Temi di «Dare la vita per l’opera di un Altro»- 1a parte

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AB CDEFGILMNOPRS TUV

Lettera «M»


Memoria

78-79 – La logica di un discorso che parte da un preconcetto e vuole sostenerlo e imporlo si chiama ideologia.

Se, invece, […] il criterio suggeritore del comportamento dell’uomo è un avvenimento, esso si ricompone, si ripropone continuamente nella storia, nel tempo, giorno per giorno, ora per ora: questo avvenimento si capisce perché «sta avvenendo qualcosa» adesso.

La memoria è il contrario dell’ideologia.

79 – Non si può parlare di un passato che sia decisivo per una persone che vive oggi, se in qualche modo questo passato non diventa presente.

Così il cristianesimo è un avvenimento e perciò è presente, è presente ora, e la sua caratteristica è che è presente come memoria; dove la memoria cristiana non è identica al ricordo, anzi, non è il ricordo, ma è il riaccadere della Presenza stessa.

Solo il riconoscimento di questo avvenimento impedisce di essere servi di una ideologia.

Invece il cristianesimo nasce come avvenimento che si incarna nel presente come memoria.

176 -È una realtà incominciata duemila anni fa. Perciò la vita del cristiano è memoria, come dinamica, ed è certezza, cioè speranza, nelle promesse che Gesù introduce, affinché siano attuate in ogni uomo che Egli ha chiamato.

memoria cristiana/ di Cristo

46-47 – Ogni tempo nella storia, ogni misura di tempo «merita», cioè si proporziona all’eterno, nella misura in cui vive la memoria di Cristo.

Perciò la moralità cristiana implica che l’impegno sociale, culturale e politico sia educato, quindi maturi, nell’ideale concreto di un richiamo e di un aiuto alla memoria di Cristo, e quindi al senso della storia, come significato del tempo e dei rapporti.

Esortatevi a vicenda ogni giorno: richiamate la memoria di Cristo ogni giorno, richiamatevi alla memoria di Cristo.

65 – Non c’è rapporto davanti a Te, o Cristo, quando ti incontro vivendo la memoria di Te, non posso avere nessun rapporto umano, di nessun genere, con nessuno, senza che il tema, l’ideale dell’amicizia non venga perseguito.

89-90 – L’ambito ecclesiale necessario per essere sostenuti e confortati deve essere veramente consapevole di che cosa vuol dire fedeltà a Cristo e alla Tradizione, di come vive veramente la memoria cristiana – e non la memoria dei poveri morti.

90 – Di qui l’imponenza morale della partecipazione a un movimento ecclesiale come appartenenza a un ambito in cui lo Spirito che viene dal Battesimo si concretizza in forme dimostrative e persuasive.

Mendicanza

35 – La tensione è come l’ultima e permanente espressione della libertà nei confronti del «Dio che è tutto in tutto».

Che questa tensione diventi coerenza, infatti, nell’uomo è grazia.

Il filo della moralità è, dunque, domanda sincera di questa grazia. La domanda sincera è la forma fondamentale della preghiera: è mendicanza.

È nella morale la prevalenza della domanda e della mendicanza sulla riuscita del proposito: sarebbe presunzione, non proposito, se non fosse domanda.

41 – «Senza di me non potete far nulla». Perciò siamo mendicanti, e la forma della mendicanza illuminata da Cristo sono i sacramenti.

113 – Il cambiamento è frutto, opera, del Mistero nel tempo – del disegno di Dio. La parte che spetta alla libertà dell’uomo è la mendicanza. Questi sono i fattori del disegno di Dio. Alla libertà dell’uomo spetta la mendicanza, perché tutto il potere è di Dio.

170 – Quando abbiamo identificato la vita nella raccomandazione della mendicanza, il bisogno supremo che l’uomo ha della coscienza più viva di appartenere a Cristo e a Dio, abbiamo parlato della preghiera come l’espressione suprema della nostra libertà, perché la preghiera è il riconoscimento dell’Essere di cui tutto è fatto.

Mentalità (cultura) moderna

16 – Queste due teorie o posizioni (nichilismo e panteismo) dettano tutti i comportamenti di oggi; sono le uniche spiegazioni (anche pratiche, anzi soprattutto pratiche) date dalla mentalità comune generale che investe e ingombra la testa e il cuore di tutti, anche di noi cristiani, anche di molti teologi.

L’una e l’altra, con tutte le loro conseguenze, hanno un gioco comune, un punto di ritrovo comune: la fiducia nel potere e l’agognare il potere, comunque concepito, in qualunque versione.

40 – «Non conformatevi, perciò, alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto».

Josef Zverina – Lettera ai cristiani d’Occidente

72-73 – Ora per prendere coscienza di tale conseguenze etiche, noi dobbiamo prendere coscienza di una mentalità che, apparentemente esaltando una rinascita religiosa, in realtà vuole proprio censurare che «Dio è tutto in tutto», rendendolo astratto, dimenticandolo o, ancor più, negandolo. Vi è una irreligiosità nel nostro mondo che inizia, senza che nessuno se ne accorga, da un distacco che si opera tra Dio come origine e senso della vita (perciò pertinente alle cose che accadono, alle vicende dell’umano) e Dio come fatto di pensiero, fatto del pensiero, concepito secondo le esigenze del pensiero dell’uomo.

Ciò si riconduce a un distacco del senso della vita dall'esperienza.

76-77 – Se si usa male la ragione, ne va di mezzo tutto il conoscere dell’uomo come costruzione sulla realtà e della realtà. Se si usa male la ragione, cioè se la ragione si traduce come «misura» della realtà – e questo implica sempre la ragione come preconcetto, come un qualcosa che stranamente interviene nell’esperienza per sminuire e non riconoscere, ciò che è presente nella nostra vita -, ci sono tre possibili riduzioni che influenzano tutti i comportamenti della vita (Invece di un avvenimento una ideologia, riduzione del segno ad apparenza, riduzione del cuore a sentimento).

È in questa triplice riduzione che noi possiamo vedere e capire la profonda differenza che passa tra la cultura cristiana e cultura profana, non cristiana.

Parlare di cultura, infatti, è parlare di tutto l’assetto umano della nostra presenza nel mondo, perché la cultura non è un esito ricercato dagli appassionati o dai competenti: la cultura è ciò da cui l’uomo trae tutto il suo comportamento, ciò a cui si ispira nel suo comportamento come origine di tutto, nel formularlo e dispiegarlo seguendo l’evoluzione delle cose e della vita, e nell’affermazione dello scopo ultimo di ciò che egli compie, cioè del suo destino.

Il punto di partenza del cristiano è un avvenimento. Il punto di partenza di tutto il resto del pensiero umano è una certa impressione e valutazione delle cose, una certa posizione che uno assume «prima» d’affrontare le cose, soprattutto prima di giudicarle.

80 – Se l’uomo cede alle ideologie dominanti, insorte dalla mentalità comune, si verifica una lotta, una divisione, una separazione tra segno e apparenza; da ciò consegue la riduzione del segno ad apparenza.

La grande tentazione dell’uomo è esaurire l’esperienza del segno, di una cosa che è segno, interpretandola soltanto nel suo aspetto percettivamente immediato.

90 – L’appartenenza al movimento, in quanto è una esperienza esistenzialmente concreta del vivere la mentalità nuova in Cristo e la morale nuova, introduce alla novità della fede, quella fede che tende a venir meno nel cuore degli uomini man mano che chi ha responsabilità su di loro tradisce.

92 – Siccome la missione esiste e vive come testimonianza, solo la fede vissuta realizza la missione, perché solo la fede vissuta cambia, di quel cambiamento in cui chiunque può imbattersi e, sentendosene scioccato, mettersi a seguirlo.

