Temi di «Dare la vita per l’opera di un Altro»- 1a parte

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AB CDEFGILMNOPRS TUV

Lettera «G»


Giudizio

88 -Non possiamo imitare il mondo proprio perché dobbiamo giudicarlo, non con orgoglio e superiorità, ma con amore, così come il Padre ha amato il mondo e per questo su di esso ha pronunciato il suo giudizio [Cristo, il suo giudizio è Cristo. E il Papa, nella sua enciclica Dives in misericordia, dice che la misericordia nella storia dell’uomo ha un nome: Gesù Cristo. Il giudizio di Dio è misericordia].

98-100 – La fede è un giudizio e non una emozione: non è un sentimento cangiante che identifica l’esistenza di Dio come gli pare e vive la religiosità come gli piace.

Essa è un giudizio che afferma una realtà, il Mistero presente.

Un giudizio vero nasce da una semplicità di cuore.

Così l’avvenimento di Cristo è immediatamente sperimentato come eccezionale perché è eccezionale; ma per coglierlo nella sua diversità occorre che la ragione, con semplicità, immediatamente accetti, riconosca quello che avviene, quello che è avvenuto, con l’immediatezza certa che si ha di fronte a ogni evidenza della realtà.

Perché prima di tutto, prima del giudizio che Giovanni dà di quell’Uomo, che Pietro dà di quell’Uomo, prima del loro giudizio e della loro adesione, prima c’è questa semplicità, c’è questo cuore semplice, ci sono questi occhi semplici, questa tensione, questo desiderio semplice che è aperto a recepire, che è nella possibilità di recepire con chiarezza quello che ha incontrato, l’aspetto della realtà in cui si è imbattuto.

100 – Il razionalismo moderno, che si impone all’uomo di oggi, nella società di oggi, come privilegiato criterio, rende normale la confusione tra senso religioso e fede, negando anche la vera natura della fede, che è quella di un giudizio cui la libertà si unisce: l’affettività compie il contenuto di questo giudizio.

174 – La novità sta, dunque, nel comprendere in che modo Cristo, lo Spirito di Cristo, mira a compiere in noi una mentalità diversa, un modo di vedere, ma anche di giudicare e di trarre conseguenze da questo giudizio, un modo di conoscenza, nel senso pieno della parola, diverso e nuovo, e un modo di affezione, nel senso più lato del termine, che permetta una conoscenza chiara e vera del nostro rapporto con ogni cosa, ma, soprattutto, una modalità diversa di dinamica, di vibrazione della natura stessa dell’amore naturale.

178 – La differenza più evidente dell’uomo cristiano come mentalità (vale a dire come intelligenza e affezione, perché una caratteristica della concezione cristiana, della mentalità cristiana, è quella di indicare il legame profondo, originale, tra conoscere e amare; per cui noi diciamo, siamo soliti dire che l’amore condiviso, e quindi di una amicizia, può sorgere soltanto da un giudizio: l’amore che non deriva da un giudizio non è umano) la differenza più evidente dell’uomo cristiano, come mentalità, cioè intelligenza e amore, da chi appartiene a Cristo è il fatto che egli vive le condizioni dell’esistenza e della storia a partire da una certezza positiva su tutto: è impossibile mantenere questa posizione, se non nell’avvenimento cristiano.

Giustizia

111-112 – Il mondo usa volentieri il termine «giustizia» per identificare la moralità.

È facile la tentazione in questo senso, dove per giustizia si intendono valori impostati secondo la propria convenienza.

La moralità nuova è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino che continua nella storia.

In tal senso, è la parola «carità» che definisce il concetto di giustizia cristiana.

112 – È la carità come corrispondenza all’Essere: guardare l’altro come termine del rapporto concepito come corrispondenza all’Essere.

Questa è la giustizia di Dio.

Essa è parte del Mistero. Carità e giustizia coincidono, nel Mistero sono una cosa sola, anche se le due parole sono, ciascuna per suo conto, vere.

Ma la giustizia di Dio non è la giustizia degli uomini (come la carità di Gesù è diversa da quella degli uomini): essa opera un cambiamento.

