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Lettera «C»
- Cambiamento
- Carisma
- Carità
- Carne (di Cristo)
- Chiesa
- Clericalismo
- Compagnia vocazionale
- Comunità (ecclesiale)
- Coscienza
- Cuore
Cambiamento
71 – Se «Dio è tutto in tutto», dobbiamo vedere come ciò incide sulla nostra vita. Come prenderne coscienza? Significa innanzitutto conoscere Dio in modo tale che influisca sulla vita.
L’Essere si svela in quanto opera nel nostro presente: è, se opera ai nostri occhi.
Perciò, conoscerlo implica un cambiamento, la cui prima connotazione il cambiamento dell’immagine stessa dell’intelligenza umana nella sua attività.
84 – Dio ha concepito il rapporto con il creato come rapporto con un immenso esercito di segni: tutto è segno di Lui.
Trattare bene, usare bene della creazione significa conoscere Cristo per conoscere Dio.
Questo è l’inizio di un cambiamento dell’uomo.
88-89 -(Dalla lettera ai Cristiani di Occidente di Josef Zverina) Cambiare il nostro modo di pensare in una forma nuova.
[…] Di contro a skema o morphé – forma permanente – sta metamorphé, cambiamento della creatura [skema o morphé significano una forma permanente, affermano una forma permanente; metamorphé afferma qualcosa che è destinato a cambiare, che cambi, che produce un cambiamento continuo nella creatura].
Non si cambia secondo un qualsiasi modello, che è comunque sempre fuori moda, ma è una piena novità con tutta la sua ricchezza [così come è Cristo]. Non cambia il vocabolario ma il significato.
[…] Questi problemi esigono e partono da un cambiamento che nell’uomo deve avvenire: attraverso il cambiamento avvenuto in altri uomini in cui si imbatte, il cristiano è aiutato a percepire e ad avanzare in un cambiamento di se stesso.
Il miracolo è questo cambiamento di sé.
92 – Siccome la missione esiste e vive come testimonianza, solo la fede vissuta realizza la missione, perché solo la fede vissuta cambia, di quel cambiamento in cui chiunque può imbattersi e, sentendosene scioccato, mettersi a seguirlo.
112-113 – Ma la giustizia di Dio non è la giustizia degli uomini (come la carità dei Gesù è diversa da quella degli uomini): essa opera un cambiamento.
La giustizia di Dio, nella carità riconosciuta come parola espressiva suprema dell’atteggiamento di Dio con l’uomo, opera un cambiamento radicale, va cioè alla radice stessa del cuore: «L’uomo guarda all’apparenza, Dio guarda al cuore» (1 Sam 16,7). la Sua giustizia non confine né imprigiona nelle apparenze.
Perciò la giustizia di Dio è sempre un cambiamento delle esigenze costitutive originali del cuore nella loro totalità, fino alla felicità e perfezione.
Ciò che ha provocato il «sì» di Pietro è la carità di Cristo, che ha cambiato in dolore positivo il rimorso del tradimento operato.
Il rimorso del tradimento è stato investito dalla carità di Cristo, e il cambiamento in dolore positivo è la carità come riverberata da Pietro.
113 – Per questo il cambiamento che dimostra la presenza di Cristo si chiama «Testimonianza»: è l’opera dell’io come opera di Dio, opus Dei, secondo la libertà che Dio esige; riguarda vita, tempo e spazio, amore, lavoro e società: non è soppressione di qualcosa dell’io, ma positività ultima di tutto l’io nel suo essere.
Il cambiamento è frutto, opera, del Mistero nel tempo – del disegno di Dio.
La parte che spetta alla libertà dell’uomo è la mendicanza.
Questi sono i fattori del disegno di Dio
118-120 – «Cosa vuol di re questa tua insistenza sul cambiamento come cambiamento di conoscenza?»
Lo si capisce se si pensa al fatto che il cambiamento è dell’io, della mia persona, della tua persona.
Il cambiamento è di un io responsabile: variamente, ma responsabile sempre.
Ora, tale cambiamento, proprio perché è dell’io, inizia nella conoscenza.
119 – Il cambiamento può essere inteso anche come circostanza di vita; anzi tendiamo a concepire il cambiamento del nostro io e della nostra vita come cambiamento delle circostanze in cui viviamo.
È vero che implica anche delle circostanze, ma il vero cambiamento è nell’impegno nostro con esse, nel tipo di atteggiamento nostro verso di esse.
Perciò, in quanto è proprio dell’io, non può non incominciare che come dipendente da una conoscenza.
Il cambiamento dell’io dipende da una conoscenza diversa in cui l’io si butta, in cui è introdotto.
Per esempio, ieri mattina abbiamo parlato di apparenza.
Cambiamento vuol dire, può voler dire un modo di essere diversamente colpiti dalle apparenze.
Uno può pensare: «Questa cosa è ciò che appare», oppure può dire: «Questa cosa non è semplicemente nelle apparenze». È qui in gioco il cambiamento di una concezione della cosa, proprio nel modo di concepire.
120 – Senza conoscenza non c’è esperienza, manca il livello umano del vivere e perciò non c’è cambiamento dell’umano.
Se non ci introduciamo in una esperienza, è impossibile un vero cambiamento.
136-137 – Per cambiare occorre traspositare una rapporto, cancellare un rapporto, sostituirlo con un altro, oppure occorre approfondire il rapporto, è rendere più sul serio il rapporto, cercare di comprenderlo di più, cercare di aprirci di più alla comunicazione che esso di se stesso fa a noi.
137 – Per questo la parola utilizzata dalla Bibbia […] per dire come avvenga il miracolo del cambiamento, da una parte è l’espressone di una condizione, dall’altra parte indica la forza del cambiamento, forza e direzione del cambiamento: appartenenza.
Il cambiamento, dunque, ha una appartenenza come condizione, fa emergere la «appartenenza» come la parola più decisiva per l’esistenza.
140 – L’appartenenza è propria della creatura (in senso generale) implica di fatto uno sviluppo tangibile e percepibile coscientemente dall’uomo.
Il cambiamento è innanzitutto una diversità dal momento precedente, rilevabile coscientemente dall’uomo.