Questo fa capire come la fede apra una mentalità e moralità diverse, sia davanti al mondo sia nella Chiesa stessa come realtà umana e, quindi, influenzabile dal contesto.

94-95 – La fede apre a una «mentalità diversa» da quella cui penetriamo tutte le mattine, quando ci alziamo e andiamo fuori casa (ma anche in casa): una mentalità diversa (la mentalità è il punto di vista da cui l’uomo parte per tutte le sue azioni) e, quindi, una «moralità diversa», perché l’azione da cui l’uomo si realizza può essere più, o meno o niente del tutto, in rapporto con la totalità delle cose.

La prima incidenza sulla vita dell’uomo che ha l’imitazione di Cristo (Cristo deve essere «tutto in tutti») è una mentalità nuova, una coscienza nuova, non riducibile ad alcun legge dello Stato o a una abitudine sociale, una coscienza nuova come sorgente e come riverbero di autentico rapporto con il reale, in tutti i dettagli che l’esistenza implica.

La mentalità mondana opera sull’orizzonte totale di ciò cui l’uomo, crescendo, si educa.

La mentalità nuova si sostituisce a essa con fatica e con lotta: la coscienza nuova del cristiano, dell’imitatore di Cristo, è interamente chiamata in causa di fronte a ciò che la mentalità dominante dice.

La pretesa della mentalità dominante è che si possa parlare di Dio a prescindere da Cristo.

109 – Il «mondo posto nella menzogna» è quello per cui Gesù diceva di non pregare;; egli no pregava per il «mondo» in quanto è dominato e si lascia dominare da un’altra concezione, ini quanto è invaso dalla menzogna.

Questo «mondo» è il mondo negativo ed alienante, dove l’io è negato e alienato, dove i significati di vita, tempo, spazio, lavoro, affezione, società, non nascono dalla appartenenza a Cristo attraverso l’appartenenza alla Chiesa, ma da un’altra cultura; una cultura che attinge i suoi inizi, cercando di svilupparli fino a determinare il volto di un ultimo fine, da una «naturalità» che esclude (perché «è troppo difficile») o discute (perché «non è chiaro» o perché «vuol essere libera» in senso istintivo) il mistero di Dio fatto uomo, il suo avvenimento presente.

Tale naturalità vige, prevale nel mondo culturale in cui viviamo.

144-145 – La cultura moderna, di destra o di sinistra, […] al valore dell’appartenenza sostituisce un libertà che è non-adesione all’essere come Mistero, costituendo così una sorgente di menzogna.

È l’uccisione della libertà il non aderire all’essere. Perciò, la cultura moderna, affermando l’uomo come misura di tutte le cose, di fatto sopprime la libertà, strozza la libertà, perché non la lascia essere, non può lasciarla essere, concepirla o possederla se non come menzogna.

Oltre che menzognero, l’uomo della cultura moderna è anche violento: la negazione teorica, ma soprattutto pratica, della nostra appartenenza a Dio è menzogna, sorgente di menzogna e perciò violenza, di una violenza lunga come il tempo della storia, in tutti gli ambiti e i rapporti della società.

153 – È tutta la cultura moderna che sente nemica l’appartenenza, perché gli «antichi, gli anni lontani» sono parole per indicare questa provenienza misteriosa di quello che ci anima e che, sappiamo, ci fa agire.

174 – Il carisma resta la carità che Cristo ha per noi nel renderci suoi: suoi come coscienza e come affezione, cioè come mentalità e come modo di affrontare e realizzare l’affettività umana.

La novità sta, dunque, nel comprendere in che modo Cristo, lo Spirito di Cristo, mira a compiere in noi una mentalità diversa, un modo di vedere, ma anche di giudicare e di trarre conseguenze da questo giudizio, un modo di conoscenza, nel senso pieno della parola, diverso e nuovo, e un modo di affezione, nel senso più lato del termine, che permetta una conoscenza chiara e vera del nostro rapporto con ogni cosa, ma, soprattutto, una modalità diversa di dinamica, di vibrazione della natura stessa dell’amore naturale.

178 – La differenza più evidente dell’uomo cristiano, come mentalità, cioè intelligenza e amore, da chi non appartiene a Cristo è il fatto che egli vive le condizioni dell’esistenza e della storia a partire da una certezza positiva su tutto: è impossibile mantenere questa posizione, se non nell’avvenimento cristiano.

188 – Nella mentalità moderna, l’operatore, cioè l’uomo, l’uomo che lavora, plasmato, fatto da Dio, presente in lui dall’origine, ha come abbandonato l’origine: l’origine è data per scontata e così annebbia nel tempo, finché se ne va.

Menzogna

17 – Se l’io nasce totalmente come parte del grande divenire, come semplice esito dei suoi antecedenti biologici e fisici, egli non ha alcuna consistenza originale: l’unico criterio che può avere allora è quello di adattarsi, così come viene, all’urto meccanico delle circostanze, e più in esse egli ha potere, più consistenza sua, che è apparenza, aumenta, sembra aumentare, e perciò aumenta l’illusione, anzi, la menzogna.

24-25 – «Egli sono è». Allora niente è nostro.

Se questo diventa obiezione, è per un veleno messo dal «padre della menzogna»: e questa obiezione è idolatria di se stessi.

Nella Bibbia infatti idolatria è sinonimo ultimo di peccato. Il «padre della menzogna» (come dirà Gesù del diavolo) agisce per diffondere la possibilità razionale dell’idolatria.

52-53-54 – […] La libertà è anche la possibilità chela creatura, l’essere partecipato, diventi diavolo, menzogna, sia rinnegato l’aspetto del ricevere, si ponga contro Dio, il suo essere partecipato divenga contrasto, negazione e contrasto di Dio come sorgente, come sorgente comunicativa dell’essere.

53 -Ogni autorità – non solo quella dello Stato, anche quella della Chiesa, o quella di marito e moglie, quella dei genitori con figli, quella della scuola, anche quella tra amici -, ogni autorità, ogni potere che pretenda di fondarsi esclusivamente su se stesso ha dentro – poco o tanto – una menzogna, quindi inevitabilmente, proprio perché tende ad essere pretesa assoluta, è una violenza.

L’autorità vera, invece, è il punto che ha a cuore il destino dell’altro.

54 – È solo il riconoscimento di questo che può vincere l’inevitabile menzogna che – poco o tanto – sottende ogni potere.

73 – Nel nostro spirito in quieto e confuso è presente la menzogna della mentalità di oggi cui noi stessi partecipiamo, poiché siamo figli della realtà storica che è l’umano e dobbiamo passare attraverso tutti i disagi, le tentazioni, i risultati amari, mantenendo la speranza che è vita della vita.

Vediamo, dunque, come si misura in noi la menzogna che ci viene dal mondo in cui siamo. (Da qui Giussani descrive il distacco del senso della vita dall’esperienza).

86 – Ho inteso anche sottolineare l’atteggiamento del mondo di oggi, quel mondo che Gesù definisce «tutto posto nella menzogna».

La menzogna è dire: «Dio c'è, ma "Dio tutto in tutto" è astratto».

Ciò significa in fondo rifiutarlo, perché tutti coloro che negano «Dio tutto in tutto» negano Dio.

144-145 – La cultura moderna, di destra o di sinistra, […] Al valore dell’appartenenza sostituisce una libertà che è non-adesione all’essere come Mistero, costituendo così una sorgente di menzogna. Infatti, Gesù dice che il diavolo è il «padre della menzogna».

