Temi di «Dare la vita per l’opera di un Altro»- 1a parte

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AB CDEFGILMNOPRS TUV

Lettera «I»


Ideologia

77-79 – Invece di un avvenimento, l’ideologia.

Il punto di partenza del cristiano è un avvenimento. Il punto di partenza di tutto il resto del pensiero umano è una certa impressione o valutazione delle cose, una certa posizione che uno assume «prima» d’affrontare le cose: anche i bisogni dell’uomo, che l’uomo intercetta e cerca di condividere nella loro concretezza, possono essere pensati e concepiti in un modo preconcetto.

78 – E il preconcetto – cioè il punto di partenza da cui uno prende le mosse – per passare nella storia, per vincere il tempo, per farsi strada tra i pensieri della gente e tra i giudizi della società, deve essere sviluppato.

Il suo sviluppo è la logica di un discorso che diventa ideologia.

Se invece l’origine è un avvenimento, se il criterio suggeritore del comportamento dell’uomo è un avvenimento, esso si ricompone, si ripropone continuamente nella storia, nel tempo, giorno per giorno, ora per ora: questo avvenimento si capisce perché «sta avvenendo qualcosa» adesso,

La memoria è il contrario della ideologia

La nostra vita cristiana, la nostra fede e la nostra morale concreta, la nostra impostazione della vita sono determinate o dalle ideologie correnti oppure dalla fattualità, dalla supremazia del nostro esistere, delle cose come avvengono delle cose in cui ci si imbatte, delle cose cui si reagisce in un certo modo, dei fatti: fatti come avvenimenti.

Solo il riconoscimento di questo avvenimento IMPEDISCE di essere servi dell'ideologia

Ricordiamo che tutte le ideologie hanno un sistema discorsivo e nella logica che le sostiene tendono al potere o hanno un potere (gli uomini sono bloccabili dalla ideologia), che è la prevalenza, in un dato momento, di una ideologia sulle altre.

Invece il cristianesimo nasce come avvenimento che si incarna nel presente come memoria.

81-82 – L'ideologia non è l'ingenua accettazione del visibile, ma la sua intelligente destituzione.

L’ideologia è la distruzione del visibile, l’eliminazione del visibile come senso delle cose che avvengono, lo svuotamento di ciò che si vede, si tocca, si percepisce.

82 – L‘ideologia tende ad affermare come concretezza l’apparente, e l’apparente è solo quel che si vede, si sente, si tocca.

Imitazione di Cristo

28ss – Perché il rapporto con Dio è rapporto con Gesù? Perché Gesù è lo svelarsi, il rivelarsi di Dio come Mistero, della Trinità come Mistero.

Perciò la «morale» per l’uomo è l’imitazione del comportamento di Gesù Cristo, dell’uomo Gesù, di Gesù uomo-Dio, uomo in cui Dio è.

L‘imitazione di Cristo è la conoscenza del vero, la pratica del vero per tutti gli uomini.

29 – Il significato dell‘imitazione di Cristo, dell’imitare Cristo, è per tutti gli uomini, ma inizialmente e innanzitutto per gli uomini battezzati, per i fedeli, indicato autenticamente dalla Chiesa.

La Chiesa è, dunque, la sorgente con cui si paragona tutta la morale, il definirsi della moralità della vita come coscienza del dovere e tensione all’attuazione di esso, alla luce della coscienza di Cristo, unico maestro dell’umanità.

30 – Abbiamo conosciuto che l’uomo Gesù è immanente al Verbo di Dio, Figlio del Padre.

Per cui l‘imitazione di Cristo è possibile se l’uomo riconosce se stesso come «figlio adottivo» di Dio come Padre, misteriosamente partecipe della natura di Dio, scelto da Gesù, uomo-Dio, a essere parte di Lui nel mistero battesimale, fatto membra del suo Corpo.

34-35 – La moralità è così vissuta con come definizione di una misura o di leggi, ma come tensione all’imitazione di Cristo e alle sue conseguenze:

«Finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un segno della legge».

Mt 5,18

«Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti: non sono venuto per abolire, ma per dare compimento».

Mt 5,17

«Chiunque ha questa speranza si purifica come Egli è puro».

1Gv 3,3

È la moralità come tensione continua alla imitazione di Cristo nella sua obbedienza al Padre.

54 – «L’imitazione di Cristo coincide con l’imitare il carisma

L’imitazione di Cristo è l’imitazione di Cristo, della sua persona. Ma questo resterebbe, per me, ultimamente il contenuto o di una devozione o di un sentimento se non passasse attraverso il qui ed ora di un volto, di un temperamento, di una storia.

Per me l’incontro con Cristo è stato un volto, con una persona.