L’idea del cambiamento è dominante un un animo religioso, come è per esempio quello di Sant’Agostino, che immaginava che Dio avesse creato il mondo creando «rationes seminales», creando come i semi di tutto.
146 – Può anche esserci un cambiamento che la legge sembra assicurare, ma non sarà vero, non sarà morale, perché l’uomo non è un prodotto della società, ed essa non è interpretabile solo come parere dello Stato violento agitato dalla giustizia, per cui lo Stato si pone come diritto del potere, quasi come una divinità.
Carisma
61-62 – La presenza di Gesù Cristo è un avvenimento, secondo quanto il carisma donatoci ci rende sensibili a percepire, è un Avvenimento che si incontra nel presente, nell’ora, nelle circostanze, che dilatano l’evidenza di una compagnia vocazionale come emergenza nel mistero della Chiesa, Corpo misterioso di Cristo.
62 – È la Chiesa che emerge accanto a me.
È un’emergenza del corpo di Cristo. È la compagnia vocazionale, vale a dire, la compagnia che ci implica, in quanto genera l’esperienza ed è generata dall’esperienza in cui il carisma ci ha toccato.
89ss – Tradizione e carisma. Occorre che la fedeltà a Cristo e alla Tradizione siano sostenute e confortate da un ambito ecclesiale veramente consapevole di questa necessaria fedeltà.
90 – Di qui l’imponenza morale della partecipazione a un movimento ecclesiale come appartenenza a un ambito in cui il dono dello Spirito che viene dal Battesimo si concretizza in forme dimostrative e persuasive.
Questo dono dello Spirito si chiama carisma.
Ma non è carisma se non è riconosciuto dall’autorità della Chiesa, cioè dal Papa.
124 – Seguire il carisma rende più fattibile il riconoscimento di questa positività. Un carisma che parte come, origine, dal senso religioso realizzato, reso reale, compiuto dall’incontro con Cristo, rende evidentemente più fattibile il riconoscimento di questa positività di tutto, di tutto, anche della morte.
173-174 – Noi cristiani abbiamo la nostra origine dalla Chiesa, luogo di Cristo oggi, della libera iniziativa dello Spirito di Cristo che rende vivace, compresa e voluta l’appartenenza a Sé.
La condizione storica perché questa passaggio avvenga è il carisma.
Il carisma è un intervento dello Spirito di Cristo per aumentare l’appartenenza a Cristo nel mondo: è un dato della storia in cui si nasce, in cui lo Spirito ci sorprende, ciò in cui il Padre ci ha messi.
174 – Il carisma resta, così, la carità che Cristo ha per noi nel renderci suoi: suoi come coscienza e affezione, cioè come mentalità e come modo di affrontare e realizzare l’affettività umana.
180 – Il nostro modo di vivere la Chiesa di Dio è il carisma.
189 – Chi obbedisce cerca il carisma, cioè cerca l’origine, e chi richiama non richiama a sé, richiama al carisma, a ciò che è riconosciuto dalla Chiesa.
Carità
42-43 – San Bernardo: « La carità genera amicizia, ne è come la madre [la carità è l’amore all’altro come affermazione del suo destino buono, come desiderio di affermazione che avvenga il suo destino giusto, perché Cristo è il Mistero di cui è parte e partecipa]. È il dono di Dio, viene da Lui, perché noi siamo carnali. Egli fa che il nostro desiderio e il nostro amore comincino dalla carne. Nel nostro cuore Dio inscrive verso i nostri amici un amore che essi non possono leggere, ma che noi possiamo manifestare loro.»
43 – «È la carità che genera l’amicizia, ne è come la madre.» La carità è il rapporto in cui si cerca il destino dell’altro con la consapevolezza di chi ne è stato chiamato, nella certezza della coscienza che il destino dell’altro è Gesù, ili Dio fatto uomo, in quanto attraverso quell’uomo è dio che prende rapporto con noi.
111-112 – È la parola carità che definisce il concetto di giustizia cristiana.
Nella carità si determina ultimamente il valore vero della persona, la sua corrispondenza all’essere: se una moglie tratta il marito senza avere questa prospettiva, almeno implicita, non lo può trattare bene; se un figlio guarda i genitori senza questa implicazione, non può andare bene il rapporto.
112 – È la carità come corrispondenza all’Essere: guardare l’altro come termine del rapporto concepito come corrispondenza all’Essere.
Ciò che ha provocato il «sì» di Pietro è la carità di Cristo, che ha cambiato in dolore positivo il rimorso del tradimento operato.
Il rimorso del tradimento è stato investito dalla carità di Cristo, e il cambiamento in dolore positivo è la carità che come riverberata da Pietro.
173 – «Quella grazia che fece della Chiesa il Corpo di Cristo faccia sì che tutte le membra della carità [cioè dell’amore, tutte le membra del luogo dove Dio ha dimostrato di amare gli uomini] rimangano compatte e perseverino nell’unità del Corpo. Sia questa la nostra preghiera»
San Fulgenzio di Ruspe, Ad Monitum libri
180 – Quella positività è affettività per tutte le cose, una partecipazione, cioè, alla caritas, alla gratuità con cui Dio ha visto tutto e ha fatto tutto e fa tutto per la sua creatura.
185 – La carità che ci spinge non è, non può essere nominata come tensione all’egemonia.
Il cristiano deve cercare di battagliare per la sua fede o per la libertà e la giustizia verso gli altri, anche cercando di avere i posti al potere; ma se li raggiunge, non era suo scopo, non è suo dovere ultimo riuscirci, perché le circostanze in cui Dio lo lascia, lo mette ad agire, possono non permetterlo. Anche Gesù che è venuto a porre la pace nel mondo, è stato fatto fuori!.
192 – Di miracoli possono farne anche altri (oltre a Gesù) ma questo, questa carità, questo amore all’uomo proprio di Cristo non ha nessun paragone in niente!
Carne (di Cristo)
27 – «Mi hai dato potere sopra ogni essere umano [letteralmente: “ogni carne”] perché io dia la vita eterna a tutti coloro che tu mi hai dato»
Gv 17,2
36 -Il significato di questo Figlio, di questo Verbo diventato carne, identificato con un uomo nato da donna, è di svelare compiutamente l’amore del Mistero, l’amore che il Mistero ha verso la sua creatura: è di svelare completamente l’amore di Dio Padre.