È l’uccisione della libertà il non aderire all’essere. Perciò, la cultura moderna, affermando l’uomo come misura di tutte le cose, di fatto sopprime la libertà, strozza la libertà, perché non la lascia essere, non può lasciarla essere, concepirla o possederla se non come menzogna.

«Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna».

Gv 8,43-44

Misericordia

36-38 – Cristo è il nostro destino fatto presenza e compagnia, è il mistero di Dio fatto presenza e compagnia perenne, per tutto il tempo della creatura sua.

In Gesù si svela il rapporto di Dio con la sua creatura come amore e quindi come misericordia.

Che cosa aggiunga la parola misericordia alla parola amore, o perdono, è difficile dirlo, perché alla parola amore non si può aggiungere nulla; ma alla nostra percezione del significato di questa parola, la parola misericordia aggiunge il fattore del Mistero, per cui tutte le nostre misure e immaginazioni saltano.

La misericordia è la posizione del Mistero, indica la posizione del Mistero verso qualsiasi debolezza, errore e dimenticanza umana: Dio, di fronte a qualsiasi delitto dell’uomo, lo ama.

37 – L’accettazione di questa misericordia, il riconoscimento di questa misericordia è la somma moralità, il vertice della moralità; tale accettazione è il profondo della autenticità del riconoscimento che l’uomo, la libertà dell’uomo, realizza del Mistero, del Mistero come sorgente di tutto, del «Dio tutto in tutto».

Non si può mendicare da Dio Padre se non come abbandono a una misericordia.

Gesù come uomo riconosce e accetta di essere Lui la misericordia del Padre. Così Egli accetta di morire: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno».

38 – Come per Gesù la moralità nasce dall’essere il soggetto proprio della misericordia del Padre, così per l’uomo, per ogni uomo, la moralità nasce come amicizia a Lui, con Dio in Gesù.

50 – Il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia.

Il Mistero come misericordia. Questo è l’abbraccio più irresistibile, nella sua evidente pietà, dell’Essere, sorgente, scopo, natura di tutto l’essere; è il rapporto dell’Essere con il mio nulla, con me, che ha fatto e cui ha dato partecipazione a Sé.

88 – «Non possiamo imitare il mondo proprio perché dobbiamo giudicarlo, non con orgoglio e superiorità, ma con amore, così come il Padre ha amato il mondo e per questo su di esso ha pronunciato il suo giudizio» [Cristo, il suo giudizio è Cristo. e il Papa, nella enciclica Dives in misericordia, dice che la misericordia nella storia dell’uomo ha un nome: Gesù Cristo. Il giudizio di Dio è misericordia]

J. Zverina, «Lettera ai cristiani d’Occidente»

160 – Il senso del Mistero, dell’Infinito diventa diversità di comportamento nella storia. È la misericordia che agisce sul popolo e sull’Alleanza con giustizia.

Mistero/mistero

19-23 – «Egli solo è» (Milosz in Miguel Mañara) e questo identifica Dio come Mistero.

Ma, accanto a ciò, «io ci sono», e questo resta l’unico vero mistero per la ragione; senza questo mistero, la ragione non ragiona, perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori.

Nichilismo e panteismo sono una riduzione, sono negazione della ragione, sono semplificazioni riduttive…

20 – L’unico vero mistero dunque è: come mai ci sono io? come consisto? Questa domanda identifica il livello ontologico – non etico – della questione. Invece il razionalismo nichilista o panteista ha esasperato l’incidenza etica del problema, riducendo tutto alla affermazione dell’uomo.

Detto questo, ragionevolmente non si può non tener conto che per la ragione il Mistero deve essere, per così dire, «ridotto» il più possibile.

Fino a che punto dunque la ragione può arrivare, e dove il Mistero è inattaccabile?

Dove l’io può concepirsi indipendente dall’Essere da cui deriva? Nella libertà. Tutto il resto è “attaccabile” dalla ragione, comprensibile alla ragione.

Ma come agisce il Mistero che fa il fiore? Come mi fa?

Più radicalmente ancora, come fa il Mistero a creare qualcosa che non si identifichi con se stesso? Questo è il vero mistero.

21 – La libertà è l’unica cosa che appare alla ragione come fuori da Dio.

Il Mistero ha voluto essere riconosciuto dalla nostra libertà, ha voluto generare proprio il riconoscimento.

Ma in Dio stesso il riconoscimento è dato dal Figlio, da quello che ci è stato “dettato” come Verbo.

È nella sua persona, nel suo comportamento verso il Padre, che si rivela il Mistero come Trinità.

Accettare l’amore crea reciprocità, genera reciprocità.

Questo nel Mistero è natura. La natura dell’Essere si è rivelata in Gesù di Nazareth come amore in amicizia, cioè come amore riconosciuto.

Ora, l’io, l’io umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflette originalmente il mistero dell’essere uno trino proprio nel dinamismo della libertà, la cui legge sarà quindi l’amore, e il dinamismo in cui si gioca questo amore non potrà che essere amicizia.

22 – Rimane un punto che per la ragione è mistero: come mai Dio ha desiderato l’essere partecipato, e come quest’ultimo non confina, non stringe dentro il suo confine l’Essere, non ruba all’Essere niente?

Questo è il punto centrale del Mistero: come l’essere partecipato non rubi all’Essere niente.

Se la libertà è riconoscimento dell’Essere come Mistero, il rapporto dell’essere partecipato con Dio è solo la preghiera. Tutto il resto è Dio che lo fa.

È nella preghiera che il Mistero ancora persiste, resiste come spiegazione ultima; è nella preghiera e nella domanda, perché la preghiera è domanda, «domanda di essere», Dio vuole che ci sia uno che domandi di essere, che dica così tanto, così sinceramente che Egli è tutto, da domandargli ciò che gli ha dato: di partecipare all’Essere.

Anche in ciò che capisce e sente, l’io ragionevole adora il Mistero, si trova di fronte al Mistero.

Non «di fronte», ma «dentro» il Mistero.

Se è preghiera e domanda, è dentro il Mistero anche la libertà.

Domandare, dunque, che cosa? Domandare di essere; domandare l’Essere, il Mistero.

26 – L’essere partecipato riconosce che Dio è tutto, che tutto è fatto di Dio […] e la libertà è riconoscere che Dio è tutto; dal punto di vista passivo, per così dire, da parte del nulla, «tutto è Dio». Questa è la morale cristiana.

La morale cristiana coincide con questo riconoscimento che veramente si attesta sul punto dove il Mistero diventa più mistero, inattaccabile perfino dall’immagine, dalla fantasia dell’uomo.

28-32 – Perché il rapporto con Dio è rapporto con Gesù? Perché Gesù è lo svelarsi, il rivelarsi di Dio come Mistero, della Trinità come Mistero.

Perciò «morale» per l’uomo è l’imitazione del comportamento di Gesù Cristo, dell’uomo Gesù, di Gesù uomo-Dio, uomo in cui Dio è.

29 – Nel Battesimo, gesto fondamentale, per cui, nella vita della Chiesa, un uomo è reso immanente al mistero di Cristo, nasce la «nuova creatura».

Questa è l’ontologia nuova, l’essere nuovo, la partecipazione nuova, inimmaginabile, all’Essere, all’Essere come Mistero. Da qui proviene la morale nuova.

Ma come è possibile imitare Cristo nella infinita differenza della misteriosa identità di ogni uomo che crede in Lui? Che misteriosa identità vive in ogni uomo che crede in Lui!

30 – Il suo io, la Sua personalità si è identificata con la natura stessa del Mistero, così che quel che del Mistero si è potuto conoscere e si può conoscere è stato immediatamente rivelato da Lui.

