Temi di «Dare la vita per l’opera di un Altro» – 2a parte

Link diretti ai TEMI di «Dare la vita per l’opera di una Altro»

AB CDEFGILMNOPRS TUV


Lettera «P»


Pace

48-49 – Ecumenismo e pace: in essi è affermato come principio di ogni rapporto, come apporto supremo di ogni convivenza, l’attuarsi di una amicizia tendenzialmente universale nella quale la storia umana trova l’aiuto migliore.

Ciò significa che l'amicizia cristiana è partecipe della generazione della realtà sociale come popolo.

E questo è il nostro contributo, il contributo della morale delle Chiesa alla pace qui e ovunque.

Dall’avvenimento dell’amicizia cristiana vissuta come ecumenismo e pace, nasce un popolo: è l’accadere di una concezione della vita, di un sentimento del reale, di una onestà di fronte alle circostanze, di una risposta intensa di fronte a una provocazione secondo una visione e secondo una percezione del proprio destino di verità e di felicità.

49 – La contraddizione a tutto questo sta nell’identificare in un potere terreno gli ideali che si raccolgono nelle parole ecumenismo e pace.

Il potere fa diventare questi stessi ideali violenza: l’ecumenismo diventa affermazione della propria posizione chiusa, violenza, oppure una intemperante negazione di ogni significato, di ogni rilievo, di ogni stima; e la pace diventa la formula eretta a parola d’ordine per vincere la propria guerra.

116 – Dall’inesausta misericordia che è Cristo, speranza del cammino umano, chiediamo insieme a Dio di riprendere coscienza ogni giorno […] totale abbandono a Dio, di quel totale abbandono che ci fa dire nella Compieta: «In pace idipsum dormiam et requiescam», in Lui come Mistero, in Lui come Dio, in Cristo come Dio, in Dio, un abbandono totale.

153 –

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le vostre anime»

Ger 6,15

185 – Il cristiano deve cercare di battagliare per la sua fede o per la libertà e la giustizia verso gli altri, anche cercando di avere i posti al potere; ma se non li raggiunge, non era suo scopo, non è suo dovere ultimo riuscirci, perché le circostanze in cui Dio lo lascia, lo mette ad agire, possono non permetterlo. Anche Gesù, che è venuto per porre la pace nel mondo, è stato fatto fuori!

191 -Per la grazia che ci è stata fatta di questo incontro, c’è infatti una potenzialità in voi che lo Spirito ha messo, implicitamente o più esplicitamente, secondo la storia di ognuno, una capacità che lo Spirito ha messo in voi di testimoniare Cristo, là i rapporti sono pace, unità e pace, compresi quelli fra sposati.

Padre/padre

21 – Per Gesù Cristo, Dio è Padre, e per il Padre, Gesù Cristo è il Figlio, partecipe perciò del Verbo, come dice la teologia sulla sulla santissima Trinità.

È nella persona, nel suo comportamento verso il Padre, che si rivela il Mistero come Trinità.

Così lo specchio del Padre è il Figlio, il Verbo infinito, nell’infinita misteriosa perfezione di questo riconoscimento, in cui vibra per noi l’infinita bellezza dell’origine dell’essere, del Padre, procede la potenza creatrice misteriosa dello Spirito Santo.

30-38 – Abbiamo conosciuto che l’uomo Gesù è immanente al Verbo di Dio, Figlio del Padre. Per cui l’imitazione di Cristo è possibile se l’uomo riconosce se stesso come «figlio adottivo» di Dio come Padre, misteriosamente partecipe della natura di Dio, scelto da Gesù, uomo-Dio, a essere parte di Lui nel mistero battesimale, fatto membro del suo Corpo.

«E che voi siete figli ne è la prova il fatto che Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del Suo figlio che grida “Abbà Padre”. Quindi non sei più schiavo ma figlio, e, se figlio, sei anche erede per volontà di Dio, coerede di Cristo»

Gal 4,4-7; cfr Rm 8,14-17. 19-23; Gal 3,26

31 – Innanzitutto il comportamento di Gesù, dell’uomo-Dio verso Dio, è tutto segnato dal riconoscimento che Dio, il Mistero è paternità.

Nella coscienza di Gesù vive la totalità della invadenza del Padre.

Gesù introduce l’uomo nel riconoscimento di questa paternità, della familiarità suprema con il Mistero che lo costituisce, che fa tutte le cose.

Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre»

32 – «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai riconosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre»

Gv 14, 6-9

Il Signore unico, il Mistero che fa tutte le cose e tutto il tempo in cui le cose esistono, sussistono, diviene a noi familiare attraverso Gesù: Dio è Padre, il Mistero è paterno.

Qual è, dunque, il comportamento di Gesù verso il Padre? Se Egli ci rivela innanzitutto che Dio è Padre, il Mistero è Padre, come si svolge il Suo comportamento verso di Lui?

A)

Di questo Padre, di questo Mistero come Padre, Gesù sottolinea la potenza creati va: è il comportamento verso un padre che è Creatore.

33 – Cristo si rivolge al Padre in quanto Creatore.

Egli è il primo uomo con la coscienza adeguata e perfetta che tutto il suo contenuto di uomo è presenza del Padre.

Lui fa quello che il Padre vuole. Lui vede il Padre, Lui non fa niente altro che quello che vede fare dal Padre.

Ciò che faceva fiorire tale certezza era il suo rapporto col Padre, la compagnia del Padre.

34 – La legge dinamica dell’esistenza è per Cristo l’obbedienza (vivere tutto per le ragioni di un Altro); per noi essa trova la sua espressione massima nell’offerta.

L’offerta è riconoscimento che, come Dio, così Cristo è la substantia di tutta la vita, vale a dire, è la consistenza e il senso, cioè il valore, del rapporto tra l’uomo e qualsiasi realtà della vita.

B)

In secondo luogo, il comportamento di Gesù verso Dio Padre come perfezione suprema, e ciò caratterizza la vita come tensione continua a Lui: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro».

35 – «Chiunque ha questa speranza si purifica come Egli è puro»: è moralità come tensione continua alla imitazione di Cristo nella sua obbedienza al Padre.

Che questa tensione diventi coerenza nell’uomo è grazia. Il filo della moralità è, dunque, domanda sincera di questa grazia.

È, insomma, nella morale la prevalenza della domanda e della mendicanza sulla riuscita del proposito: sarebbe presunzione, non proposito, se non fosse domanda.

C)

36 – Da ultimo vediamo il comportamento di Gesù verso Dio Padre come Redentore, e quindi come misericordia.

Il significato di questo Figlio, di questo Verbo diventato carne, identificato con un uomo nato da donna, è di svelare compiutamente l’amore del Mistero, l’amore che il Mistero ha verso la sua creatura: è di svelare completamente l’amore di Dio Padre.

Cristo è il nostro Destino fatto presenza e compagnia, è il mistero di Dio fatto presenza e compagnia perenne per tutto il tempo della creatura sua.

In Gesù si svela il rapporto di Dio con la sua creatura come amore e quindi come misericordia.

37 – Non si può mendicare da Dio Padre se non come abbandono a una misericordia.

Sinteticamente, il comportamento di Gesù con Dio Padre è il riconoscimento e l’accettazione del Mistero come Misericordia.