42 -«La carità genera l’amicizia, ne è come la madre. È dono buono di Dio, viene da Lui, perché noi siamo carnali. Egli fa che il nostro desiderio e il nostro amore comincino dalla carne. Nel nostro cuore Dio inscrive verso i nostri amici una amore che essi non possono leggere, ma che noi possiamo manifestare loro. Ne risulta una affezione, più spesso un affectus, un attaccamento profondo, inesprimibile, che è dell’ordine dell’esperienza e che fissa all’amicizia diritti e doveri».
Bernardo di Chiavalle – Lettera 11,2-8 ai monaci della Certosa e al priore Guigone
95-96 – Gesù Cristo è la sintesi e il centro di tutta la comunicazione di sé che il Mistero ha voluto fare alla creatura umana.
Per questo il Verbo si è fatto carne. Noi non possiamo conoscere Dio se non attraverso Cristo.
101 – Se si elimina in Cristo il fatto di essere uomo, uomo reale, storico, si elimina la possibilità stessa di una esperienza cristiana.
Non si può pensare a Cristo senza una tale concretezza; sarebbe ridurre e trasformare quello che Cristo ha detto di Sé, quello che Cristo è, come rivelatore nelle mani di Dio.
«Caro cardo salutis» (La carne è il cardine della salvezza)»
Tertulliano – De carnis resurrectionis. 8,3
L’introduzione e il perno della salvezza è nella carne: Dio entra con Cristo nell’esperienza umana. Caro cardo salutis vuol dire che, se il cardine della salvezza è nella carne, se l’introduzione e il perno della redenzione sono nella carne (Cristo che muore e risorge), Dio, in quanto Cristo, in quanto natura di Cristo, in quanto nella propria natura si è «impadronito» di Gesù di Nazareth, entra nell’esperienza umana: Dio entra con Cristo nell’esperienza umana.
L’eliminazione della carnalità implicata in ogni esperienza umana, anche nell’esperienza di Gesù Cristo, pone Lui – e la Chiesa – in una astrazione, riducendolo a uno dei tanti modelli religiosi.
103 – Il «sì» di Pietro si fonda sull’attrattiva e sull’affezione che nella sua carne Gesù suscitava.
167 – «Venne Dio nella carne per rivelarsi agli uomini che sono di carne, e perché fosse riconosciuta la sua bontà manifestandosi nell’umanità. Manifestandosi Dio nell’uomo, non può esserne nascosta la bontà. Quale prova migliore della sua bontà poteva dare se non assumendo la mia carne? […] come si è fatto piccolo incarnandosi, così si è mostrato grande nella bontà; e mi è tanto più caro quanto più per me si è abbassato».
Bernardo di Chiaravalle, Discorso 1 per l’Epifania, 1-2
199-200 – Essendoci bisogno di qualcuno che ci liberi dal male, Dio si è reso, il Mistero si è reso tangibilmente presente, carne della nostra carne.
Lo sguardo di Gesù nel seno della Madonna è la cosa più liberante, più grande, la più grande che noi possiamo concepire.
Aiutiamoci a camminare sempre di più alla luce di questo, perché l’assopimento dell’energia non oscuri la verità della luce.
Chiesa
11 – La morte di Luigi XIV di Francia è un segnala dell’epoca in cui la ragione pretese di occupare tutto lo spazio dell’intervento di Dio sull’uomo, in ogni senso.
Per cui la Chiesa, fonte ultima di luce sull’esperienza dell’uomo, si arroccava a livello pastorale per difendere la moralità del popolo, dando per scontata l’evidenza – per il credente – del contenuto dogmatico.
Fu perciò favorita una mancanza di difesa e di alimento della fede del popolo di Dio, in quanto è attraverso l’attività culturale che la vita di un popolo si approfondisce e diventa storicamente generativa, pro o contro la tradizione cristiana che ha costruito la civiltà occidentale.
28-29 – Gesù Cristo prosegue nella storia, in tutti i tempi, dentro il mistero della Chiesa, Corpo suo, formato da tutti coloro che il Padre gli ha dato nelle mani, come Egli stesso, e che Egli, con la forza del suo Spirito, ha nel Battesimo immedesimato a sé come membra del suo Corpo.
il magistero di Cristo è – perciò coincide con – quello della Chiesa, perché da essa è autenticamente letto e sentito.
Se essa non è paterna, e quindi materna, può diventare sorgente di equivoco supremo, strumento subdolo e distruttivo in mano alla menzogna, a Satana, padre della menzogna.
Mentre sempre, in modo sconvolgente, l’autorità della Chiesa è ultimamente da obbedire, paradossalmente.
39-41 – La comunità della Chiesa cui si appartiene, è il volto di quella Presenza, o ciò in cui il volto di quella Presenza si rende sensibile, diventa segno, ma un segno che contiene ciò di cui è segno.
La comunità della Chiesa è il luogo dove l’avvenimento della presenza di Cristo si rinnova, è nuovo, rinasce.
La comunità della Chiesa è l’aspetto di questo segno, è l’aspetto visibile di quella faccia; è la veste di quella Presenza, come la veste di Gesù per i bambini piccoli che stavano vicino a Lui.
62 – È un Avvenimento che si incontra nel presente, nell’ora, nelle circostanze, che dilatano l’evidenza di una compagnia vocazionale come emergenza del mistero della Chiesa, Corpo misterioso di Cristo.
Soprannaturale è una realtà umana in cui è presente il mistero di Cristo.
È la Chiesa che emerge accanto a me.
[…] Sono stato come incanalato in una compagnia che rendeva e che rende immediato per me il mistero della Chiesa; perciò è una emergenza del Corpo di Cristo.
È la compagnia «vocazionale», vale a dire, la compagnia che ci implica, in quanto genera l’esperienza ed è generata dall’esperienza in cui il carisma ci ha toccato.
86-87 – La negazione di «Dio tutto in tutto» rivela la presenza di un anticristianesimo nella formazione dell’uomo e quindi della società; essa porta alla eliminazione del senso religioso di Cristo e della Chiesa e perciò dell’umanità che essa investe e chela riceve.
