Temi di «Dare la vita per l’opera di un Altro»- 1a parte

Libro degli esercizi di Giussani: «Dare la vita per l’opera di un Altro»

Elenco linkato alle singole lettere

Link diretti ai TEMI di «Dare la vita per l’opera di una Altro»

AB CDEFGILMNOPRS TUV

Lettera «A»

Indice linkato alle singole parole


Affezione

42 – «Nel nostro cuore Dio inscrive verso i nostri amici un amore che essi non possono leggere, ma che noi possiamo manifestare loro. Ne risulta una affezione, più spesso un affectus, un attaccamento profondo, inesprimibile, che è dell’ordine dell’esperienza e che fissa all’amicizia diritti e doveri».

Bernardo di Chiaravalle

85 – Il cuore indica l’unità di sentimento e ragione. Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l’ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quel che si chiama affezione.

È il cuore – come ragione e affettività – la condizione dell’attuarsi sano della ragione. La condizione perché la ragione sia ragione è che l‘affettività la investa e così muova tutto l’uomo. Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell’uomo.

103 – Se non si tiene presente, però, che Gesù è Cristo, il Figlio di Dio, l’uomo consacrato, destinato come natura, come origine, a far parte del mistero di Dio, allora l’invocazione «Gesù», o l’affezione a Gesù si svuota: Gesù come uomo non diventa il «luogo» di una attrattiva che apre inopinatamente, inconcepibilmente all’Infinito.

Il «sì» di Pietro è, invece, il contrario. Il «sì» di Pietro si fonda sulla attrattiva e sulla affezione che nella sua carne Gesù suscitava.

Era un uomo davanti al quale Giovanni e Andrea sono rimasti colpiti.

109 – Questo «mondo» è il mondo negativo e alienante, dove l’io è negato e alienato, dove i significati di vita, tempo, spazio, lavoro, affezione, società, non nascono dalla appartenenza a Cristo attraverso l’appartenenza alla Chiesa, ma da un’altra cultura; una cultura che attinge i suoi inizi, cercando di svilupparli fino a determinare il volto di un ultimo fine, da una «naturalità» che esclude (perché «è troppo difficile») o discute (perché «non è chiaro» o perché vuol «essere libera» in senso istintivo) il mistero di Dio fatto uomo, il suo avvenimento presente.

Tale naturalità vige, prevale nel mondo culturale in cui viviamo.

174 – Il carisma resta la carità che Cristo ha per noi nel renderci suoi: suoi come coscienza e come affezione, cioè come mentalità e come modo di affrontare e realizzare l’affettività umana.

177- Ci sono problemi che costituiscono il fattori fondamentali della vita sociale, della vita umana nella società: il lavoro, il problema affettivo (la soddisfazione del problema affettivo), la giustizia.

Occorre amare Cristo in tutte le circostanze inevitabili della nostra vita, nel modo della sua dinamica e nel modo della sua affettività.

179 -È sempre un aumento di santità, è un aumento della coscienza della propria appartenenza, quello di accettare con intelligenza anche le prove che Dio manda e comprendere che il Signore ci manda questa prova perché l’affetto a Lui, l’affezione a Lui cresca.

Alienazione

108 – Se la Chiesa è senza mondo, questo mondo tende ad essere senza l’io: vale a dire è un’alienazione.

Questo mondo ha come caratteristica e come risultato l’alienazione.

Così, sinteticamente, il mondo finisce per essere l’ambito dell’esistenza definito dal potere e dalle sue leggi.

109 – Conseguenza evidente ed ultima di ciò; la perdita della libertà. Una esistenza definita dal potere e dalle sue leggi ha come conseguenza ultima la perdita della libertà.

Questo «mondo» è il mondo negativo e alienante, dove l’io è negato ed alienato, dove il significato di vita, tempo, spazio, lavoro, affezione, società, non nascono dalla appartenenza a Cristo attraverso l’appartenenza alla Chiesa, ma da un’altra cultura; una cultura che attinge i suoi inizi, cercando di svilupparli fino a determinare il volto di un ultimo fine, da una «naturalità» che esclude o discute il mistero di Dio fatto uomo, il suo avvenimento presente.

Tale naturalità vige, prevale nel mondo culturale in cui viviamo.

Alleanza / alleanza

156 – L’Alleanza identifica perciò la modalità suprema del rapporto tra l’uomo e Dio, tra l’uomo scelto e Dio (perché l’uomo scelto desse notizia di questo a tutto il mondo: al suo popolo e, attraverso il suo popolo, a tutto il mondo.

Tale modalità, iniziata con il popolo della Bibbia, è completata, come realizzazione finale, nel popolo cristiano.

Perciò chi è scelto da Dio, per appartenere a Dio deve appartenere a questo popolo (per questo ci siamo detti ebrei anche noi).

«”Io sono il Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto.” Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui».

Gen 17,1-3

162 – Il Corpo di Cristo: si chiama nuova ed eterna alleanza questa unità in tutti i tempi della storia.

«Il cristiano non si definisce secondo un modello minimo ma per la comunione. Non si è cristiani perché si è giunti a un certo livello morale, intellettuale, magari spirituale.

Si è cristiani perché si “appartiene” a una certa razza ascendente […] a una certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue»

Ch. Péguy . Cahiers de la Quinzaine

176 – È il Padre che sceglie il popolo, riconosce la sua santità in chi riconosce il compiersi della sua alleanza, in chi vede vivere intensamente l’appartenenza a Lui.

Siccome però il Padre ha dato al Figlio tutto nelle mani, l’origine della vocazione dell’individuo, l’inizio del popolo della Chiesa e il compimento di esso è un uomo, Gesù di Nazareth, presenza a me dell’Essere, del Mistero, di Dio.

Amicizia

21-22 – La natura dell’Essere si è rivelata in Gesù di Nazareth come amore in amicizia, cioè come amore riconosciuto.

Ora l’io umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflette originalmente il mistero dell’Essere uno e trino proprio nel dinamismo della libertà, la cui legge sarà quindi l’amore, e il dinamismo in cui si gioca questo amore non potrà che essere amicizia.

37- Sinteticamente, il comportamento di Gesù con Dio Padre è il riconoscimento e l’accettazione del Mistero come Misericordia.

Quindi il rapporto tra Gesù e il Padre rappresenta l'attuarsi supremo dell'amicizia.

La moralità dell’uomo nasce allora come amicizia con Dio come Mistero e quindi con Gesù, attraverso cui e in cui il Mistero si svela, si rivela, si comunica.