La giustizia di Dio, nella carità riconosciuta come parola espressiva suprema dell’atteggiamento di
Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio, opera un cambiamento radicale, va cioè alla radice stessa del cuore: «L’uomo guarda all’apparenza, Dio guarda al cuore», la Sua giustizia non confine né imprigiona nelle apparenze.

Perciò la giustizia di Dio è sempre un cambiamento delle esigenze costitutive originali del cuore nella loro totalità, fino alla felicità e perfezione.

145-146 – È violenza ogni rapporto umano che non sia coscienza del destino, che non sia, perciò, coscienza dell’appartenenza a qualcosa d’altro.

Questa violenza giunge fino al punto dove essa può chiamarsi «giustizia», dove le leggi tendono a essere risolutrici di tutti i problemi dell’uomo nella società, quasi che l’uomo appartenga totalmente alla società in cui è.

Oggi molti, anche preti e teologi, tendono ad esaltare come valore fondamentale l’«educazione alla legalità»; e mentre dicono cose di questo genere, dimenticano che le leggi dell’uomo sono sempre parziali e sempre giudicate dalla legge di Dio.

Non si può isolare la giustizia, privandola di tutti gli aspetti, di tutti i fattori che il verdetto di un magistrato può colpire in ogni uomo.

146 – Il potere della società, che si trasforma anche in leggi, deve essere giudicabile da un’altra legge che è proprio la legge dell’appartenenza a Dio: totalizzante, perché tutte le partecipazioni effimere alla grande appartenenza a Dio (compresa la famiglia e la società, lo Stato) possono esistere soltanto nel confronto che hanno con l’Eterno, con la legge eterna, con la legge di Dio.

Può anche esserci un cambiamento che la legge sembra assicurare, ma non sarà vero, non sarà morale, perché l’uomo non è un prodotto della società, ed essa non è interpretabile solo come parere dello Stato violento agitato dalla giustizia, per cui lo Stato si pone come diritto del potere, quasi come una divinità.

«Non mi piace la vostra giustizia fredda e nell’occhio dei vostri giudici riluce sempre per me la luce del boia con la sua spada gelida. Dite: dove si trova la giustizia che è amore e ha occhi per vedere? Inventatemi, dunque, l’amore che porta su di sé non solo tutte le pene, ma anche tutte le colpe»

Nietzsche – Così parlò Zaratustra

152 – La loro vita (degli ebrei), la vita dei loro gruppi, era strumento della missione che doveva far conoscere al mondo questo Dio, di cui avevano ereditato un concetto chiaro, soprattutto come potenza totale, come imperscrutabilità («Le mie vie non sono le vostre vie») e come giustizia.

160-161 – Il senso del Mistero, dell’Infinito, diventa diversità di comportamento nella storia.

È la misericordia che agisce sul popolo e sull’Alleanza con giustizia (Giustizia è l’universo in cui il disegno di Dio viene concepito come realizzato nel mondo e riconosciuto dagli eletti).

Il popolo ebraico fa prendere coscienza all’umanità che c’è un enigmatico male nel cuore dell’uomo. Il peccato originale continua, la giustizia sarebbe impossibile, ma il «resto di Israele» non può guardare la sera quel bel tramonto o immergersi nell’alba del mattino, se non aspettando, sapendo aspettare.

185-186 – «C’è ora una questione più particolare, che si riferisce a un passaggio della prima lezione: “Che cosa significa che anche la giustizia deve essere giudicata dalla legge dell’appartenenza?».

161 – La giustizia non è una cosa che sta nell’aria, un astro, non agisce senza soggetto attivo.

Perciò un uomo che giudichi un altro uomo deve poterlo fare con la coscienza che segue una legge di Dio, perché quell’uomo appartiene a Dio come me e te.

Ma, se ha coscienza di questo, non può giudicare un uomo per averne un vantaggio politico, per esempio, o per far carriera nella magistratura.

Perciò, io credo che sia molto difficile e duro ottemperare, obbedire alla legge di Dio in tante cose, come per me prete così per chi è giudice.

Gloria

gloria del Padre

33 – Cristo si rivolge al Padre in quanto Creatore.

Egli è il primo uomo con la coscienza adeguata e perfetta per tutto il suo contenuto d’uomo è presenza del Padre.

