Esercizi don Giussani 1998 – Sesto e ultimo libro collana “Cristianesimo alla prova”
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Indice linkato dei vari momenti esercizi 1998
- Un problema di conoscenza
- Esperienza e ragione
- Tre gravi riduzioni
- La corruzione della religiosità
- Tradizione e carisma
DIO E L’ESISTENZA
1. Un problema di conoscenza
71 – «Dio tutto in tutto»
1 Cor 15,m28
Come questo diventa valevole incidente nella vita?
Un’affermazione che non sia incidente sulla vita è ASTRATTA, rimane astratta, oppure sembra un po’ assurda.
Se «Dio è tutto in tutto», dobbiamo vedere come ciò incide nella nostra vita. Come prenderne coscienza? Cosa significa prenderne coscienza? Significa innanzitutto conoscere Dio in modo tale che influisca sulla vita.
L’Essere si svela in quanto opera nel nostro presente; è, se opera agli occhi nostri.
Perciò implica un cambiamento, la prima connotazione è il cambiamento dell’immagine stessa dell’intelligenza umana nella sua attività.
72 – Occorre prendere coscienza della conseguenze etiche del fatto che «Dio è tutto in tutto» e, prima ancora, della estetica che «Dio tutto in tutto» possiede.
È da questa forza estetica infatti che nasce la possibilità stessa di un’etica;
solo se l'Essere è attrattiva può essere capace di ottenere dall'uomo un'attenzione fino al sacrificio.
Ora, per prendere coscienza di tali conseguenze etiche, noi dobbiamo prendere coscienza di una mentalità che[…] vuole censurare proprio che «Dio è tutto in tutto».
È impossibile vivere dentro un contesto generale senza esserne influenzati; noi stessi partecipiamo di quella mentalità per cui Dio è concepito astratto o dimenticato o addirittura negato.
Così, in pratica, esistenzialmente, noi giungiamo a negare che «Dio è tutto in tutto».
Nel nostro spirito inquieto e confuso è presente la menzogna della mentalità di oggi cui noi stessi partecipiamo.
73 – Vediamo, dunque, come si misura in noi la menzogna che ci viene dal mondo in sui siamo.
2. Esperienza e ragione
Vi è una irreligiosità nel nostro mondo che inizia, senza che nessuno se ne accorga.
Ciò si riconduce a un distacco del senso della vita dall'esperienza.
Se Dio è concepito distaccato dall'esperienza, se non incide sulla vita, vi è un distacco del senso della vita dall'esperienza.
74 – Il distacco del senso della vita dall’esperienza implica anche un distacco della moralità dall’azione dell’uomo: la moralità, così concepita, non ha la stessa radice dell’azione. In che senso? Nel senso che la morale c’entra sì con l’azione dell’uomo, c’entra con l’esperienza, ma senza avere la stessa radice dell’azione; non risponde alla fisionomia, al volto che ci dà l’esperienza.
Così tra l’altro, si comprende l’emergere del moralismo. Il moralismo è l’insieme di principi che precede e investe l’azione dell’uomo giudicandola teoricamente, astrattamente, senza motivare il perché sia giusto o no, il perché l’uomo debba compiere o non debba compiere un’azione.
La morale così non ha la stessa radice dell'azione.
Per cui essa finisce col sottolineare valori comuni, valori generalmente sentiti;
i suoi principi sono perciò o derivati dalla mentalità comune o imposti dallo Stato.
La sostanza della questione è chiarita nella lotta che si sviluppa sul modo di intendere il rapporto tra ragione ed esperienza.
Per capirlo, basterebbe guardare alla formula «Dio tutto in tutto», che squassa la formulazione più comune dell’esistenza di Dio («Dio esiste»).
È sempre tranquilla, infatti, l’affermazione di un Ente supremo, dell’esistenza di Dio, chiuso in se stesso, che non abbia rapporto con l’azione dell’uomo, se non, alla fine, come giudice che distrugge o approva quello che l’uomo ha compiuto.
75 – La moralità ridotta a moralismo segnala il rapporto tra l'ordine del disegno di Dio e l'avvenimento del gesto umano nei termini di un preconcetto ideale.
Invece, è attraverso l'esperienza che l'uomo si svela nella usa adesione, nel connettere cioè la sua azione al disegno totale, alla totalità, oppure nel non rispondere a tale riferimento chiaramente ultimo e decisivo.
«Ragionevole è sottomettere la ragione all'esperienza»
Jean Giutton – Arte nuova di pensare
Perché è «ragionevole sottomettere la ragione all’esperienza?»
Perché l’esperienza ci dice la realtà che noi siamo e in cui è la nostra presenza; è una realtà che ci è data, in cui ci si imbatte, che non è creata da noi, non è inventata da noi.
D'altra parte, la ragione è quel livello della creazione in cui essa è consapevole di sé, diventando cosciente del dato, del «qualcosa» in cui l'uomo di imbatte.
76 – Questa autocoscienza genera la definizione di ragione.
Se si usa male la ragione, ne va dimezzo tutto il conoscere dell’uomo come costruzione sulla realtà e della realtà.
Se si usa male la ragione, cioè se la ragione si traduce come «misura» della realtà – e questo implica sempre la ragione come preconcetto, come un qualcosa che stranamente interviene nell’esperienza per sminuire e non riconoscere ciò che è presente nella nostra vita -, ci sono tre possibili gravi riduzioni che influenzano tutti i comportamenti della vita.
3. Tre gravi riduzioni
A – Invece di un avvenimento, l’ideologia
77 – Il punto di partenza di un cristiano è un avvenimento. Il punto di partenza di tutto il resto del pensiero umano è una certa impressione o valutazione delle cose, una certa posizione che assume «prima» d’affrontare le cose, soprattutto prima di giudicarle.