92 – Si vive veramente il carisma quanto più si paragona tutta la propria vita all’ideale del carisma stesso, così come lo affermano coloro che sono riconosciuti dalla Chiesa come garanti per essa della verità del dono dello Spirito; seguire loro è un’ultima obbedienza che cerca di incarnare fino agli ultimi capillari l’imitazione di Cristo e la fedeltà alla Chiesa.

95 – La prima incidenza sulla vita dell’uomo che ha l’imitazione di Cristo (Cristo deve essere «tutto in tutti») è una mentalità nuova, una coscienza nuova, non riducibile ad alcuna legge dello Stato o a una abitudine sociale, una coscienza nuova come sorgente e come riverbero di autentico rapporto con il reale, in tutti i dettagli che l’esistenza implica.

La mentalità mondana opera l’orizzonte totale di ciò cui l’uomo, crescendo, si educa. La mentalità nuova si sostituisce a essa con fatica e con lotta: la coscienza nuova del cristiano, dell’imitatore di Cristo, è interamente chiamata in causa di fronte a ciò che la mentalità dominante dice.

100 – La confusione tra senso religioso e fede rende confuso tutto.

Il crollo della fede nella sua natura vera, com’è nella Tradizione, cioè nella vita della Chiesa, il crollo della fede come riconoscimento di «Cristo tutto in tutti», come adeguazione a Cristo e imitazione di Cristo, ha dato origine allo sconcerto moderno, il quale si rivela in vari ed identificabili aspetti (i cinque «senza»).

103 – È partendo dall’esperienza umana di Gesù che si può arrivare a una imitazione di Cristo come obbedienza al Padre, obbedienza al Mistero.

Incarna/incarnarsi/incarnazione

92 – Si vive veramente il carisma quanto più si paragona tutta la propria vita all’ideale del carisma stesso, così come lo affermano coloro che sono riconosciuti dalla Chiesa come garanti per essa della verità del dono dello Spirito; seguire loro è un’ultima obbedienza che cerca di incarnare fino agli ultimi capillari l’imitazione di Cristo e la fedeltà alla Chiesa.

173 – Questo popolo, nel suo colmo, è segno sacramentale della presenza di Cristo (segno sacramentale vuol dire che il segno si identifica nello spazio col Mistero, ma che il contenuto di cui è segno si attua, è attuato).

Per questo ha una aspetto sensibile, visibile, tangibile analogamente a quello che Dio ha fatto nell’incarnazione, incarnandosi.

Se non è una realtà incarnata, non è il luogo dove Dio agisce come Cristo.

È il Corpo mistico di Cristo, cioè il Corpo tangibile di Cristo in cui l’invisibile divinità investe plaghe che il Padre dona al Figlio.

Questa invasione genera uomini con una mentalità nuova e una nuova fecondità.

Io

13-14 – Noi siamo quel vertiginoso livello della natura in cui la natura vive la coscienza di se stessa; la realtà, come appare nella sua cosmicità, ha come paradossale luogo, che tutta la contiene nella sua possibilità di coscienza, un punto inafferrabile in cui tutto si riflette: l’io.

14 – “Dio è tutto”. davanti a questo Signore, l’io umano ha sete di Lui.

L’io umano ha sete di questo Dio, cioè «ha sete di vita eterna».

Sente tale sete tutto sarebbe opaco, scuro, o indigeribile nullità: quanto più uno è uomo, quanto più l’io è cosciente, impulsivamente amante, tanto più avverte che senza l’Infinito tutto sarebbe soffocante e intollerabile.

L’io ha sete di eternità, l’io è rapporto con l’Infinito, cioè con una realtà al di là di ogni limite.

Egli solo è: Dio, tutto in tutto.

17ss – L’esistenza dell’io.

«Tutti i corpi, il firmamento, le stelle, la terra e i suoi regni non valgono il minimo degli spiriti; perché questo conosce tutto ciò e se stesso; e i corpi, nulla. Tutti i corpi insieme e tutti gli spiriti insieme e tutte le loro produzioni non valgono il minimo moto di carità. Questo è di un ordine infinitamente più elevato. Da tutti i corpi presi insieme non si potrebbe far scaturire un piccolo pensiero: ciò è impossibile, e di un altro ordine. Da tutti i corpi e spiriti, non sarebbe possibile trarre un moto di vera carità: ciò è impossibile, e di un altro ordine, soprannaturale».

B.Pascal, «L’ordine della carità e il mistero dell’amore divino»

18 – L’io è quel livello della realtà in cui il reale vibra come esigenza di rapporto con l’Infinito.

Nichilismo e panteismo distruggono questo «io» che definisce la dignità dell’uomo, lo degrada all’aspetto della animalità; e la legge di ogni gesto e di ogni azione è ridotta ad istintività.