Amicizia vera è ogni rapporto in cui il bisogno dell’altro è condiviso nel suo significato ultimo, vale a dire in quel destino a cui ogni bisogno desta e che costituisce il termine della sete e della fame dell’uomo.

38 – Per l’uomo accettare l’amore che si esprime nella volontà di Dio, del Mistero, che facendosi uomo in Gesù accetta la morte, la sua morte per tutti i figli, è la sorgente della moralità, che nasce infatti come amicizia con Dio.

Come per Gesù la moralità nasce di essere soggetto proprio della misericordia del Padre, così per l’uomo, per ogni uomo, la moralità nasce come amicizia con Lui, con Dio in Gesù.

La moralità nasce come amicizia con Dio come Mistero e quindi con Gesù.

Il rapporto dell’uomo con Dio come Mistero e quindi con Gesù parte e si compie, in tutta la sua grandezza, semplicità, verità e sicurezza, nel di Pietro a Gesù, che gli domandava: «Simone, mi ami tu?».

Per il sì di Pietro, la moralità è sorpresa di una Presenza a cui si aderisce in modo tale che tutte la vita tende ad esserne concepita, nei particolari, nel suo insieme, così da far piacere alla faccia di quella Presenza.

Perciò la moralità per il cristiano, è adesione amorosa.

42- L’anima segreta di ogni rapporto è amicizia: volere il destino dell’altro, accettare che l’altro voglia il mio destino.

Se riconosco e accetto che l’altro agisce per il mio destino, questa è amicizia.

L’amicizia, cristianamente, è amicizia fraterna, è l’amicizia più familiare.

«La carità genera l’amicizia, ne è come la madre. È dono buono di Dio, viene da Lui, perché noi siamo carnali. Egli fa che il nostro desiderio e il nostro amore comincino dalla carne. Nel nostro cuore Dio inscrive verso i nostri amici una amore che essi non possono leggere, ma che noi possiamo manifestare loro. Ne risulta una affezione, più spesso un affectus, un attaccamento profondo, inesprimibile, che è dell’ordine dell’esperienza e che fissa all’amicizia diritti e doveri».

Bernardo di Chiavalle – Lettera 11,2-8 ai monaci della Certosa e al priore Guigone

Questa è l’amicizia di san Pietro con Gesù, quando ancora non sapeva, non si era accorto, non aveva preso coscienza di quel che Gesù volesse dire di sé.

43 – «È la carità che genera l’amicizia, ne è come la madre.»

La carità è il rapporto in cui si cerca il destino dell’altro con la consapevolezza di che ne è stato chiamato, nella coscienza che il destino dell’altro è Gesù, il Dio fatto uomo, in quanto attraverso quell’uomo è Dio che prende rapporto con noi.

48 – L’amicizia cristiana è partecipe della generazione della realtà sociale come popolo.

Dall’attuarsi di tale amicizia, cioè, nasce un popolo, perché solo nella reciprocità un uomo diventa padre, acquista una paternità, cioè genera.

Qualsiasi rapporto, nella misura in cui è realizzato nell’amore reciproco, cioè amicizia, genera qualcosa di umano.

E questo è il nostro contributo, il contributo della morale della Chiesa alla pace qui e ovunque.

60 – La cosa più sublime di un atteggiamento morale come quello che Cristo ci insegna è che ogni azione, come rapporto con Dio, con Gesù, con l’umanità del singolo e della società è amicizia.

Ogni rapporto umano infatti o è amicizia o è mancante, deficiente, menzognero.

Ogni rapporto è amicizia in quanto è dono, rappresenta o ha la possibilità di essere dono, che ci arriva da dio, o da Cristo, o dalla Chiesa, o dalla storia dell’uomo: è un dono l’amicizia che noi ospitiamo.

E accettare e ospitare questo dono rende reciproco l’amore che chi ha donato possiede, dimostra: accettarlo è l’amore che dimostriamo noi a chi ci ha dato il dono.

In questo senso l’amicizia è una reciprocità di dono, di amore, perché per un essere creato, come l’uomo, la forma suprema dell’amore a Dio è accettare di essere fatto da Lui, accettare di essere, accettare l’essere che non è proprio: è dato.

65 – Sia il Mistero che la sua fisica presenza nella nostra vita sono sorgente del rapporto che abbiamo con la verità e con la realtà tutta, e tutto questo diventa sorgente anche di quello che abbiamo detto essere amicizia.

Se come Tu guardavi tutta la gente con cui parlavi o che ti rispondeva o con cui non c’è stato nessun dialogo – anche Pilato, anche i sommi sacerdoti -, se il rapporto che Tu avevi con loro, che, come dimostrato in tutta la tua passione, era pieno di passione per il loro destino, per il destino delle loro persone, pieno di amore verso di loro, se esso fosse stato accolto, se si fossero messi d’accordo e in raccordo con Te, la parola amicizia sarebbe stata l’unica che potevano usare per il rapporto con Te.

La parola amicizia è l’unica che possiamo usare per il rapporto tra noi e Lui.

178 – Una caratteristica della concezione cristiana, della mentalità cristiana, è quella di indicare il legame profondo, originale, tra il conoscere e l’amare; per cui noi diciamo, siamo soliti dire che l’amore condiviso, e quindi un’amicizia, può sorgere soltanto da un giudizio: l’amore che non deriva da un giudizio non è umano.

Amore /amare

21-22 – La natura dell’Essere si è rivelata in Gesù di Nazareth come amore in amicizia, cioè come amore riconosciuto.

Ora l’io umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflette originalmente il mistero dell’Essere uno e trino proprio nel dinamismo della libertà, la cui legge sarà quindi l’amore, e il dinamismo in cui si gioca questo amore non potrà che essere amicizia.

37- Sinteticamente, il comportamento di Gesù con Dio Padre è il riconoscimento e l’accettazione del Mistero come Misericordia.

36 – «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna

Gv 3,16

Dunque il significato di questo Figlio, di questo Verbo, diventato carne, identificato con un uomo nato da una donna, è di svelare compiutamente l’amore del Mistero, l’amore che il Mistero ha verso la sua creatura: è di svelare completamente l’amore di Dio Padre.

«Sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Mt 28,20

È affermazione suprema del Creatore come amore.

In Gesù si svela il rapporto di Dio con la sua creatura come amore e quindi come misericordia.

38 – Per l’uomo accettare l’amore che si esprime nella volontà di Dio, del Mistero, che facendosi uomo in Gesù accetta la morte, la sua morte per tutti i figli, è la sorgente della moralità, che nasce infatti come amicizia con Dio.

