1996 – Esercizi «Alla ricerca del volto umano»

1996 – Esercizi don Giussani “Alla Ricerca del volto umano” – Collana “Cristianesimo alla prova”


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L’AMICIZIA (167)

Stamattina, leggendo il «Corriere della sera»,, notavo la ricchezza sia quantitativa di nomi, noti o non noti, e improvvisamente mi è parso che il denominatore comune di tutte queste citazioni fosse questo: ognuno di loro, più o meno seriamente, identificava il problema che la sua vita doveva affrontare e servire con un particolare da lui fissato o fissatogli dalle circostanze di lavoro.

Se il denominatore era uno solo – un particolare, la riconduzione del problema della vita ad un particolare, selezionato fra tutta la ricchezza dei fattori componenti il mistero del mondo o il gioco del mondo-, ciò che nasceva era una confusione di Babele, una torre di Babele.

E poi era come se ognuno, detto quel che doveva dire, identificato il punto su cui voleva responsabilizzarsi, detto quel che doveva dire per rispondere a tal senso di responsabilità, se ne andasse via per il suo cammino, più solitario che in compagnia.

Ma che cosa fa la differenza fra noi che diciamo: «Crediamo», partecipando con maggiore o minore intensità e fedeltà, e tutti coloro che vivono così come si deduce da quelli che scrivono sul «Corriere della sera».

Forse una parola dice tutto: c’è una semplicità […] occorre una semplicità da bambini.

«Ti ringrazio Padre, perché hai svelato questo cose ai semplici e le hai tenute nascoste a coloro che credono di sapere. Sì, Padre, così piacque a Te».

Mt 11,25-26

Mi viene in mente un brano della liturgia ambrosiana:

«Nella semplicità del mio cuore lietamente Ti ho dato tutto».

«Renderò evidente la Mia presenza dalla letizia del loro cuore»

Che immensa semplicità occorre, solo un’immensa semplicità può cacciar via l’accusa di presunzione da una simile pace!

E infatti la letizia è proprio un lascito di Gesù: «Vi ho detto tutto quello che vi ho detto, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

La letizia può essere data solo da una chiarezza, da qualcosa che al cuore appare chiaro, cui il cuore può accedere con umiltà, riconoscendo i propri limiti; e questi non diventano obiezione al pensare, al vedere, al sentire e al fare le cose che, senza questa compagnia, che da Cristo proviene, è impossibile reperire altrove: è un’opera che eccede le mani che le fanno, le mani umane che le compiono.

Volantone 1996

volantone 1996 (ingrandisci)

«La speranza è una certezza nel futuro in forza di una realtà presente»

E la certezza nel futuro può essere “razionalizzata”, può trovare ragione solo in qualcosa che è presente, visto, sperimentato, trovato o presentito nel presente.

È un presente che pone la questione della possibile speranza: letizia e gioia sono solo nella speranza.

La prima lettera ci viene dal cuore della Siberia, da Novosibirsk, dove il parroco è un nostro noto amico: don Paolo Pezzi:

(Estratti) «Carissimo don Giussani, mi sembra , questo tempo, vivo di una drammaticità nuova: l’accorgersi dello scorrere della umanità di Cristo nelle mie vene. Cos’è che dominava Cristo, l’umanità di Cristo? Era la gloria del Padre in Lui, nel Figlio, che fosse conosciuto e amato. Ma cosa domina la mia umanità? È lo scopo, lo scopo che sento essere della vita e del tempo mio e del mondo: la gloria di Cristo. Questo è più vero della meschinità dei miei tradimenti, che pure resta.

Come avveniva nella coscienza dell’uomo Cristo? Avveniva come rapporto col Padre, come coscienza di essere mandato dal Padre, per cui andava di qua e non di là.

E come può avvenire per me? Come coscienza di un rapporto generativo reale, concreto, oggettivo, non deciso da me: rapporto che ho con don Massimo e la Fraternità in cui Dio m’ha messo, rapporto che mi apre e mi avvicina a te, al carisma, e in questo modo mi apre all’orizzonte della Chiesa tutta e a Cristo.

In questi giorni pregherò perché la gente che partecipa agli Esercizi della Fraternità sia contenta».