Anche nella Chiesa è stata facilitata questa incomprensione, in quanto i suoi pastori e i suoi battezzati sono stati influenzati e si lasciano influenzare da un’altra cultura.
92-93 – Si vive veramente il carisma quanto più si paragona tutta la propria vita all’ideale del carisma stesso, così come lo affermano coloro che sono riconosciuti dalla Chiesa come garanti per essa della verità del dono dello Spirito; seguire loro è una ultima obbedienza che cerca di incarnare fino agli ultimi capillari l’imitazione di Cristo e la fedeltà alla Chiesa.
Noi non possiamo conoscere il Mistero se non celo dice Cristo. E la Chiesa realizza Cristo con più chiarezza, con persuasività e con sostegno all’attuarsi della vita, attraverso i movimenti.
Lo Spirito di Cristo, che ha creato la Chiesa e l’ha mandata nel mondo, la conforta, la edifica e la fortifica con i carismi: afferra certe persone, nell’uno e nell’altro carisma, perché tutta la Chiesa sia rinverdita e rinasca con consapevolezza agli occhi di tutti.
101-102 – L’eliminazione della carnalità implicata in ogni esperienza umana, anche nell’esperienza di Gesù Cristo, pone Lui – e la Chiesa – in una astrazione, riducendolo a uno dei tanti modelli religiosi.
105-106 – «Chiesa senza mondo!» Invece, come afferma sant’Agostino, la Chiesa è il mondo riconciliato con Dio.
Perché il mondo sia rinnovato, occorre che il mistero di Cristo, nella sua presenza temporale, entri attivamente nel mondo secondo tutti i suoi aspetti, come la Resurrezione di Cristo implicò la salvezza di tutti i fattori dell’umano.
La Resurrezione di Cristo è la salvezza dell'uomo come tale, di tutto l'uomo.
106 – Se si confina la salvezza alla fine del tempo, si distrugge di fatto la ragionevolezza della fede, cioè la sua umanità, la concretezza del nostro rapporto con Cristo e, da ultimo, la ragione stessa della Chiesa nel mondo, il «chi è» del cristiano nel mondo.
La Chiesa diventerebbe così non protagonista, ma cortigiana della storia culturale, sociale e politica.
Il singolo cristiano non vivrebbe più una appartenenza, ma una affiliazione per censimenti e volontariati; cioè omologazione di cui abbiamo sempre parlato.
108-111 – Da una «Chiesa senza mondo», un mondo senza io.
Se la Chiesa è senza mondo, questo mondo tende a essere senza l’io: vale a dire è una alienazione.
109 – Questo «mondo» è il mondo negativo e alienante, dove l’io è negato e alienato, dove i significati di vita, tempo, spazio, lavoro, affezione, società, non nascono dalla appartenenza a Cristo attraverso l’appartenenza alla Chiesa, ma da un’altra cultura.
È l’appartenenza non alla società, non allo Stato, ma a Cristo nella sua Chiesa, è l’appartenenza a Cristo attraverso l’appartenenza alla sua Chiesa, è questa l’origine anche del concepire come debba essere una politica che si dica cristiana o che si possa dire cristiana.
111 – E conseguenze della situazione in cui siamo sono amare.
Per questo ho esemplificativamente sintetizzato in cinque aspetti:
- Dio senza Cristo
- Cristo senza Chiesa
- Chiesa senza mondo
- Mondo senza io
- Io senza Dio
116 – Senza la positività, la creatività indomabile, insonne, irriducibile, che in qualsiasi momento, di fronte a qualsiasi difficoltà, trova la sua origine, la sua sorgente nella realtà di Cristo, presente nella sua Chiesa, non è possibile vivere.
Dalla inesausta misericordia che è Cristo, speranza del cammino umano, chiediamo insieme a Dio di riprendere coscienza ogni giorno della gratitudine che dobbiamo a Cristo e alla Chiesa, nostra madre, ma soprattutto del totale abbandono a Dio.
119-120 – Così Gesù, dicendo quella frase al Padre – «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno», nel breve margine della loro ignoranza costruì la loro difesa, la difesa della debolezza di quegli uomini, del limite di quegli uomini che lo uccidevano.
Questa è stata l’occasione per cui il Signore, il Padre ha reso quel loro atto inizio del mistero della Chiesa.
Tutto il metodo pedagogico del nostro movimento, che tenta di imitare il più possibile quello che Gesù ha utilizzato per fare la Chiesa, è quello di introdurci in una esperienza.
Se non ci introduciamo in una esperienza, è impossibile un vero cambiamento.
167 – Dal profondo dei nostri esseri ontologicamente uniti dal Mistero comunicato nel segno sacramentale, tale comunione si organizza nel segno sacramentale supremo che è la Chiesa.
174 – Il disegno del Mistero originante, del Padre, ci ha messi in un determinato corso, su una determinata via dentro la Chiesa, ci ha immessi nel fatto di Cristo, ci ha fatti partecipi nel renderci suoi come conoscenza e affezione.
Noi cristiani abbiamo l a nostra origine dalla Chiesa, luogo di Cristo oggi, della libera iniziativa dello Spirito di Cristo che rende vivace, compresa e voluta l’appartenenza a Lui.
Questo indica un dovere, una legge ultima della nostra coscienza, che arriva a tutto il cerchio dell’orizzonte dell’uomo.
190 – Il Mistero di Dio […] ha pensato a questa cosa grande che è la Chiesa; la Chiesa che inizia a manifestarsi quando due o tre si riuniscono in Suo nome.
Così come la Chiesa, a maggior ragione i movimenti nella Chiesa, tutto quello che partecipa alla Chiesa: diocesi, parrocchie, movimenti, tutte queste tre cose ancora più chiaramente denunciano che la parola di Dio e la grazia di Dio sono veicolate da mani tremanti, come quando uno ha settant’anni, e allora c’è la mano che trema.
Ma la Chiesa vale perché Cristo l’ha fatta e in quanto Cristo on la può abbandonare; perché lo Spirito è disceso sugli apostoli e la Madonna in principio, e si è dato a tutta l’umanità: Cristo rimane qui per tutti, fino alla fine dei secoli.