Come per Gesù la moralità nasce dall’accettare di essere soggetto proprio della misericordia del Padre.

42 – «Nel nostro cuore Dio inscrive verso i nostri amici un amore che essi non possono leggere, ma che noi possiamo manifestare loro. Ne risulta una affezione, più spesso un affectus, un attaccamento profondo, inesprimibile, che è dell’ordine dell’esperienza e che fissa all’amicizia diritti e doveri»

Bernardo da Chiaravalle, Lettera 11,2.8, ai monaci della Certosa e al priore Guigone

48 – Qualsiasi rapporto, nella misura in cui è realizzato nell‘amore reciproco, cioè amicizia, genera qualcosa di umano.

60 – L’amicizia è una reciprocità di dono, di amore, perché per un essere creato, come l’uomo, la forma suprema dell‘amore a Dio è accettare di essere fatto da Lui, accettare di essere, accettare l’essere che non è proprio, è dato.

122-123 – «Dare la vita per l’opera di un Altro» è un sacrificio grande; è il sacrificio più grande.

Ma c’è qualcosa di più che viene da dire di fronte a questa frase: se è essenzialmente dare la vita per l’opera di un Altro, il sacrifico è un atto d‘amore.

Perché questo è amore: dare la vita per l’opera di un Altro è amore.

Il sacrificio è un atto di amore, in quanto affermazione della positività di tutto il vivere, in quanto affermazione della positività di tutto il vivere, sia come riconoscimento dell’Ente supremo, sia nell’attuare il riconoscimento della propria vita come riflesso su tutto l’universo.

Vivere la propria vita come riflesso su tutto l’universo richiede un atto di amore: concepire tutta la vita, la propria vita, come riflesso su tutto l’universo, come punto di riferimento di tutti gli input che l’universo dà alla coscienza dell’uomo, è un atto di amore, è affermare un Altro.

137 – L’amore che l’uomo ha a se stesso, che porta se stesso, lo rende cosciente, cerca di renderlo cosciente di quello che è lui.

148 – Diciamo a chi evita l’appartenenza a Dio che, senza di essa, non c’è storia né tradizione. Non c’è drammaticità dell’io, in quanto non c’è più libertà.

Non ci si paragona con il nulla o con l’inutile o con la morale astratta!

Come diceva Camus: «Bisogna incontrare l’amore prima di aver incontrato la morale. Altrimenti, lo strazio».

Ma l’amore che è? L’amore non può essere che un tentativo o un tentativo di possesso ai propri fini effimeri o compagnia nella strada, sulla strada che parta dal desiderio del destino dell’altro.

173 – «Quella grazia che fece della Chiesa il Corpo di Cristo faccia sì che tutte le membra della carità [ cioè dell’amore, tutte le membra del luogo dove Dio ha dimostrato di amare gli uomini] rimangano compatte e perseverino nell’unità del Corpo. Sia questa la nostra preghiera»

San Fulgenzio di Ruspe, Ad Monimum libri III

181 – Se il problema dell’uomo è l’amore al Padre, l’amore al Mistero, il problema dell’uomo cristiano diventa l‘amore a Cristo.

Ma l’amore a Cristo è il modo con cui il Mistero ha voluto educare l’umanità: attraverso dunque quello che noi abbiamo toccato, che noi tocchiamo, perché l’amore a Gesù è un consapevole amore, una affettività grande per il Suo Corpo, e l’amore al suo corpo, l’affettività per il Suo corpo è la vita delle nostre comunità.

185 – La responsabilità storica del cristiano è un’altra: data dal fatto che l’amore a Cristo, che nella Chiesa di partecipa, l‘amore a Cristo, che personalmente invade la nostra anima, porta ad un impegno di diversa nominazione, di diversa natura: è l’interessarsi della vita degli altri, di tutti gli uomini, usando tutte le flessioni e gli strumenti che Dio lascia trovare all’uomo e che sono giusti – giusti! -.

Ma la carità che ci spinge non è, non può essere nominata come tensione all’egemonia.

186 – (A proposito della giustizia umana) C’è un particolare che viene a galla e che fa capire che c’è del torbido sotto: è l’assenza dell’amore alla persona.

In questo senso ho citato la frase di Nietzsche: «Nell’occhio dei vostri giudici riluce sempre per me il boia con la sua spada gelida».

192 – E Lui andò là; non le disse: «Ti risuscito il figlio». Ma: «donna non piangere», con una tenerezza, affermando una tenerezza e un amore all’essere umano inconfondibili!

E infatti, dopo, le diede anche il figlio vivo.

Ma non è questo, perché di miracoli possono farne anche altri, ma questo, questa carità, questo amore all’uomo proprio di Cristo, non ha nessun paragone in niente!

194 – «Natale è l‘amore di Cristo all’uomo. […] Un Essere nuovo entra nel mondo.

Apparente / apparenza

15 – Dalla percezione vertiginosa dell’apparenza effimera delle cose, si sviluppa, come cedimento e negazione menzognera, la tentazione di pensare che le cose siano illusione o nulla.

17 – Se il suo io (dell’uomo) nasce come parte del grande divenire, come semplice esito dei suo antecedenti fisici e biologici, egli non ha alcuna consistenza originale: l’unico criterio che può avere allora è quello di adattarsi, così come viene, all’urto meccanico delle circostanze, e più in esse egli ha potere, più la consistenza sua, che è apparenza, aumenta, sembra aumentare, e perciò aumenta l’illusione, anzi, la menzogna.

80 – Se l’uomo cede alle ideologie dominanti, insorte dalla mentalità comune, si verifica una lotta, una divisione, una separazione tra segno e apparenza; da ciò consegue la riduzione del segno ad apparenza.

Più si ha la coscienza di ciò che il segno è, più si capisce la lordura e il disastro di un segno ridotto ad apparenza.

Il segno rivela il suo significato conducendo ad un’altra realtà.

Non sarebbe perciò ragionevole, umano, perciò, esaurire l’esperienza del segno nel suo aspetto percettivamente immediato o apparenza.

L’aspetto percettivamente immediato di una qualunque cosa, l’apparenza, non dice tutta l’esperienza che abbiamo delle cose, perché non ne dice il valore di segno.

Non è ragionevole, ma tutti gli uomini sono portati, dalla pesantezza su di essi del peccato originale, ad essere vittime dell’apparente, di ciò che appare, perché sembra la forma più facile della ragione.