Ed ecco la seconda lettera

«Carissimo don Giussani, ho ricevuto da alcuni giorni la lettera in cui mi viene comunicata la designazione a responsabile regionale della Fraternità in questa regione e volentieri rispondo accettando tale compito. Desidero comunicarti solo due cose delle tantissime che il cuore mi suggerisce.

Primo: Sono proprio grato di averti incontrato. Non poteva succedermi qualcosa di più bello, di vero in tutta la vita.

Secondo: sono grato della responsabilità a cui sono chiamato perché in questi anni il rispondere sta diventando lentamente la modalità stessa della mia vocazione nella famiglia, nel lavoro, nel movimento, nel mondo. Ti abbraccio, Domenico»

Questa terza è proprio semplice: «Caro papà, sono contento che predichi gli esercizi spirituali con don Giussani a Rimini, e aspetto di venire anche io quando sono grande come te. Andando a scuola tutte le mattine, ci hai fatto dire Gloria a san Pampuri. Tu sei proprio un grande papà. Pietro» (di sette anni).

La fatica che abbiamo fatto venendo qui, la fatica che abbiamo accettato è perché questo lavoro dia frutto in noi, per quelli che ci stanno vicino e per la Chiesa tutta, per la nostra povera patria e per il mondo, tutto povero; dove non c’è Cristo, c’è una povertà che si vede bene, una povertà che tocca le radici del nostro io umano, intelligenza e affezione.

Chiediamo a Dio che ognuno di noi abbia lo spirito di questi tre amici e ci dia la fede in Gesù e una speranza viva per il nostro futuro, perché è questa speranza che ci fa agire oggi.

Se non c’è questo presente d’esperienza d’una grande grazia, d’un gande dono, non si può sperare in un futuro: tutti avanzano senza speranza, senza reale speranza.

Punto 1° (174)

Ecco, l’amicizia è il tema di questi Esercizi, come iniziale abbordo, approccio, che dovrà diventare il punto di riferimento, il criterio di riferimento per tutte le Scuole di comunità […] perché l’amicizia esprime in suprema forma la grandezza dell’uomo: l’imitazione di Dio che è l’uomo, cui è chiamato l’uomo.

Infatti, la natura dell’essere, di tutto ciò che esiste, di tutto ciò che è reale, viene da Dio.

La natura dell’Essere, come ce la presenta il Nuovo Testamento, la rivelazione di Gesù; il Mistero che fa tutte le cose, così come ci è rivelato attraverso il Figlio di Dio fatto uomo, attraverso Gesù; la natura dell’Essere è amore, allora nell’uomo, che è creatura fatta a Sua immagine e somiglianza, la virtù suprema sarà questa caritas, questo amore.

Ma «amicizia» che cosa apporta alla parola «amore»?

L’amicizia è un amore reciproco. Senza reciprocità non c’è amicizia.

Allora è un calcolo?. Innanzitutto non può essere calcolo questa abolizione della estraneità tra l’uomo e l’altro uomo. Chiunque sia l’altro! Non solo tuo figlio, non solo tua madre, ma l’uomo che passa per la strada e viene chissà da dove. È abolita l’estraneità.

Non è calcolo proprio perché è carità, cioè la natura espressa da Dio.

L’espressione della natura di Dio, l’attività di Dio è governata totalmente, esaustivamente, da questa parola, così radicalmente usata, «carità», che vuol dire, immediatamente, amore senza alcun tipo di calcolo, senza nessun tornaconto, puro; amore puro, gratuito.

Ecco perché si chiama caritas. Charis è un parola greca che vuol dire gratuità, indica gratuità totale, assoluta, amore senza alcun calcolo: puro, nudo e crudo amore.

E questo già fa una differenza terribile nell’amicizia, se l’amicizia deve essere il darsi reciproco, totalmente gratuito amore.

Ma, normalmente, l’amore ha come un ritorno, aiuto, non so, ognuno può riflettere su di sé.

«Ami, e non pensi essere amata: ad ogni  / fiore che sboccia o frutto che rosseggia / o pargolo che nasce, al Dio dei campi / e delle stirpi rendi grazie in cuore»(Ada Negri - Mia giovinezza)

Ami il fiore non perché lo cogli, ma perché c’è: perché c’è!