Lui fa quello che il Padre vuole. Lui vede il Padre, Lui non fa nient’altro che quello che vede fare dal Padre

Ciò che faceva fiorire tale certezza era il suo rapporto col Padre, la compagnia del Padre.

«Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, fate tutto per gloria di Dio»

1Cor 10,31

142 – Dio avrebbe potuto creare il cosmo per un solo io. Invece, quanto accalcarsi di folla, quanto sterminato numero di uomini fanno la gloria di Dio! L’uomo è grande perché il rapporto con Dio lo rende grande.

171ss – Per la gloria del Padre.

La prima parola che si può dire come scopo della necessità di vivere la coscienza dell’appartenenza è questa: la gloria del Padre, in cui diventa chiaro il rapporto fra l’Essere e il nulla, fra Dio e la creatura.

172 – Il Mistero ha creato misteriosamente, ha voluto un dialogo con il nulla, con il mendicante, per sua gloria – per la gloria di Dio.

207 – La gloria di Dio, la grandezza di Colui che fa le stelle del cielo, che mette nel mare goccia a goccia tutto l’azzurro che lo definisce, è l’uomo che vive.

La gloria di Dio – quella per cui sorregge il mondo, l’universo – è l’uomo che vive, ogni uomo che vive: l’uomo che vive, la donna che piange, la donna che sorride, il bambino, la donna che muore madre.

Noi vogliamo questo e nient’altro che questo, che la gloria di Dio sia palesata a tutto il mondo e tocchi tutti gli ambiti della terra: foglie, tutte le foglie dei fiori e tutti i cuori degli uomini.

gloria di Cristo

33 – «Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, fate tutto per gloria di Dio»,

1Cor 10,31

o per la gloria di Cristo, perché Dio si comunica a noi nella parola di Gesù, nella persona di Gesù.

46 – Noi dobbiamo imitare Gesù nel suo comportamento verso la storia, perché la gloria umana di Cristo è da noi riconosciuta come il senso della storia, della nostra esistenza personale e del suo contesto totale che si chiama storia

«Padre, è giunta l’ora: glorifica il Figlio Tuo, perché il figlio glorifichi Te, poiché Tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché Egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato».

Gv 17,1-2

Come per Gesù il senso della storia era il compiersi della volontà del Padre, per l’uomo il senso della storia è Cristo, la gloria umana di Cristo; imitare Gesù è quindi vivere lo scopo di ogni azione come affermazione del senso della storia, che è Gesù Cristo stesso, la gloria umana di Cristo.

Vivere per la gloria di Cristo si chiama testimonianza.

116-117 – In Lui come Mistero, in Lui come Dio, in Cristo come Dio, in Dio un abbandono totale.

È l’ultimo respiro possibile dell’uomo: in Lui in pace mi quieto fino a darmi sonno, ad arrendermi al sonno.

Nel sonno l’uomo trova, paradossalmente, l’immagine del suo esistere, per la gloria umana di Cristo.

Che nelle nostre azioni il nostro soggetto viva l’abbandono al Mistero, a Cristo, al Mistero che si è rivelato nell’Uomo, e, perciò, che stupefatti sentiamo il «sì» di san Pietro emergere dal profondo del cuore, questo atteggiamento è la mirabile novità che il cristiano deve documentare dovunque vada, per la gloria umana di Cristo nella storia: quanto più si vedrà questo cambiamento, tanto più vi sarà gloria a Cristo, la gloria di Cristo nella storia sarà sorpresa, voluta, consapevolmente amata sopra ogni cosa.

Come mi diceva un amico, la gloria di Cristo può diventare proprio la passione di un giovane o di un uomo adulto.

126 – «C’è un’ultima domanda: Vorremmo che ci parlassi della gloria di Cristo: che cosa fa sì che essa diventi la passione della nostra vita?»

La ragione è fatta per cogliere l’essere delle cose: Cristo, momento supremo della creazione «tutto in Lui consiste», in qualsiasi apparenza questo «tutto» si traduca.

127 – È il culmine del Mistero cristiano nell’esistenza dell’uomo: «Tutto consiste in Lui».