78 – Il preconcetto – cioè il punto di partenza da cui uno prende le mosse – per passare nella storia, per vincere il tempo, per farsi strada tra i pensieri della gente e tra i giudizi della società, deve essere sviluppato.
Il suo sviluppo è la logica di un discorso che diventa ideologia.
La logica di un discorso che parte da un preconcetto e vuole sostenerlo e imporlo si chiama ideologia.
Se invece l’origine è un avvenimento, se il criterio suggeritore del comportamento dell’uomo è un avvenimento, esso si ricompone, si ripropone continuamente nella storia, nel tempo, giorno per giorno, ora per ora; questo avvenimento si capisce perché «sta avvenendo qualcosa» adesso.
La memoria è il contrario dell’ideologia.
La nostra vita cristiana, la nostra fede e la nostra morale concreta, la nostra impostazione della vita sono determinate o dalle ideologie correnti oppure dalla fattualità, dalla supremazia del nostro esistere, delle cose come avvengono, delle cose in cui ci si imbatte, delle cose cui si reagisce in un certo modo, dei fatti: fatti come avvenimenti.
79 -Se, allora, l’origine, il fondamento, il principio fondante di tutta l’esperienza umana è un avvenimento, esso si capisce, si fa capire, perché in qualche modo sta avvenendo adesso, ora.
Non si può parlare di un passato che sia decisivo per una persona che vive oggi, se in qualche modo questo passato non diventa presente.
Così, il cristianesimo è un avvenimento e perciò presente, è presente ora, e la sua caratteristica è che È PRESENTE COME MEMORIA,
Dove la memoria cristiana non è identica al ricordo, anzi, non è il ricordo, ma è il riaccadere della Presenza stessa.
Solo il riconoscimento di questo avvenimento impedisce di essere servi dell’ideologia.
Ricordiamo che tutte le ideologie hanno un sistema discorsivo e nella logica che le sostiene tendono al potere o hanno un potere, che è la prevalenza, in un dato momento, di una ideologia sulle altre.
B – Riduzione del segno ad apparenza
80 – Se l’uomo cede alle ideologie dominanti, insorte nella mentalità comune, si verifica una lotta, una divisione, una divisione fra segno e apparenza; da ciò consegue la riduzione del segno ad apparenza.
Più si ha coscienza di ciò che il segno è, più si capisce la lordura e il disastro di un segno ridotto ad apparenza.
Il SEGNO è l’esperienza di un fattore presente nella realtà che mi rimanda ad altro.
Il segno è una realtà sperimentabile il cui senso è un'altra realtà; esso rivela il suo significato conducendo ad un'altra realtà.
L’aspetto percettivamente immediato di una qualunque cosa, l’apparenza, non dice tutta l’esperienza che abbiamo delle cose, perché non ne dice il valore di segno.
La grande tentazione dell'uomo è esaurire l'esperienza del segno, in una cosa che è segno, interpretandola soltanto nel suo aspetto percettivamente immediato.
Non è ragionevole, ma tutti gli uomini sono portati, dalla pesantezza su di essi del peccato originale, ad essere vittime dell’apparente, di ciò che appare, perché sembra la forma più facile della ragione.
81 – Si arresta cioè la capacità stessa dell’intelligenza umana di addentrarsi alla ricerca del significato cui il nostro rapporto con ciò che ci fa colpo innegabilmente sollecita.
Mentre l’umana intelligenza non può imbattersi in qualche cosa senza percepire che essa, in qualche modo, è segno di un’altra realtà, riprende l’insinuazione di un’altra realtà.
L'idea di segno invece fa entrare operativamente nella vita il significato delle cose.
82 – Mistero e segno, in certo qual senso coincidono: nel senso che il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, del Dio creatore e redentore, del Dio Padre.
Il segno indica ai nostri occhi la presenza di un Altro, del Mistero profondo.
Il Mistero si rende presenza attraverso il segno.
L’ideologia tende ad affermare come concretezza l’apparente, e l’apparente è solo quello che si vede, si sente e si tocca.
E quando il cristiano scopre che tutta la realtà è costruita da questo metodo di Dio, comprende meglio il valore dei sacramenti.
83 – Il sacramento si differenzia da tutti gli altri segni. Nei sacramenti creati da Cristo per generare un popolo nuovo nel mondo, il segno giunge fino alla completa identità con il Mistero. Come l’Eucarestia. Ma in tutti i sacramenti c’è questo riferimento totalizzante:
il segno coincide con il Mistero in senso proprio.
Perciò nella nostra vita giochiamo a vantaggio di un mancato trionfo dell’apparenza sulla prospettiva inoltrata dal segno; si gioca in favore di una moralità nuova, di una moralità più perfetta, quella di cui Gesù dice:
«Non sono venuto nel mondo a far sparire la legge, ma a sostenerla, perché essa sia più compiuta»
Cfr. Mt 5,17
84 – La sacramentalità è il modo in cui il Mistero dà se stesso, dona se stesso al al nulla, creando il cosmo, la persona e il cosmo.
Il metodo con cui Dio comunica la sua esistenza, dà il suo essere, partecipa al suo essere alle cose, è la sacramentalità: il comunicarsi del Mistero implica un metodo sacramentale. .
Tutto è segno di Lui […] è il sacramento della sua presenza nel mondo, perché ogni sacramento è la presenza nel mondo di Cristo morto e risorto.
Si chiama Chiesa, Corpo mistico di Cristo, ciò che viene generato e cambiato sotto l’impulso, la luce e la tenerezza del Battesimo e degli altri sacramenti.
Dio ha concepito il rapporto col creato come rapporto con un immenso esercito di segni: tutto è segno di Lui.