196-197 – È veramente amaro il fatto che Dio ci abbia cresciuto in una carità e in una coscienza viva di quello che è la vita dell’uomo, di quello che è il movimento, di tutta quanta la Chiesa, di quella che è la fine dell’uomo, il fine dell’uomo – coincidendo quest’ultimo con la fine dell’uomo -, e noi ne siamo così indegni.
Dio fa oggi perché ha fatto ieri! Per questo è una realtà nuova nel mondo, che è entrata nel mondo; è una unità nuova che nel mondo della Chiesa – per cui si può anche, si deve anche aggiungere che una realtà nuova all’interno della Chiesa aumenta, fa sprigionare più amorosamente e più lucentemente quello che la Chiesa è.
autorità della Chiesa
28-29 – Quello che abbiamo detto sul potere vale, come aspetto vertiginoso, per l‘autorità come potrebbe essere vissuta nella Chiesa.
Se essa non è paterna, e quindi materna, può diventare sorgente di equivoco supremo, strumento subdolo e distruttivo in mano alla menzogna, a Satana, padre della menzogna.
Mentre sempre, in modo sconvolgente, l’autorità della Chiesa è ultimamente da obbedire, paradossalmente.
29 – Dal punto di vista istituzionale, l’autorità è la forma contingente che la presenza di Cristo risorto utilizza come espressione operante della sua amicizia con l’uomo, con me, con te, con ognuno di noi
Questo è l’aspetto più impressionante del mistero della Chiesa, che più colpisce l’amor proprio dell’uomo, la ragione stessa dell’uomo.
40 – Ascoltare la voce dell’autorità, perciò del Papa e degli atti ufficiali della Chiesa, è come l’antidoto all’abbeverarsi agli slogan dei mass media.
53 – «Che cosa hai voluto dire quando hai affermato che dobbiamo obbedire alle autorità (alle autorità civili, penso)? E in che senso questo non contraddice quanto hai detto prima circa lo Stato come Dio-idolo»
Quello che si voleva colpire è la pretesa idolatrica di ogni autorità che voglia fondare la sua autorità in se stessa, cioè essere l’unica fonte esclusiva a decidere dell’io.
Ogni autorità, ogni potere che pretenda di fondare esclusivamente su se stesso ha dentro – poco o tanto – una menzogna, quindi inevitabilmente, proprio perché tende ad essere pretesa assoluta, è una violenza.
L’autorità vera, invece, è il punto che ha a cuore il destino dell’altro; l’autorità è buona in quanto ha a cuore il bene comune e la possibilità del destino, quindi in quanto accetta che il destino dell’io sia un Altro, che l’io nasca da un altro punto, sia costituito da Altro, sia rapporto originale con il Mistero.
90 – Di qui l’imponenza morale della partecipazione a un movimento ecclesiale come appartenenza a un abito in cui il dono dello Spirito che viene dal Battesimo si concretizza in forme dimostrative e persuasive.
Questo dono dello Spirito si chiama carisma. Ma non è carisma se non è riconosciuto dall’autorità della Chiesa.
Chiesa Corpo di Cristo
28 – Gesù Cristo prosegue nella storia, in tutti i tempi, dentro il mistero della Chiesa, Corpo suo, formato da tutti coloro che il Padre gli ha dato nelle mani, come dice Egli stesso, e che Egli, con la forza del Suo Spirito, ha nel Battesimo immedesimato a sé come membra del suo Corpo.
61-62 – La presenza di Gesù Cristo è un avvenimento, è un Avvenimento che si incontra nel presente, nell’ora, nelle circostanze, che dilatano l’evidenza di una compagnia vocazionale come emergenza del mistero della Chiesa, Corpo misterioso di Cristo.
È la Chiesa che emerga accanto a me. […] perciò è una emergenza del Corpo di Cristo.
È la compagnia «vocazionale», vale a dire, la compagnia che ci implica, in quanto genera l’esperienza ed è generata dall’esperienza in cui il carisma ci ha toccato.
103 – Terzo aspetto dell’incidenza che il mondo razionalista ha portato fin dentro la nostra vita ecclesiale, singolare o collettiva, è una Chiesa senza mondo.
Da qui dipendono il clericalismo e lo spiritualismo, quale duplice riduzione del valore della Chiesa come Corpo di Cristo.
108 – […] – o uno spiritualismo – «Chiesa senza mondo» vuol dire, infatti, «Chiesa Corpo di Cristo» e «Cristo» senza la versione quotidiana in cui si cala e prende forma l’io umano: in questo senso, resta una Chiesa astratta o una concezione astratta della vita.
Ma se la Chiesa è senza mondo, questo mondo tende a essere senza l’io: vale a dire è un’alienazione.
161-162 – Gesù di Nazareth, cui il Padre ha dato tutto nelle mani, si afferma, nella storia, in un Corpo misterioso, in quanto assimila a sé tutti gli eletti, cioè tutti quelli che Lui sceglie nel Battesimo, li fa parte del Suo corpo, affermandosi là dove due o tre sono riuniti per Lui: il Corpo di Cristo passa lì.
Si chiama nuova ed eterna Alleanza questa unità in tutti i tempi della storia.
173 – L’umanità di Gesù di Nazareth che è stata chiamata a partecipare al mistero della natura divina, si prolunga, perché avvenga la modalità che il Padre ha stabilito, in una realtà sensibile, visibile e tangibile: un popolo, che ha un aspetto intelligente e affettivo.
È il Corpo mistico di Cristo , cioè il Corpo tangibile di Cristo in cui l’invisibile divinità investe plaghe che il Padre dona al Figlio.
Questa invasione genera uomini con una mentalità nuova e una nuova fecondità.
«Quella grazia che fece della Chiesa il Corpo di Cristo faccia sì che tutte le membra della carità rimangano compatte e perseverino nell’unità del Corpo. Sia questa la nostra preghiera»
San Fulgenzio di Ruspe, Ad Monitum libri
Chiesa Corpo mistico di Cristo
84 – Tutto è segno di Lui, e l’estremo lembo di questo metodo, secondo una analogia tra le cose, tra i significati delle cose, è il sacramento della sua presenza nel mondo, perché ogni sacramento è la presenza nel mondo di Cristo morto e risorto.
