Temi di «Dare la vita per l’opera di un Altro»- 1a parte

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Lettera «F»


Famiglia cristiana

49-50 – (Dall’avvenimento dell’amicizia cristiana, vissuta come ecumenismo e pace, nasce un popolo: è l’accadere di una concezione della vita, di un sentimento del reale, di una onestà di fronte alle circostanze, di una risposta intensa di fronte a una provocazione secondo una visione e secondo una percezione del proprio destino di verità e di felicità).

È stato il modo in cui, lentamente, dalla barbarie che dominava il V e il VI secolo è venuta fuori la famiglia cristiana, con la tenerezza dei sentimenti, con la capillarità delle attenzioni, con la chiarezza dei comandi, delle leggi che la caratterizzano; la «famiglia cristiana come organismo-dimora, come una vera dimora per l’uomo: aiuto, ricovero, ospitalità, canto» (L. Giussani, Si può (veramente?!) vivere così? pag. 420)

La violenza implica sempre il tentativo di distruggere un popolo: la violenza degli eserciti, dei magistrati o anche delle realtà religiose in cui la religiosità non trovi aperta adesione e reale consequenzialità.

E alla violenza tutta l’educazione del potere fa tendere l’azione dell’uomo, la concezione della famiglia e della convivenza sociale, il metodo di rapporto con gli altri.

Il potere avvalla tutte le forme di estraneità ultima, che sono l’inizio della violenza nel mondo.

122 – (Sacrificio) Questa è la parola più interessante e più determinante i nostri stati d’animo o le nostre impressioni o definizioni del nostro movimento: è il sacrificio che viene operato immettendo la propria vita nella realtà di una compagnia – della famiglia, per natura, o di una compagnia di uomini -.

Perché la famiglia o la compagnia degli uomini indicano come condizione di vita qualcosa d’Altro.

Per questo noi abbiamo detto che «non c’è sacrificio più grande che dare la vita per l’opera di un Altro».

Fatto (cristiano)

97 – La fede in Cristo è conoscere una Presenza come eccezionale, essere colpiti da essa e, quindi, aderire a quello che essa dice di sé.

È un fatto: è un fatto che ha reso possibile l’insorgenza cristiana nel mondo.

101 – Se si elimina in Cristo il fatto di essere uomo, uomo reale, storico, si elimina la possibilità stessa di una esperienza cristiana.

Un’esperienza cristiana è un’esperienza umana, perciò è fatta di tempo e di spazio come ogni realtà anche materiale.

Senza questo aspetto di materialità l’esperienza che l’uomo fa di Cristo ma della possibilità di verifica nella sua contemporaneità, cioè della verità di quanto Lui ha detto di sé.

127 – «Tutto consiste in Lui». È una affermazione che entra nella nostra vita con la stessa modalità con cui entra nella nostra vita il “come” dell’esistenza delle cose: è una oggettività innegabile come partenza, dice Il senso religioso.

130 – Dalla fede – che è affermazione di un fatto, della oggettività di un fatto, Cristo – si sviluppa una esteticità, cioè una suggestività, che rivela una ragione adeguata realmente in atto: è una ragione adeguata che fa nascere l’estetica in un rapporto.

Perché la bontà, meglio, l’etica, deriva dall’estetica.

174 – Il disegno del Mistero originante, del Padre, ci ha messi in un determinato corso, su una determinata via dentro la Chiesa, ci ha fatti partecipi nel renderci suoi come conoscenza e come affezione.

208 – È la cosa più bella (Lezione di Carrón agli esercizi 2004) che io abbia sentita in vita mia, l’invito più chiaro, più bello, dove tutto il soggetto della grazia che Cristo ci ha fatta è nel fatto di quel popolo che, davanti alle cose che accadono nella vita, farà la elargizione di una cosa grande, senza nessun paragone grande.

Fede

90 – L’appartenenza al movimento, in quanto è una esperienza esistenzialmente concreta del vivere la mentalità nuova in Cristo e la morale nuova, introduce alla novità della fede, quella fede che tende a venir meno nel cuore degli uomini man mano che chi ha responsabilità su di loro tradisce: è il tradimento degli intellettuali; l’intellettuale è colui che insegna, che educa, il medico che aiuta e interviene.

92 – Si vive veramente il carisma quanto più si paragona tutta la propria vita all’ideale del carisma stesso, così come lo affermano coloro che sono riconosciuti dalla Chiesa come garanti per essa della verità del dono dello Spirito; seguire loro è un’ultima obbedienza che cerca di incarnare fino agli ultimi capillari l’imitazione di Cristo e la fedeltà alla Chiesa.

La fede si manifesta così sorgente continua e in continuo termine dell’Incarnazione come metodo ultimo del Mistero.

Siccome la missione esiste e vive come testimonianza, solo la fede vissuta realizza la testimonianza, perché solo la fede vissuta cambia, di quel cambiamento in cui chiunque può imbattersi e, sentendosene scioccato, mettersi a seguirlo.