Trattare bene, usare bene della creazione significa conoscere Cristo per conoscere Dio.
C – Riduzione del cuore a sentimento
L'eliminazione del valore del segno implica la riduzione del cuore a sentimento.
Noi prendiamo il sentimento invece che il cuore come motore ultimo, come ragione ultima del nostro agire.
La nostra responsabilità è resa vana proprio dal cedere all'uso del sentimento come prevalente sul cuore, riducendo così il concetto di cuore a quello di sentimento.
Invece, il cuore rappresenta e agisce come il fattore fondamentale dell'umana personalità.
85 – Il cuore indica l'unità di sentimento e ragione.
Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l’ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quel che si chiama affezione.
È il cuore - come ragione e affettività - la condizione dell'attuarsi sano della ragione.
La condizione perché la ragione sia ragione è che l’affettività la investa e così muova tutto l’uomo.
Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell’uomo.
4 . La corruzione della religiosità
Noi non possiamo partire se non dall’amore alla ragione, dalla fiducia alla ragione.
86 – Al termine di un lungo percorso di dimenticanza del «Dio tutto in tutto», nell’ultimo secolo il sentimento religioso proprio della natura umana si afferma con libertà assoluta, corrompendosi nella progressiva eliminazione della religiosità propria di Cristo e quindi della religiosità che ha avuto nella storia del popolo ebraico, in modo mirabile, la sua manifestazione, l’esemplificazione della sua verità, della sua ultima implicazione.
La lotta è, dunque, in noi, tra la religiosità propria di Cristo e della Bibbia, della tradizione cristiana e della tradizione ebrea, e il dio dell’anticristiano.
La negazione di «Dio tutto in tutto» rivela la presenza di un anticristianesimo nella formazione dell’uomo e quindi della società.
87 – La promozione missionaria, che è in fondo lo scopo ultimo dell’esistenza del singolo cristiano e dell’andamento di tutti i cambiamenti della società, è arrivata ad una impasse, che ha avuto il suo culmine nella critica di un certo pre e post Concilio, in cui si è giunti perfino al affermare che l’azione missionaria fosse contro la libertà dell’uomo, mentre l’azione missionaria è l’estremo frutto della fedeltà a Cristo.
88 – «Fratelli, voi avete la presunzione di portare utilità al Regno di Dio assumendo quanto più possibile il saeculum, la sua vita, le sue opere, i suoi slogans, il suo modo di pensare. […] È ormai difficile che vi ritroviamo e vi distinguiamo in questo strano mondo. […] abbiamo molti motivi per ammirarvi, per questo dobbiamo indirizzarvi questo ammonimento: “Non conformatevi a questo secolo [dice san Paolo], ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, affinché possiate distinguere qual è la volontà di Dio, ciò che è bene che gli è gradito, ciò che è perfetto“.
Non conformatevi! Mé syskematìzesthe!. Come è benn mostrata in questa parola la radice verbale e perenne: schema.
…] Non possiamo imitare il mondo proprio perché dobbiamo giudicarlo, non con orgoglio e superiorità, ma con amore, così come il Padre ha amato il mondo e per questo su di esso ha pronunciato il suo giudizio. .
89 – Scriviamo come gente non saggia a voi saggi, come deboli a voi forti, come miseri a voi ancor più miseri. E questo è stolto perché certamente fra di voi vi sono donne e uomini eccellenti. Ma proprio perché vi è qualcuno occorre scrivere stoltamente, come ha insegnato l’apostolo Paolo quando ha ripreso le parole di Cristo, che il Padre ha nascosto la saggezza a coloro che molto sanno di questo».
Zvêrína, «Lettera ai cristiani d’occidente»
Questi problemi esigono e partono da un cambiamento che nell’uomo deve avvenire: attraverso il cambiamento avvenuto in altri uomini in cui si imbatte, il cristiano è aiutato a percepire e ad avanzare in un cambiamento di se stesso.
Il miracolo è questo cambiamento di sé.
5. Tradizione e carisma
Occorre che la fedeltà a Cristo e alla Tradizione siano sostenute e confortate da un ambito ecclesiale veramente consapevole di questa necessaria fedeltà.
90 – Di qui l‘imponenza morale della partecipazione a un movimento ecclesiale come appartenenza a un ambito in cui il dono dello Spirito che viene dal Battesimo si concretizza in forme dimostrative e persuasive.
Questo dono dello Spirito si chiama carisma.
Ma non è carisma se non è riconosciuto dall’autorità della Chiesa, cioè del Papa.
Questo invito a vivere coscientemente il dono che abbiamo ricevuto ha come prima conseguenza morale l’attendere con tutta la disponibilità del cuore all’indicazione del movimento: l’appartenenza al movimento, vissuto con semplicità e generosità, è sorgente di luce e di conforto per tutta la nostra vita, introduce, facilita e assicura una mentalità diversa e impegna una moralità diversa.
Non c’è altro modo con cui lo Spirito ci può raggiungere più semplicemente, più persuasivamente, più potentemente, che in una realtà presente, in un contesto presente.
Ciò non ha nulla di contraddittorio all’obbedienza che dobbiamo al vescovo al parroco, anzi, è fattore illuminante di questa obbedienza, è un sostegno per questa obbedienza: obbedienza, tra l’altro, che è inerente alla dinamica stessa della fedeltà a Cristo e alla Tradizione.
Un carisma riconosciuto dalla Chiesa è dono dello Spirito di Cristo che porta a vivere l'istituzione integralmente, come il luogo in cui Cristo è avvenimento presente.
91 – «Nella Chiesa, tanto l’aspetto istituzionale, quanto quello carismatico […], sono coessenziali e concorrono alla vita, al rinnovamento, alla santificazione, sia pure in modo diverso»
GPII, Discorso ai movimenti ecclesiali riuniti per il II colloquio internazionale, 2 marzo 1987
Perciò un movimento è esemplare e dimostrativo, è persuasivo e utile nelle stesse diocesi e parrocchie per la vita pastorale.