Quindi il rapporto tra Gesù e il Padre rappresenta l'attuarsi supremo della amicizia

Gesù come uomo riconosce e accetta di essere Lui la misericordia del Padre. Così Egli accetta di morire: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».

Come per l’uomo Gesù l’obbedienza al Padre rappresenta la sorgente e il vertice della virtù, così per l’uomo la moralità nasce come simpatia prevalente, irresistibile a una persona presente.

Come per Gesù la moralità nasce dall’accettare di essere il soggetto proprio della misericordia del Padre, così per l’uomo, per ogni uomo, la moralità nasce come amicizia con Lui, con Dio in Gesù.

La moralità nasce come amicizia con Dio come Mistero e quindi con Gesù.

Perciò la moralità, per il cristiano, è adesione amorosa.

46 – Come per Gesù il senso della storia è il compiersi della volontà del Padre, per l’uomo il senso della storia è Cristo, la gloria umana di Cristo; imitare Gesù è quindi vivere lo scopo di ogni azione come affermazione del senso della storia, che è Gesù Cristo stesso, la gloria umana di Cristo.

48 – L'amicizia cristiana è partecipe della generazione della realtà sociale come popolo.

Dall’attuarsi di tale amicizia, cioè, nasce un popolo, perché solo nella reciprocità un uomo diventa padre, acquista una paternità, cioè genera.

La paternità è a quel livello dove la natura è autocosciente, è il livello umano.

L’animale è generatore-riproduttore, non padre. Il padre è il supremo aiuto alla chiarezza del senso della vita e compagnia nel cammino a essa.

94 – «Cristo tutto in tutti» vuol dire che il comportamento di Gesù di Nazareth, deve incidere sulla vita di tutti, deve essere imitato, subiettato da ogni uomo.

Come Gesù, così noi dobbiamo essere di fronte al Padre.

La formula sintetica che dobbiamo sviluppare è allora: fede in Dio è fede in Cristo.

96 – «Filippo, chi vede me vede il Padre.» Non possiamo conoscere Dio se non attraverso Cristo.

Gesù non concepiva l’attrattiva sua sugli altri come un riferimento ultimo a sé, ma al Padre: a sé perché Lui potesse condurre al Padre, come conoscenza e obbedienza.

113 – «Dio tutto in tutto»: ha creato la natura, ha partecipato il Suo essere a una creatura che, come Cristo, fosse riflesso, splendore, coscienza di quel che è il Padre, riconoscimento pieno del Padre; così la mendicanza è l’espressione del riconoscimento pieno che l’uomo fa della sua dipendenza da Dio, del suo riconoscimento di quel che è Dio.

161 -167 – Un «resto» di Israele si accorge nel giorno in cui il bambino fu presentato al Padre nel Tempio: un essere generato in una donna, perfettamente umano, che crescerà e comprenderà che cosa il Mistero ha fatto in Lui e con Lui. Poi diventerà ancora più grande e dirà di fronte a tutti:

«Io e il Padre siamo una cosa sola».

171-174 – La creatura nuova è generata perché il misterioso disegno del Padre, attraverso Cristo, con la sua dedizione incondizionata al Padre, sia compiuto […] affinché sia compiuto il il mistero del Padre in me, e quindi nel mondo.

È il motivo per cui il Padre ha creato l’uomo, perché ha voluto essere riconosciuto dal nulla, dal niente.

La prima parola che si può dire come scopo della necessità di vivere la coscienza dell’appartenenza è questa: la gloria del Padre, in cui diventa chiaro il rapporto fra l’Essere e il nulla, fra Dio e la creatura.

173 – Il carisma è un intervento dello Spirito di Cristo per aumentare l’appartenenza a Cristo nel mondo: è un dato della storia in cui si nasce, in cui lo Spirito ci sorprende, ciò in cui il Padre ci ha messi.

176-177 – Siccome il Padre ha dato al Figlio tutto nelle mani, l’origine della vocazione dell’individuo, l’inizio del popolo della Chiesa e il compimento di esso è un uomo, Gesù di Nazareth, presenza a me dell’Essere, del Mistero, di Dio.

177 – Nessuno conosce il giorno di questo Giudizio, lo conosce solo il Padre, il Mistero come origine.

È il Padre che stabilisce il disegno misterioso, in cui la storia del popolo cristiano conosce i tempi buoni e cattivi, analogamente al fluire della storia del popolo ebraico.

Padre creatore

32-33- Di questo Padre, di questo Mistero come Padre, Gesù sottolinea la potenza creativa: è il comportamento verso un padre che è Creatore.

Di un’esistenza umana che è cammino a una perfezione Egli è creatore, di una vita umana che è debolezza, fragilità incoerenza e vertigine, di tutto questo, anche di tutto questo, anche della sua creatura che versa in queste condizioni, Egli è Redentore, redime.

33 – Cristo si rivolge al Padre in quanto Creatore.

82 – Mistero e segno, in un certo qual senso, coincidono: nel senso che il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, del Dio creatore e redentore, del Dio Padre.

E quando il cristiano scopre che tutta la realtà è costruita da questo metodo di Dio, comprende meglio il valore dei sacramenti.

La realtà viene dal Creatore, ha in sé il riferimento al Creatore e Lo dimostra; la realtà fa emergere nell’intimo del nostro rapporto con le cose, la percezione di qualcosa d’altro, di un Altro.

85 – Lo stato d’animo […] ha lo scopo di una condizione messa da Dio, dal Creatore, attraverso la quale si è purificati.

150 – L’appartenenza a Dio, come suo fattore essenziale, implica la storicità; storicità vuol dire persone, cose che conosciamo, che si possono toccare, vedere; vuol dire cose che sono nostre e che, proprio essendo nostre le possiamo manipolare. […] Questo è stato ed è il genio del Creatore, il quale ha fatto sentire la sua signoria in un certo modo.

164 -Nulla nel cosmo si fa da sé, c’è un «precedente» che lo investe dal fondo, dal di dentro, e lo erige a tutto: «fatto da» e quindi «appartenente a».

Dio è creatore, il creato è del Creatore.

esperienza del Padre

191-192 – Qualunque sia la forma di vocazione, vi auguro che in questa gran cosa, per questa grande cosa che il Signore vi ha dato, se essa diventa sempre più personale, cioè sempre più obbediente, abbiate ad incontrare un padre, abbiate a vivere l’esperienza del padre.

Perché la prima appartenenza, fisiologicamente e socialmente parlando, e anche ai propri occhi, è quella del genitore. Dio ci è dato attraverso un padre e una madre.

Che ognuno di noi abbia veramente a riscoprire la grandezza di questo ruolo, che non è un ruolo, è la condizione in cui l’uomo guarda, vede Iddio e Dio gli affida quello che gli preme; padre e quindi madre, perché è lo stesso, non sono due funzioni spiritualmente diverse.

Che abbiate a vivere l’esperienza del padre; padre e madre: lo auguro a tutti i capi, a tutti i responsabili delle comunità, ma anche a ognuno di voi, perché ognuno deve essere padre degli amici che ha lì, deve essere madre della gente che ha lì.

Nessuno, infatti, può essere così fortunato e felice come un uomo e una donna che si sentono fatti dal Signore padri e madri.