Così abbiamo conosciuto che l’uomo Gesù è immanente al Verbo di Dio, Figlio del Padre.

Per cui l’imitazione di Cristo è possibile se l’uomo riconosce se stesso come «figlio adottivo» di Dio come Padre, misteriosamente partecipe della natura di Dio, scelto da Gesù, uomo-Dio, a essere parte di Lui nel mistero battesimale, fatto membro del suo Corpo.

31 – Il comportamento di Gesù, dell’uomo-Dio verso Dio, è tutto segnato dal riconoscimento che Dio, il Mistero, è paternità.

Gesù introduce l’uomo nel riconoscimento di questa paternità, della familiarità suprema col Mistero che lo costituisce, che fa tutte le cose.

Il signore unico, il Mistero che fa tutte le cose e tutto il tempo in cui le cose esistono, sussistono, diviene a noi familiare attraverso Gesù (uomo da Lui scelto e fatto parte, cioè partecipe immediatamente della sua natura divina, della natura del Mistero stesso).

Dio è Padre, il Mistero è paterno.

34 – Scopo dell’esistenza è che la creatura viva il più possibile la vita come tensione alla perfezione del Mistero.

36-39 – Il significato di questo Figlio, di questo Verbo diventato carne, identificato con un uomo nato da donna, è di svelare compiutamente l’amore del Mistero, l’amore che il Mistero ha verso la sua creatura: è di svelare completamente l’amore di Dio Padre.

La misericordia è la posizione del Mistero, indica la posizione del Mistero verso qualsiasi debolezza, errore e dimenticanza umana: Dio di fronte a qualsiasi delitto dell’uomo, lo ama.

37 – L’accettazione di questa misericordia, il riconoscimento di questa misericordia è la somma moralità, il vertice della moralità; tale accettazione è il profondo del riconoscimento che l’uomo, la libertà dell’uomo, realizza del Mistero, del Mistero come sorgente di tutto, del «Dio tutto in tutto».

Sinteticamente, il comportamento di Gesù verso con Dio Padre è il riconoscimento e l’accettazione del Mistero come Misericordia.

Il rapporto tra Gesù e il Padre rappresenta l'attuarsi supremo della amicizia

La moralità dell’uomo nasce allora come amicizia con Dio come Mistero e quindi con Gesù, attraverso cui e in cui il Mistero si svela, si rivela, si comunica.

38 – Per l’uomo l’amore che si esprime nella volontà di Dio, del Mistero, che facendosi uomo in Gesù accetta la morte, la sua morte per tutti i figli, è la sorgente della moralità, che nasce infatti come amicizia con Dio.

Gesù accetta questo Mistero che si comunica a Lui, lo accetta morendo per gli uomini.

La moralità nasce come amicizia con Dio come Mistero e quindi con Gesù.

Il rapporto dell’uomo con Dio come Mistero e quindi con Gesù parte e si compie, in tutta la sua grandezza, semplicità e sicurezza, nel sì di Pietro a Gesù, che gli domandava: «Simone, mi ami tu?»

39 – Il metodo che il Mistero ha usato per darsi, per svelarsi alla sua creatura, è il metodo sacramentale: segno che contiene il Mistero di cui è segno.

La comunità della Chiesa è l’aspetto di questo segno, è l’aspetto visibile di quella faccia; è la veste di quella Presenza, come la veste di Gesù per i bambini piccoli che stavano vicini a Lui.

41-42 – Non c’è rapporto giusto se non in funzione del Destino. Quando l’uomo vive questo, accetta questo, cerca in tutti i rapporti il destino dell’altro, allora tutti i rapporti sono buoni e in tutti i rapporti l’uomo accetta l’aiuto che gli viene dal Mistero attraverso l’altro, poco o tanto, che sia; Perché attraverso l’altro il Mistero aiuta l”uomo, quando l’uomo vive i rapporti – il rapporto con il compagno, con l’altro – con la coscienza del Destino.

42 – La carità è l’amore all’altro come affermazione del suo destino buono, come desiderio di affermazione che avvenga il suo destino giusto, perché Cristo è il Mistero di cui è parte e partecipa.

50 – Il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Il Mistero come misericordia. Questo è l’abbraccio più irresistibile, nella sua evidente pietà, dell’Essere, sorgente, scopo, natura di tutto l’essere; è il rapporto dell’essere con il mio nulla, con me, che ha fatto e cui ha dato partecipazione a Sé.

52-53 – L’unico punto non attaccabile dalla ragione significa, innanzitutto, che è l’unico punto il cui il Mistero resta mistero, totalmente mistero.

Ma la ragione non può capire il fatto proprio della libertà come possibilità di riconoscere o di non riconoscere il Mistero. È in questo punto che il Mistero resta inattaccabile…

All’Essere come tale non si può aggiungere niente, né togliere niente: ma la libertà sembra sottrarre qualcosa al Mistero dell’essere, a Dio, perché la libertà è anche una possibilità che la creatura, l’essere partecipato, diventi diavolo, menzogna, sia rinnegato l’aspetto del ricevere, si ponga contro Dio, il suo essere partecipato divenga contrasto, negazione e contrasto di Dio come sorgente, come sorgente comunicativa dell’essere.

58-59 – La scoperta ontologica – Dio è tutto e l’uomo è l’essere partecipato, è una comunicazione che di Sé fa l’Essere come Mistero – una questione di coscienza etica, cioè di comportamento.

La ragione, accorgendosi che Dio è la sorgente di tutto, che il Mistero sta all’origine di tutto, è anche tesa a scoprire come comportarsi con Dio, come trattare Dio, e perciò scoprire gli itinerari da cui conseguono leggi morali,

Il Mistero, sorgente e destino di tutta la realtà creata, ha voluto che ci fosse un uomo nato da una donna, che ha fatto la carriera dell’umano come ogni uomo, l’uomo Gesù di Nazareth, e volendo comunicarsi agli uomini attraverso questo uomo.

61-62 – Pensiamo a questo particolare: se io sono stato battezzato è perché la forza del Mistero che mi ha trasformato nel Battesimo, attraverso di me voleva passare, per tanti itinerari e occasioni, ad altri.

Questa è l’ontologia del rapporto nuovo con tutto: il rapporto tra il battezzato e tutti gli uomini scaturisce da questo fine che il Mistero, nel Battesimo ci ha comunicato.

E il Mistero ha incominciato a farci conoscere, con l’energia che ci ha dato nel Battesimo, lo scopo che aveva nello sceglierci.

62 – Soprannaturale è una realtà umana in cui è presente il mistero di Cristo, è una realtà naturale – nel senso che si dimostra e si specifica con volto umano – in cui è presente il mistero di Cristo.

È la Chiesa che emerge accanto a me.

64-65 – Cristo è un uomo che è vissuto duemila anni fa come tutti gli altri, ma che, risorto da morte, con l’invadenza della potenza del Mistero in Lui, di cui partecipava nella sua natura, ci investe giorno per giorno, ora per ora, azione per azione.

La totalità della presenza e della pretesa del Mistero sulla nostra vita e di Cristo, di Gesù di Nazareth, del giovane uomo di Nazareth, Gesù, che è il Mistero fatto Cristo, Suo Cristo, la totalità della grande figura, dell’immane figura, dell’immane accenno che Dio.

La parola di Dio è nel nostro cuore e sulle nostre labbra, la totalità di questa presenza famigliare, quotidiana ed efficace, di questa compagnia tanto strana quanto evidentemente insuperabile, questa totalità spiega il nostro dire «Tu»: «Tu» a Dio dobbiamo dire e «Tu, o Cristo» dobbiamo dire all’uomo Gesù di Nazareth.