Si chiama Chiesa, Corpo mistico di Cristo, ciò che viene generato e cambiato sotto l’impulso, la luce e la tenerezza del Battesimo e degli altri sacramenti.
173 – L’umanità di Gesù di Nazareth che è stata chiamata a partecipare al mistero della natura divina, si prolunga, perché avvenga la modalità che il Padre ha stabilito, in una realtà sensibile, visibile e tangibile: un popolo, che ha un aspetto intelligente e affettivo.
È il Corpo mistico di Cristo , cioè il Corpo tangibile di Cristo in cui l’invisibile divinità investe plaghe che il Padre dona al Figlio.
Questa invasione genera uomini con una mentalità nuova e una nuova fecondità.
Clericalismo
103-104 – Terzo aspetto dell’incidenza che il mondo razionalista ha portato fin dentro la nostra vita ecclesiale, singolare o collettiva, è una Chiesa senza mondo.
Da qui dipendono il clericalismo e lo spiritualismo, quale duplice riduzione del valore della Chiesa come Corpo di Cristo.
La vita religiosa cristiana viene determinata dallo statalismo che, in modo unilaterale, viene chiamato anche «clericalismo».
La religiosità si svolge così nell’ambito di regole legalisticamente concepite (farisaismo), per cui si è praticamente resi adepti di un potere (civile, politico o religioso).
All’epoca di Gesù erano i farisei (potere religioso) e i romani (potere politico), oggi la pax romana ha altre flessioni e s’attarda su altri nomi di nazioni.
Ma oggi, come allora, tutte le religioni sono accettate purché implichino l’adorazione dell’imperatore, l’adorazione del potere che governa.
107-108 – Abbiamo osservato che la Chiesa senza mondo diventa un «clericalismo» – l’imponenza di leggi ben fissate per ogni particolare della vita, tendenti a descrivere l’atteggiamento da avere in ogni circostanza, così da determinare tutte le flessioni dell’umana vicenda.
Così, sinteticamente, il mondo finisce per essere l’ambito dell’esistenza definito dal potere e dalle sue leggi.
108 – Conseguenza evidente e ultima di ciò: la perdita della libertà.
Un’esistenza definita dal potere e dalle sue leggi ha come conseguenza ultima, la perdita della libertà.
Compagnia vocazionale
62- La presenza di Gesù Cristo è un avvenimento, è un Avvenimento che si incontra nel presente, nell’ora, nelle circostanze, che dilatano l’evidenza di una compagnia vocazionale come emergenza del mistero della Chiesa, Corpo misterioso di Cristo. È la Chiesa che emerga accanto a me. […] perciò è una emergenza del Corpo di Cristo.
È la compagnia «vocazionale», vale a dire, la compagnia che ci implica, in quanto genera l’esperienza ed è generata dall’esperienza in cui il carisma ci ha toccato.
65 – […] La parola di Dio è nel nostro cuore e sulle nostre labbra, la totalità di quella presenza familiare, quotidiana ed efficace, di questa compagnia tanto strana quanto evidentemente insuperabile, questa totalità spiega il nostro dire «Tu»: «Tu» a Dio dobbiamo dire e «Ti, o Cristo» dobbiamo dire all’uomo Gesù di Nazareth.
Comunità (ecclesiale)
39-40 – Il metodo che il Mistero ha usato per darsi, per svelarsi alla sua creatura, è il metodo sacramentale: segno che contiene il Mistero di cui è segno.
La comunità della Chiesa è l’aspetto di questo segno, è l’aspetto visibile di quella faccia; è la veste di quella Presenza, come la veste di Gesù per i bambini piccoli che stavano vicino a Lui.
49 – Analogamente, a noi Gesù si rende sensibile, si rende percepibile nella comunità ecclesiale come se essa fosse il vestito mediante cui la nostra piccolezza prende il rapporto con la sua presenza reale.
Coscienza
18 – Il problema dell’essere dell’uomo, come si risolve? Non è solo un problema filosofico, è innanzitutto un problema di coscienza di sé, cioè un problema dell’io, della persona: è in gioco che cosa essa è, ed è in gioco in ogni gesto umano, in ogni esperienza, nella quale il reale emerge alla ragione.
33 – Cristo si rivolge al Padre in quanto Creatore.
Egli è il primo uomo con la coscienza adeguata e perfetta che tutto il suo contenuto di uomo è presenza del Padre.
58 – Dio è tutto e l’uomo è l’essere partecipato, è una comunicazione che di Sé fa l’Essere come Mistero – una questione di coscienza etica, cioè di comportamento.
Infatti, se Dio per l’uomo è tutto e appare alla ragione come la sorgente dell’essere, ma l’uomo non vuole capire e non se ne ricorda, è come se Dio non ci fosse.
Come facciamo a conoscere Dio così? Bisogna prenderne coscienza. Ciò riguarda la forza conoscitiva dell’uomo ragionevole.
La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.
Perciò prendere coscienza di una cosa significa scoprire la cosa secondo la sua totalità.
Nel nostro caso, l’oggetto di cui stiamo parlando, l’oggetto che interessa, l’oggetto messo a tema è Dio: come l’uomo concepisce Dio e come Dio appare, deve apparire l’uomo.
Così la ragione, accorgendosi che Dio è la sorgente di tutto, che il Mistero sta all’origine di tutto, è anche tesa a scoprire come comportarsi con Dio, come trattare Dio, e perciò scoprire gli itinerari da cui conseguono le leggi morali.
94-95 – E come la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, analogamente la moralità è rapporto dell’azione singolare con la totalità dei fattori che l’universo implica.
95 – La prima incidenza sulla vita dell’uomo che ha l’imitazione di Cristo (Cristo deve essere «tutto in tutti») è una mentalità nuova, una coscienza nuova, non riducibile ad ogni legge dello Stato o a una abitudine sociale, una coscienza nuova come sorgente e come riverbero di autentico rapporto con il reale, in tutti i dettagli che l’esistenza implica.
La coscienza nuova del cristiano, dell’imitatore di Cristo, è interamente chiamata in causa di fronte a ciò che la mentalità dominante dice.