92 – Si vive veramente il carisma quanto più si paragona tutta la propria vita all’ideale del carisma stesso, così come lo affermano coloro che sono riconosciuti dalla Chiesa come garanti per essa della verità del dono dello Spirito; seguire loro è un’ultima obbedienza che cerca di incarnare fino agli ultimi capillari l’imitazione di Cristo e la fedeltà alla Chiesa.
Siccome la missione esiste e vive di testimonianza, solo la fede vissuta realizza la missione, perché solo la fede vissuta cambia, di quel cambiamento in cui chiunque può imbattersi e, sentendosene scioccato, mettersi a seguirlo.
Noi non possiamo conoscere il Mistero se non ce lo dice Cristo.
E la Chiesa – è un paragone e non una bestemmia – realizza Cristo con più chiarezza, con persuasività e con sostegno all’attuarsi della vita, attraverso i movimenti.
Lo spirito di Cristo, che ha creato la Chiesa e l’ha mandata nel mondo, la conforta, la edifica e la fortifica con i carismi: afferra certe persone, nell’uno o nell’altro carisma, perché tutta la Chiesa sia rinverdita e rinasca con consapevolezza agli occhi di tutti.
FEDE IN DIO È FEDE IN CRISTO
1. Una mentalità nuova
94 – La fede apre una «mentalità diversa» e, quindi, una «moralità diversa», perché l’azione in cui l’uomo si realizza può essere più, meno o niente del tutto, in rapporto con la totalità delle cose.
E come la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, analogamente la moralità è rapporto dell’azione singolare con la totalità dei fattori che l’universo implica.
«Cristo tutto in tutti» vuol dire che il comportamento di Gesù di Nazareth deve incidere sulla vita di tutti, deve essere imitato da ogni uomo.
Come Gesù noi dobbiamo essere di fronte al Padre.
Questo è pertanto il tema generale: «Cristo tutto in tutti» perché «Dio sia tutto in tutti».
La formula sintetica che dobbiamo sviluppare è allora :
fede in Dio è fede in Cristo
95 – La prima incidenza sulla vita dell’uomo che ha l’imitazione di Cristo è una mentalità nuova, una coscienza nuova, non riducibile ad alcuna legge dello Stato o a una abitudine sociale, una coscienza nuova come sorgente e come riverbero di autentico rapporto con il reale, in tutti i dettagli che l’esistenza implica.
La coscienza nuova del cristiano, dell‘imitatore di Cristo, è interamente chiamata in causa di fronte a ciò che la mentalità dominante dice.
Quest’ultima gioca, infatti, tutto il suo inganno pretendendo che si possa parlare di Dio a prescindere da Cristo.
La pretesa della mentalità dominante è che si possa parlare di Dio a prescindere da Cristo.
Ma, sul Mistero, quello che ci è stato comunicato dal Mistero stesso, quello che ci è stato dato nella Rivelazione è l’uomo Gesù Cristo.
Quest’uomo è la sintesi e il centro di tutta la comunicazione di sé che il Mistero ha voluto fare alla creatura umana.
Per questo il Verbo si è fatto carne.
96 – «Filippo, chi vede me vede il Padre»
Cfr. Gv 14,9
Noi non possiamo conoscere Dio se non attraverso Cristo.
La fede, come atteggiamento reale che l’uomo vive nei confronti di Dio, non è generica: è fede in Cristo.
Gesù non concepiva l’attrattiva sua sugli altri come riferimento ultimo a sé, ma al Padre: a sé perché Lui potesse condurre al Padre, come conoscenza e ubbidienza.
In questo senso, la fede in Cristo supera e rende più chiaro il senso religioso nel mondo.
La fede svela l'oggetto del senso religioso, cui la ragione non può accedere.
97 – La fede in Cristo è conoscere una Presenza come eccezionale, essere colpiti da essa e, quindi, aderire a quello che essa dice di sé.
È un fatto che ha reso possibile l’insorgenza cristiana nel mondo.
La fede, perciò, è un gesto che ha come suo punto di partenza la ragione.
La ragione non ha come capacità o pretesa di descrivere Dio, di parlare di Dio, sostituendosi alla Rivelazione, ma la ragione in quanto afferma che il Mistero è una realtà esistente, senza la quale l’uomo non può portare uno sguardo ragionevole alla realtà.
Vale a dire, il punto di partenza della fede è la ragione come coscienza della realtà, cioè il senso religioso dell’uomo.
98 – La fede un giudizio, non una emozione.
Essa è un giudizio che afferma una realtà, il Mistero presente.
La fede è razionale in quanto fiorisce sull’estremo limite della dinamica razionale, come fiore di grazia, cui l’uomo aderisce con la sua libertà.
L’avvenimento di Cristo è immediatamente sperimentato come eccezionale perché è eccezionale; ma per coglierlo nella sua diversità occorre che la ragione, con semplicità, immediatamente accetti, riconosca quello che è avvenuto, con l’immediatezza certa che si ha di fronte ad ogni evidenza della realtà.
99 – «Una delle funzioni della fede, e non tra le più irrilevanti, è quella di offrire un risanamento alla ragione come ragione, di non usarle violenza, di non rimanerle estranea, ma di ricondurla nuovamente a se stessa. Lo strumento storico della fede può liberare nuovamente la ragione come tale in modo che quest’ultima – messa sulla buona strada delle fede – possa vedere da sé […]. La ragione non si risana senza fede, ma la fede senza la ragione non diventa umana […]. Come mai la fede ha ancora successo?.