19 – «Se Egli è tutto , io che cosa sono?».

Cioè, se l’Essere è Dio, che «io sono» che cosa vuol dire?

«Egli solo è» (Milosz in Miguel Mañara aveva colto giusto), e questo identifica Dio come Mistero.

Ma, accanto a ciò, «io ci sono», e questo resta l’unico vero mistero per la ragione; senza questo mistero, la ragione non ragione, perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.

L’unico vero mistero dunque è: come mai ci sono io? Come io consisto? Questa domanda identifica il livello ontologico non etico della questione.

Che cosa nell’uomo può essere concepito in qualche modo come «sottratto» alla dipendenza da Dio che lo crea? Dove l‘io può concepirsi indipendente dall’Essere da cui deriva? Dove? Nella libertà.

21 – L’io, l’io umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflette originalmente il mistero dell’Essere uno e -trino proprio nel dinamismo della libertà, la cui legge quindi sarà l’amore, e il dinamismo in cui si gioca questo amore non potrà che essere amicizia.

57 – Ogni azione è domanda a Dio di essere, cioè è preghiera, perché ogni azione dell’io, come fenomeno per cui si avvera, cerca di avverarsi l’esistenza dell’essere creato, è tentativo di affermare il proprio compimento.

82 – L’ideologia tende ad affermare come concretezza l’apparente, e l’apparente è solo ciò che si vede, si sente, si tocca.

Ma il modo di guardare proprio dell’uomo è la ragione, che investe il contatto dell’io con tutto ciò in cui si imbatte, chiarendolo e giudicandolo, cioè riconoscendo la cosa nel suo riferimento ad altro; si può giudicare infatti solo se c’è una profondità ipotizzabile.

Mistero e segno, dunque, coincidono e il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

108-110 – Da una «Chiesa senza mondo», un mondo senza io.

La Chiesa senza mondo diventa un «clericalismo» o uno «spiritualismo», – «Chiesa senza mondo» vuol dire, infatti, «Chiesa Corpo di Cristo» e «Cristo» senza la versione quotidiana in cui si cala e prende forma l’io umano: in questo senso, resta una Chiesa astratta o una concezione astratta della vita.

Ma se la Chiesa è senza mondo, questo mondo tende ad essere senza l’io: vale a dire è un’alienazione.

Questo mondo ha come caratteristica e come risultato l’alienazione.

Così, sinteticamente, il mondo finisce per l’essere l’ambito definito dal potere e dalle sue leggi.

109 – Un’esistenza definita dal potere e dalle sue leggi ha come conseguenza ultima la perdita della libertà, la non considerazione o l’abolizione della libertà, un’abolizione non proclamata teoricamente, ma di fatto attuata: e poiché la libertà, comunque la si definisca, è il volto dell’io umano, si tratta della perdita della persona umana.

Si chiama appunto alienazione.

Questo «mondo» è il mondo negativo e alienante, dove l’io è negato e alienato, dove i significati di vita, tempo, spazio, lavoro, affezione, società non nascono dalla appartenenza a Cristo attraverso l’appartenenza alla Chiesa, ma da un’altra cultura.

110 – Questo io, l’io alienato, è un io senza Dio. L’io senza Dio è un io che non può evitare tedio e nausea.

Per cui si lascia vivere: si può sentire particella del tutto (panteismo) o è preda della disperazione (il prevalere del male e del nulla: nichilismo).

113 – Per questo il cambiamento che dimostra la presenza di Cristo si chiama «testimonianza»: è l’opera dell’io come opera di Dio, opus Dei, secondo la libertà che Dio esige; riguarda vita, tempo e spazio, amore, lavoro e società: non è soppressione di qualcosa dell’io, ma positività ultima di tutto l’io nel suo essere.

Il cambiamento è frutto, opera, del Mistero nel tempo del disegno di Dio.

La parte che spetta alla libertà dell’uomo è la mendicanza. Questi sono i fattori del disegno di Dio. Alla libertà dell’uomo spetta la mendicanza, perché tutto il potere è di Dio.

118-120 – «Cosa vuol dire questa tua insistenza sul cambiamento come cambiamento di conoscenza

Lo si capisce se si pensa al fatto che il cambiamento è dell’io, della mia persona.

Il cambiamento è di un io responsabile: variamente, ma responsabile sempre.

Ora, tale cambiamento, proprio perché è dell’io, inizia nella conoscenza.

L’io, infatti, per agire e fare agire, parte da motivi razionali, anche se tali motivi e principi razionali sono il più delle volte implicati, impliciti.

119 – Il cambiamento può essere inteso anche come circostanza di vita; anzi, noi tendiamo a concepire il cambiamento del nostro io e della nostra vita come cambiamento delle circostanze in cui viviamo.