113 – Alla libertà dell’uomo spetta la mendicanza, perché tutto il potere è di Dio.
«Dio è tutto in tutto»: ha creato la natura, ha partecipato il Suo essere a una creatura che, come Cristo, fosse riflesso, splendore, coscienza dei quel che è Padre, riconoscimento pieno del Padre; così la mendicanza è l’espressione del riconoscimento pieno che l’uomo fa della sua dipendenza da Dio, del suo riconoscimento di quel che Dio è.
La grande obiezione è che il cristianesimo non mantenga la promessa fatta.
L’obiezione nasce da un altro aspetto della nostra coscienza, nasce dalla paura del sacrificio.
120 – Se l’uomo non è sollecitato a una coscienza di sé, se non è educato, provocato ed educato ad una coscienza di sé, se quindi non è se stesso, è abbandonato ad input istintivi, a reazioni, a una reattività, in cui predomina l’aspetto animalesco, come livello di fattura.
123 – Vivere la propria vita come riflesso su tutto l’universo richiede un atto di amore: concepire tutta la vita, la propria vita, come riflesso su tutto l’universo, come punto di riferimento di tutti gli input che l’universo dà alla coscienza dell’uomo, è un atto di amore, è affermare un Altro.
Perché l’appartenenza a un movimento facilita l’evoluzione della nostra coscienza, il destarsi della coscienza nostra, così che essa guardi al sacrificio non come a un fenomeno negativo del vivere?
L’appartenenza a un movimento, o a una realtà sociale nella misura in cui interessa la vita e «pretende» di decidere della vita, rende possibile una educazione (uno sviluppo della coscienza dell’uomo) a capire che la realtà, nella sua sollecitazione o nella sua provocazione, mira a una positività: la positività dell’Essere.
125 – Per questo il sacrificio è obbedire: nel senso che la realtà non la faccio io, quello che sono non l’ho fatto da me, tutto quello che mi è dato (dal Mistero come da mia madre) è condizione per una coscienza maggiore, più profonda, di tutto quello che facciamo.
Per questo il sacrificio è obbedire, e parte da questo «pre-concetto» o «pregiudizio»: il «dato», l’opera di un Altro.
Il riconoscimento della positività dell’essere, di tutte le cose, come primo indizio o inizio di una coscienza che si prende delle cose, è esattamente intuire quella che poi si dirà «obbedienza»: man mano che si diventa grandi si capisce che è obbedienza.
147 – In uno Stato si possono far morire tutti quelli che credono in Dio, ma non si può toglierLo di mezzo, perché è nella struttura stessa della nostra coscienza ed è l’unica fonte di autocoscienza, per cui l’autocoscienza è un arricchimento continuo, può essere un avvenimento continuo di scoperta verso il vero, che non diventa mai l’oggetto della nostra capacità di afferrare.
169-170 – L’uomo nuovo ha sì una preoccupazione come tutti gli altri, ma diversa e ordinata davanti agli strumenti necessari per il lavoro, il lavoro essendo appartenenza a Cristo vissuta, la coscienza dell’appartenenza a Cristo vissuta.
174 – Il carisma resta la carità che Cristo ha per noi nel renderci suoi: suoi come coscienza e come affezione, cioè come mentalità e come modo di affrontare e realizzare l’affettività umana.
187 – L’obbedienza è altamente e acremente obiettata, innanzitutto come tentazione della nostra coscienza, in un’epoca come la nostra, in cui i dati e gli avvenimenti della coscienza, naturale e rivelata da Dio, da Gesù, sono assolutamente non osservati, cioè non capiti e quindi tralasciati, perché appaiono come negazioni della nostra libertà, di una libertà o di un godimento, e sembrano contrari all’esistenza.
prendere coscienza
58 – Dio è tutto e l’uomo è l’essere partecipato, è una comunicazione che di Sé fa l’Essere come Mistero – una questione di coscienza etica, cioè di comportamento.
Infatti, se Dio per l’uomo è tutto e appare alla ragione come la sorgente dell’essere, ma l’uomo non vuole capire e non se ne ricorda, è come se Dio non ci fosse.
Come facciamo a conoscere Dio così? Bisogna prenderne coscienza. Ciò riguarda la forza conoscitiva dell’uomo ragionevole.
La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.
Perciò prendere coscienza di una cosa significa scoprire la cosa secondo la sua totalità.
Nel nostro caso, l’oggetto di cui stiamo parlando, l’oggetto che interessa, l’oggetto messo a tema è Dio: come l’uomo concepisce Dio e come Dio appare, deve apparire l’uomo.
Così la ragione, accorgendosi che Dio è la sorgente di tutto, che il Mistero sta all’origine di tutto, è anche tesa a scoprire come comportarsi con Dio, come trattare Dio, e perciò scoprire gli itinerari da cui conseguono le leggi morali.
63 – Quello in cui siamo introdotti resta veramente vivo, si avvera tutti i giorni; perciò tutti i giorni noi prendiamo coscienza dell’avvenimento come ci è accaduto, dell’incontro fatto.
71-72 – Se «Dio è tutto in tutto», dobbiamo vedere come ciò incide sulla nostra vita. Come prenderne coscienza? Che significa prenderne coscienza? Significa innanzitutto conoscere Dio in modo tale che influisca sulla vita.
L'Essere si svela in quanto opera nel nostro presente: È, se opera agli occhi nostri.
Perciò, conoscerlo implica un cambiamento, la cui prima connotazione è il cambiamento dell’immagine stessa dell’intelligenza umana nella sua attività.
72 – Occorre prendere coscienza delle conseguenze etiche del fatto che «Dio è tutto in tutto» e, prima ancora, della forza estetica che «Dio è tutto in tutto» possiede.
È da questa forza estetica infatti che sorge la possibilità stessa di un’etica; solo se l’Essere è attrattiva può essere capace di ottenere dall’uomo un’attenzione fino al sacrificio.
Ora per prendere coscienza di tali conseguenze etiche, noi dobbiamo prendere coscienza di una mentalità che, apparentemente esaltando una rinascita religiosa, in realtà vuole proprio censurare che «Dio è tutto in tutto», rendendolo astratto, dimenticando o, ancor più, negandolo.