Padri e madri di tutti coloro che incontrano.

paternità

48 – L’amicizia cristiana è partecipe della generazione della realtà sociale come popolo. Dall’attuarsi di tale amicizia, cioè, nasce un popolo, perché solo nella reciprocità un uomo diventa padre, acquista una paternità, cioè genera.

La paternità è a quel livello dove la natura è autocosciente, è il livello umano.

L’animale è generatore-riproduttore, non padre. Il padre è supremo aiuto alla chiarezza del senso della vita e compagnia nel cammino ad essa.

Paternità di Dio

31-32 – Nella coscienza di Gesù vive totalmente della invadenza del Padre.

Gesù introduce l’uomo nel riconoscimento di questa paternità, della familiarità suprema con il Mistero che lo costituisce, che fa tutte le cose.

Panteismo

14-19 – Due tentazioni: nichilismo e panteismo. La realtà non si fa da sé. Dalla percezione vertiginosa dell’apparenza effimera delle cose, si sviluppa, come cedimento e negazione menzognera la tentazione di pensare che le cose siano illusorie o nulla.

15 – Se Dio è tutto, vuol dire che le cose che hai, le persone con cui vivi, o sono niente (nichilismo) oppure sono parte indistinta – anche tu allora sei parte indistinta – dell’Essere, parti di Dio (Panteismo).

Dunque o panteismo o nichilismo.

16 – Queste due posizioni (nichilismo e panteismo) dettano tutti i comportamenti di oggi; sono le uniche spiegazioni (anche pratiche, anzi, soprattutto pratiche) date dalla mentalità comune generale che investe e ingombra la testa e il cuore di tutti, anche di noi cristiani, anche di molti teologi.

17 – Ma come si passa dal nichilismo e dal panteismo ad avere come obiettivo il potere? Se l’uomo, riducendosi ultimamente a niente, a una menzogna, è una finta, si sente una finta, a un’apparenza di essere; se il suo io nasce totalmente come parte del grande divenire, come semplice esito dei suoi antecedenti fisici e biologici, egli non ha nessuna consistenza originale: l’unico criterio che può avere allora è quello di adattarsi, così come viene, all’urto meccanico delle circostanze, e più in esse egli ha potere, più la consistenza sua, che è apparenza, aumenta, sembra aumentare, e perciò aumenta l’illusione, anzi, la menzogna.

Sia il panteismo che il nichilismo distruggono quello che più inesorabilmente grande nell’uomo; distruggono l’uomo come persona.

18 – L’io è quel livello della realtà in cui il reale vibra come esigenza di rapporto con l’Infinito.

Si chiama «anima». Nichilismo e panteismo distruggono questo «io» che definisce la dignità dell’uomo, lo degrada all’aspetto della animalità; e la legge di ogni gesto e di ogni azione è ridotta a istintività.

198 – Se l’Essere è Dio, che «io sono» che cosa vuol dire? Che «tu sei» che cosa vuol dire? È a partire dalla evidente difficoltà che questa domanda lascia come suo risultato immediato che nichilismo e panteismo sembrano risposta a una ragione non opportunamente coscienziata: nichilismo, panteismo e, ultimamente, il potere.


Qualsiasi rapporto diventa potere, violenza, anche il rapporto più tenero possibile ha un filo duro dentro.

«Egli solo è», e questo identifica Dio come Mistero.

Ma, accanto a ciò, «io ci sono», e questo resta l’unico vero mistero per la ragione: senza questo mistero, la ragione non ragiona, perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.

Quindi nichilismo e panteismo sono una riduzione, sono negazioni della ragione, sono semplificazioni riduttive, contraddittorie alla ragione e cedono all’immagine quantitativa delle cose: l’immagine quantitativa dell’essere che ci deriva dalla quotidiana esperienza, dalla vita mortale.

20 – Come mai ci sono io? questa domanda identifica il livello ontologico – non etico – della questione. Invece il razionalismo nichilista o panteista ha esasperato l’incidenza etica del problema, riducendo tutto all’affermazione dell’uomo; e l’affermazione dell’uomo è una hybris, è una violenza di fronte a sé e al mondo.

110 – L’io alienato, è un io senza Dio. L’io senza Dio è un io che non può evitare tedio e nausea. Per cui si lascia vivere: si può sentire particella del tutto (panteismo) o è preda della disperazione (il prevalere del male o del nulla: nichilismo).

«Nulla è più lontano da me che la concezione panteista, di essere come un annegato in un mondo che si dissolve con voluttà [sembra la definizione della New Age]. Questa concezione mi è sempre stata estranea; ho il sentimento molto forte della mia personalità, il sentimento che non sono fatto per essere inghiottito in un insieme, ma, al contrario, per dominarlo e strappargli il senso che può avere»

P. Claudel, Mémoires improvisés

Passato

79 – Non si può parlare di un passato che sia decisivo per una persona che vive oggi, se in qualche modo questo passato non diventa presente.

Così, il cristianesimo è un avvenimento e perciò è presente, è presente ora, e la sua caratteristica è che è presente come memoria; dove la memoria cristiana non è identica al ricordo, anzi, non è il ricordo, ma è il riaccadere della Presenza stessa.

Solo il riconoscimento di questo avvenimento impedisce di essere servi di un’ideologia.

153 – Il passato non è il «passato»; il passato è la formazione del presente.

Peccato

23-24 – Il contrario del vero, del giusto e del buono è il peccato.

Nel rapporto, il peccato è non vivere tutto come affermazione di Dio. Il peccato è non riconoscere Dio come origine totale, da cui derivano scopo e metodo di ogni azione. «Egli solo è». Allora niente è nostro.

24 – Se questo diventa obiezione, è per un veleno messo dal «padre della menzogna»: e questa obiezione è idolatria di sé stessi.

Nella Bibbia infatti idolatria è il sinonimo ultimo di peccato.

Noi possiamo solo dire: il peccato è qualsiasi azione nella quale diventi obiezione poter dire «Dio è tutto», è qualunque aspetto dell’azione che possa non essere coerente con «Dio è tutto».

Invece di camminare con Lui, Adamo ed Eva hanno seguito un estraneo, qualcosa di estraneo alla loro stessa esperienza, l’estraneo, il padre della menzogna, Satana, la cui unica definizione è l’«l’essere contro».

La libertà sua si esistenzializza come l’«essere contro»: non la dimostrazione che Dio non è tutto, ma essere contro l’evidenza che Dio è tutto.

Questa è la sua natura, come la natura di ogni peccato.

54 – «Che cosa vuol dire che il peccato è seguire un estraneo

Il peccato è un estraneo, cioè seguire una attrattiva che non porta al destino, una risposta che è fuori strada. Il peccato è proprio seguire una risposta che non corrisponde al desiderio di felicità, al desiderio di compimento che il mio cuore è.

58 – Se Dio per l’uomo è tutto e appare alla ragione come la sorgente dell’essere, ma l’uomo non vuole capire e non se ne ricorda, è come se Dio non ci fosse.

Per la maggior parte di noi ogni giorno che passa è un po’ gremito di questo peccato.

peccato di idolatria

Nel rapporto, il peccato è non vivere tutto come affermazione di Dio. Il peccato è non riconoscere Dio come origine totale, da cui derivano scopo e metodo di ogni azione. «Egli solo è». allora niente è nostro.