Sia il Mistero che la sua fisica presenza nella nostra vita sono sorgente del rapporto che abbiamo con la verità e con la realtà tutta, e tutto questo diventa la sorgente anche di quello che abbiamo detto essere amicizia.

81-84 – Mistero (cioè Dio) e segno (Cioè la realtà contingente in quanto sempre rimanda ad altro; anche un sasso piccolissimo per essere se stesso, rimanda alla sorgente dell’Essere), Mistero e segno, in un certo senso coincidono: nel senso che il Mistero è la profondità del segno, Il segno indica la presenza del Mistero profondo, del Dio creatore e redentore, del Dio Padre.

82 – Il segno indica ai nostri occhi la presenza di Altro, del Mistero profondo per tutte le cose, la segnala ai nostri occhi, alle nostre orecchio, alle nostre mani.

Il Mistero si rende esperienza attraverso il segno

La sensibilità nel percepire tutte le cose come segno del Mistero è la tranquilla verità dell’essere umano.

Mistero e segno, dunque, in un certo qual senso, coincidono e il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

E quando il cristiano scopre che tutta la realtà è costruita da questo metodo di Dio, comprende meglio il valore dei sacramenti.

83 – Il sacramento si differenzia da tutti gli altri segni.

Nei sacramenti, inventati, creati da Cristo per generare un popolo nuovo – che fluisca come un fiume nelle acque del mare dell’umanità, come iniziale svelarsi dentro la storia del Mistero infinito a cui l”uomo va incontro al termine dei suoi giorni: è l’inizio, nella storia, dell’eterno -, il segno giunge fino alla completa identità col Mistero. Come nell’Eucarestia. Ma in tutti i sacramenti c’è questo riferimento totalizzante: il segno coincide col Mistero in senso proprio.

La sacramentalità è il modo in cui il Mistero dà se stesso, dona se stesso al nulla, creando il suo cosmo, la persona e il cosmo. […] il comunicarsi del Mistero implica un metodo sacramentale.

95-96 – La pretesa della mentalità dominante è che si possa parlare di Dio a prescindere da Cristo. Ma, sul Mistero, quello che ci è stato comunicato dal Mistero stesso, quello che ci è stato dato nella Rivelazione è l’uomo Gesù Cristo.

Quest’uomo è la sintesi e il centro di tutta la comunicazione di sé che il Mistero ha voluto fare alla creatura umana.

96 – Non esiste conoscenza del Mistero, che non sia una riduttiva interpretazione dell’uomo, se non in quell’Uomo, Gesù di Nazareth, che Dio ha assunto nella sua natura per dirsi all’uomo come Mistero.

Uomo e Mistero: questo fu Gesù, è Gesù, sarà Gesù.

La fede, come atteggiamento reale che l’uomo vive nei confronti di Dio, non è generica: è fede in Cristo, il Segno di tutti i segni, l’Uomo attraverso cui il Mistero si è rivelato.

124-125 – Anche la morte: l’unica possibilità, l’unica eventualità che la morte sia l’estrema positività delle cose, è data dall’Essere come Mistero.

Comunque, il fattore oggettivo che il Mistero colloca nella dinamica delle cose, la modalità con cui il Mistero comunica la dinamica di tutte le cose, è proprio il sacrificio.

Il sacrificio vissuta assicura la positività della vita, dell’essere, dell’esistere.

«Se non sarete come bambini, non entrerete mai»: non conoscere e non possederete mai.

Seguire il carisma rende attuale questo invito del Vangelo.

Perché la modalità con cui il Mistero comunica la dinamica che le cose hanno non può non partire dagli occhi del bambino.

125 – Per questo il sacrificio è obbedire: nel senso che la realtà non la faccio io, quello che sono non l’ho fatto da me, tutto quello che mi è dato (dal Mistero come da mia madre) è condizione per una coscienza maggiore, più profonda, di tutto quel che facciamo.

127-128 – Il culmine del Mistero cristiano nell’esistenza dell’uomo (è): «Tutto consiste in Lui».

Cristo, come uomo ragionevole, è stato concepito dal Mistero come il momento totalizzante della storia dell’universo, nel tempo e nello spazio dell’universo e in tutta la storia dell’uomo.

Cristo è il Segno con cui il Mistero coincide totalmente, realmente. Rifiutare Cristo è cadere, diventare prigionieri di un preconcetto nell’uso delle cose.

128 – Cristo è il Segno con cui il Mistero coincide, nella realtà e nella storia, nell’universo intero e nella storia dei popoli.

Affermare Cristo ci apposta al primo varco da cui inizia il Mistero come Mistero che fa le cose: diventa esperienza quel che Dio fa.

140-142 – Solo per l’uomo accade un avvenimento per cui il Mistero da cui egli proviene totalmente si svela a lui nella misteriosità del Suo essere, nella sua misteriosità dell’Essere, così, che, nel suo rapporto con l’Essere, Mistero di Dio, l’uomo, col potere di conoscerlo, ha anche il potere di operare per tutto il cosmo come figura in moto a imitazione di Dio.

La natura dell’uomo è libertà perché la sua origine è tutta nell’Essere, nel Mistero.

L’io è rapporto con l’infinito, non c’è di mezzo nulla; vale a dire, è creato, come rapporto con Sé dal Mistero.

142 – Per essere libero l’uomo non può bastare a se stesso: questa è la contraddizione che scandalizza o l’interrogativo che alimenta il desiderio di approfondimento dell’uomo.

Ma la creatura appartiene a questo Mistero, perciò certamente non è contraddizione: dire che l’uomo non può bastare a se stesso è dire come l’uomo è.

Il mistero dell’esistenza sta nel fatto che l’uomo esiste non potendo bastare a se stesso.

Il Mistero è quello che c’è oltre, dopo, al di là, vicino o lontano che sia, comunque possa essere pensato.

La creatura appartiene a questo Mistero.

Che la creatura appartenga al Mistero non è soltanto messo in fibrillazione dal fatto della libertà; perché la libertà vuol dire anche la possibilità di espressione originale, cioè creatività, da parte dell’uomo.

150-152 – Noi apparteniamo al Mistero, apparteniamo a Dio. Ma per quale strada andiamo a Lui, al Mistero? Come si fa a vivere questa appartenenza al Mistero?

L’appartenenza a Dio, come suo fattore essenziale, implica storicità: […] questo è stato il genio del Creatore, il quale ha fatto sentire la sua signoria in un certo modo.

151 – Tutta la storia di tutto il mondo diventa chiara in un filone che parte da un uomo della Mesopotamia, Abramo.

Le altre religioni costituiscono una interpretazione che l’uomo dà del Mistero. Invece la scelta di Abramo è il primo momento in cui si può ricevere una interpretazione concepita concretamente del rapporto nostro con il Mistero.

152 – Abramo è stato eletto, scelto come padre di un flusso nuovo, di un popolo nuovo.

La modalità della elezione, o scelta, o privilegio, svela il modo particolare, implicato in avvenimenti di storia reale, della comunicazione all’uomo di quello che il Mistero è.

Il Mistero si comunica all’uomo che sceglie, al popolo che privilegia, rivelando di Se stesso quello che vuole.

Il processo della elezione entra nella storia con potente pretesa di essere magistero per tutto il mondo.

153-154-155 – Quel popolo fa una fatica superiore a tutte le altre correnti religiose, perché l’unità e la santità di Dio, cioè del Mistero, «cadono» sopra il fare di tutti i giorni.

154 -Questo per dire quanto l’appartenenza al Mistero comporta, implica che il Mistero penetri tutte le nostre ossa e tutte le nostre carni e tutto quello che facciamo. Dio tutto in tutto.

