incominciato a leggere quasi tutto il libro. Dietro aride e morte parole, d’improvviso ho sentito un discorso vivo: ho incominciato a immaginarmi lei con i suoi studenti, le lezioni. Mi sono immaginata come se fossi una sua studentessa, lì ad ascoltare una lezione.

Ho pensato il senso di quelle parole così: ho cominciato a paragonare la mia vita con quelle parole.

Ora Il senso religioso non mi lascia mai. la ringrazio con tutto il cuore. […] Ora sono veramente me stessa e la mia vita, il mio cuore, non sono più uno spazio angusto, ma allargato al mondo intero, all’intero universo. Comincio a capire che Dio è con me, che cosa è la libertà, l’amore. La ringrazio. Possa darle Dio ogni bene. Con rispetto e riconoscenza, Natasha»

Siamo in cammino: c’è un futuro, c’è un domani dell’oggi, nel quale la speranza troverà più spazio per realizzare nei suoi contenuti quello che il tempo di oggi sembra non svelarci e non darci, lasciando quasi nell’incognito il messaggio che ci portiamo e che ci ripeteremo sempre.

La Madonna ci aiuterà, e ci aiuteremo tutti insieme come fratelli, nel capire il messaggio che ci vien portato, ma soprattutto nel viverlo dentro la carità fraterna.

Nessuno di noi deve avere un bisogno senza che lo possa confidare e condividere con chi gli sta vicino o lontano.


Esercizi spirituali predicati da don Giussani

1° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA


2° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE


3° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE


4° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO


5° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI


6° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO


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