Direi perché essa trova corrispondenza alla natura dell’uomo […]. Nell’uomo vi è un inestinguibile desiderio di infinito. Nessuna delle risposte che si sono cercate è sufficiente. Solo Dio che si è reso finito, per infrangere la nostra finitezza e condurla nella dimensione della sua infinità, è in grado di venire incontro alle esigenze del nostro essere.»
J. Ratzinger «La fede e la teologia ai giorni nostri» Enciclopedia del cristianesimo, De Agostini 1997, pag. 30
Nell’epoca moderna il razionalismo, perdendo la vera natura della ragione, rende abituale la confusione tra senso religioso e fede, evacuando così anche la vera natura della fede.
100 – La confusione tra fede e senso religioso rende confuso tutto.
Il crollo della fede nella sua natura vera, com’è nella Tradizione, cioè nella vita della Chiesa, il crollo della fede come riconoscimento di «Cristo tutto in tutti», come adeguazione a Cristo e imitazione di Cristo, ha dato origine allo sconcerto moderno, il quale si rivela in vari e identificabili aspetti.
2. Una fede svuotata: i cinque «senza» del razionalismo moderno
A) Dio senza Cristo
È la negazione del fatto che soltanto attraverso Cristo è possibile che Dio, il Mistero, si riveli a noi per quello che è.
«Dio senza Cristo», o fideismo: questo caratterizza tutte le posizioni che, eliminando la razionalità della fede, pretendono di definire Dio come idolatria di un particolare, sentito o ereditato da una certa tradizione etnica o culturale, oppure fissato dalla propria immaginazione o dal proprio pensiero.
B) Cristo senza Chiesa
101 – Può chiamarsi gnosi, gnosticismo, in qualunque sua versione.
Se si elimina in Cristo il fatto di essere uomo, uomo reale, storico, si elimina la possibilità stessa di un’esperienza cristiana.
Un’esperienza cristiana è un’esperienza umana, perciò è fatta di tempo e di spazio come ogni realtà anche materiale.
Senza quest’aspetto di materialità l’esperienza che l’uomo fa di Cristo manca della possibilità di verifica della sua contemporaneità, cioè della verità di quanto Lui ha detto di sé.
L’esperienza della carnalità implicata in ogni esperienza umana, anche nell’esperienza di Gesù Cristo, pone Lui – e la Chiesa – in una astrazione, riducendolo a uno dei tanti modelli religiosi.
102 – Il razionalismo sostiene «dogmaticamente» che Cristo Dio, come tale, non si può afferrare nella materialità dell’uomo, cioè nella storia.
Gesù non può essere Dio, perché non si può parlare di Dio fatto uomo.
Questa è l’eliminazione del cristianesimo.
Il «sì» di Pietro si fonda sull’attrattiva e sull’affezione che nella sua carne Gesù suscitava.
Era un uomo davanti al quale Giovanni e Andrea sono rimasti colpiti.
C) Chiesa senza mondo
Da qui dipendono il clericalismo e lo spiritualismo, quale duplice riduzione del valore della Chiesa come Corpo di Cristo.
La vita religiosa cristiana viene determinata dallo statalismo in modo unilaterale, viene chiamato «clericalismo».
104 – La religiosità cristiana si svolge così nell’ambito di regole legalisticamente concepite (fariseismo), per cui si è praticamente resi adepti di un potere (civile, politico o religioso).
All’epoca di Gesù erano i farisei (potere religioso) e i romani (potere politico), oggi la pax romana ha altre flessioni e s’attarda su altri nomi di nazioni.
Ma, oggi come allora, tutte le religioni sono accettate, purché implichino l’adorazione all’imperatore, l’adorazione del potere che governa.
105 – Invece, come afferma sant’Agostino, la Chiesa è il mondo riconciliato con Dio.
Perché il mondo sia rinnovato, occorre che il mistero di Cristo, nella sua presenza temporale, entri attivamente nel mondo secondo tutti i suoi aspetti.
Lo «spiritualismo» è la fede giustapposta alla vita; così la fede non è più ragione illuminante e forza operante nella vita.
Ogni spiritualismo non può che parlare della Resurrezione di Cristo in modo sentimentale: devozione di un ricordo, non memoria di una presenza.
106 – La salvezza è concepita «escatologicamente», solo nell’ultimo giorno. In questo modo si evacua totalmente la salvezza dell’umano come è definita dalla fede, perché la fede annuncia, tende a realizzare e realizza, nel limite del possibile, la salvezza del presente.
Se si confina la salvezza alla fine del tempo, si distrugge di fatto la ragionevolezza della fede, cioè la sua umanità.
La Chiesa diventerebbe così non protagonista, ma cortigiana della storia culturale, sociale e politica.
Il singolo cristiano non vivrebbe più una appartenenza, ma una affiliazione per censimenti e volontariati, cioè l’omologazione di cui abbiamo sempre parlato.
107 – L’etica che deriva dal naturalismo e dal razionalismo diventa distruttiva dell’etica che nasce e scaturisce dall’ontologia del discorso cristiano.
Questa distruzione ci riporta allo statalismo nella sua versione di clericalismo.
«Coloro che prendono le distanze dal mondo, coloro che prendono quota abbassando il mondo, non si innalzano. Poiché non hanno la forza e la grazia di essere della natura, credono di essere della grazia. […] Poiché non hanno il coraggio del temporale, credono di essere entrati già nella penetrazione dell’eterno.
Poiché non hanno il coraggio di essere nel mondo, credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di essere di uno dei partiti dell’uomo, credono di essere del partito di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio.»
Ch. Péguy, Lui è qui
D) Un mondo senza io
108 – Da una «Chiesa senza mondo», un mondo senza io.
Ma se la Chiesa è senza mondo, questo mondo tende a essere senza l’io: vale a dire è un’alienazione.