Questo fa capire come la fede apra a una mentalità e a una moralità diverse, sia davanti al mondo sia nella Chiesa stessa come realtà umana e, quindi, influenzabile dal contesto.

94ss – La fede apre a una «mentalità diversa» da quella in cui penetriamo tutte le mattine, quando ci alziamo e andiamo fuori casa (ma anche in casa): una mentalità diversa e, quindi, una «moralità diversa», perché l’azione in cui l’uomo si realizza può essere più, o meno o niente del tutto, in rapporto con la totalità delle cose.

La fede origina una mentalità e una moralità diverse, sia davanti al mondo sia nella Chiesa stessa come realtà umana e, quindi, influenzabile dalla realtà mondana.

La formula sintetica che dobbiamo sviluppare è:

Fede in Dio è fede in Cristo

96 – La fede, come atteggiamento reale che l’uomo vive nei confronti di Dio, non è generica: è fede in Cristo, il Segno di tutti i segni, l’Uomo attraverso cui il Mistero si è rivelato.

Gesù non concepiva l’attrattiva sua sugli altri come riferimento ultimo a sé, ma al Padre: a sé perché Lui potesse condurre al Padre, come conoscenza e obbedienza.

In questo senso la fede in Cristo supera e rende più chiaro il senso religioso nel mondo.

La fede svela l’oggetto del senso religioso, cui la ragione non può accedere.

97 – «Venne in quel posto e non fece molti miracoli». Perché? «Era gente di poca fede».

Trovava poca fede; così dove non c’è ascolto, è inutile parlare.

La fede in Cristo, come appare evidente dall’insorgere del fatto cristiano, è conoscere una Presenza eccezionale, essere colpiti da essa e, quindi, aderire a quello che essa dice di sé.

È un fatto che ha reso possibile l’insorgenza cristiana nel mondo.

La fede è riconoscere una presenza eccezionale, essere colpiti, colpiti da essa senza nessun paragone con altre occasioni già vissute e possibili anche nel futuro, e aderire a quello che essa dice di sé, perché se non si aderisse vi sarebbe contraddizione col giudizio di eccezionalità che ci è dato, che si è costretti a dare.

La fede, perciò, è un gesto che ha come suo punto di partenza la ragione.

La ragione non come capacità o pretesa di descrivere Dio, di parlare di Dio, sostituendosi alla Rivelazione, ma la ragione in quanto afferma che il Mistero è una realtà esistente, senza la quale un uomo non può portare uno sguardo ragionevole alla realtà.

Vale a dire, il punto di partenza della fede è la ragione come coscienza della realtà, cioè il senso religioso dell’uomo.

98 – La fede è un giudizio e non una emozione; non è un sentimento cangiante che identifica l’esistenza di Dio come gli pare e vive la religiosità come gli piace.

Essa è un giudizio che afferma una realtà, il Mistero presente.

La fede è razionale, in quanto fiorisce sull'estremo limite della dinamica razionale come un fiore di grazia, cui l'uomo aderisce con la sua libertà.

99 – «Una delle funzioni della fede, e non tra le più rilevanti, è quello di offrire un risanamento della ragione come ragione, di non usarle violenza, di non rimanerle estranea, ma di ricondurla nuovamente a se stessa. Lo strumento storico della fede può liberare nuovamente la ragione come tale, in modo che quest’ultima – messa sulla buona strada dalla fede – possa vedere da sé […]. La ragione non si risana senza la fede, ma la fede senza la ragione non diventa umana […]. Come mai la fede ha ancora successo?. direi perché essa trova corrispondenza nella natura dell’uomo […]. Nell’uomo vi è un inestinguibile desiderio di infinito. Nessuna delle risposte che si sono cercate è sufficiente. Solo il dio che si è reso finito, per infrangere la nostra finitezza e condurla nella infinitezza della sua infinità, è i n grado di venire incontro alle esigenze del nostro essere»

J. Ratzinger, «La fede e la teologia dei giorni nostri», in Enciclopedia del cristianesimo, De Agostini, Novara 1997, pag. 30

Nell’epoca moderna il razionalismo, perdendo la vera natura della ragione, rende abituale la confusione tra senso religioso e fede, evacuando così anche la vera natura della fede.

Il razionalismo moderno, che si impone all’uomo di oggi, nella società di oggi, come privilegiato criterio, rende normale la confusione tra senso religioso e fede, negando la vera natura della fede, che è quella di un giudizio cui la libertà si unisce: l’affettività compie il contenuto di questo giudizio.

100ss – La confusione tra senso religioso e fede rende confuso tutto.

Il crollo della fede nella sua natura vera, come è nella Tradizione, cioè nella vita della Chiesa, il crollo della fede come riconoscimento di «Cristo tutto in tutti», come adeguazione a Cristo e imitazione di Cristo, ha dato origine allo sconcerto moderno, il quale si rivela in vari ed identificabili aspetti.