Occorre prendere coscienza della realtà in cui noi viviamo, del momento culturale, nel senso potente del termine, del nostro cammino.
76 – Per parlare di morale è allora importantissimo comprendere e prendere coscienza del tipo di cultura cui apparteniamo, se essa sia mondana o cristiana.
98 – Prendere coscienza e conoscenza della realtà ha diverse modalità di esito, a seconda dei rapporti che si stabiliscono.
Un giudizio vero nasce da una semplicità di cuore.
Così, l’avvenimento di Cristo è immediatamente sperimentato come eccezionale perché è eccezionale; ma per coglierlo nella sua diversità occorre che la ragione, con semplicità, immediatamente accetti, riconosca quel che avviene, quello che è avvenuto, con l’immediatezza certa che si ha di fronte a ogni evidenza della realtà.
116 – L’uomo è niente, se prende coscienza del suo rapporto con l’Essere.
È niente eppure Dio l’ha fatto, egli si sente fatto, si percepisce fatto, costruito, per una cosa grande.
Dall’inesausta misericordia che è Cristo, speranza del cammino umano, chiediamo insieme a Dio di riprendere coscienza ogni giorno della gratitudine che dobbiamo a Cristo e alla Chiesa, nostra madre, ma soprattutto del totale abbandono a Dio.
137 – Ma che vuol dire appartenenza? L’uomo coscienza della sua umanità, e quindi usa delle parole per descriverla, traendole come significato dalla sua esperienza.
Le parole che l’uomo usa illuminano la consapevolezza dell’esperienza da cui nasce.
L’uomo vuole avere coscienza, è costretto ad avere coscienza della sua umanità.
L’uomo prende coscienza della sua umanità badando a quell’esperienza che è la forma in cui essa si rivela e che costruisce la realtà dell’uomo nel contatto con ciò che incontra.
160 – Tutto il genere umano non riconosce Dio, tradendo se stesso: anche se Dio ha fatto venire a galla in un «resto» le Sue intenzioni, la Sua modalità di dominio.
Il popolo ebraico fa prendere coscienza all’umanità che c’è un enigmatico male nel cuore dell’uomo.
165- È nel Battesimo che all’uomo è reso possibile diventare grande, prendere coscienza di sé, una coscienza di sé che sfocia nell’annuncio di un rapporto, sfocia anche dentro il suo animo come annuncio di un rapporto eccezionale, eccedente, che «sarebbe eccedente» la sua capacità.
Cuore
84-85 – L’eliminazione del valore del segno implica, per un verso come causa e per l’altro come conseguenza la riduzione del cuore a sentimento.
Noi prendiamo il sentimento invece che il cuore come motore ultimo, come ragione ultima del nostro agire.
Che cosa vuol dire? La nostra responsabilità è resa vana proprio dal cedere all’uso del sentimento come prevalente sul cuore, riducendo così il concetto di cuore a quello di sentimento.
Invece, il cuore rappresenta e agisce come il fattore fondamentale dell’umana personalità; il sentimento no, perché preso da solo il sentimento agisce come reattività, in fondo è animalesco.
85 – Mentre il cuore indica l’unità di sentimento e ragione.
Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l’ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quel che si chiama affezione.
È il cuore – come ragione e affettività – la condizione dell’attuarsi sano della ragione.
La condizione perché la ragione sia ragione è che l’affettività la investa e così muova tutto verso l’uomo.
Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell’uomo.
98 – Un giudizio nasce da una semplicità di cuore.
Così, l’avvenimento di Cristo è immediatamente sperimentato come eccezionale perché eccezionale; ma per coglierlo nella sua diversità occorre la ragione, con semplicità, immediatamente accetti, riconosca quello che avviene, quello che è avvenuto, con l’immediatezza certa che sia ha di fronte a ogni evidenza della realtà.
Perché prima di tutto, prima del giudizio che Giovanni dà su quell’Uomo, che Pietro dà su quell’Uomo, prima del loro giudizio e della loro adesione, prima c’è questa semplicità, c’è questo cuore semplice, ci sono questi occhi semplici, questa tensione, questo desiderio semplice che è aperto a recepire, che è nella possibilità di recepire con chiarezza quello che ha incontrato, l’aspetto della realtà in cui si è imbattuto.
112 – Ma la giustizia di Dio non è la giustizia degli uomini: essa opera un cambiamento.
La giustizia di Dio, nella carità riconosciuta come parola espressiva suprema dell’atteggiamento di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio, opera un cambiamento radicale, va cioè alla radice stessa del cuore: «L’uomo guarda all’apparenza, Dio guarda al cuore», la Sua giustizia non confine né imprigiona nelle apparenze,
Perciò la giustizia di Dio è sempre un cambiamento delle esigenze costitutive originali del cuore nella loro totalità, fino alla felicità e perfezione.
169 – In questo possesso di Dio, cui l’uomo riconosce di appartenere perché tutto gli viene da Lui, egli Lo scopre come una vicenda storica.
Tutto è perciò vissuto dall’eletto come dinamica di questa appartenenza; quindi, nel popolo cristiano, ritualmente composto, tutto diventa evidenza quasi scenica (non c’è nulla che resti fuori gioco, non c’è nulla che non serva, non c’è nessun rapporto che diminuisca la statura dell’anima e del cuore).
206 – «Donna non piangere!»: questo è il cuore con cui noi siamo messi davanti allo sguardo e davanti alla tristezza, davanti al dolore di tutta la gente con cui entriamo in rapporto, per la strada o nel viaggio, nei nostri viaggi.
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I Temi di alcuni libri di don Giussani
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- TEMI – Il rischio educativo
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- TEMI di Si può vivere così?
- TEMI di Si può (veramente) vivere così?
Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”
- TEMI – Un strana compagnia (82-83-84)
- TEMI – La convenienza umana della fede (85-86-87)
- TEMI – La verità nasce dalla carne (88-89-90)
- TEMI – Un avvenimento nella vita dell’uomo (91-92-93)
- TEMI – Attraverso la compagnia dei credenti (94-95-96)
- TEMI – Dare la vita per l’opera di un Altro (97-98-99)
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