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Lettera «T»
- Tempio
- Tempo
- Tendere
- Tenerezza
- Tentazione
- Testimone
- Testimonianza / testimoniare
- Tiepidezza
- Tornaconto
- Tradimento
- Trinità
- Tristezza
- Tu/tu
Tempio
165 – L’affezione è come il cemento per la compagnia.
In questo cemento la compagnia cresce e diventa una costruzione, il tempio di Dio in questo mondo a cui Dio sarebbe ignoto.
266 – È l’intendimento di Davide, quello di creare il tempio del Signore: «Non mi darò pace fino a quando non avrò costruito la casa del Signore», non posso vivere io in una casa di duro legno e di bel legno quando il tempio di Dio è fatto di frasche.
321 – Parliamo quest’oggi della terza colonna (carità, le altre fede e speranza) che tiene in piedi il tempio di Dio, la realtà come tempio di Dio, la realtà come vissuta dall’uomo, perché è tempio di Dio in quanto è vissuta dall’uomo.
Tempo
105 – È questa la libertà: aderire a ciò che ti spinge verso il giusto e il bene.
Quello che ti permette questo si chiama grazia.
[…] È una grazia essersi sentiti dire «Vieni», una grazia incomparabile, tanto è vero che adesso potete presentire qualche cosa, ma quanto tempo ci vuole per comprenderla di più! Il tempo che passa, questo è grazia!
250 – Se l’educazione del bambino non opera una insistenza sugli atteggiamenti originali in cui è stato creato, per esempio sulla sincerità, per esempio sulla dipendenza, per esempio sullo stupore, per esempio sulla finezza, sulla delicatezza, sulla misura nei rapporti…se non sono sottolineate queste caratteristiche originali, il tempo come tale le svapora, toglie loro la luce che hanno.
289 – Tutte le volte che ci raduniamo così, volenti o nolenti, restiamo percossi dalla coscienza del tempo che passato, del tempo che è passato, del tempo che passa.
Ma dico del tempo che è passato perché è anche sommario di come ci siamo comportati, di come abbiamo usato questo tempo, coscienza di un tempo passato, del tempo passato, e quindi coscienza del tempo che passa.
La cosa più importante è quest’ultima: coscienza del tempo che passa.
Ma la coscienza del tempo che è passato ci illumina, ci rende più scaltri, vuole attivarci in modo più intelligente la coscienza del tempo che passa.
290 – Il tempo passato è un’esperienza che ci dovrebbe rendere più attenti al tempo che passa, coscienti del suo senso; il senso è la direzione in cui va il tempo che passa, il tempo essendo una mobilitazione di tutto quanto, di tutto quello che vediamo, di tutto quello che sentiamo.
Questa mobilitazione del tempo che passa, questo senso del tempo che passa, che cosa implica, che cosa richiede a noi? Di tutto quello che è passato e di tutto quello che passa, cosa ci importa?
Il tempo non ci appartiene.
Il nostro modo di vivere di solito si fissa in immagini cui attribuiamo il valore del tempo; si fissa in progetti, insogni, in previsioni cui leghiamo il valore della vita, il val la pena vivere.
Prendere coscienza del tempo passato significa scoprire innanzitutto i fattori con cui giudicare queste immagini che si fissano, quei fantasmi in cui si coagula il nostro sogno.
291 – Il passato, ciò che ci è piaciuto di più in questi mesi, ciò che ci ha soddisfatto, ciò che ci ha fatto conoscere e amare di più, ciò che ha reso più soddisfacente la nostra vita, ciò che ci è piaciuto non ci appartiene, ciò che ci è piaciuto non è stato generato da noi, non è stato deciso da noi, non è stato immaginato da noi.
Il fatto che il tempo ci sia piaciuto non è dipeso da noi: è stato nostro e non ci è appartenuto, fu nostro e non ci è appartenuto, tanto è vero che è passato.
303 – «Mi hai chiamato, mi porterai fino in fondo». Se uno dice con sicurezza questo e chiede tutti i giorni questo, chiede tutti i giorni al Signore, «porterà frutto a suo tempo». Qual è il suo tempo? È quello che stabilisce Colui cui apparteniamo.
370 – Non ti correggere perché è giustissimo, altrimenti il tempo e la ripetizione delle cose a cosa varrebbe? Niente.
Se è per Gesù, il tempo che passa e la ripetizione, creano.
375 – Per il bambino piccolo, salvo il cibo e chi glielo dà, tutto è astratto. Ma raggiungendo i sei, dieci, quattordici, venti quarant’anni, fino a lì puoi rimanere ancora un po’ bambino ma dopo si sfonda: o uno sfonda se stesso, vale a dire dorme (ma tutto il tempo però) e le cose lo piallano, il tempo lo pialla, gli avvenimenti lo piallano, oppure incomincia a capire.