La decisione del Mistero di scegliersi un popolo quale veicolo della Sua entrata nel mondo, come conoscenza e operatività, è un rischio cui il Mistero stesso si abbandona per fare approfondire e maturare l’appartenenza a sé.

Insomma, è come se il Mistero avesse detto: «Voglio, vogliamo un riconoscimento dal nulla».

155 – La decisione del Mistero di scegliersi un popolo è un «rischio» cui il Mistero stesso si abbandona.

La storia è fatta di avvenimenti: Abramo, Isacco, Giacobbe. È un fiume, è una realtà in movimento che nasce dall’iniziativa del Mistero, attraverso una sorgente storica.

È dunque una cosa impressionante che Dio usi un popolo e che questo «pretenda» di essere stato scelto.

157 – Tu sei di Dio, del Mistero, perché ti ha fatto tutto! Dio dice «Dio tuo» a uno per cui il Mistero è tutto: viene da Dio ed è, quindi, di Dio.

160-161 – Siamo chiamati a prendere coscienza di tutti gli aspetti in cui il Mistero desidera il riconoscimento, per cui la Sua dignità divina viene riscattata dalle dimenticanze, dalle corruzioni e dall’estraneità, nei quali errori si trovano, insieme agli altri uomini, gli eletti come tribù e popolo nuovo nel mondo, scartati – così sembra loro – e castigati per il loro delitti.

Il senso del Mistero, dell’Infinito, diventa diversità di comportamento nella storia.

«Il resto di Israele» non può guardare la sera quel bel tramonto o immergersi nell’alba del mattino, se non aspettando, sapendo aspettare.

A tutta questa emergenza di attesa il Mistero ha risposto positivamente: «Io sono con voi».

Un «resto di Israele» si accorge, però, nel giorno in cui il bambino fu presentato al Padre nel Tempio: un essere generato in una donna, perfettamente umano, che crescerà e comprenderà che cosa il Mistero ha fatto in Lui e con Lui.

166-168 – Ora, la cosa interessante, ancora interessante, è che ogni battezzato ha con l’altro un legame imponente, nella capacità di emergere come unità di fronte ad ogni diversità: qui l’unità è data dal fatto che ogni battezzato riverbera l’unità di Dio come mistero.

Perciò è Mistero questo, è misterioso l’avvenimento.

167 – «Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo per abituare l’uomo ad accogliere Dio e per abituare Dio a mettere al sua dimora nell’uomo, secondo la volontà del Mistero»

Ireneo di Lione, Contro le eresie, III, 20,2

171-174 – Cristo con la sua dedizione incondizionata al Mistero stesso, cambia anche me con tutta l’immensa folla umana che, secondo il disegno misterioso di Dio, si accalca per entrare nel fiume le cui acque sono la storia della salvezza, per cui tutto quello che si è rivelato con l’ebreo di Nazareth fluisce nel mare di Cristo: affinché sia compiuto il mistero del Padre in me, e quindi nel mondo.

172 – Il Mistero ha creato misteriosamente, ha voluto un dialogo con il nulla, con il mendicante. Noi siamo nulla.

Il Mistero ha creato misteriosamente, ha voluto un dialogo con il nulla, per quella inconcepibile, e da noi non definibile, unità tra la volontà di Dio che chiede all’uomo: «Chi sono io per te?» e l’uomo dice : «Tu sei tutto».

Il Mistero ha creato misteriosamente, ha voluto un dialogo con il nulla, con il mendicante, per la Sua gloria – per la gloria di Dio.

173 – Questo popolo, nel suo colmo, è segno sacramentale della presenza di Cristo (segno sacramentale vuol dire che il segno non solo si identifica nello spazio con il Mistero, ma che il contenuto di cui è segno si attua, è attuato).

174 -Il disegno del Mistero originante, del Padre, ci ha messi in un determinato corso, su una determinata via dentro la Chiesa, ci ha immessi nel fatto di Cristo, ci ha fatti partecipi nel renderci suoi come conoscenza e come affezione.

183-184 – Se l’appartenenza è il dipendere, l’essere stati fatti, la coscienza di essere ancora fatti, continuamente fatti dal Creatore, da Dio, dal Mistero di Dio, che cosa abbiamo ricevuto dal Mistero di Dio? Tutto! E perciò anche ciò che si potrà chiamare «libertà».

Così l’appartenenza è la sorgente della libertà.

Questo può essere attuato più o meno; ma che sia più o meno attuato dipende non solo dalla libertà, ma anche da un altro fattore, che è la volontà del Mistero, la misteriosa volontà di Dio.

La libertà è riconoscere che Dio è tutto in tutto, quasi Dio abbia fatto il mondo e il creato per sfidare il niente, per sfidare il nulla, quasi che Dio abbia voluto che la sua creatura fosse una realtà che riconoscesse che Lui è tutto, come l’eco di una gloria che è interna al Mistero.

Perché ci si ribella?

È quasi ridicolo porci questa domanda, perché noi non tocchiamo, non possiamo esaurire il Mistero, il rapporto tra Mistero e creatura.

La ribellione non può essere spiegata; è spiegabile soltanto come un cupo silenzio a se stessi, di fronte all’ultima porta che è quella del sentirsi creati, del sentirsi fatti: «Non Ti riconosco». Ma niente può eliminare quanto sta prima, che Dio è tutto in tutto; l’Essere è tutto in tutti gli esseri.

mistero dell’Essere

21-23 – Se l’Essere, Dio, è tutto, la libertà è riconoscere che Dio è tutto. Il Mistero ha voluto essere riconosciuto dalla nostra libertà, ha voluto generare il proprio riconoscimento.

La natura dell’Essere si è rivelata in Gesù di Nazareth come amore in amicizia, cioè come amore riconosciuto.

L’io umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflette originalmente il mistero dell’Essere uno e trino proprio nel dinamismo della libertà, la cui legge sarà quindi l’amore, e il dinamismo in cui si gioca questo amore non potrà che essere amicizia.

22 – Se la libertà è riconoscimento dell’Essere come Mistero, il rapporto dell’essere partecipato con Dio è solo la preghiera. Tutto il resto è Dio che lo fa.

Se è preghiera è domanda.

23 – Domandare di essere; domandare l’Essere, il Mistero.

29 – Nel Battesimo, gesto fondamentale per cui, nella vita della Chiesa, un uomo è reso immanente al mistero di Cristo, nasce la «nuova creatura».

Questa è l’ontologia nuova, l’essere nuovo, la partecipazione nuova, inimmaginabile, all’Essere, all‘Essere come Mistero. Da qui proviene la morale nuova.

58 – Dio è tutto e l’uomo è l’essere partecipato, è una comunicazione che di Sé fa l’Essere come Mistero.

115 – Il mistero dell’Essere che si attua in questa valorizzazione del sacrificio, più che in qualsiasi altra situazione o posizione, è la conferma della positività di tutto quello che l’uomo ha davanti a sé.

124 – Anche la morte: l’unica possibilità, l’unica eventualità che la morte sia l’estrema positività delle cose è data dall‘essere come Mistero.

141 – Nel suo rapporto con l’Essere, mistero di Dio, l’uomo, con il potere di conoscerlo, ha anche il potere di operare su tutto il cosmo come figura in moto a imitazione di Dio.

La natura dell’uomo illumina le prime conseguenze decisive di questa appartenenza a Dio. Per esempio la natura dell’uomo è libertà perché la sua origine è tutta nell’Essere, nel Mistero.