82 – L’ideologia tende ad affermare come concretezza l’apparente, e l’apparente è solo quello che si vede, si sente, si tocca.

119 – Ieri mattina abbiamo parlato di apparenza.

Cambiamento vuol dire, può voler dire un modo di essere diversamente colpiti dalla apparenza.

Di fronte alle apparenze, l’uomo può assumere diversi comportamenti; può pensare: «Questa cosa è in ciò che appare» – è l’errore fondamentale che gli uomini commettono -, oppure può dire: «Questa cosa non è semplicemente nelle apparenze».

È qui in gioco il cambiamento di una concezione della cosa, proprio nel modo di concepirla.

Appartenenza

90 – Di qui l’imponenza morale della partecipazione a un movimento ecclesiale come appartenenza a un ambito in cui il dono dello Spirito che viene dal Battesimo si concretizza in forme dimostrative e persuasive.

Questo dono si chiama dello Spirito che viene dal Battesimo si concretizza in forme dimostrative e persuasive.

Questo dono dello Spirito si chiama carisma.

L’appartenenza al movimento, vissuta con semplicità e generosità, è sorgente di luce e di conforto per tutta la nostra vita, introduce, facilita e assicura una mentalità diversa e impegna una moralità diversa.

L’appartenenza al movimento, in quanto è una esperienza esistenzialmente concreta del vivere la mentalità nuova in Cristo e la morale nuova, introduce alla moralità della fede, quella fede che tende a venir meno nel cuore degli uomini man mano che chi ha responsabilità su su di loro tradisce.

106 – Se si confina la salvezza alla fine del tempo, di distrugge di fatto la ragionevolezza della fede.

La Chiesa diventerebbe così non protagonista, ma cortigiana della storia culturale, sociale e politica.

Il singolo cristiano non vivrebbe più un’appartenenza, ma una affiliazione per censimenti e volontariati, cioè omologazione di cui abbiamo sempre parlato.

110 – È l’appartenenza non alla società, non allo Stato, ma a Cristo nella sua Chiesa, è l’appartenenza a Cristo attraverso l’appartenenza alla sua Chiesa, è questa l’origine anche del concepire come debba essere una politica che si dica cristiana o che si possa dire cristiana.

111 – Come dall’appartenenza a Cristo nasce una nuova morale?

La moralità nuova che scaturisce nell’avvenimento cristiano è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino che continua nella storia.

122 – «Cosa significa appartenere nella vita quotidiana? Emerge come la paura delle promesse non mantenute. Come aiutarci a superarla? In questo senso, che cosa significa che il sacrificio è condizione di questo superamento

123 -Perché l’appartenenza a un movimento facilita l’evoluzione della nostra coscienza, il destarsi della coscienza nostra, così che essa guardi al sacrificio non come un fenomeno negativo del vivere? L’appartenenza a un movimento, o a una realtà sociale nella misura in cui interessa la vita e «pretende» di decidere della vita, rende possibile una educazione a capire che la realtà, nella sua sollecitazione o nella sua provocazione, mira auna positività: la positività dell’Essere.

124 – Seguire il carisma rende più fattibile il riconoscimento di questa positività.

136ss – Esigenza ed evidenza dell’appartenenza

137 – La parola utilizzata dalla Bibbia, colta nella Bibbia e nella nostra tradizione cristiana per dire come avvenga il miracolo del cambiamento, da una parte è l’espressione di una condizione, dall’altra parte indica la forza del cambiamento, forza e direzione del cambiamento: appartenenza.

Il cambiamento, dunque, ha una appartenenza come condizione, fa emergere la «appartenenza» come la parola decisiva per l’esistenza.

Ma cosa vuol dire appartenenza?

138 – Se non si parte dall’esperienza per cogliere se stessi e la propria realtà, significa che la vita si svolge determinata dal preconcetto o adottando un pre-fabbricato che si impone.

Ma che cosa significa, dunque, «appartenenza» per l’esperienza che l’uomo fa di sé – in cui può veramente capire che cosa questa parola significhi?

«In verità l’uomo afferma veramente se stesso accettando il reale, tanto è vero che l’uomo incomincia ad affermare se stesso accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è data da sé»

Don Giussani – Il senso religioso

È questa la ragione che fa dire: l’uomo appartiene a Dio.

La stessa ragione sospinge, poi, questa evidenza ultima della dipendenza da Dio, come dipendenza dell’uomo da un Altro, da un Altro da sé, fino all’appartenenza agli strumenti di cui Dio può servirsi, cioè la famiglia, la società.

139 – Questa appartenenza appare spesso incongruente: per esempio quando i genitori possono diventare non autorevoli e contradditori al cuore dell’io; o, soprattutto, quando la società prende un potere che cerchi e che pretenda di «rilevare» l’uomo da ogni altro influsso che lo determini, perfino dagli stessi genitori.

Lo Stato è portato a guardare l’uomo come un individuo, un fattore in funzione sua.

L'io umano dipende, e dall'esperienza l'uomo enuclea l'esigenza e l'evidenza di una dipendenza totale»

140 – L’appartenenza che è propria della creatura implica il fatto di uno sviluppo tangibile e percepibile coscientemente dall’uomo.

Il cambiamento – per tutta la natura, per tutte le creature, ma anche per l’uomo – è innanzitutto una diversità dal momento precedente, rilevabile coscientemente dall’uomo.

141 – La natura dell’uomo, a questo punto, illumina le prime conseguenze decisive di questa appartenenza a Dio.

Per esempio, la natura dell’uomo è libertà perché la sua origine è tutta nell’Essere, nel Mistero.

La natura della libertà è proprio riconoscere questa origine totalizzante, l’origine totalizzante cioè del rapporto con Dio.

L’io è rapporto con l’infinito, non c’è di mezzo nulla; vale a dire, è creato, fatto come rapporto con Sè dal Mistero.

La libertà è aderire all’Essere.

145 – La creatura appartiene a questo Mistero, perciò , certamente non è contraddizione dire che l’uomo non può bastare a se stesso, è dire come l’uomo è.

143ss – La negazione dell’appartenenza e sue conseguenze

L’uomo non c’era, ora c’è, domani non sarà più: dunque dipende.

O dipende dai suoi antecedenti temporali, ed è schiavo del potere, cioè di chi ha più spazio per un possesso; o dipende da ciò che sta all’origine del flusso delle cose, oltre esse, cioè dal divino.

È solo il divino che può salvare, che può collocare l’uomo in un posto degno.