Coscienti del tempo
289 – Tutte le volte che ci raduniamo così, volenti o nolenti, restiamo percossi dalla coscienza del tempo che passato, del tempo che è passato, del tempo che passa.
Ma dico del tempo che è passato perché è anche sommario di come ci siamo comportati, di come abbiamo usato questo tempo, coscienza di un tempo passato, del tempo passato, e quindi coscienza del tempo che passa.
La cosa più importante è quest’ultima: coscienza del tempo che passa.
Ma la coscienza del tempo che è passato ci illumina, ci rende più scaltri, vuole attivarci in modo più intelligente la coscienza del tempo che passa.
tempo e spazio
182 – Dio è padrone del tempo e dello spazio, mentre per noi il tempo è una prigione.
È anche una possibilità di apertura, il tempo: se non avessi domani, non potrei conoscere un’altra bambina, se due anni fa non avessi avuto un domani, non avrei potuto conoscerti, che ci sia domani e come domani nasca da oggi, lo sa Iddio, non lo so io.
277 – Quanto più si vuol bene tanto più diventa lieve, leggere, libero il rapporto.
E il tempo e lo spazio in cui il rapporto si traduce, non sono pretesi; non si pretende di vedere la persona dopo un’ora, non si pretende di vederla tutti i minuti, non si pretende di avere la cosa qui o là o altrove.
Tempo e spazio sono vinti, nella povertà sono vinti: uno è libero nel senso della leggerezza.
La povertà ti fa usare la cosa per il destino, e questo è usare la cose come se non si usasse, averla come se non si avesse, possederla come se non la possedesse, come dice quel bellissimo brano di san Paolo.
Tendere
69 – Per tendere, c’è qualcosa prima che ti deve tendere, devi essere attratta: per tendere deve essere attratta.
Attratta, allora, domandi.
Riferitevi sempre lì (Andrea e Giovanni): in Andrea e Giovanni, vedendo parlare quell’uomo, era naturale il desiderio di conoscerlo, di stare con Lui, di sentirlo ancora parlare.
Tenerezza
221 – Io credo che ciò che non conosce chi si lamenta, chi imposta la vita come lamento, è la tenerezza.
Nei rapporti manca profondamente la tenerezza.
Possono innamorarsi fin quando vogliono, ma manca la tenerezza.
C’è un fremito che può sembrare tenerezza, ma che non sia tenerezza è reso noto dal fatto che prima di tutto è provvisorio e, in secondo luogo, è egoistico, è egocentrico.
Questo binomio di letizia e tenerezza – perché solo il cuore lieto può essere tenero nel rapporto; la tenerezza è una sensibilità verso la gioia dell’altro, una sensibilità tesa ad augurare ed affermare la gioia dell’altro -, questo c’è soltanto in chi si appoggia, accetta, è bambino di fronte a Cristo, come gli apostoli.
406 – La permanenza della tenerezza e quindi della letizia che ne nasce esige che sia una tenerezza vera; deve essere proprio una tenerezza vera per resistere, per permanere.
Per essere una tenerezza vera deve amare in modo vero l’oggetto e l’oggetto deve essere percepito per quello che veramente è.
Solo se tu percepisce l’eternità della compagnia con questa persona, solo se tu percepisci che il rapporto con questa persona, ciò che suscita in te, è segno del tuo rapporto con l’eterno, allora il rapporto con questa persona è un rapporto eterno, l’amore per questa persona è un amore eterno.
Tentazione
240 – Il perdono resta la tentazione di umiliazione più forte che abbiam l’uomo perché la tentazione più forte che l’uomo ha è quella di essere padrone di sé stesso.
Il dover essere perdonato è l’opposto più terribile.
Perciò è realmente la fatica più grande che l’uomo deve fare quella di accettare di essere perdonato.
Testimone

La conoscenza attraverso il testimone
24 – “A” sono io, “B” è Nadia: entrando in rapporto con Nadia che è lì seduta vicina sull’aereo, io vengo a sapere di Carlo (C). Poi incontrando Guido (D), gli dico le cose che Nadia mi ha detto (di Carlo) come se le avessi viste io.
credibilità del testimone
39ss – Quando uno di può fidare veramente del testimone?
41 – Quando si è giusti nel fidarsi di una persona?
Quando quella persona sa realmente quel che dice e non vuole ingannare, secondo le due categorie che sono vecchie come tutta la filosofia scolastica, ma che sono di buon senso: se io sono sicuro che quell’individuo lì sa quel che dice e non mi vuole ingannare.
Se uno raggiunge la certezza che una persona sa quel che dice e che non la vuole ingannare, allora logicamente deve fidarsi, perché se non di fida va contro se stesso, va contro il giudizio formulato che quella persona sa quel che dice e non la vuole ingannare.