È una affermazione che entra nella nostra vita con la stessa modalità con cui entra nella nostra gita il “come” dell’esistenza delle cose: è una oggettività innegabile come partenza, dice Il senso religioso.

Cristo, come uomo ragionevole, è stato concepito dal Mistero come il momento totalizzante della storia dell’universo, nel tempo e nello spazio dell’universo e in tutta la storia dell’uomo.

Cristo è il Segno con cui il Mistero coincide totalmente, realmente.

Rifiutare Cristo è cadere, diventar prigionieri di un preconcetto nell’uso delle cose.

Affermare Cristo è affermare la bellezza oggettiva che ci rende appassionati alla vita e tutto diventa trasparente ai nostri occhi.

Non per nulla la letizia sul viso, sul volto, è l’argomento principale per una testimonianza cristiana a tutto il mondo, di fronte a tutti.

La letizia del proprio cuore è, quanto più si matura, nel tempo quindi, una conferma a noi stessi di quello che diciamo e in cui crediamo.

128 – Affermare Cristo ci apposto al primo varco da cui inizia il Mistero come Mistero che fa le cose: diventa esperienza quel che Dio fa.

Cristo è il primo varco, è il primo passaggio, è la prima presenza: il rapporto con Cristo rende trasparente ai nostri occhi tutta la vita.

E la verifica sta proprio nel fatto che, di tutto quello che c’è veramente nelle cose, si diventa ricercatori e attori lieti:

«Renderò evidente la potenza del mio nome dalla letizia dei loro volti»

Confrattorio della IV domenica d’Avvento ambrosiano, in Messale ambrosiano

174ss – Lo scopo di tutto questo, lo scopo per cui l’uomo nuovo è entrato nel mondo, è la gloria umana di Cristo.

L’invasione che Cristo fa della realtà è umanamente inattaccabile, ma creando una situazione fisica come un corpo – nel singolo e nel gruppo, nella comunità – è fisicamente perseguitabile, proprio a causa della verità e dell’amore che Cristo suscita, a causa della forza di verità, della grandezza e fedeltà dell’amore che Cristo suscita.

175 – Lo penso sempre quando, nell’Angelus, si dice quella bella orazione, in cui si prega Dio che noi, che per l’annuncio dell’angelo abbiamo saputo della sua incarnazione, della sua morte e resurrezione, siamo resi partecipi della gloria di Cristo.

Gnosi

101 – Cristo senza Chiesa: può chiamarsi gnosi, gnosticismo, in qualunque versione. Se si elimina in Cristo il fatto di essere uomo, uomo reale, storico, si elimina la possibilità stessa di un’esperienza cristiana.

Senza questo aspetto di materialità l’esperienza che l’uomo fa di Cristo manca della possibilità di verifica della sua contemporaneità, cioè della verità di quanto Lui ha detto di sé.

164 – L’atto del conoscere non è solo gnoseologico, ma anche ontologico; non è solo ideale, ma anche reale.

Se la ragione non partecipa all’essere, se non riconosce che qualche cosa prima di essa si impone ad essa, se non riconosce che è stata fatta per un incontro ulteriore, ulteriore a una coscienza di sé, non può nemmeno cominciare a conoscere.

Gratuità

47-48 – Nasce così l’impegno a servire la comunità umana fino alla cultura, all’economia, anche alla politica, secondo tutta la capacità della nostra gratuità, non solo nel tempo libero, ma innanzitutto nel lavoro.

171 – […] tutto quello che si è rivelato con l’ebreo di Nazareth fluisca nel mare di Cristo: affinché sia compiuto il mistero del Padre in me, e quindi nel mondo.

È il motivo per cui il Padre ha creato l’uomo, perché ha voluto essere riconosciuto dal nulla, dal niente.

Questa gratuità assoluta – in cui si colloca l’azione dell’essere cosciente, cioè una creatura che riconosce che solo Dio è – ha così trovato una modalità possibile per moltiplicare indefinitamente questo incontro paradossale.

180 – Quella positività cui s’accennava prima è affettività per tutte le cose, una partecipazione, cioè, alla caritas, alla gratuità con cui Dio ha visto tutto e ha fatto tutto e fa tutto per la sua creatura.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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