144 – La cultura moderna, di destra o di sinistra [….] Al valore dell’appartenenza sostituisce una libertà che è non-adesione all’essere come Mistero, costituendo così una sorgente di menzogna.

È l’uccisione della libertà il non aderire all’essere.

145 – La negazione teorica, ma soprattutto pratica della nostra appartenenza a Dio è menzogna, sorgente di menzogna e perciò violenza.

È violenza ogni rapporto umano che non sia coscienza del destino, che non sia perciò, coscienza dell’appartenenza a qualcosa d’altro.

147 – Il problema è radicale, perché sono due mondi quelli che si affrontano: uno che accetta la sua appartenenza a Dio e uno che non l’accetta.

150ss – La storicità dell’appartenenza

Noi apparteniamo al Mistero, apparteniamo a Dio. Ma per quale strada andiamo a Lui, al Mistero?

Se in noi è riconosciuta un’appartenenza al Mistero, per quale strada possiamo andargli incontro, possiamo andare ad esso? In quale modo possiamo sapere la via che Egli ha tracciata come risposta a questa esigenza di appartenenza?

Perché un’appartenenza è fatta di una proposta, di un riconoscimento, di un piegarsi della nostra vita a quel riconoscimento e all’esperienza diretta dell’appartenenza con il fulcro indicato.

Ha il Mistero tracciato qualche via?

Noi apparteniamo al Mistero; e, dunque, per quale strada Egli ci vuole? Come si fa a vivere questa appartenenza al Mistero?

L’appartenenza a Dio, come suo fattore essenziale, implica la storicità; […]questo è stato ed è il genio del Creatore, il quale ha fatto sentire la sua signoria in un certo modo

A) La scelta di un popolo

Ebrei e società cristiana affermano chiaramente Dio come fondamento dell’appartenenza di ogni io: un’appartenenza che è di qualsiasi uomo, anche se non è ebreo né cristiano.

Non si può parlare di appartenenza a Dio senza cogliere, seguire ed imitare tutto ciò che Lui ha deciso di far conoscere all’uomo, perché Dio si fa conoscere dentro la storia.

La storia è il tempo e lo spazio che navigano trascinando l’uomo verso il suo destino.

Tutta la storia di tutto il mondo diventa chiara in un filone che parte da un uomo della Mesopotamia, Abramo.

Le altre religioni costituiscono una interpretazione che l’uomo dà del Mistero.

«Dio, vuole entrare nel mondo che è suo, ma vuole farlo attraverso l’uomo: ecco il mistero della nostra esistenza, l’opportunità sovrumana del genere umano

M. Buber, Il cammino dell’uomo. Secondo l’insegnamento chassidico.

152 – Ill Mistero si comunica all’uomo che sceglie, al popolo che privilegia, rivelando di Se stesso quello che vuole.

Il processo di elezione entra nella storia con potente pretesa di essere magistero per tutto il mondo.

153 – È tutta la cultura moderna che sente nemica l’appartenenza, perché «gli antichi, gli anni l ontani, sono parole per indicare questa provenienza misteriosa di quello che ci anima e che, sappiamo, ci fa agire.

154 – Questo per dire quanto l’appartenenza al Mistero comporta, implica che il Mistero penetri le nostre ossa e tutte le nostre carni e tutto quello che facciamo. Dio è tutto in tutti.

La decisione del Mistero di scegliersi un popolo quale veicolo della Sua entrata nel mondo, come coscienza e operatività, è un rischio cui il Mistero stesso si abbandona per fare approfondire e maturare l’appartenenza a Sé dell’esistenza umana e assicurare così la coscienza della durata del fatto che il popolo e il singolo appartengono a Lui, dentro le contingenze entro le quali li investe.

156 – Tale modalità, iniziata con il popolo della Bibbia, è completata, come realizzazione finale, nel popolo cristiano.

Perciò chi è scelto da Dio, per appartenere a Dio deve appartenere a questo popolo.

158 – L’alleanza implica dunque:

  • Che tutta l’umanità appartiene al mistero di Dio, il quale entra nella vita degli uomini, fagocitati dal male, che Lui intende salvare
  • che il modo di questa salvezza è affermare sempre più il valore di Dio attraverso quelli che Egli sceglie per primi, affinché si accorgano di Lui e perciò siano nel mondo missionari di questo, perché tutti si accorgano di Lui.

Questo è il vero concetto, completo, totale, di appartenenza.

B) Gesù di Nazareth.

L’Alleanza resta l’inconcepibile modalità che il cuore dell’uomo ha come suprema via per la sua vita e per la fedeltà del popolo ad Dio fedele: fedeltà del popolo che attuerà la promessa fatta da Dio ad Abramo e finalmente portata al mondo dal Messia, cioè da Cristo, Gesù di Nazareth.

161 – Mentre gli altri cedevano alle tentazioni del mondo, a questo popolo Dio ha dato una risposta positiva: Cristo.

162 – «Il cristiano non si definisce secondo un livello minimo, ma per la comunione. Non si è cristiani perché so è giunti ad un certo livello morale, intellettuale, magari spirituale. Si è cristiani perché “SI APPARTIENE a una certa razza ascendente […] a una certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue»

Péguy dai Cahiers de la quinzaine
163 - «L'appartenenza / non è un insieme casuale di persone / non è il consenso a una apparente aggregazione / l'appartenenza è avere gli altri dentro sé» (G. Gaber «Canzone dell'appartenenza).

L'appartenenza è la sintesi dell'atteggiamento che l'uomo deve avere verso Dio. 
Se l'uomo non appartenesse a niente, sarebbe niente. 
L'appartenenza implica naturalmente il fatto che un io, che non c'era, adesso c'è. 
Se l'uomo non appartenesse a niente, nella sua autocoscienza l'immagine del nulla starebbe davanti a lui, o dietro di lui.
Se non ci fosse la coscienza di una appartenenza, egli sarebbe proprio davanti al niente.

169 – «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me»

Gal 2,20

Per cui l’uomo ha sì una preoccupazione come tutti gli altri,, ma diversa ed ordinata davanti agli strumenti necessari per il lavoro, il lavoro essendo l’appartenenza a Cristo vissuta, la coscienza dell’appartenenza a Cristo vissuta.

In questo possesso di Dio, cui l’uomo riconosce di appartenere perché tutto gli viene da Lui, egli Lo scopre come una vicenda storica.

Tutto è perciò vissuto dall’eletto come dinamica di questa appartenenza.