24 – Se questo diventa obiezione, è per un veleno messo dal «padre della menzogna»: e questa obiezione è idolatria di sé stessi.

Nella Bibbia infatti idolatria è il sinonimo ultimo di peccato.

peccato originale

80 – La grande tentazione dell’uomo è esaurire l’esperienza del segno, di una cosa che è segno, interpretandola soltanto nel suo aspetto percettivamente immediato.

Non è ragionevole, ma tutti gli uomini sono portati, dalla pesantezza su di essi del peccato originale, ad essere vittime dell’apparente, di ciò che appare, perché sembra la forma più facile della ragione.

158-160 – L’Alleanza implica quindi:

  1. che tutta l’umanità appartiene al regno di Dio, il quale entra nella vita degli uomini fagocitati dal male, che Lui intende salvare (il male è il peccato originale, a cui cedono gli uomini salvati da Lui, e che Lui intende salvare).
  2. che il modo di questa salvezza è affermare sempre più il valore di Dio attraverso cui Egli sceglie per primi, affinché si accorgano di Lui e perciò siano nel mondo missionari di questo, perché tutti si accorgano di Lui.

Questo è il vero concetto, completo, totale di appartenenza.

159 – Nella vita e nella coscienza del popolo ebraico c’era un vuoto: l’attesa di come Dio avrebbe usato di loro per raggiungere gli altri uomini.

La risposta di Dio è stata più potente della conoscenza pura del Dio e dell’avvenimento incomprensibile, terribile, del peccato originale: l’annuncio di un fattore nuovo entra nella storia dell’uomo.

160 – Tutto il genere umano non riconosce Dio, tradendo se stesso: anche se Dio ha fatto venire a galla un «resto» le Sue intenzioni, e la sua modalità di dominio.

Il popolo ebraico fa prendere coscienza all’umanità che c’è un enigmatico male nel cuore dell’uomo.

Il peccato originale continua, la giustizia sarebbe impossibile, ma il «resto di Israele» non può guardare la sera quel bel tramonto o immergersi nell’alba del mattino, se non aspettando, sapendo aspettare.

Perdonare/perdono

199 – «Ora tu dimmi come può sperare un uomo che ha in mano tutto, ma non ha il perdono»

C. Chieffo «Ballata del potere»

… che non riconosce il perdono che è l’aspetto più drammatico e più convincente del rapporto che il Mistero ha con noi in modo tale che non ammette il perdono come suprema forma dei rapporti fra sé e gli altri uomini.

Popolo

11 – La morte di Luigi XIV di Francia è un segnale dell’epoca in cui la ragione pretese di occupare tutto lo spazio dell’intervento di Dio sull’uomo, in ogni senso.

Per cui la Chiesa, fonte ultima di luce sull’esperienza dell’uomo, si arroccava a livello pastorale per difendere la moralità del popolo, dando per scontata l’evidenza – per un credente – del contenuto dogmatico.

Fu perciò favorita una mancanza di difesa e di alimento della fede del popolo di Dio, in quanto è attraverso l’attività culturale che la vita di un popolo di approfondisce e diventa storicamente generativa, pro o contro la tradizione cristiana che ha costruito la civiltà occidentale.

43 – Innanzitutto vediamo il comportamento di Gesù verso il luogo istituzionale che si chiama Stato, nazione o, meglio, patria, originalmente popolo, il popolo in quella patria.

«Non sono stato inviato se non alle pecore perdute della casa di Israele.» È qui sottolineato il valore della patria, o della società che esprime un popolo, nelle sue caratteristiche e anche nelle sue delimitazioni.

Ma questo amore alla patria ha un destino di utilità a tutto il mondo: «Sarà predicato a tutte le genti il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme».

48-49 – L’amicizia cristiana è partecipe della generazione della realtà sociale come popolo.

Dall’attuarsi di tale amicizia, cioè, nasce un popolo, perché solo nella reciprocità un uomo diventa padre, acquista una paternità, cioè genera.

Dall’avvenimento dell’amicizia cristiana, vissuta come ecumenismo e pace, nasce un popolo: è l’accadere di una concezione della vita, di un sentimento del reale, di una onestà di fronte alle circostanze, di una risposta intensa di fronte a una provocazione secondo una visione e secondo una percezione del proprio destino di verità e di felicità.

152-156 – Centro di questo rapporto che Dio stabilisce con Abramo e con ci suoi discendenti è la elezione.

Abramo è stato eletto, scelto come padre di un flusso nuovo, di un popolo nuovo.

Il processo di elezione entra nella storia con potente pretesa di essere magistero per tutto il mondo.

Il processo della elezione insegna che Dio si fa conoscere attraverso una concreta contingenza nel tempo e nello spazio.

Non c’è popolo al mondo che abbia avuto un siffatto rapporto con Dio.

Gli altri popoli restano impressionati, traevano luce per cogliere nella loro esistenza quello che lì era già chiaro.

154 – La decisione del Mistero di scegliersi un popolo quale veicolo della Sua entrata nel mondo, come conoscenza e operatività, è un rischio cui il Mistero stesso si abbandona per fare approfondire e maturare l’appartenenza a Sé dell’esistenza umana e assicurare così la coscienza della durata del fatto che il popolo e il singolo appartengono a Lui, dentro le contingenze entro le quali li investe.

155 -La decisione del Mistero di scegliersi un popolo è un «rischio» cui il Mistero stesso si abbandona.

È una cosa impressionante che Dio usi un popolo e che questo «pretenda» di essere stato scelto.

156 – L’Alleanza identifica perciò la modalità suprema del rapporto tra l’uomo e Dio, tra l’uomo scelto e Dio (perché l’uomo scelto desse notizia di questo tutto al mondo: al suo popolo e, attraverso il suo popolo, a tutto il mondo).

Tale modalità, iniziata con il popolo della Bibbia, è completata, come realizzazione finale, nel popolo cristiano.

Perciò chi è scelto da Dio, per appartenere a Dio deve appartenere a questo popolo.

172-173 – Un popolo nuovo. Questo mendicante, l’uomo battezzato, non rimase uno, ma divenne una «entità sui generis», diceva Paolo VI.

Questo popolo è creato da taluni che si esprimono e si espandono su tanti che Dio dà loro; un popolo che è creato e condotto da Dio attraverso taluni che Dio lascia esprimere con forza dilatante.

173 – Questo popolo, nel suo colmo, è segno sacramentale della presenza di Cristo

(segno sacramentale vuol dire che il segno non solo si identifica nello spazio con il Mistero, ma che il contenuto di cui è segno si attua, è attuato).

Per questo ha un aspetto sensibile, visibile, tangibile, analogamente a quello che Dio ha fatto nell’incarnazione, incarnandosi.

Se non è una realtà incarnata, non è il luogo dove Dio agisce come Cristo.

popolo cristiano

156 – L’Alleanza identifica perciò la modalità suprema del rapporto tra l’uomo e Dio, tra l’uomo scelto e Dio.

Tale modalità iniziata con il popolo della Bibbia, è completata, come realizzazione finale, nel popolo cristiano.

Perciò chi è scelto da Dio, per appartenere a Dio deve appartenere a questo popolo.

168-169 – «Poiché l’amore di Cristo ci strugge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e resuscitato per loro».