Questo mondo ha come caratteristica l’alienazione.
Così, sinteticamente, il mondo finisce per essere l’ambito dell’esistenza definito dal potere e dalle sue leggi.
«Si è riusciti a far capire all'uomo / che, se vive, è solo per grazia dei potenti. / Pensi dunque a bere il caffè e a dare la caccia alle farfalle. / Chi ama la res publica avrà la mano mozzata». (C.Miloz, «Consigli»)
109 – Conseguenza evidente e ultima di ciò: la perdita della libertà.
Una esistenza definita dal potere e dalle sue leggi ha come conseguenza ultima la perdita della libertà.
Il «mondo posto nella menzogna» è quello per cui Gesù diceva di non pregare.
Questo «mondo» è il mondo negativo e alienante, dove l’io è negato e alienato, dove i significati della vita, tempo, spazio, lavoro, affezione, società, non nascono dalla appartenenza a Cristo attraverso l’appartenenza alla Chiesa, ma da un’altra cultura; una cultura che attinge i suoi inizi, cercando di svilupparli fino a determinare il volto di un ultimo fine, da una «naturalità» che esclude (perché «è troppo difficile») o discute (perché «non è chiaro» o perché «vuol essere libera» in senso istintivo) il mistero di Dio fatto uomo, il suo avvenimento presente.
Tale naturalità vige, prevale nel mondo culturale in cui viviamo.
E) Io senza Dio
110 – L’io senza Dio è un io che non può evitare tedio e nausea.
Per cui si lascia vivere: si può sentire particella del tutto (panteismo) o è preda della disperazione (il prevalere del male e del nulla: nichilismo).
«Nulla è più lontano da me che la concezione panteistica, l’idea di essere come annegato in un mondo in cui ci si dissolve con voluttà [sembra la definizione della New Age]. Questa concezione mi è sempre stata estranea: ho il sentimento molto forte della mia personalità, il sentimento che non sono fatto per essere inghiottito in un insieme, ma, al contrario, per dominarlo e per strappargli il senso che può avere.»
P. Cluadel, Mémoire improvisés
3. La moralità nuova
111 – Vogliamo adesso vedere brevemente come la fede in Cristo produca non solo una mentalità nuova, ma anche una moralità nuova.
La moralità nuova che scaturisce dall’avvenimento cristiano è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino.
Poi si capisce, maturando, stando in essa, che questa Presenza è continua.
La moralità nuova è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino che continua nella storia.
Tutta la storia precedente dà forza a questa evidenza – perché è una evidenza! –
È da una evidenza che il «sì» di Pietro sorge, prende corpo.
In tal senso, è la parola «carità» che definisce il concetto di giustizia cristiana.
112 – Questa è la giustizia di Dio. Essa è parte del Mistero. Carità e giustizia coincidono, nel Mistero sono una cosa sola, anche se le due parole sono, ciascuna per suo conto, vere.
Ma la giustizia di Dio non è la giustizia degli uomini: essa opera una cambiamento.
La giustizia di Dio, nella carità riconosciuta come parola espressiva suprema dell’atteggiamento di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio, opera una cambiamento radicale, cioè va alla radice stessa del cuore:
«L’uomo guarda all’apparenza, Dio guarda al cuore»
1 Sam 16,7
Perciò la giustizia di Dio è sempre un cambiamento delle esigenze costitutive del cuore nella loro totalità, fino alla felicità e perfezione.
Ciò che ha provocato il «sì» di Pietro è la carità di Pietro, che ha cambiato in dolore positivo il rimorso del tradimento operato.
Il rimorso del tradimento è stato investito dalla carità di Cristo, e il cambiamento in dolore positivo è la carità come riverberata da Pietro.
113 – Per questo il cambiamento che dimostra la presenza di Cristo si chiama «testimonianza»: è l’opera dell’io come opera di Dio, secondo la libertà che Dio esige.
Il cambiamento è frutto, opera, del Mistero nel tempo – del disegno di Dio.
La parte che spetta alla libertà dell'uomo è la mendicanza.
Questi sono fattori del disegno di Dio.
Alla libertà dell'uomo spetta la mendicanza, perché tutto il potere è di Dio. «Dio tutto in tutto».
La grande obiezione è che il cristianesimo non mantenga la promessa fatta.
L’obiezione nasce da un altro aspetto della nostra coscienza, nasce dalla paura del sacrificio.
114 -«Credo che la stagione della nascita sia la stagione del sacrificio»
T.S. Eliot, «Riunione di famiglia»
«LA croce [sacrificio] si oppone alla vita […] tale e quale [noi] sogniamo […] Non si oppone alla vita tale e quale è»
F. Mauriac, Santa Margherita da Cortona
Il sacrificio si oppone al sogno, non si oppone alla vita tale quale essa è.
Sacrificio: condizione del possesso vero.
Il tempo che passa non annulla, ma approfondisce la verità del possesso di tutto, in qualsiasi rapporto: niente è più obiezione.
115 – Il mistero dell’Essere che si attua in questa valorizzazione del sacrificio, più che in qualsiasi altra situazione o posizione, è la conferma della positività di tutto quello che l’uomo ha davanti a sé.
116 – L'uomo è niente, se prende coscienza del suo rapporto con l'Essere.
È niente, eppure Dio l’ha fatto, egli si sente fatto, si percepisce fatto, costruito, per una cosa grande.
Il segno che l’uomo è stato fatto carico di gloria e di onore, non meritandolo dal punto di vista ontologico, è che Tu, Signore, «gli hai dato potere sull’opera delle tue mani», su tutto il creato.