La fiducia è un problema di coerenza, di coerenza con una evidenza della ragione, una evidenza raggiunta direttamente o attraverso un testimone, subito o in seguito a una convivenza.
Testimonianza / testimoniare
145 – Qual è lo strumento che usa (Gesù) per far capire che è così? La vita che sono chiamati per questo, la testimonianza della nostra vita cambiata dalla fede.
Perciò nel Natale bisogna domandare a Cristo che, avendo incominciato in noi l’opera buona, la porti alla fine.
E l’opera buona, la grande opera buona, il più gande valore del mondo, qual è? La testimonianza a Cristo.
164 – Il rimedio a tutto questo (all’effimero, alla menzogna) non è certo quello di parlare di morale e di valori, come fanno anche tanti nostri superiori, ma è quello di creare, di mostrare a tutti, di far vedere a tutti che una compagnia fatta perché si è incontrato Cristo, una compagnia che si crea perché si è incontrato gente che ha incontrato Cristo, fa realizzare quello che tutta la politica, tutta la cultura e tutto il resto non valgono a farci vivere.
Cristo vi ha scelto come strumenti per dire agli altri quello che Lui è, per destare negli altri l’amore a quello che Lui è; perché quello che Lui è, è il destino di tutti.
Ma voi desterete l’amore a Cristo negli altri attraverso la presenza vostra, amorosa di Cristo, la vostra presenza amorosa di Cristo che è il testino di tutti.
È solo attraverso una presenza che si comunica agli altri.
208 – La testimonianza è un pezzettino di morte per Cristo, ogni testimonianza.
Concretamente si chiama missione: la vita come missione.
418 – Per che cosa vi ha chiamati? Per riecheggiare la testimonianza nel mondo, per renderlo presente nel mondo.
Tiepidezza
207 – L’opposto della pazienza non è l’impazienza: l’impazienza è un difetto della pazienza.
L’opposto della pazienza è quella specie di rassegnarsi verminoso, è quel procedere serpentino, è quello sgranchirsi le braccia e le gambe inutile, che deriva da tante cose, per esempio dalla pigrizia.
Si chiama tiepidezza.
La tiepidezza è seguire il cammino della speranza con naso storto, la testa storta, come, appunto, si torce un verme per camminare; è chi ci sta senza starci e perciò non è gradito «né a Dio né ai nemici sui».
208 -Ma soprattutto la tiepidezza è un modo di vivere la sequela di Cristo che stufa sé, che stufa noi stessi, che è senza luce, senza brillio, senza energia creativa, senza dolcezza, senza progetto: cioè senza speranza!
Sperare senza sperare, che è il contrario della grande frase che san Paolo ha detto di Abramo: «Sperare contro ogni speranza».
La tiepidezza come opposto alla fortezza.
Tornaconto
361 – Quello che fai con carità, lo fai non per il tornaconto – non pensi neanche al tornaconto -, lo fai per dono di te e per commozione, per stupore e per commozione.
Il tornaconto è qualcosa che viene alla fine e che dimostra la ragionevolezza della carità: è giusta la carità, tant’è vero che ti dà il centuplo: se calcoli per avere il centuplo, ti brucia via anche il poco che hai.
Tradimento
329 – Per capire che cosa che cosa è il tradimento, ragazzi, dobbiamo pensare alla nostra distrazione, perché è un tradimento passare le giornate, le settimane e i mesi…guardate ieri sera, quando lo abbiamo pensato? Quando lo abbiamo pensato seriamente, con cuore, nell’ultimo mese, negli ultimi tre mesi, dall’ottobre fino ad adesso? Mai.
Trinità
153 – L’io dell’uomo è destinato ad essere insieme a tutto ciò che c’è, al mistero dell’Essere.
Perché è fatto a immagine di Dio e Dio è comunione: la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il mistero della Trinità; è nel mistero della Trinità la radice del fatto che l’io non è solo.
Un io solitario è un io perduto.
345 – Noi siamo fatti parte, siamo fatti accedere, appena appena, sulla soglia del grande Mistero che fa tutte le cose, il Mistero del Dio Padre che ama generando il figlio, facendo scaturire in questo rapporto la realtà dello Spirito che è identica a ognuno di loro.
368 – Fra Dio Padre, il Verbo e lo Spirito Santo non c’è drammaticità, eccetto che dal punto di vista dell’esito nella creazione, dal punto di vista del loro rapporto con la creazione; non c’è drammaticità tra di loro perché l’unità dell’amore è così totale che non può permettere qualsiasi differenza: identico al Padre, identico al figlio.
411 – Quando un ragazzo vuole bene a una ragazza – è inutile: i paragoni che si possono fare riconducono tutti al rapporto tra bambino e genitori o tra uomo e donna, perché sono le due immagini originali del riflesso che il mistero della Trinità ha sulla vita dell’uomo, sulla vita del creato -, se un uomo vuol bene a una donna, o non ci riflette, oppure, se uno ci riflette, capisce che tutto quello che fa, in casa o nei rapporti, è costretto a farlo, ad agirlo secondo il temperamento e la volontà della persona amata: è costretto a far tutto come vuole un altro.