Dettagliamo ora questi aspetti.

Un fede svuotata: i cinque «senza» del razionalismo moderno.

  1. Dio senza Cristo: È la negazione del fatto che soltanto attraverso Cristo è possibile che Dio, il Mistero, si riveli a noi per quello che è.
  2. Cristo senza Chiesa: se si elimina in Cristo il fatto di essere uomo, uomo reale, storico, si elimina la possibilità stessa di una esperienza cristiana.
  3. Chiesa senza mondo: da qui dipendono il clericalismo e lo spiritualismo, quale duplice riduzione del valore della Chiesa come Corpo di Cristo.
  4. Un mondo senza io: se la Chiesa è senza mondo, questo mondo tende ad essere senza l’io: vale a dire è una alienazione. Così, sinteticamente, il mondo finisce per essere l’ambito dell’esistenza definito dal potere e dalle sue leggi.
  5. Un io senza Dio: Questo io, l’io alienato, è un io senza dio. L’io senza Dio è un io che non può evitare tedio e nausea.

111 – Abbiamo visto come la fede in Cristo ci detta come osservazione sul mondo in cui viviamo e come possibilità di ricondurci in essa a libertà, per renderci di nuovo capaci di chiarezza e di coerenza con noi stessi.

Le conseguenze della situazione in cui siamo sono amare.

Vogliamo adesso vedere brevemente come la fede in Cristo produca non solo una mentalità nuova, ma anche una moralità nuova.

«Il mio giusto vive di fede», dice la Scrittura.

Come la fede, in quanto sorgente di leggi morali, origina una moralità nuova? La moralità nuova che scaturisce nell’avvenimento cristiano è il riconoscimento amoroso di una presenza connessa con il destino.

Poi si capisce, maturando, stando in essa, che questa Presenza è continua.

La moralità nuova è il riconoscimento amoroso di una presenza connessa con il destino che continua nella storia.

Tutta la storia precedente dà forza a questa evidenza – perché è una evidenza! -. È da una evidenza che il «sì» di Pietro sorge, prende corpo.

121 – La fede è riconoscimento di una Presenza. Ormai diciamo abitualmente: la fede è il riconoscimento di una Presenza, di una Presenza eccezionale.

La fede è un riconoscimento della Presenza.

Questo non è un sentimento; anche se implica tanto sentimento, non è definibile come sentimento.

La definizione del riconoscimento di una Presenza appartiene a quello stadio originale della coscienza umana per cui, di fronte a uno spettacolo della natura, anche il bambino dice: «Che bello!». Dicendo «che bello!», esprime non un suo modo di sentire, ma un suo modo di vedere, che è razionale, è l’inizio di una vita, di un cammino razionale,

129-131 – Il motivo per dire «sì» a qualcosa che si introduce nella nostra vita vincendo tutti i preconcetti è una bellezza: una bellezza e una bontà che possiamo benissimo non riuscire a definire, ma che sentiamo come contenuto della nostra ragione per la decisione più «grave» in cui essa è implicata, cioè la fede, perché la fede nasce come riconoscimento della ragione.

La semplicità dei bambini è la verità del nostro aderire alla fede, dell’aderire della nostra fede a ciò che la Chiesa dice, che la tradizione cristiana porta a noi, che la Chiesa, nel movimento, ci dice: la semplicità è l’atteggiamento del bambino che va davanti alle cose senza “ma”, “se” e “però”, va davanti alle cose, le tocca o le tratta, con immediatezza.

130 – «Solo lo stupore conosce»: è lo stupore, come per Giovanni e Andrea. Questa è la parola che spiega tutto quello che noi diciamo dell’inizio della fede.

Il gesto della fede si è enucleato, è sorto ed è stato «gestito» in Giovanni e Andrea per una Presenza: era una Presenza suggestiva, una Presenza che colpiva, una Presenza che stupiva: «Ma come fa ad essere così?».

Dalla fede – che è affermazione di un fatto, dell’oggettività di un fatto – si sviluppa una esteticità, cioè una suggestività, che rivela una ragione adeguata realmente in atto: è una ragione adeguata che fa nascere l’estetica, in un rapporto.

Perché la bontà, meglio, l’etica, deriva dall’estetica.

Solo se la proposta è suggestiva noi la prendiamo sul serio.

Altrimenti, di essa prendiamo solo quello che decidiamo noi, cioè aboliamo la proposta.

La riduzione della fede a senso religioso avviene così.

169 – «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che m i ha amato e ha dato se stesso per me».

Gal 2,20

179 – Questo è il principale test della fede! La fede in Cristo è riconoscere Cristo presente, fondamento della nostra speranza: in qualsiasi caso, anche di fronte alla morte.

Così è concepito l’estremo passaggio al significato dell’essere del cosmo e di tutta la storia, che è il Giudizio finale: l’estremo passaggio al significato, cioè l’estrema risposta a tutto il problema dell’appartenenza.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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