171ss – Lo scopo dell’appartenenza

La prima cosa che abbiamo visto oggi è che l’appartenenza a Dio deve diventare l’appartenenza a Cristo che con questo entra nel mondo un nuovo.

A) Per la gloria del Padre

La prima parola che si può dire come scopo della necessità di vivere la coscienza dell’appartenenza è questa: la gloria del Padre, in cui diventa chiaro il rapporto fra l’Essere e il nulla, fra Dio e la creatura.

Noi siamo nulla.

Per questo dicevamo in Piazza San Pietro il 30 maggio, l’uomo vero è il mendicante.

B) Un popolo nuovo

172 – La condizione perché questo passaggio avvenga è il carisma.

173 – Il carisma è un intervento dello Spirito di Cristo per aumentare l’appartenenza di Cristo nel mondo.

174 – Il carisma resta, così, la carità di che Cristo ha per noi nel renderci suoi: suoi come coscienza affezione, cioè come mentalità e come modo di affrontare e realizzare l’affettività umana.

C) Per la gloria umana di Cristo

Lo scopo di tutto questo è la gloria umana di Cristo.

L’invasione che Cristo fa della realtà è umanamente inattaccabile, ma creando una situazione fisica come un corpo è fisicamente perseguitabile, proprio a causa della verità e dell’amore che Cristo suscita, a causa della forza di verità, della grandezza e fedeltà dell’amore che Cristo suscita.

175 – L’amore a Cristo è il modo della dinamica di tutti i rapporti con tutte le cose, con tutte le persone, è il criterio di misura di tutto, il fini di ogni azione: l’amore a Cristo ha come conseguenza l’affrontare tutto secondo la mentalità di Cristo, l’assumere la mentalità di Cristo, agire secondo la mentalità di Cristo.

D) Passaggio al significato ultimo: fede, speranza e carità

178 – La differenza più evidente dell’uomo cristiano, come mentalità, cioè intelligenza e amore, da chi non appartiene a Cristo è il fatto che egli vive le condizioni dell’esistenza e della storia a partire da una certezza positiva su tutto: è impossibile mantenere questa posizione, se non nell’avvenimento cristiano.

179 – Se viene meno tale capacità di speranza, allora certe esperienze di Chiesa cercano di salvarsi un posto nel mondo, assumendo come sorgente di dignità e di rispetto i suoi criteri.

Questo sarebbe sintomo di una appartenenza che svanisce.

L’essere cristiano è appartenere a Cristo, al «come» la persona di Cristo si è mostrata all’uomo.

La figura di Cristo si esprime, si dilata nella storia di un popolo.

La nostra appartenenza a Cristo coincide, dunque con quella al popolo di Cristo, alla Chiesa di Dio.

E il nostro modo di vivere la Chiesa di Dio è carisma.

182 – «Per quale motivo quest’anno è stato privilegiato il termine «appartenenza» dopo l’insistenza dell’anno scorso sul termine conoscenza

Si è insistito sul termine «appartenenza» perché il contenuto della conoscenza è innanzitutto coltivato e portato all’espressione, cioè comunicato, da un criterio, che si chiama anche mentalità, proprio di ciò cui si appartiene.

Che ne siamo consapevoli o no, il modo con cui sentiamo, vediamo, giudichiamo, viene da ciò cui apparteniamo.

È per questo che non si fa cristianesimo, non possiamo dirci cristiani, se, con l’aiuto di Dio, non si cerca di guardare le cose, tutte le cose – della vita propria, ma anche del mondo, come le emergenze terribili di questi giorni – e, pregando Dio, non ci si fa capaci di rispondervi con un criterio che abbiamo ricevuto dalla Chiesa cui apparteniamo.

183 – «Si può spiegare meglio il rapporto tra appartenenza e libertà? Perché, secondo la mentalità comune l’appartenenza è l’«essere-di». è considerata come la negazione della libertà. Mentre tu hai parlato della libertà come fattore essenziale e conseguenza dell’appartenenza. E poi: «Perché c’è ribellione alla concezione dell’io come appartenente».

Se l’appartenenza è il dipendere, l’essere stati fatti, la coscienza di essere ancora fatti, continuamente fatti dal Creatore, da Dio, dal Mistero di Dio, che cosa abbiamo ricevuto dal Mistero di Dio? Tutto!.

E perciò anche ciò che si potrà chiamare «libertà». Così l’appartenenza è la sorgente della libertà.

Comunque mi sembra esauriente il dirvi che, se l’appartenenza indica il fattore che ci ha dato e ci dà l’essere, l’energia che costituisce in noi un atteggiamento di libertà ci viene dall’appartenenza.

La libertà, infatti, non crea se stessa.

Ci si ribella tanto prima di tutto perché non si conoscono i termini della questione, non si conosce che cosa è la libertà, non si è mai riflettuto su questo.

184 – La libertà è riconoscere che Dio è tutto in tutto, quasi Dio abbia fatto il mondo e il creato per sfidare il niente, per sfidare il nulla.

La ribellione non può essere spiegata; è spiegabile soltanto come un cupo silenzio a se stessi, di fronte all’ultima porta che è quella di sentirsi creati, del sentirsi fatti: «Non Ti riconosco».

Ma niente può eliminare quanto sta prima, che Dio è tutto in tutto; l’Essere è tutto in tutti gli esseri.

191 – Qualunque sia la forma di vocazione, vi auguro che in questa grande cosa, per questa grande cosa che il Signore vi ha dato, se essa diventa sempre più personale, cioè sempre più obbediente, abbiate ad incontrare un padre, abbiate a vivere l’esperienza del padre.

Perché la prima appartenenza, fisiologicamente e socialmente parlando, e anche ai propri occhi, è quella del genitore.

Dio ci è dato attraverso il padre e la madre.

202 – Ripetete questa formula tutti i giorni e tutte le ore: Veni Sancte Spiritus. Veni per Mariam.

Lo Spirito è Dio, a cui apparteniamo. perché lo spirito è autocoscienza; e se questa è in noi bene applicata fa capire: l’uomo capisce che appartiene, che è appartenenza a un Altro.

È l’appartenenza a una Presenza, a una Presenza, anche qui, misteriosa.

203 – Veni per Mariam. Pensiamo alla evoluzione di questa donna e al suo modo di permanenza nella storia! Ma ovviamente è da Dio, è in Dio il fondamento della sua appartenenza.

Attesa

159 – Nella vita e nella coscienza del popolo ebraico c’era un vuoto: l’attesa di come Dio avrebbe usato di loro per raggiungere altri uomini.