2Cor 5,14-15

Così si trattavano i cristiani in quegli inizi, in quella prima diffusione.

«Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché noi viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore. sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore»

Rm 14, 7-8

«Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me»

Gal 2,20

In questo possesso di Dio, cui l’uomo riconosce di appartenere perché tutto viene da Lui, egli Lo scopre come vicenda storica.

Tutto è perciò vissuto dall’eletto come dinamica di questa appartenenza; quindi, nel popolo cristiano, ritualmente composto, tutto diventa evidenza quasi scenica, cioè drammatica, e la drammaticità caratterizza il popolo cristiano sempre.

Tutto è opera di Cristo, attraverso il dialogo con Cristo e con il modo della sua presenza, con chi gli è accanto o con chi è estraneo: dialogo e risposta.

175-177 – In ogni momento dello sviluppo di questo corpo è possibile la persecuzione, ma anche una ascesa dell’umanità, che diventi, così, carica della percezione della presenza di Cristo, del miracolo come cambiamento morale e di un impegno estetico.

È una società che può apparire sacramentale nella storia da tanti punti di vista, come quella medioevale, in certa parte della storia medioevale.

È una realtà incominciata duemila anni fa. Perciò la vita del cristiano è memoria, come dinamica, ed è certezza, cioè speranza, nelle promesse che Gesù introduce, affinché siano attuate in ogni uomo che Egli ha chiamato.

176 -Per un cristiano occorre quindi amare Cristo.

177 – L’amore a Cristo è il modo della dinamica di tutti i rapporti con tutte le cose, con tutte le persone, è il criterio e la misura di tutto, il fine di ogni azione: l’amore a Cristo ha come conseguenza l’affrontare tutto secondo la mentalità di Cristo, agire secondo la mentalità di Cristo.

179-181 – L’essere cristiano è appartenere a Cristo, al «come» la persona di Cristo si è mostrata all’uomo.

La figura di Cristo si esprime, si dilata nella storia di un popolo. La nostra appartenenza a Cristo coincide, dunque, con quella al popolo di Cristo, alla Chiesa di Dio. E il nostro modo di vivere la Chiesa di Dio è il carisma.

181 – «Guarda con favore al popolo che ti sei eletto e chiama senza stancarti alla tua alleanza nuove generazioni perché, secondo la tua promessa, si allietino di ricevere in dono quella dignità di figli di Dio che supera, oltre ogni speranza, la possibilità stessa della loro natura»

«Inizio assemblea liturgica», sabato della V settimana di Quaresima.

popolo ebraico

86 – Al termine di un lungo percorso di dimenticanza del «Dio tutto in tutto», nel nostro ultimo secolo il sentimento religioso proprio della natura umana si afferma con libertà assurda, corrompendosi ,nella progressiva eliminazione della religiosità propria di Cristo e quindi della religiosità che ha avuto nella storia del popolo ebraico, in modo mirabile, l’esemplificazione della sua verità, della sua ultima implicazione.

Come il popolo ebraico fu osteggiato da coloro che non recepivano Dio, il Dio unico che ha fatto tutte le cose, così dalla situazione di oggi è avversata la religiosità propria di Cristo, erede di tutto l’umanamente incomprensibile fenomeno del popolo ebraico – la storia del popolo ebraico è stata l’assetto profetico di quello che Cristo avrebbe chiarito con se stesso.

156-161 – L’Alleanza identifica la modalità suprema del rapporto tra l’uomo e Dio, tra l’uomo scelto e Dio. Tale modalità, iniziata con il popolo della Bibbia, è completata, come realizzazione finale, nel popolo cristiano.

Perciò chi è scelto da Dio, per appartenere a dio deve appartenere a questo popolo.

157 – La parola «Alleanza» significava la promessa di felicità per ognuno e di trionfo finale del Suo popolo davanti a tutte le nazioni.

Perciò l’Alleanza è la definizione affascinante del comportamento che Dio ha con il mondo creato.

L’Alleanza indica, specifica, «come» ciò cui l’uomo appartiene, Dio Creatore, gli sta affianco.

159 – Nella vita e nella coscienza del popolo ebraico c’era un vuoto: l’attesa di come Dio avrebbe usato di loro per raggiungere altri uomini.

L’Alleanza resta l’inconcepibile modalità che il cuore dell’uomo ha come suprema via per la sua vita e per la fedeltà del popolo al Dio fedele: fedeltà del popolo che attuerà la promessa fatta da Dio ad Abramo e finalmente portata al mondo dal Messia, cioè da Cristo.

Dio non chiede mai se non un rifacimento dell’avvenimento iniziale con un orizzonte più profondo e più vasto.

A un certo punto emerge una data. Anche alcune centinaia di anni prima di Cristo gli antichi e i profeti dicevano questo: che ci sarebbe stato l’inviato di Dio che avrebbe messo a posto il popolo; e tra gli ebrei era un sogno, attaccato all’aspettativa del Messia, del trionfo politico che avrebbe avuto il popolo ebraico.

161 – Mentre gli altri popoli cedevano alle tentazioni del mondo, a questo popolo Dio ha dato una risposta positiva: Cristo.

177-178 – È il Padre che stabilisce il disegno misterioso, in cui la storia del popolo cristiano conosce tempi buoni e cattivi, analogamente al fluire della storia del popolo ebraico.

180 – «Dio clemente e fedele, che crei l’esistenza dell’uomo e la rinnovi [con la punta di Abramo, che si sviluppa, e si sviluppa nella storia del popolo ebraico, Dio attendeva il momento della sua totale risposta alla fedeltà che era nel popolo suo, l’epoca in cui Cristo venne, questo è il rinnovamento dell’uomo, dell’esistenza dell’uomo], guarda con favore al popolo che ti sei eletto e chiama senza mai stancarti alla tua alleanza nuove generazioni perché, secondo la tua promessa, si allietino di ricevere in dono quella dignità di figli di Dio che supera, oltre ogni speranza, la possibilità stessa della loro natura»

«Inizio assemblea liturgica» sabato della V settimana di Quaresima, Messale ambrosiano

Positività

116 – Senza la positività, la creatività indomabile, insonne, irriducibile, che in qualsiasi momento, di fronte a qualsiasi difficoltà, trova la sua origine, la sua sorgente nella realtà di Cristo presente nella sua Chiesa, non è possibile vivere.

122-126 – Il sacrificio è un atto di amore, in quanto affermazione della positività di tutto il vivere, sia come riconoscimento dell’Ente supremo, sia nell’attuare il riconoscimento della propria vita come riflesso su tutto l’universo.

123 – In sacrificio non è la difficoltà, ma un punto di partenza per affrontare tutte le difficoltà, cioè è affermazione positiva dell’Essere.

Per fare un sacrificio occorre vedere, intravedere, una positività.

Il sacrificio per il sacrificio, come negazione, come mutilazione, non può essere concepibile.

124 – Seguire il carisma rende più fattibile il riconoscimento di questa positività.

Un carisma che parte, come origine, dal senso religioso realizzato, reso reale, compiuto dall’incontro con Cristo, rende evidentemente più fattibile il riconoscimento di questa positività di tutto, di tutto, anche della morte.

Il sacrificio vissuto assicura la positività della vita, dell’essere, dell’esistere.