Senza la positività, la creatività indomabile, insonne, irriducibile, che in qualsiasi momento, di fronte a qualsiasi difficoltà, trova la sua origine, la sua sorgente nella realtà di Cristo presente nella sua Chiesa, non è possibile vivere.
Che nelle nostre azioni il nostro soggetto viva l’abbandono al Mistero, a Cristo, al Mistero che si è rivelato in quell’Uomo, e, perciò, che stupefatti sentiamo il «sì» di san Pietro emergere dal fondo del cuore, questo atteggiamento è la mirabile novità che il cristiano deve documentare dovunque vada, per la gloria umana di Cristo nella storia: quanto più si vedrà questo cambiamento, tanto più vi sarà la gloria a Cristo, la gloria di Cristo nella storia sarà sorpresa, voluta, consapevolmente amata, sopra ogni cosa.
La gloria di Cristo può diventare proprio la passione di un giovane o di un uomo adulto.
Assemblea
118 – Giancarlo Cesana: «Cosa vuol dire questa tua insistenza sul cambiamento come cambiamento di conoscenza?»
Giussani: Lo si capisce se si pensa al fatto che il cambiamento è dell’io, della mia persona, della tua persona. Il cambiamento è di un io responsabile: variamente, ma responsabile sempre.
Ora, tale cambiamento, proprio perché è dell’io, inizia nella conoscenza.
L’io, infatti, per agire e per fare agire, parte da motivi razionali, anche se tali motivi e principi razionali sono il più delle volte implicati, impliciti, più che esplicitati e consapevoli criticamente.
119 – Il cambiamento può essere inteso anche come circostanza di vita; anzi, noi tendiamo a concepire il cambiamento del nostro io e della nostra vita come cambiamento delle circostanze in cui viviamo.
Il vero cambiamento è nell’impegno nostro con esse, nel tipo di atteggiamento nostro verso di esse.
Perciò, in quanto è proprio dell’io, non può non incominciare che come dipendente da una conoscenza diversa in cui lui si butta, in cui è introdotto.
120 – Senza conoscenza non c’è esperienza, manca il livello umano del vivere, e perciò non c’è cambiamento dell’umano.
Se non ci introduciamo in una esperienza, è impossibile un vero cambiamento.
Don Pino: «In un passaggio di ieri, tu hai detto che uno degli esiti più impressionanti della mentalità moderna, del razionalismo moderno, è la confusione tra il senso religioso e la fede. Potresti aiutarci ad approfondire questo aspetto?»
Giussani: Il razionalismo tende a concepire la ragione come luogo della verità: la verità è quello che la ragione ammette e così essa finisce per idealizzare ciò che sente.
Noi finiamo sempre col tendere ad idealizzare ciò che sentiamo o, più ancora a identificare il vero con ciò che sentiamo.
121 – Il senso religioso è identificato così con un sentimento: è un sentimento vago o deciso, ma è un sentimento, non è una ragione, non ha ragioni particolari, vale a dire non è una realtà che si raggiunge come conoscenza, abbandonando i primi passi più istintivi, più meccanici.
Il senso religioso, invece, non è un sentimento, non è un complesso di sentimenti.
La ragione c’entra, perciò.
Il senso religioso è originalmente agli inizi della vita della ragione, cioè della vita cosciente dell’uomo, si pone agli inizi: è implicito nella sua identificazione con la natura stessa dell’uomo.
Il senso religioso non è un sentimento e la ragione non è una attività estranea ad esso.
Ora, la fede è riconoscimento di una Presenza.
Questo non è un sentimento; anche se implica tanto sentimento, non è definibile come sentimento.
La Presenza riguarda gli occhi, l’emozione che provoca: ci sono di mezzo gli occhi, il cuore in quel che si prova; ma una valutazione di essa, la valutazione più importante, più decisiva per tutto il resto della vita, la definizione del riconoscimento di una Presenza appartiene a quello stadio originale della coscienza umana per cui, di fronte a uno spettacolo della natura, anche il bambino dice: «Che bello!».
Dicendo «che bello!», esprime non un suo modo di sentire, ma un suo modo di vedere, che è razionale.
Cesana: «Le domande più frequenti erano sul tema del sacrificio, facendo vedere così che, nonostante quello che diciamo, il problema etico in effetti ce l’abbiamo.»
122 – Don Pino: «Cosa significa appartenere nella vita quotidiana? Emerge come paura delle promesse non mantenute. Come aiutarci a superarla? In questo senso, che cosa significa che il sacrificio è condizione di questo superamento?»
«Dare la vita per l’opera di un Altro» è un sacrificio grande, è il sacrificio più grande.
Ma c’è qualcosa di più che viene da dire di fronte a questa frase: se è essenzialmente dare la propria vita per l’opera di un Altro, il sacrificio è un atto di amore.
Perché questo è amore: dare la vita per l’opera di un Altro è amore.
Il sacrificio è un atto di amore in quanto affermazione di una positività di tutto il vivere, sia come riconoscimento dell’Ente supremo, sia nell’attuare il riconoscimento della propria vita come riflesso su tutto l’universo.
123 – Vivere la propria vita come riflesso su tutto l’universo richiede un atto di amore.
Il sacrificio non è la difficoltà, ma è il punto di partenza per affrontare tutte le nostre opere, nei rapporti con le cose e con gli uomini.
Il sacrificio, insisto, non è la difficoltà, ma un punto di partenza per affrontare tutte le difficoltà, cioè è una affermazione positiva dell'Essere.
Per fare un sacrificio occorre vedere, intravedere, una positività.
124 – Seguire il carisma rende più fattibile il riconoscimento di questa positività.
Un carisma che parte, come origine, dal senso religioso realizzato, reso reale, compiuto dall’incontro con Cristo, rende evidente più fattibile il riconoscimento di questa positività di tutto, di tutto, anche della morte.