Ma il vero cambiamento è nell’impegno con esse, nel tipo di atteggiamento nostro verso di esse.

Perciò, in quanto è proprio dell’io, non può non incominciare che come che come dipendente di una conoscenza.

Il cambiamento dell‘io dipende da una conoscenza diversa in cui l’io si butta, in cui è introdotto.

120 – Senza conoscenza non c’è esperienza, manca il livello umano del vivere, e perciò non c’è cambiamento dell’umano.

Le circostanze potrebbero essere fatte cambiare per tutti, Dio potrebbe servirsi di tutti, ma nell’io responsabile Dio non può utilizzare, come suo strumento per il cambiamento, un’esperienza in qualche modo nuova: un’esperienza.

139-141 – L’io umano dipende, e dall’esperienza l’uomo enuclea l’esigenza e l’evidenza di una dipendenza totale.

La Bibbia aiuta i sentimenti che l’uomo ha della sua esperienza: le parole che l’uomo trova nel suo contatto, saputo e cosciente, con ciò che lo circonda focalizzano l’appartenenza radicale dell’uomo al suo Creatore, dicono qualcosa di inevitabile per l’io umano, per il vertice del creato che è l’io.

È chiaro che l‘io non può essere trattato come un’apparizione inconsistente del cosmo, ma, come di lui dice il Salmo 8, come supremo valore, il valore per cui a Dio è piaciuto creare il cosmo: «Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno di Te, di gloria e di onore lo ha coronato».

Parlando del cosmo in dilatazione si evidenzia, finora è impossibile non dirlo, che questo universo sarebbe stato fatto in funzione dell’emergenza dell’io, perché potesse insorgere, nel confuso essere delle cose, nel cosmo immenso e nello stesso tempo finito, quel punto che si chiama «io», ove tutto il cosmo diventa cosciente.

Tutto il cosmo diventa dunque cosciente di sé, capisce quel che é e quello a cui è destinato, in questo punto che è l‘io, cioè l’uomo.

Ma anche l’io appartiene a un Altro, a Colui a cui appartiene il cosmo.

L’io è rapporto con l’infinito, non c’è di mezzo nulla; vale a dire, è creato, fatto come rapporto con Sé dal Mistero. La libertà è aderire all’Essere.

155 -È come se la Trinità avesse detto: «Facciamo qualcosa da cui poter essere riconosciuti». È come se Dio avesse preso il gusto di dire: «Anche il nulla è obbligato a sentirci e ad approvarci. Il nulla deve dire: Io sono nulla, ma Tu sei”».

E come faceva Dio a fare così, a creare una cosa del genere? Ha fatto l’uomo, l’io umano che è libertà.

Ma che cosa è la libertà? La libertà è riconoscere l’Essere, aderire all’Essere.

164 – L’incontro con il reale, suscita immediatamente l’io e che l’io è influenzato e richiamato dal reale.

172 – La coscienza dell’appartenenza è questa: la gloria del Padre, in cui diventa chiaro il rapporto fra l’Essere e il nulla, fra Dio e la creatura (sempre sottolineando che l’io è autocoscienza del cosmo intero, della creazione).

io e anima

18 – L’io è quel livello della realtà in cui il reale vibra come esigenza di rapporto con l’Infinito.

Si chiama «anima», nel vocabolario tradizionale, o «spirito» l’esigenza di un rapporto totalizzante che trascenda la precarietà di tutti i rapporti possibili.

Nichilismo e panteismo distruggono questo «io» che definisce la dignità dell’uomo, lo degrada all’aspetto della animalità.

60 – Parlando di Dio non si può insegnare se non qualcosa che ha pre-occupato, che ha occupato prima la propria anima, tutta l’anima.

145 – L’anima, o il rapporto con Dio, non è fuori da dove l’uomo siede con il suo corpo, mangia e riceve gli amici, non è fuori di lì: l’anima non è un’altra cosa, e questo si dovrebbe dire di tutte le operazioni dell’uomo, di tutte le azioni dell’uomo, perché la sua primitiva e più potente preoccupazione dovrebbe essere il nesso con Dio, il rapporto con Dio.

io e spirito

18 – L’io è quel livello della realtà in cui il reale vibra come esigenza di rapporto con l’Infinito.

Si chiama «anima», nel vocabolario tradizionale, o «spirito» l’esigenza di un rapporto totalizzante che trascenda la precarietà di tutti i rapporti possibili.

Nichilismo e panteismo distruggono questo «io» che definisce la dignità dell’uomo, lo degrada all’aspetto della animalità.

202 – Lo Spirito è Dio a cui apparteniamo. perché lo spirito è autocoscienza; e se questa è in noi bene applicata fa capire: l’uomo capisce che appartiene, che è appartenenza a un Altro.


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