«Se non sarete come bambini, non entrerete mai»(Mt 18,3).

L’occhio del bambino si presenta con un a-priori positivo, non ancora sviluppato, non ancora coscienziato, ma si comunica come positività (una positività dalla quale subito può uscire una dentata, un pugno, una piccola ferita).

125 – Il riconoscimento della positività dell’essere, di tutte le cose, come primo indizio o inizio di coscienza che si prende delle cose, è esattamente intuire quella che poi si dirà «obbedienza»: man mano che si diventa grandi si capisce che è una obbedienza.

126 – La vera natura della ragione è cogliere l’essere delle cose, o meglio, si esprime, si realizza innanzitutto come rivedere o vedere, cogliendo l’essere delle cose, le cose come essere.

Questo è il primo argomento che la ragione ha: la positività ultima dell’esistenza di tutto è l’unica definizione che rende ragione all’uomo.

128 – Affermare Cristo ci apposta al primo varco da cui inizia il Mistero come Mistero che fa le cose: diventa esperienza quel che Dio fa.

Cristo è il primo varco, è il primo passaggio, è la prima presenza: il rapporto con Cristo rende trasparente ai nostri occhi tutta la vita. E la verifica sta proprio nel fatto che, di tutto quello che c’è veramente delle cose, si diventa ricercatori e attori lieti:

«Renderò evidente la potenza del mio nome dalla letizia dei loro cuori»

Confrattorio della IV Domenica di Avvento Ambrosiano

L’esperienza di letizia che la nostra vita dà è una positività assoluta, che in noi opera nel rapporto con gli altri uomini.

158 – L’Essere vuol dire positività, ultimamente è positività.

170 – La preghiera è il riconoscimento dell’Essere di cui tutto è fatto. Questo dà una potente carica di positività a tutto: a tutto, anche alla morte.

209-211 – Io sono nelle condizioni di poter “calcolare” anche l’apporto che la mia esperienza potrà dare al destino per cui siamo stati fatti, cui siamo stati ordinati: non è un atto particolare, non è una vittoria particolare, ma è la vera vittoria, che è il gridare la positività della nostra vita.

Perché la vittoria di Cristo, nella sua morte, viene da questo: la sua lettura della vita non dominata dal male, non dominata dalla difficoltà del linguaggio, non descritta dalla novità di un vocabolario, ma determinata in modo infallibile – sì, in modo infallibile -, perché è infallibile questo modo, questa positività del nostro tempo, questa positività della nostra esistenza.

1210 – Tutto ha una positività, tutto è un bene così invadente che, quando il Signore ci darà avviso e termine, formerà la grande suggestività per cui questo mondo è stato fatto.

E come esempio particolare io spero che possiamo metterci d’accordo con il Signore, che ci illumini in tutto quello che ci metterà nelle “nuove” condizioni di fare, perché abbiamo a vedere come la vita dell’uomo è tutta positiva, profondamente positiva nel suo finale intento.

Auguri a tutti, perché ognuno sulla strada della sua vita trovi emergenza del bene che è Cristo risorto, trovi l’aiuto di ciò che desta per gli uomini la positività che rende ragionevole il continuare a vivere.

Potere

16-19 – Il panteismo e il nichilismo con tutte le loro conseguenze, hanno un gioco in comune, un punto di ritrovo comune: la fiducia nel potere e l’agognare il potere, comunque concepito, in qualunque versione.

Comunque concepito, in qualunque versione, il potere è tendenzialmente dittatoriale; esso è affermato come unica sorgente e forma di ordine, pur effimero, ma possibile.

Il minimo ordine, qualunque esigenza di ordine, in una data situazione sociale, non può avere come unica sorgente certa che il potere.

17 – Ma come si passa dal nichilismo e dal panteismo ad avere un obbiettivo di potere?

Se il suo io nasce totalmente parte del grande divenire, come semplice esito dei suoi antecedenti fisici e biologici, egli non ha alcuna consistenza originale: l’unico criterio che può avere allora è quello di adattarsi, così come viene, all’urto meccanico delle circostanze, e più in esse egli ha potere, più la consistenza sua, che è apparenza, aumenta, sembra aumentare, e perciò aumenta illusione, anzi, menzogna.

18 – Anche il potere, come dimostrazione più dignitosa della capacità maggiore che l’uomo ha sopra tutte le altre creature, si realizza come possesso, ottenuto secondo una istintività più scaltrita di quella del leone e della tigre, ma identica come dinamica: orgoglio, violenza, sesso.

19 – Se però (l’uomo) non ha il potere, se non è lui il padrone, è schiavo del potere altrui, chiunque l’abbia: così il figlio può essere schiavo del padre e della madre, la donna dell’uomo, il cittadino dello Stato, della Regione, della Provincia o del comune, e più appartiene a una società piccola, ristretta, più si dipende da chi ha il potere in essa. Che «tu sei» cosa vuol dire? È a partire dalla evidente difficoltà che questa domanda lascia come suo risultato immediato che nichilismo e panteismo sembrano risposta a una ragione non opportunamente coscienziata: nichilismo, panteismo e, ultimamente, potere.

Qualsiasi rapporto diventa potere, violenza, anche il rapporto più tenero possibile ha un filo duro dentro.

Eccetto che nei bambini, forse; nei grandi, comunque, tutti.

49-50 – La contraddizione sta nell’identificare in un potere terreno gli ideali che si raccolgono nelle parole ecumenismo e pace.

Il potere fa diventare questi stessi ideali violenza: l’ecumenismo diventa affermazione della proprio posizione chiusa, violenta, oppure una intemperante negazione di ogni significato, di ogni rilievo, di ogni stima; e la pace diventa la formula eretta a parola d’ordine per vincere la propria guerra.

È alla violenza tutta l’educazione del potere fa tendere l’azione dell’uomo, la concezione della famiglia e della convivenza sociale, il metodo di rapporto con gli altri.

50 – Il potere avvalla tutte le forme di estraneità ultima, che sono l’inizio della violenza nel mondo.

79 – Il cristianesimo è un avvenimento e perciò è presente ora […] Solo il riconoscimento di questo avvenimento impedisce di essere servi di una ideologia. Ricordiamo che tutte le ideologie hanno un sistema discorsivo e nella logica che le sostiene tendono al potere o hanno un potere, che è la prevalenza, in quel dato momento, di una ideologia sulle altre.

108 – Così, sinteticamente, il mondo finisce per essere l’ambito dell’esistenza definito dal potere e dalle sue leggi.

109 – Conseguenza evidente e ultima di ciò: la perdita della libertà.

Un’esistenza definita dal potere e dalle sue leggi ha come conseguenza ultima la perdita della libertà.

potere politico

44-45 – In secondo luogo, l’atteggiamento di Gesù verso la società come potere politico, il potere politico romano e giudaico di allora.

45 – (A Pilato) «Non avresti nessun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».

Anche il potere politico trae la sua possibile positività terrena solo in funzione di un universo, in funzione di tutti nel mondo.

104 – La religiosità si svolge nell’ambito di regole legalisticamente concepite (fariseismo), per cui si è resi praticamente adepti di un potere (civile, politico o religioso). All’epoca di Gesù erano i farisei (potere religioso) e i romani (potere politico), oggi la pax romana ha altre flessioni e s’attarda su altri nomi di nazioni.