161 -Il peccato originale continua, la giustizia sarebbe impossibile, ma il «resto di Israele» non può guardare la sere quel bel tramonto o immergersi nell’alba del mattino, se non aspettando, sapendo aspettare.

A tutta questa emergenza di attesa, il Mistero ha risposto positivamente: «Io sono con voi».

Ma la presenza di Gesù, come risposta alla lunga attesa del popolo e di tutti i popoli, ha la durata che copre l’intera storia.

Attrattiva

72 – Solo se l'Essere è attrattiva può essere capace di ottenere dall'uomo un'attenzione fino al sacrificio.

96 – Gesù non concepiva l’attrattiva sua sugli altri come un riferimento ultimo di sé, ma al Padre: a sé perché Lui potesse condurre al Padre, come conoscenza e come obbedienza.

131 – Non si può aderire a una cosa che ci chiede sacrificio in forza di un preconcetto: si deve aderire per la forza attrattiva che ha.

Come Giovanni e Andrea. «Che attrattiva ha quell’uomo!». Così nasceva in loro la domanda: «Che cosa vuol dire quello che Lui dice di sé? Che cosa dice di Dio?».

Solo se la proposta è suggestiva noi la prendiamo sul serio. Altrimenti, di essa prendiamo solo quello ch e decidiamo noi, cioè aboliamo la proposta.

La riduzione della fede a senso religioso avviene così.

Autocoscienza

27 – «Cristo tutto in tutti» sta a significare che Cristo, non solo ontologicamente, ma anche per l’autocoscienza dell’uomo, è la fonte originaria, l’esempio ultimo e adeguato perché l’uomo concepisca e viva il suo rapporto con Dio (Creatore) e con l’altro uomo (creatura), il suo rapporto con il cosmo, con la società e con la storia.

75 – La ragione è quel livello della creazione in cui essa è consapevole di sé, diventando cosciente del dato, del «qualcosa» in cui l’uomo si imbatte.

Questa autocoscienza genera la definizione di ragione.

147 – In uno Stato si possono far morire tutti quelli che credono in Dio, ma non si può toglierlo di mezzo, perché è nella struttura stessa della nostra coscienza ed è l’unica fonte di autocoscienza, per cui l’autocoscienza è un arricchimento continuo, può essere un avvenimento continuo di scoperta verso il vero, che non diventi mai l’oggetto della nostra capacità di afferrare.

163 – Se l’uomo non appartenesse a niente, nella sua autocoscienza l’immagine del nulla starebbe davanti a lui, o dietro di lui, quando la memoria è focalizzata da altro, per un momento o per alcuni momenti.

Se non ci fosse la coscienza di una appartenenza, egli – se pensa, se riflette, sarebbe davanti al proprio niente.

171-172 – La prima parola che si può dire come scopo della necessità di vivere la coscienza della appartenenza è questa: la gloria del Padre, in cui diventa chiaro il rapporto fra l’Essere e il nulla, fra Dio e la creatura (Sempre sottolineando che l’io è l’autocoscienza del cosmo intero, della creazione).

202 – Ripete questa formula tutti i giorni e tutte le ore: Veni Sancte Spiritus. Veni per Mariam.

Lo Spirito è Dio, a cui apparteniamo. perché lo spirito è autocoscienza; e se questa è in noi bene applicata fa capire: l’uomo capisce che appartiene, che è appartenenza a un Altro.

Autorità

47 – Chi salva l’ordine nella società è l’autorità: «Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite, perché non c’è autorità se non da Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio. […] I governanti non sono da temere quando si fa il bene»; «Siate sottomessi a ogni istituzione umana per amore del Signore». Non può essere contraddittorio quello che si vive.

Nasce così l’impegno a servire la comunità umana fino alla cultura, all’economia, anche alla politica, secondo tutta la capacità della nostra gratuità, non solo nel tempo libero, ma innanzitutto nel lavoro.

53 – «Che cosa hai voluto dire quando hai affermato che dobbiamo obbedire alle autorità (alle autorità civili, penso)? E in che senso questo non contraddice quanto hai detto prima circa lo Stato come Dio-idolo?»

Non c’è contraddizione nei due passaggi fatti, perché quello che si voleva colpire è la pretesa idolatrica di ogni autorità che voglia fondare la sua autorità in se stessa, cioè essere l’unica fonte esclusiva a decidere dell’io.

Ogni autorità, ogni potere che pretenda di fondarsi esclusivamente su se stesso ha dentro – poco o tanto – una menzogna, quindi inevitabilmente, proprio perché tende ad essere pretesa assoluta, è una violenza.

L’autorità vera, invece, è il punto che ha a cuore il destino dell’altro; l’autorità è buona in quanto ha a cuore il bene comune e la possibilità del destino.

Avvenimento / avvenimento /i

39 – La comunità della Chiesa è i luogo dove l’avvenimento della presenza di Cristo si rinnova, è nuovo, rinasce.

48 -Dall’avvenimento dell’amicizia cristiana vissuta come ecumenismo e pace, nasce un popolo: è l’accadere di una concezione della vita, di un sentimento del reale, di onestà di fronte alle circostanze, di una risposta intensa di fronte a una provocazione secondo una visione e secondo una percezione del proprio destino di verità e di felicità.

61ss – La presenza di Gesù Cristo è un avvenimento, secondo quanto il carisma donatoci ci rende sensibili a percepire (e di cui siamo persuasi!), è un Avvenimento che si incontra nel presente, nell’ora, nelle circostanze, che dilatano l’evidenza di una compagnia vocazionale come emergenza del mistero della Chiesa, Corpo misterioso di Cristo.

62 – Per ognuno c’è un fatto che ha avuto un significato, una presenza che ha influito su tutta la vita: ha illuminato il modo di concepire, di sentire e di fare.

Questo si chiama avvenimento. Quello in cui siamo introdotti resta veramente vivo, si avvera tutti i giorni; perciò tutti i giorni noi prendiamo coscienza, dobbiamo prendere coscienza dell’avvenimento come ci è accaduto, dell’incontro fatto.

77 – Invece di un avvenimento, l’ideologia. Il punto di partenza del cristiano è un avvenimento. Il punto di partenza di tutto il resto del pensiero umano è una certa impressione o valutazione delle cose, una certa posizione che assume «prima» d’affrontare le cose, soprattutto prima di giudicarle.