Affermi l’essere e il mistero dell’Essere, cui partecipa quel fiore.

Ami il bambino non perché è tuo, ma perché c’è: quindi senza tornaconto, senza calcolo.

Ma non si tratta appena di questa impossibilità di tornaconto, della abolizione d’ogni tornaconto. È che, nel bambino che si ama perché è – perché è! -, come nel frutto, nel fiore in ogni cosa che si ama perché è, è il Mistero che si affaccia.

Il Mistero che sta dietro ogni cosa, è come la prospettiva inesorabile di ogni cosa che si vede.

Che Dio sia amore, che la natura di Dio sia amore, vuol dire che lo scopo di tutto ciò che c’è è assolutamente positivo, assolutamente positivo!

Dio non può azzerare neanche una opera buona – una sola! – fatta dall’uomo! Perché se la natura dell’Essere è amore, quella sola azione può difendere vite intere.

Kristin figlia di Lavrans […] era stata serva di Dio, anche se ribelle, restia, infedele nel cuore, con la preghiera falsa sulle labbra; una serva maldestra, insofferente davanti alla fatica, indecisa. Dio ha voluto mantenerla lo stesso al suo servizio.

Per questo l’anno scorso abbiamo potuto leggere nel libro della Bibbia intitolato alla Sapienza quell’inizio famoso.

«Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia di Dio è immortale. Ma l’uomo cerca la morte»

Sap 1,13-16

Una positività totale deve guidare l'animo del cristiano, in qualsiasi situazione si trovi, qualsiasi rimorso abbia, qualsiasi ingiustizia senta pesare su di sé, qualunque oscurità lo circondi, qualunque inimicizia, qualunque morte lo assalga, perché Dio che ha fatto tutti gli esseri, è per il bene, Dio è l'ipotesi positiva su tutto ciò che l'uomo vive, anche se talvolta questa positività sembra essere vinta in noi dalle tempeste della vita e quasi lasciare il posto a una capacità che l'uomo ha di ostilità, di odio contro la fedeltà di Dio.

Uno dei più grandi peccati, perciò, che l’uomo può commettere, diabolico, per qualsiasi motivo – per motivo dei suoi peccati, per motivo della impossibilità a fare il bene che desidera, a riparare le brecce fatte nelle mura delle sue costruzioni dal tempo e dalle circostanze -, è perdere la fiducia in Dio.

Dio, come misericordia, tutto vince. Certo, non bisogna dimenticare l’essenza della questione: per quanti peccati avesse fatto, Kristin c’era stata, Dio l’aveva scelta e lei aveva risposto: «Io ci sono stata! ho voluto starci!».

Il cristiano per vivere l’amore, non occorre che faccia somme e addizioni di virtù e di perfezioni: deve, nonostante quel che è, accettare il disegno di un Altro, deve essere disponibile al volere di Dio. Questa è la sua vocazione.

Punto 2° (182)

Se Dio fa tutte le cose per il bene – essendo la sua natura amore – ogni istante che l’uomo vive è grandissimo: è rapporto con l’infinito.

Come l’istante della donna che lava i piatti, come l’istante dell’uomo che va al suo lavoro tutti i giorni.

Se non vive la fede nel Dio buono e amoroso, che ha fatto tutte le cose, allora rimpicciolisce.

Come soffriamo di questa mancanza di fede tante volte, anzi, tutti i giorni siamo tentati: tutto allora rimpicciolisce negativamente, non vale la pena, e tutto si perde.

E invece nel mistero dell’amore, nella grande Presenza del mistero dell’amore, tutto è grande.

Punto 3° (183)

E, in terzo luogo, ogni uomo è soggetto all’amicizia, è parte dell’amicizia di Dio che si rivela in Dio.

Non solo ogni istante, ma ogni uomo è degno di quell’amore in cui Dio ci ha fatto creandoci, ogni uomo!

Ogni uomo: non è possibile accostare un uomo se non con questa coscienza.