Ma oggi, come allora, tutte le religioni sono accettate, purché implichino l’adorazione dell’imperatore, l’adorazione del potere che governa.

146-147 – Il potere della società, che si trasforma anche in leggi, deve essere giudicabile da un’altra legge che è proprio la legge dell’appartenenza a Dio: totalizzante, perché tutte le partecipazioni effimere alla grande appartenenza a Dio possono esistere soltanto nel confronto che hanno con l’Eterno, con la legge eterna, con la legge di Dio.

La mancanza della identità fra libertà e appartenenza, cioè una libertà non motivata dall’appartenenza, è presagio di voluminose guerre.

147 – «È interessante il fatto che il tentativo di salvare la natura umana a spese della condizione umana giunga in un momento in cui noi tutti conosciamo bene […] i tentativi di modificare la natura dell’uomo modificando radicalmente le condizioni tradizionali. Gli svariati esperimenti, condotti dalla scienza e dalla politica moderne, per “condizionare” l’uomo non hanno altro fine che la trasformazione della natura umana in nome della società»

H: Arendt, La lingua materna

La natura umana è identificata come ordine, quindi come potere, dalla società.

Preconcetto

76-78 – Se si usa male la ragione, cioè se la ragione si traduce come «misura» della realtà – e questo implica sempre la ragione come preconcetto, come un qualcosa che stranamente interviene nell’esperienza per sminuire e non riconoscere ciò che è presente nella nostra vita -, ci sono tra possibili riduzioni che influenzano tutti i comportamenti della vita (1- Riduzione di un avvenimento in ideologia – 2 -Riduzione del segno ad apparenza – 3 – Riduzione del cuore a sentimento).

77 – L’uomo può essere mosso, può lasciarsi muovere da qualcosa, può obbedire a qualcosa che non nasce, non scaturisce da un suo modo di reagire alle cose che incontra, in sui si imbatte, ma da preconcetti.

Il punto di partenza del cristiano è un avvenimento. Il punto di partenza di tutto il resto del pensiero umano è una certa impressione o valutazione delle cose, una certa posizione che uno assume «prima» d’affrontare le cose, soprattutto prima di giudicarle: anche i bisogni dell’uomo, che l’uomo intercetta e cerca di condividere nella loro concretezza, possono essere pensati e concepiti in un modo preconcetto.

130-131 – I concetti creano idoli, solo lo stupore conosce: conosce e quindi concepisce. altrimenti si è vittime del preconcetto.

Non c’è giustizia nel nostro modo di ragionare, se esso non prende coscienza del preconcetto da cui si parte.

131 – Se non si è bambini, come dice il Vangelo, si parte da un preconcetto.

E non si può aderire a una cosa che ci chiede sacrificio in forza di un preconcetto: si deve aderire per la forza di attrattiva che ha.

Per questo Gesù citava il bambino più piccolo come esempio per i grandi, perché innanzitutto bisogna essere liberi e veri, trasparenti.

Diversamente, in tutto sorge l’obiezione: tutte le nostre obiezioni partono da un preconcetto e vi si arroccano, così che esso diviene inattaccabile e impedisce, poi, ogni tentativo di identificare una verità reale da parte della ragione.

Lo stupore solo «convince», cioè conosce fino alla convinzione, fino a generare convinzione.

Il preconcetto è l’eliminazione della vera estetica, del vero gusto della vita.

137-138 – (L’uomo)con la sua ragione ha proprio il compito di chiarire quello che riesce a guardare e ad afferrare nella sua esperienza. Altrimenti è il preconcetto, o il pre-fabbricato, che si impone.

Se non si parte dall’esperienza per cogliere se stessi e la propria realtà, significa che la vita si svolge determinata dal preconcetto o adottando una pre-fabbricato che si impone.

Preghiera

22-23 – In quanto libertà, la natura dell’essere partecipato si esprime – usiamo subito la grande parola – come preghiera.

Se la libertà è il riconoscimento dell’Essere come Mistero, il rapporto dell’essere partecipato con Dio è solo la preghiera. Tutto il resto è Dio che lo fa.

È nella preghiera che il Mistero ancora persiste, resiste come spiegazione ultima; è nella preghiera e nella domanda, perché preghiera è domanda, «domanda di essere».

Se l’essere creato è l’essere partecipato, la libertà pone la preghiera come unica manifestazione di questo essere: tutto quello che fa l’essere partecipato è, in sé preghiera, cioè domanda.

Se è preghiera e domanda, è dentro il Mistero anche la libertà.

La natura dell’essere partecipato si esprime come preghiera, che esistenzialmente è domanda, domanda di essere.

41 – Siamo mendicanti, e la forma della mendicanza illuminata da Cristo sono i sacramenti.

Il sacramento, in quanto forma suprema di preghiera «ha da essere la domanda che uno, perfino sepolto nelle proprie miserie, rivolge a Dio come attraverso una piccola fessura di desiderio di essere liberato.

170 – Quando il 30 maggio abbiamo identificato la vita nella raccomandazione della mendicanza, il bisogno supremo che l’uomo ha nella coscienza più viva di appartenere a Cristo e a Dio, abbiamo parlato della preghiera come l’espressione suprema della nostra libertà, perché la preghiera è il riconoscimento dell’Essere di cui tutto è fatto.

Questo dà una potente capacità di positività a tutto: a tutto, anche alla morte.

preghiera come domanda

22-23 – In quanto libertà, la natura dell’essere partecipato si esprime – usiamo subito la grande parola – come preghiera.

Se la libertà è il riconoscimento dell’Essere come Mistero, il rapporto dell’essere partecipato con Dio è solo la preghiera. Tutto il resto è Dio che lo fa.

È nella preghiera che il Mistero ancora persiste, resiste come spiegazione ultima; è nella preghiera e nella domanda, perché preghiera è domanda, «domanda di essere».

Se l’essere creato è l’essere partecipato, la libertà pone la preghiera come unica manifestazione di questo essere: tutto quello che fa l’essere partecipato è, in sé preghiera, cioè domanda.

Se è preghiera e domanda, è dentro il Mistero anche la libertà.

La natura dell’essere partecipato si esprime come preghiera, che esistenzialmente è domanda, domanda di essere.

35 – La tensione è come l’ultima e permanente espressione della libertà nei confronti del «Dio tutto in tutto». Che questi diventi coerenza, infatti, nell’uomo è grazia.

Il filo della moralità è, dunque, domanda sincera di questa grazia. La domanda sincera è la forma fondamentale della preghiera: è mendicanza.

55-56 – «Sembra che quello che ci spetta sia la preghiera definita come domanda di essere. Prego per tante cose che mi stanno a cuore, ma cosa vuol dire “domanda di essere“?»

56 – Ciò che ti sta a cuore – amico mio – ciò che ti sta a cuore è una risposta che non avrà definitiva compiutezza se non alla fine.

Perciò la domanda di essere sottolinea il fatto che quello che tu vuoi, quello che tu desideri, quello per cui tu domandi, non è nient’altro che una richiesta della soddisfazione che tu aspetti totale, in un aspetto particolare della tua persona, della tua vita.

Se aspetti il toto, il tutto del particolare, dall’avere in mano il particolare, sbagli.