Tristezza
403 – La tristezza è una nota inevitabile e significativa della vita, perché nella vita, in ogni suo momento tu hai la percezione di una cosa che ancora di manca: la tristezza è una assenza, sofferta.
Che cosa rende buona la tristezza? riconoscerla come strumento significativo del disegno di Dio.
Il disegno di Dio implica questo: che la vita sia sempre, in qualsiasi caso – e tanto più quando è impegnata, quanto più è apparentemente soddisfatta – soggetta alla percezione di qualcosa che manca.
438 – Il velo di tristezza da che cosa è dato? Questa è l’indagine razionale. Il velo di tristezza è dato dalla promessa del centuplo è dato da qualcosa che tu lasci mancare? Se tu per esempio non mendichi, se non lo segui, se nella tua vita non segui Cristo, se nella tua vita non ci segui, se non facciamo insieme, non cerchiamo insieme, come fai ad avere il centuplo?
A che cosa si deve questo velo di tristezza? È perché rimani attaccato all’avere, al possedere immediatamente, come tu senti, invece che desiderare di sentire come si deve, di sentire quel che è veramente, di sentire la verità, portandoti la croce come Cristo, come tutti gli uomini.
tristezza e domanda
395 – È in tale tristezza di fronte alla presenza incompiuta, che si sprigiona la domanda, l’ultima della Bibbia: «Vieni Signore Gesù», vieni Tu, perché Tu che sei morto in croce, solo Tu, puoi rendere felice – puoi essere il destino compiuto -, puoi rendere felice la persona che amo; e così rendere felice me, ma come conseguenza!
tristezza e sacrificio
394 – Il sacrificio afferma come sentimento più forte, più grave e più grande della vita la tristezza, perché la presenza che io voglio affermare non mi riesce di affermarla.
Io amo una persona, vorrei affermarla con tutto me stesso e non riesco: muore, dopo due giorni muore.
Non riesci ad affermare l’oggetto proprio dell’amore, compiutamente, adeguatamente: perciò non può non essere tristezza il rapporto umano.
Tu/tu
186 – (Per Pietro, Giovanni e Andrea) Gesù era per loro uno a cui davano del «tu», era una Presenza: quando si svegliavano alla mattina, intorpiditi perché avevano dormito all’aperto e Lui aveva passato tutta la notte a pregare dovevano «sentire» di appartenere a quell’uomo, perché su quell’uomo potessero fondare una loro speranza nel futuro; era quell’uomo cui accettavano di appartenere che fondava la loro certezza per il futuro.
295 – Questo Mistero è bene, questo Tu enigmatico è buono: attraverso questa compagnia ci prende per mano: MI PRENDI PER LA MANO.
Tu sei vicino. Come? Se è vicino lo si percepisce: come si percepisce? La compagnia in cui ci stringe, che non avremmo mai scelta noi, noi così, mai.
340 – Amare Cristo e in Lui, cioè secondo il suo modo, i fratelli; dedizione di sé (dono di sé) e commozione per gli altri, per l’altro.
Insomma, è l’io che afferma il tu, è l’io che si esaurisce nell’affermare il tu, è l’io che muore per il tu. Il dramma è risolto.
373 – Cosa vuol dire: «Ti offro quest’ora di studio sul treno»?
Che quello che faccio consiste in Te, è fatto per Te, è fatto per qualcosa d’Altro, tutto è fatto di un Tu e lo scopo di tutto è la gloria di questo Tu, che questo Tu si riveli nella forma stessa della mia azione; gloria vuol dire riverberare la faccia di questo Tu.
441 – Alla sera diventava più facile per te dire Tu, dire Tu.
A chi possiamo dire tu più che a questo Tu?
È solo per questo Tu, che prende consistenza anche il tu che diciamo alla persona amata, a tutti gli altri, personalizza anche il nostro rapporto con tutti.
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I Temi di alcuni libri di don Giussani
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- TEMI – All’origine della pretesa cristiana
- TEMI – Perché la Chiesa
- TEMI – Il rischio educativo
- TEMI – Generare tracce nella storia del mondo
- TEMI di Si può vivere così?
- TEMI di Si può (veramente) vivere così?
Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”
- TEMI – Un strana compagnia (82-83-84)
- TEMI – La convenienza umana della fede (85-86-87)
- TEMI – La verità nasce dalla carne (88-89-90)
- TEMI – Un avvenimento nella vita dell’uomo (91-92-93)
- TEMI – Attraverso la compagnia dei credenti (94-95-96)
- TEMI – Dare la vita per l’opera di un Altro (97-98-99)
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