Anche la mattina quando vai al tranvai, e il tram è pieno, e se tu sei cristiano hai detto poco prima le orazioni del mattino, puoi pensare che tutta quella gente, che non conosci, non solo non ti è estranea, ma capisci che devi dare la vita per loro, come Cristo: «Signore, ti offro la mia giornata e la mia vita per questa gente»

Ma che cosa vuol dire offrirla per loro? È per il loro destino.

Come si fa a guardare una persona che si dice di amare senza pensare mai alla prospettiva del suo destino.

Quante persone abbiamo conosciuto e quante volte le abbiamo accostate come se fossero estranee, e invece il loro destino apparteneva al nostro, perché è identico al loro, e amarle significa amare il loro destino.

Non può esserci amicizia tra noi, non possiamo dirci amici, se non amiamo il destino dell’altro sopra ogni cosa, al di là di qualsiasi tornaconto.

E, invece, constatiamo queste rotture della unità, queste estraneità, a gruppi, nella stessa stanza, nella stessa comunità, nella stessa parrocchia, nello stesso movimento.

E là dove c’è una preferenza, essa è ben legata a un piacere, a una strumentalizzazione, a un tornaconto.

Per questo abbiamo osato affrontare questo tema.

Che questa estraneità, Signore, non sia vera tra di noi, e tra di noi l’amore innanzitutto, e quindi l’amicizia, il reciproco desiderio e augurio che il destino buono – cioè Te – sia il destino finale, conforti e confermi ogni nostro rapporto e renda ogni nostro rapporto capace di qualsiasi generosità.

Quello che don Garcìa ci dirà domani dovrà diventare, di fronte al tema della Scuola di comunità di quest’anno – Alla ricerca del volto umano -, chiave di volta, perché l’origine del volto umano è Dio, quindi il rapporto di Dio con noi, e la grandezza del volto umano, lo splendore del volto umano, sta nella risposta positiva a Dio, nella moralità perseguita, desiderata, domandata.

Così abbiamo a capire finalmente il vero senso del proverbio che ci dicevamo da bambini: «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare».

Vedremo che, con serietà, dovremo cambiare la parola «mare» in quel mare immenso di abbandono e di nobiltà di cuore, di generosità e di fiducia, che si chiama «domandare».

Il domandare lo scopriremo come l’inizio della vera moralità.

Qui sta il segreto per cui la misericordia può perdonare anche senza sembrare di rispettare ragioni e giustizie. L’uomo che domanda, fosse anche distrutto dal suo male, è veramente figlio di Dio.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il domandare.

Così, senza averne l’aria, ho accennato lepidamente a una cosa grande, alla cosa grande cui ci accosteremo domani: il domandare il mistero della bontà di Dio.


Assemblea (187)

Giancarlo Cesana: «Perché, don Giussani, tu hai voluto impostare questi esercizi sull’amicizia?»

Luigi Giussani: Senza amicizia, con tutto l’amore che volete, non si crea un popolo, non si assicura una storia, non si crea neanche una famiglia completa.

Per generare occorre che un amore trovi reciprocità, trovi corrispondenza.

Siamo abituati a parlare della carità o dell’amore senza scandagliarne il fondo, quel fondo per cui il nostro amore riverbera veramente il Mistero, la vita del Mistero: il Padre, il figlio e lo Spirito.

E questa è stata la rivelazione suprema della amicizia come la grande protagonista del creato.

È questa compiutezza che l’amicizia esprime di fronte alla parola amore, di cui pure è fatta, ma di cui annuncia l’avvenimento compiuto.

In quanto avvenimento compiuto dell’amore, l’amicizia riverbera – insisto – il Mistero della vita divina, il Mistero nascosto della Trinità.

L‘amicizia è una reciprocità dove il contenuto dell’amore, il fine dell’amore, e quindi il fine della risposta, della corrispondenza, non è limitato: non può essere limitato.

È una occasione in cui il Mistero mi fa imbattere, che mi attira l’attenzione a un compagno di cammino, dapprima totalmente estraneo, adesso invece intensamente guardato, osservato, desiderato come possibile aiuto in quella occasione particolare per camminare insieme.

Meno del destino “pre-visto”, “pre-sentito”, o implicitamente presente in una semplicità del cuore, non c’è amicizia!

Ci può essere, per sé, amore.