Mondo

25 – L’uomo, ribellandosi, aderisce a una realtà estranea al suo essere, aderisce al «mondo», come dice Gesù, cioè alla somma del potere, che ha una forma normale, ma dentro non è quello che dice di essere, non è quello che mostra di essere, dentro «non è».

73 – Vediamo, dunque, come si misura in noi la menzogna che ci viene dal mondo in cui siamo.

86 – Ho inteso sottolineare l’atteggiamento del mondo di oggi, quel mondo che Gesù definisce «tutto posto nella menzogna». La menzogna è dire: «Dio c’è, ma “Dio tutto in tutto” è astratto.

103-109 – Terzo aspetto dell’incidenza che il mondo razionalista ha portato fin dentro la nostra vita ecclesiale, singolare o collettiva, è una Chiesa senza mondo.

Da qui dipendono il clericalismo e lo spiritualismo, quale duplice riduzione del valore della chiesa come Corpo di Cristo.

105 – «Chiesa senza mondo!» Invece, come afferma sant’Agostino, la Chiesa è il mondo riconciliato con Dio.

Perché il mondo sia rinnovato, occorre che il mistero di Cristo, nella sua presenza temporale, entri attivamente nel mondo secondo tutti i suoi aspetti, come la Resurrezione di Cristo implicò la salvezza di tutti i fattori dell’umano.

Lo spiritualismo è la fede giustapposta alla vita; così la fede non è più ragione illuminante e forza operante nella vita.

107 – «Coloro che prendono le distanze dal mondo, coloro che prendono quota abbassando il mondo, non si innalzano. […] Poiché non hanno il coraggio del temporale, credono di essere entrati già nella penetrazione dell’eterno. Poiché non hanno il coraggio di essere nel mondo, credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di essere uno dei partiti dell’uomo, credono di essere del partito di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio»

Péguy, Lui è qui, pp 485-486

149 – Chi esce dall’appartenenza a Dio, allora, è estraneo a tutti. Solo, definito per lo più da parametri economici e commerciali, egli vive un’appartenenza, apparente, che non c’è, che è l’unica posizione per negare quella a Dio: è l’appartenenza al mondo, per cui Gesù disse: «Non prego per il mondo».

196 – Pensate come, tutti i giorni che passano, io aumento dentro di me lo stupore per quel che Dio fa! E Dio fa oggi perché ha fatto ieri! Per questo è una realtà nuova nel mondo, che è entrata nel mondo; è una unità nuova che è entrata nel mondo della Chiesa.

199 – L’uomo per il quale è prevalente il senso del proprio nulla, il sentimento del proprio sconforto, è dominato però e si lascia dominare, diventa schiavo di ciò che il mondo dice.

E il mondo, presto o tardi, sulla certezza della felicità umana, fa prevalere al negazione.

Morale

23 – Dal punto di vista positivo, «Dio è tutto», e la libertà è riconoscere che Dio è tutto; dal punto di vista passivo, per così dire, da parte del nulla, «tutto è Dio». Questa è la morale cristiana.

La morale cristiana coincide con questo riconoscimento che veramente s’attesta sul punto dove il Mistero diventa più mistero, inattaccabile perfino dall’immagine, dalla fantasia dell’uomo.

25 – Ciò spiega perché chi cammina nel senso di una morale concepita come riconoscimento che Dio è tutto lieto; trova perfino letizia e, comunque, pace anche nelle situazioni più tristi.

28-30 – Gesù è lo svelarsi, il rivelarsi di Dio come Mistero, della Trinità come Mistero.

Perciò la «morale» per l’uomo è l’imitazione del comportamento di Gesù Cristo, dell’uomo Gesù, di Gesù uomo-Dio, uomo in cui Dio è.

29 – La Chiesa è la sorgente con cui si paragona tutta la morale, il definirsi della moralità della vita come coscienza del dovere e tensione all’attualizzazione di esso, alla luce della coscienza di Cristo, unico maestro dell’umanità.

30 – Se la morale per l’uomo è imitare Cristo, domandiamoci ora: qual è il comportamento di Cristo verso Dio, verso l’uomo come prossimo, cioè l’altro creato dal Padre, verso la società e quindi verso la storia, la storia dell’intera umanità?

Il comportamento di Gesù verso Dio è tutto segnato dal riconoscimento che Dio, il Mistero, è paternità.

35 – La tensione è come l’ultima e permanente espressione della libertà nei confronti del «Dio tutto in tutto». Che questa diventi coerenza, infatti, nell’uomo è grazia.

Il filo della moralità è, dunque, domanda sincera di questa grazia. La domanda sincera è la forma fondamentale della preghiera: è mendicanza.

È nella morale la prevalenza della domanda e della mendicanza sulla riuscita del proposito: sarebbe presunzione, non proposito se non fosse domanda.

47-48 – Non può essere morale cristiana quella che non fa vivere ogni gesto – dal lavare i piatti all’essere in Parlamento – nella sua dimensione cosmica di offerta a Cristo.

48 – Qualsiasi rapporto, nella misura in cui è realizzato nell’amore reciproco, cioè è amicizia, genera qualcosa di umano.

E questo è il nostro contributo, il contributo della morale della Chiesa alla pace qui e dovunque.

59-60 – La ragione, accorgendosi che Dio è la sorgente di tutto, che il Mistero sta all’origine di tutto, è anche tesa a scoprire come comportarsi con Dio, come trattare Dio, e perciò scoprire gli itinerari da cui conseguono le leggi morali.

63-64 – Cristo, vita della vita, certezza del destino buono e compagnia per la vita quotidiana, compagni familiare e trasformatrice in bene: questo rappresenta l’efficacia di Lui nella mia vita.

La morale non solo parte da qui, ma solo qui il filo della moralità di attesta e si salva.

Cristo e il sì a Lui: questo, paradossalmente, è l’aspetto umanamente più facile – lo dico un po’ presuntuosamente, un po’ entusiasticamente- o, comunque, più accettabile di tutto quanto il dovere morale che abbiamo nel mondo.

74 – Il distacco del senso della vita dall’esperienza implica anche un distacco della moralità dall’azione dell’uomo: la moralità così concepita, non ha la stessa radice dell’azione.

In che senso? Nel senso che la morale c’entra sì con l’azione dell’uomo, c’entra con l’esperienza, ma senza avere la stessa radice dell’azione; non risponde alla fisionomia, al volto che ci dà l’esperienza.

La morale non ha la stessa radice dell’azione. Per cui essa finisce col sottolineare valori comuni, valori generalmente sentiti; i suoi principi sono perciò o derivati dalla mentalità comune o imposti dallo Stato.

76 – Se si usa male la ragione, se la si usa come misura, avvengono tre possibili gravi riduzioni (invece di un avvenimento una ideologia – riduzione del segno ad apparenza – la riduzione del cuore a sentimento)che influenzano tutti i comportamenti. Per parlare di morale è allora importantissimo comprendere e prendere coscienza del tipo di cultura cui apparteniamo, se essa sia mondana o cristiana.

78 – La nostra vita cristiana, la nostra fede e la nostra orale concreta, la nostra impostazione della vita sono determinate o dalle ideologie correnti oppure dalla fattualità, dalla supremazia del nostro esistere, delle cose come avvengono, delle cose in cui ci si imbatte, delle cose cui si reagisce in un certo modo, dei fatti: fatti come avvenimenti.

89-90 – L’ambito ecclesiale necessario per essere sostenuti e confortati deve essere veramente consapevole di che cosa vuol dire fedeltà a Cristo e alla Tradizione, di come vive veramente la memoria cristiana – e non la memoria dei poveri morti -.

Di qui l’imponenza morale della partecipazione ad un movimento ecclesiale come appartenenza a un ambito in cui il dono dello Spirito che viene dal Battesimo si concretizza in forme dimostrative e persuasive.