Comunque, il fattore oggettivo che il mistero colloca nella dinamica delle cose, la modalità con cui il Mistero comunica la dinamica delle cose, è proprio il sacrifico.
Il sacrificio vissuto assicura - come è chiaro per la stessa coscienza umana - la positività della vita, dell'essere, dell'esistere.
125 – Per questo il sacrificio è obbedire: nel senso che la realtà non la faccio io, quello che sono non lo faccio da me, tutto quello che mi è dato è condizione per una coscienza maggiore, più profonda, di tutto quel che facciamo.
Per questo il sacrificio è obbedire, e parte da questo «pre-concetto» o pregiudizio»: il «dato», l'opera di un Altro.
Nella semplicità del mio cuore, Ti ho offerto tutto.
«Offerto» significa che non c’è sacrificio più grande che dare la propria vita per l’opera di un Altro.
126 – Don Pino: «Vorremmo che ci parlassi della gloria di Cristo: che cosa fa sì che essa diventi la passione della nostra vita?»
Giussani: La ragione è fatta per cogliere l’essere delle cose: Cristo, momento supremo della creazione, «tutto in Lui consiste», in qualsiasi apparenza questo «tutto» si traduca.
127 – …] il culmine del Mistero cristiano nell’esistenza dell’uomo: «Tutto consiste in Lui».
È una affermazione che entra nella nostra vita con la tessa modalità con cui entra nella nostra vita il “come ” dell’esistenza delle cose: è una oggettività innegabile come partenza, dice Il senso religioso.
Cristo, come uomo ragionevole, è stato concepito dal Mistero come il momento totalizzante della storia dell’universo, nel tempo e nello spazio dell’universo e in tutta la storia dell’uomo.
Cristo è il Segno con cui il Mistero coincide totalmente, realmente.
Rifiutare Cristo è cadere, diventare prigionieri di un preconcetto nell’uso delle cose.
128 – Affermare Cristo è affermare la bellezza oggettiva che ci rende appassionati alla vita e tutto diventa trasparente ai nostri occhi.
La letizia proprio del cuore è, quanto più si matura, nel tempo quindi, una conferma a noi stessi di quello che diciamo e in cui crediamo.
Affermare Cristo ci apposta al primo varco da cui inizia il Mistero come Mistero che fa le cose: diventa esperienza quel che Dio fa.
Cristo è il primo varco, è il primo passaggio, è la prima presenza: il rapporto con Cristo rende trasparente ai nostri occhi tutta la vita.
E la verifica sta proprio nel fatto che, si diventa ricercatori e attori lieti.
«Renderò evidente la potenza del mio nome dalla letizia dei loro volti».
Confrattorio della IV domenica di Avvento ambrosiano
«SOLO LO STUPORE CONOSCE»
129 – «I concetti creano idoli, solo lo stupore conosce»
Cfr. Gregorio di Nissa, La vita di Mosé
come si fa a riconoscere che siamo sollecitati a aderire a Cristo dal movimento e dalla Chiesa di Dio, dalla Chiesa cattolica invece che da altre versioni? «Solo lo stupore»: è lo stupore, come per Giovanni e Andrea.
130 – Questa è la parola che spiega tutto quello che noi diciamo dell’inizio della fede.
Il gesto della fede si è enucleato, è sorto ed è stato «gestito» in Giovani e Andrea per una Presenza: era una Presenza suggestiva, una Presenza che colpiva, una Presenza che stupiva: «Ma come fa ad essere così?»
Dalla fede – che è affermazione di un fatto, dell’oggettività di un fatto, Cristo – si sviluppa una esteticità, cioè una suggestività, che rivela una ragione adeguata realmente in atto: è una ragione adeguata che fa nascere l’estetica in un rapporto.
Perché la bontà, meglio, l’etica, deriva dall’estetica.
131 – Se non si è bambini, come dice il Vangelo, si parte da un preconcetto. E non si può aderire a una cosa che ci chiede sacrificio in forza di un preconcetto: si deve aderire per la forza di una attrattiva che ha. come per Giovanni e Andrea.
Per questo Gesù citava il bambino più piccolo come esempio ai più grandi, perché innanzitutto bisogna essere liberi e veri, trasparenti.
Diversamente, in tutto sorge l’obiezione: tutte le nostre obiezioni partono da un preconcetto e vi si arroccano, così che esso diviene inattaccabile e impedisce, poi, ogni tentativo di identificare una verità reale da parte della ragione.
Lo stupore solo «convince», cioè conosce fino alla convinzione.
Il preconcetto p l’eliminazione della vera estetica, del vero gusto della vita
Esercizi spirituali predicati da don Giussani
1° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA
- Prefazione di Carrón
- 1982 – Il cuore della vita
- 1983 – Appartenenza e moralità
- 1984 – Io vi chiamo amici
2° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE
- Prefazione di Carrón
- 1985 – Ricominciare sempre
- 1986 – Il volto del Padre
- 1987 – Sperimentare Cristo in un rapporto storico
3° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE
- Prefazione di Carrón
- 1988 – Vivere con gioia la terra del Mistero
- 1989 – Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina
- 1990 – Guardare Cristo
4° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO
- Prefazione di Carrón
- 1991 – Redemptoris missio
- 1992 – Dare la propria vita per l’opera di un Altro
- 1993 – «Questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda»
5° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI
- Prefazione di Carrón
- 1994 – Il tempo si fa breve
- 1995 – Si può vivere così
- 1996 – Alla ricerca del volto umano
6° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO
RICERCA per anno dei riassunti degli Esercizi di don Giussani
1982 – 83 – 84 – 85 – 86 – 87 – 88 – 89 – 90 – 91 – 92 – 93 – 94 – 95 – 96 – 97 – 98 – 99