57 – Ogni azione è domanda a Dio di essere, cioè è preghiera, perché ogni azione dell’io, come fenomeno per cui si avvera, cerca di avverarsi l’esistenza dell’essere creato, è tentativo di affermare il proprio compimento.

«Voi cristiani, toccate Dio dappertutto»

Péguy, Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale

Presenza/presenza

36 – Cristo […] è il mistero di Dio fatto presenza e compagnia perenne, per tutto il tempo della creatura sua.

38-39 – Per il sì di Pietro, la moralità è la sorpresa di una Presenza a cui si aderisce in modo tale che tutta la vita tende ad esserne concepita, nei particolari, nel suo insieme, così da far piacere alla faccia di quella Presenza.

Perciò la moralità, per il cristiano, è adesione amorosa.

Per noi, per l’uomo che egli sceglie, il valori attraverso cui giudicare sono quelli attenti alla parola del Verbo in quanto presenza di Gesù: in quanto Presenza ora.

Ma questa è la comunità della Chiesa chi si appartiene; essa è il volto di quella Presenza, come la veste di Gesù per i bambini piccoli che stavano vicino a Lui.

61-62 – La presenza di Gesù Cristo, che è di ogni giorno e di ogni ora nella vita del battezzato, cioè di chi è stato scelto da Lui stesso, cui il Padre ha dato nelle mani tutti gli uomini, è un avvenimento.

Questa presenza è quindi per tutta l’umanità, perché il battezzato è chi è scelto come punto di passaggio e di comunicazione di quello che Dio offre all’uomo, del dono che di Sé fa all’uomo, a tutta l’umanità.

Ora la presenza di Gesù Cristo è un avvenimento, secondo quanto il carisma donatoci ci rende sensibili a percepire (e di cui siamo persuasi), è un Avvenimento che si incontra nel presente, nell’ora, nelle circostanze, che dilatano l’evidenza di una compagnia vocazionale come emergenza del mistero della Chiesa, Corpo misterioso di Cristo

62 – Soprannaturale, l’abbiamo detto tante volte, è una realtà umana in cui è presente il mistero di Cristo, è una realtà naturale – nel senso che di dimostra e si specifica con colto umano – in cui è presente il mistero di Cristo.

La presenza di Gesù è alimentata, confortata, dimostrata dalla lettura dei Vangeli e della Bibbia, ma è assicurata e si rende evidente tra noi attraverso un fatto, attraverso fatti come presenza.

Per ognuno c’è un fatto che ha avuto un significato, una presenza che ha influito su tutta la vita: ha illuminato il modo di concepire, di sentire e di fare.

Questo si chiama avvenimento.

65 – La totalità della presenza e della pretesa del Mistero sulla nostra vita («Dio tutto in tutto») e di Cristo, di Gesù di Nazareth, che è il Mistero fatto Cristo, Suo Cristo, la totalità della grande figura, dell’immagine figura, dell’immane accenno che Dio, la parola di Dio che è nel nostro cuore e sulle nostre labbra, la totalità di questa presenza familiare, quotidiana ed efficace, di questa compagnia tanto strana quanto evidentemente insuperabile, questa totalità spiega il nostro dire «Tu»: «Tu» a Dio dobbiamo dire e «Tu o Cristo» dobbiamo dire all’uomo Gesù di Nazareth.

Sia il Mistero che la sua presenza nella nostra vita sono sorgente del rapporto che abbiamo con la verità e con la realtà tutta, e tutto questo diventa sorgente anche di quello che abbiamo detto essere amicizia.

79 – Non si può parlare di una passato che sia decisivo per una persona che vive oggi, se in qualche modo questo passato non diventa presente.

Così, il cristianesimo è un avvenimento e perciò è presente, è presente ora, e la sua caratteristica è che è presente come memoria; dove la memoria cristiana non è identica al ricordo, anzi, non è il ricordo, ma è il riaccadere della Presenza stessa.

Solo il riconoscimento di questo avvenimento impedisce di essere servi di una ideologia.

82 – Mistero e segno, in un certo qual senso, coincidono: nel senso che il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, per tutte le cose, la segnala ai nostri occhi, alle nostre orecchie, alle nostre mani.

Il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

84 – Tutto è segno di Lui e l’estremo lembo di questo metodo, è il sacramento della Sua presenza nel mondo, perché ogni sacramento è la presenza di Cristo morto e risorto.

Si chiama Chiesa, Corpo mistico di Cristo, ciò che viene generato e cambiato sotto l’impulso, la luce e la tenerezza del Battesimo e degli altri sacramenti.

97 – La fede in Cristo, come appare evidente all’insorgere del fatto cristiano, è conoscere una Presenza come eccezionale, essere colpiti da essa e, quindi, aderire a quello che essa dice di sé.

La fede è riconoscere una presenza eccezionale, essere colpiti, venire colpiti da essa, senza nessun paragone con altre occasioni già vissute e possibili anche nel futuro, e aderire a quello che essa dice di sé, perché se non si aderisse vi sarebbe contraddizione con il giudizio di eccezionalità che si è dato, che si è costretti a dare.

111 –

La moralità nuova scaturisce dal riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il Destino.

Poi si capisce, stando in essa, che questa Presenza è continua.

La moralità nuova è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino che continua nella storia.

121 – La fede è il riconoscimento di una Presenza: questo non è un sentimento, anche se implica tanto sentimento, non è definibile come sentimento. La Presenza riguarda gli occhi, l’emozione che provoca: ci sono di mezzo gli occhi, il cuore di quel che si prova; ma una valutazione di essa,[…] la definizione del riconoscimento di una Presenza appartiene a quello stadio originale della coscienza umana per cui, di fronte a uno spettacolo della natura, anche il bambino dice: «Che bello!».

130 – «Solo lo stupore conosce»: è lo stupore come per Giovanni e Andrea. Questa è la parola che spiega tutto quello che noi diciamo dell’inizio della fede.

Il gesto della fede si è enucleato, è sorto ed è stato «gestito» in Giovanni e Andrea per una Presenza: era una Presenza suggestiva, una Presenza che colpiva, una Presenza che stupiva.

168 – L’appartenenza a Cristo è qualche cosa che non lascia più l’io dentro di sé, chiuso, ad avere premura e preoccupazione così come l’hanno tutti gli altri. È una Presenza quello per cui è fatto e per cui fa tutto.

L’uomo scelto da Dio, il battezzato, non riesce più a stare dentro di sé, ad avere una premura e preoccupazione così come l’hanno tutti gli altri. È una Presenza – per cui è fatto e da cui si sente fatto, è cosciente di essere fatto: la presenza di Cristo nella sua Chiesa – che egli vive e fa tutto.

202-203 – Lo Spirito è Dio, a cui apparteniamo. Perché lo spirito è autocoscienza; e se questa è in noi bene applicata fa capire: l’uomo capisce che appartiene, che è appartenenza a un Altro.

È l’appartenenza a una Presenza, a una Presenza, anche qui, misteriosa (Misteriosa perché non è nostra, questa Presenza, in un certo senso non lo è; perché se è da un’altra fonte, non è della nostra fonte).


Link diretti ai TEMI di «Dare la vita per l’opera di una Altro»

AB CDEFGILMNOPRS TUV




Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


Iscrivendoti riceverei gratis ogni nuova pubblicazione