78-79 – La nostra vita cristiana, la nostra fede e la nostra morale concreta, la nostra impostazione della vita sono determinate o dalle ideologie correnti oppure dalla fattualità, dalla supremazia del nostro esistere, delle cose come avvengono, delle cose in cui ci si imbatte, delle cose cui si reagisce in un certo modo, dei fatti: fatti come avvenimenti.

79 – La nascita di un bambino, per esempio, è un avvenimento.

Ci sono avvenimenti grandi e avvenimenti minuziosamente piccoli come significato.

Se, allora, l’origine, il fondamento, il principio fondante di tutta l’esperienza umana è un avvenimento, esso si capisce, si fa capire, perché in qualche modo sta avvenendo adesso, ora.

Così il cristianesimo è un avvenimento e perciò è presente, è presente ora, e la sua caratteristica è che è presente come memoria.

Solo il riconoscimento di questo avvenimento impedisce di essere servi di un’ideologia.

Il cristianesimo nasce come avvenimento che si incarna nel presente come memoria.

82 – La sensibilità nel percepire tutte le cose come segno del Mistero è la tranquilla verità dell’essere umano. A essa si oppone la tirannia di chi ha in mano il potere, motivato con una ideologia, che nega questa considerazione che l’uomo dà a una cosa.

Anche gli accadimenti e gli avvenimenti diventano così labili nella loro contingenza che non dettano nessun cambiamento di vita, non suggeriscono più niente di espressivo nella vita.

92 – Quello che cambia in noi per l’intervento del movimento nella nostra vita e per coerenza da esso richiesta, deve partire coscientemente, ragionevolmente, avere cioè come primo luogo di avvenimento la conoscenza, perché tutto quello che l’uomo fa dipende dal modo in cui concepisce.

98 – L‘avvenimento di Cristo è immediatamente sperimentato come eccezionale perché è eccezionale, ma per coglierlo nella sua diversità occorre che la ragione, con semplicità, immediatamente accetti, riconosca quello che avviene, quello che è avvenuto, con l’immediatezza certa che si ha di fronte a ogni evidenza della realtà.

109 – Questo «mondo» è il mondo negativo e alienante […]; una cultura che attinge i suoi inizi, cercando di svilupparli fino a determinare il volto di un ultimo fine, da una «naturalità» che esclude (perché «è troppo difficile») o discute (perché «non è chiaro» o perché «vuol essere libera» in senso istintivo) il mistero di Dio fatto uomo, il suo avvenimento presente. Tale naturalità vige, prevale nel mondo culturale in cui viviamo.

140 – Solo per l’uomo accade un avvenimento per cui il Mistero da cui egli proviene totalmente si svela a lui nella misteriosità del suo essere, nella misteriosità di Essere; così che, nel suo rapporto con l’Essere, mistero di Dio, l’uomo, col potere di conoscerlo, ha anche il potere di operare tutto il cosmo come figura in moto a imitazione.

155 – La storia è fatta di avvenimenti: Abramo, Isacco, Giacobbe. È un fiume, è una realtà in movimento che nasce dall’iniziativa del Mistero, attraverso una sorgente storica, Abramo, attraverso delle sorgenti storiche, i capi della sua gente dopo di lui.

È dunque una cosa impressionante che Dio usi un popolo e che questo «pretenda» di essere scelto.

Avvenimento dopo avvenimento si afferma l’esistenza di certe famiglie, di certe tribù, tutte determinate dalla posizione originale del genitore.

159 – Nella vita e nella coscienza del popolo ebraico c’era un vuoto: l’attesa di come Dio avrebbe usato di loro per raggiungere gli altri uomini.

La risposta di Dio è stata più potente della conoscenza pura del Dio e dell’avvenimento incomprensibile, terribile, del peccato originale: l’annuncio di un fattore nuovo entra nella storia dell’uomo.

163ss – L’avvenimento di una umanità diversa.

165 – Vorremmo vedere adesso che cosa implica appartenere a Cristo in tutta la propria esistenza.

È l‘avvenimento di una umanità diversa, in Cristo noi nasciamo come uomo nuovo, che è qualcosa di diverso dagli altri.

Questo avvenimento ha luogo dove è dato ed emerge: il Battesimo, perché il Battesimo è l’atto con cui Cristo prende una vita, elegge e sceglie una vita.

166 – La condizione è l’accoglienza di Cristo, il riconoscere la nostra appartenenza a Cristo, e quindi la convivenza con Lui, cioè l’intima partecipazione agli avvenimenti della sua vita.

178 – La differenza più evidente dell’uomo cristiano, come mentalità, cioè intelligenza e amore, da chi non appartiene a Cristo è il fatto che egli vive le condizioni dell’esistenza e della storia a partire da una certezza positiva su tutto: è impossibile mantenere questa posizione, se non nell’avvenimento cristiano.

fatto/i come avvenimento

62-63 – Per ognuno c’è un fatto che ha avuto un significato, una presenza che ha influito su tutta la vita: ha illuminato il modo di concepire, di sentire e di fare. Questo si chiama avvenimento. Quello in cui siamo introdotti resta veramente vivo, si avvera tutti i giorni; perciò tutti i giorni noi prendiamo coscienza, dobbiamo prendere coscienza dell’avvenimento come ci è accaduto, dell’incontro fatto.

78-79 – La nostra vita cristiana […] è determinata o dalle ideologie correnti oppure dalla fattualità, dalla supremazia del nostro esistere, delle cose come avvengono, delle cose in cui ci si imbatte, delle cose in cui si reagisce in un certo modo, dei fatti: fatti come avvenimenti.

La nascita di un bambino, per esempio, è un avvenimento.

Ci sono avvenimenti grandi e avvenimenti minuziosamente piccoli come significato.

Se, allora, l’origine, il fondamento, il principio fondante di tutta l’esperienza umana è un avvenimento, esso si capisce, si fa capire, perché in qualche modo sta avvenendo adesso, ora.

Non si può parlare di un passato che sia decisivo per una persona che vive oggi, se in qualche modo questo passato non diventa presente.

Così, il cristianesimo è un avvenimento e perciò è presente, è presente ora, e la sua caratteristica è che è presente come memoria; dove la memoria cristiana non è identica al ricordo, anzi, non è il ricordo, ma il riaccadere della Presenza stessa.

Solo il riconoscimento di questo avvenimento impedisce di essere servi di una ideologia.

Ricordiamo che tutte le ideologie hanno un sistema discorsivo e nella logica che le sostiene tendono al potere o hanno un potere, che è la prevalenza, in un dato momento, di un’ideologia sulle altre.

Invece il cristianesimo nasce come avvenimento che si incarna nel presente come memoria.


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