107 – Come la natura dell’uomo è salvata da qualcosa di più grande di lui – in cui l’uomo è intero, l’umanità è intera, ma porta la forza di un soggetto senza paragone più grande, infinitamente più grande-, analogamente la concezione morale, nascendo come applicazione di una ontologia propria del discorso cristiano, perché il discorso portato da Cristo è un altro modo di pensare, di concepire e di vivere la realtà.

138 – Ricordiamoci dell’osservazione di Alexis Carrel, all’inizio de il Senso Religioso, che è così capitale tanto è sintetica, la quale dice tutto, tutta l’oggettività delle cose per un atteggiamento morale più ancora che per una discutibile intelligenza:

«Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità».

La ragione, quindi, ha proprio il compito di chiarire quello che riesce a guardare e ad afferrare.

148-149 – Non ci si paragona con il nulla o l’inutile, o con una moralità astratta!

«Bisogna incontrare l’amore prima di aver incontrato la morale. Altrimenti lo strazio»

Camus, Taccuini

vale a dire

«(occorre) ristabilire la morale attraverso il tu».

Camus, Taccuini

149 – Queste affermazioni di Camus sono molto significative e giuste e si avvicinano alla nostra concezione di morale cristiana, perché senza dire «sì», il sì a Gesù, Pietro non è in una moralità tranquilla: la sua moralità pagherebbe lo scotto al tempio e al contesto biblico.

188 – Il Padre che sta nei cieli ha su di te un disegno; quello che ti è dato per vivere e per esistere è segnato da “tratti” nel suo sviluppo – in che cosa consiste e come deve essere usato -, e queste sono le leggi, le leggi morali (la legge morale non è inventata dall’uomo, ma è fatta da un uomo che ha consapevolezza della sua origine).

Moralismo

74-75 – Il distacco del senso della vita dall’esperienza implica anche un distacco della moralità dall’azione dell’uomo: la moralità così concepita, non ha la stessa radice dell’azione.

In che senso? Nel senso che la morale c’entra sì con l’azione dell’uomo, c’entra con l’esperienza, ma senza avere la stessa radice dell’azione; non risponde alla fisionomia, al volto che ci dà l’esperienza.

Così si comprende l’emergere del razionalismo: è la moralità che, paradossalmente, non c’entra con l’azione, nel senso che non nasce contemporaneamente ad essa.

Il moralismo è un insieme di principi che precede e investe l’azione dell’uomo giudicandola teoricamente, astrattamente, senza motivare il perché sia giusto o no, il perché l’uomo debba compiere o non debba compiere un’azione.

La moralità così non ha la stessa radice dell’azione.

Per cui essa finisce per sottolineare valori comuni, valori generalmente sentiti; i suoi principi sono perciò o derivati dalla mentalità comune o imposti dallo Stato.

75 – La moralità ridotta a moralismo segnala il rapporto tra l’ordine del disegno di Dio e l’avvenimento del gesto umano nei termini di un preconcetto ideale.

Invece, è attraverso l’esperienza che l’uomo si svela nella sua adesione, nel connettere cioè la sua azione al disegno totale, alla totalità, oppure nel non rispondere a tale riferimento chiaramente ultimo e decisivo.

Moralità

34-35 – Scopo dell’esistenza è che la creatura viva il più possibile la vita come tensione alla perfezione del Mistero.

La moralità è così vissuta non come definizione di una misura o di leggi, ma tensione all’imitazione di Cristo e delle sue conseguenze: […] «Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti: non sono venuto per abolire, ma per dare compimento», cioè, in questa tensione, per renderla possibile. «Chiunque ha questa speranza si purifica come Egli è puro»: è la moralità come tensione continua alla imitazione di Cristo nella sua obbedienza al Padre.

35 – In che senso «non sono venuto ad abolire, ma per dare compimento», cioè per rendere possibile?

La tensione è come ultima e permanente espressione della libertà nel confronti del «Dio tutto in tutto».

Che questa tensione diventi coerenza, infatti, nell’uomo è grazia.

Il filo della moralità è, dunque, domanda sincera di questa grazia. .

La domanda sincera è la forma fondamentale della preghiera: è mendicanza.

37ss – L’accettazione della misericordia, il riconoscimento della misericordia è la somma moralità, il vertice della moralità; tale accettazione è il profondo della autenticità del riconoscimento che l’uomo, la libertà dell’uomo, realizza del Mistero, del Mistero come sorgente di tutto, del «Dio tutto in tutto».

38 – Per l’uomo accettare l’amore che si esprime nella volontà di Dio, del Mistero, che facendosi uomo in Gesù accetta la morte, la sua morte per tutti i figli, è la sorgente della moralità, la sua morte per tutti i figli, è la sorgente della moralità, che nasce infatti come amicizia con Dio.

Come per Gesù la moralità nasce dall’accettare di essere il soggetto proprio della misericordia del Padre – Egli accetta questo Mistero che si comunica a Lui, lo accetta morendo per gli uomini – così per l’uomo, per ogni uomo, la moralità nasce come amicizia con Lui, con dio in Gesù.

La moralità nasce come amicizia con Dio come Mistero e quindi con Gesù.

Per il sì di Pietro, la moralità è sorpresa di una Presenza a cui si aderisce in modo tale che tutta la vita tende a esserne concepita, nei particolari, nel suo insieme, così da far piacere alla faccia di quella Presenza.

Perciò la moralità, per il cristiano, è adesione amorosa.

46 – La moralità cristiana implica che l’impegno sociale, culturale e politico sia educato, quindi maturi, nell’ideale concreto di un richiamo e di un aiuto alla memoria di Cristo, e quindi al senso della storia, come significato del tempo e dei rapporti.

74 – Il distacco del senso della vita dall’esperienza implica anche un distacco della moralità dall’azione dell’uomo: la moralità così concepita, non ha la stessa radice dell’azione.

In che senso? Nel senso che la morale c’entra sì con l’azione dell’uomo, c’entra con l’esperienza, ma senza avere la stessa radice dell’azione; non risponde alla fisionomia, al volto che ci dà l’esperienza.

Così si comprende l’emergere del razionalismo: è la moralità che, paradossalmente, non c’entra con l’azione, nel senso che non nasce contemporaneamente ad essa.

Il moralismo è un insieme di principi che precede e investe l’azione dell’uomo giudicandola teoricamente, astrattamente, senza motivare il perché sia giusto o no, il perché l’uomo debba compiere o non debba compiere un’azione.

La moralità così non ha la stessa radice dell’azione.

94 – La fede apre a una «mentalità diversa» e, quindi, una moralità «diversa», perché l’azione in cui l’uomo si realizza può essere più, meno o niente del tutto, in rapporto alla totalità delle cose.

E come la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, analogamente la moralità è rapporto dell’azione singolare con la totalità dei fattori che l’universo implica.

Moralità nuova

83 – Nella nostra vita giochiamo a vantaggio di un mancato trionfo dell’apparenza sulla prospettiva inoltrata dal segno; si gioca in favore di una moralità nuova, di una moralità più perfetta, quella di cui Gesù dice: «Non sono venuto nel mondo a far sparire la legge, ma a sostenerla perché sia più compiuta».

110ss – La moralità nuova.

111 – Vogliamo vedere adesso brevemente come la fede in Cristo produca non solo una mentalità nuova, ma anche una moralità nuova.

La moralità nuova che scaturisce nell’avvenimento cristiano è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino.

Poi si capisce, maturando, stando in essa, che questa presenza è continua.

La moralità nuova è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino che continua nella storia.


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