L’amore è quando lo sguardo all’altro improvvisamente fa parte della grande pietà, della grande misericordia, e desidera sopra ogni altra cosa il destino dell’altro: non perde di vista, non riesce a perdere di vista che tutto è un soffio, salvo quella esigenza del proprio destino, l’esigenza dell’ultimo, l’esigenza del rapporto attuale con il Mistero nel quale sta la felicità dell’uomo.

«Che cosa può bastare all’animo?» Niente! Eccetto che il Mistero per cui è fatto, il Destino.

L’amore o tiene presente questo, oppure non è amore.

Ma soprattutto, questa implicazione ultima dell’amore è necessaria perché si costituisca una corrispondenza reale.

Senza questa prospettiva, la corrispondenza non è mai reale.

Allora, anche se tua moglie ti farà arrabbiare, tu, saggiamente tacerai; e anche se tuo marito continuerà in una cosa in cui sbaglia gravemente, fino ad essere la rovina della famiglia, e tu glielo avessi detto in cento maniere, tacerai, cioè glielo dirai in cento altre maniere più giuste, facendogli vedere che tu muori per quello.

Se non c’è questo, non c’è vera corrispondenza – in niente! -, non c’è amicizia.

L’amicizia è fondata sull’amore, ma un amore che viene corrisposto, qualsiasi pretesto o spunto abbia.

Questo amore corrisposto non è mai veramente né amore, né veramente corrisposto, se, il destino dell’altro non mi domina, obbligandomi tante volte anche a dimenticare lo scopo contingente che ci ha messi insieme, perché è più importante quello di qualsiasi cosa: ché se domina la mia apprensione che riesca bene,, la mia apprensione affinché mi capisca, la mia apprensione perché mi aiuti adeguatamente, perché non mi tradisca, qualsiasi di queste apprensioni mutila la corrispondenza,

L’amicizia è la parola più vicina alla parola «Ti adoro».

Per questo, amici miei, la compagnia è preziosa: è stato l’argomento prezioso con cui Dio ci ha messi sulla strada e, se noi la seguiamo con attenzione e con semplicità di cuore, con sincerità, ci fa cresce in questa percezione del destino dell’altro e della necessità di una nostra corrispondenza con i bisogni di tutti.

“Naturalmente”, la prima amicizia dovrebbe essere quella tra madre e padre, genitori e figli, figli e genitori.

Ma proprio lì è dove si capisce che per l’amicizia occorre veramente desiderare il destino dell’altro.

Non è una cosa semplice. Cioè, è una cosa semplice, ma non è una cosa facile: è morire.

È morire! Infatti questo è l’amicizia: quel rapporto umano che ha come legge quello che ha detto Gesù:

«Nessuno ama tanto gli amici come colui che dà la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

Cesana: L’altra parola al centro dei quesiti di tutti è stata la parola «misericordia».

Mi hanno detto che tu una volta al Gruppo adulto hai dentro di prendere il vocabolario e cancellare la parola misericordia, perché non è umana.

Giussani: …non è una parola umana, non bestemmiamo!

Misericordia è identica a Mistero: è il Mistero quel che non si capisce.

La misericordia è il Mistero da cui tutto proviene, da cui tutto è sostenuto, a cui tutto va a finire, in quanto già si comunica all’esperienza dell’uomo.

Il concetto di perdono, con una certa proporzione fra sbagli, castighi e pagamenti, è concepibile anche dalla ragione, cioè è più concepibile dalla ragione: ma non questo perdono senza limite.

«Senza motivo», umanamente senza motivi! Tanto che appare come ingiustizia o come irrazionalità: non c’è ragione, appunto; per noi non c’è ragione, perché la misericordia è propria dell’Essere, del Mistero infinito.

La coscienza del nostro peccato ci mette in rapporto diretto col Mistero infinito. Come si comporta il Mistero infinito con noi? Comprendendo e perdonando – procedendo in una volontà di bene assoluto – tutto. Tutto.

E l’uomo si è sempre ribellato a questo.

Si è dall’inizio ribellato al fatto che un altro, sia pure il Mistero che l’aveva fatto, si mettesse al suo posto come ragione di quel che faceva.

La filosofia, in quanto irreligiosa, o contraria almeno al Dio cristiano, è una ribellione in nome della dignità della ragione, in nome della perfezione stessa di Dio da rispettare: in nome di ciò, vi è il rifiuto di come Dio si manifesta.

Ma questo esser buono con tutti ti fa scoppiare, ci fa scoppiare la testa, o meglio ci rende bambini, ci fa capire, a cinquant’anni, il sapore dell’esser bambini: lì siamo bambini, a quel punto siamo proprio bambini!

E Dio è come un padre e una madre, che è lo stesso, perché la paternità di Dio è la maternità di Dio.

È da adorare con gratitudine e basta.

«Ma io ho fatto questo, io ho fatto quest’altro…» È la nostra pusillanimità, la nostra meschinità, che si vuole imporre alla infinita libertà e magnanimità di Dio.

Per noi è quasi un ingiustizia.

E Dio invece ci supera sulla destra e sulla sinistra perché proprio attraverso lo stupore che ci riempie di fronte alla Sua misericordia, ci fa venire un dolore di noi stessi mai sperimentato prima; non esasperato, non egoista, in quanto sentiamo la nostra dignità ferita, abbiamo schifo di noi stessi e non vogliamo più riconoscere noi stessi: noi scopriamo la verità di noi, che siamo piccoli, piccoli e deboli di fronte al mistero dell’Essere.

Perciò non facciamoci obiezione: nessuno di noi è misericordioso. Ma dobbiamo cercare di esserlo.

Ci fa innanzitutto pieni di dolore per il male che prima nemmeno riconoscevamo, non lo riconoscevamo così.

In secondo luogo, ci fa venir desiderio di essere come Lui: a noi viene un desiderio di essere come Lui.

E incomincio realmente a perdonare i miei nemici, quelli che mi hanno fatto del male.

Quando ci alziamo la mattina, sentendo il perdono che ci rinnova la vita, viene anche a noi da dire: «Signore, aiutami ad essere come Te!».

È il desiderio che definisce l’animo dell’uomo nuovo.

Non c’è uomo – non c’è umanità -, se non desidera di essere misericordioso come il Padre che sta nei cieli.

Tra il dire il il fare c’è di mezzo il domandare.

E uno, nella sua povertà, stupito di fronte alla perfezione misteriosa di Dio, del Padre, del Figlio e Spirito, chiede di essere come Lui.

Cesana: «Ma se la moralità è seguire qualcosa che attrae, perché si fa così tanta fatica, perché è richiesto il sacrifico?».

Giussani: La moralità segna la strada per andare al destino.

Il nostro destino è l’oggetto ultimo di quel desiderio infinito di felicità, di libertà, di bontà, di giustizia, di amore che costituisce il nostro cuore e che noi abbiamo chiamato «esperienza elementare».

Il destino costituisce veramente, nell’animo che ha dentro un briciolo di semplicità, un’attrattiva.

E perché seguire questa attrattiva è così difficile? Perché un nemico ha messo una trappola nel nostro animo: ha rotto il meccanismo pulito, il rapporto diretto che il nostro cuore sentiva e continua a sentire per il suo destino.

Il destino è l’attrattiva per cui il cuore è fatto.

Ma in mezzo c’è un estraneo che è diventato presenza nemica, ed è la prova della libertà che Dio ha permesso: come si è ribellato a Lui, si ribella a noi, Satana.

E, dall’altra parte, la fatica: la fatica, il sacrificio da affrontare.

Qui, però, non è un nemico presente: è Gesù in croce presente, é Dio fatto uomo, che è morto in croce perché noi potessimo avere la forza di superare tutte le difficoltà e andare insieme verso il Destino: insieme, da amici.

Questa è l’amicizia.

L’amicizia non è proprio tra noi: possiamo essere compagni, e compagni “feroci”, nel senso di attaccatissimi, ma non amici.

In quest’anno conosceremo sempre più dettagliatamente e interiormente il valore di questo soggetto della storia cristiana che è l’amicizia, questa virtù propria del protagonista della storia: Gesù, e quindi il cristiano.


Esercizi spirituali predicati da don Giussani

1° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA


2° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE


3° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE


4° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO


5° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI


6° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO


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