Temi di «Dare la vita per l’opera di un Altro» – 2a parte

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Lettera «R»


Ragione

19-22 – «Egli solo è», e questo identifica Dio come Mistero.

Ma, accanto a ciò, «io ci sono», e questo resta l’unico vero mistero per la ragione; senza questo mistero la ragione non ragiona, perché la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori.

Quindi, nichilismo e panteismo sono una riduzione, sono negazioni della ragione, sono semplificazioni riduttive, contraddittorie alla ragione e cedono all’immagine quantitativa delle cose: l’immagine quantitativa dell’essere che ci deriva dalla quotidiana esperienza, dalla vita mortale.

20 – Ragionevolmente non si può non tener conto che per la ragione il Mistero deve essere, per così dire, ridotto il più possibile. Fino a che punto, dunque, la ragione può arrivare, e dove il Mistero è inattaccabile? Dove la ragione è costretta a riconoscere l’esistenza di un’ultima realtà che non può penetrare? Dove l’io può concepirsi indipendente dall’Essere da cui deriva? Dove? Nella libertà.

Tutto il resto è attaccabile dalla ragione, comprensibile dalla ragione.

Perché che il capello non si fa da sé è evidente alla ragione, che il fiore non si fa da sé, che io non mi faccio da me è evidente alla ragione.

Come fa il Mistero a creare qualcosa che non si identifichi con Se stesso? Questo è il vero mistero!

Tutto è quindi comprensibile, salvo una cosa che resta ancora fuori, che per la ragione è fuori da Dio: la libertà.

La libertà è l’unica cosa che appare alla ragione come fuori da Dio.

21 – L’io umano fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflette originalmente il mistero dell’Essere uno e trino proprio nel dinamismo della libertà, la cui legge sarà quindi l’amore, e il dinamismo in cui si gioca questo amore non potrà che essere amicizia.

22 – Rimane però un punto che per la mia ragione è mistero: come mai Dio ha desiderato l’Essere partecipato, e come quest’ultimo non confina, non stringe dentro il suo confine l’Essere, non ruba all’Essere niente?

Questo è il punto centrale del Mistero: come l’essere partecipato non rubi all’Essere niente.

Se la libertà è riconoscimento dell’Essere come Mistero, il rapporto dell’essere partecipato con Dio è solo la preghiera. Tutto il resto è Dio che lo fa.

52 – L’unico punto non attaccabile dalla ragione significa, innanzitutto, che è l’unico punto in cui il Mistero resta mistero, totalmente mistero.

Che le cose non si facciano da sé è evidente alla ragione, che io in questo momento non mi sto facendo da me, è evidente alla ragione.

La ragione non capisce come questo accade, non lo può capire, ma che le cose in questo momento siano da un Altro, questo è evidente.

Ma c’è un punto che dalla ragione è proprio inattaccabile: la ragione non può capire il fatto proprio della libertà come possibilità di riconoscere o di non riconoscere il Mistero. È in questo punto che il Mistero resta inattaccabile.

58-59 – Se Dio per l’uomo è tutto e appare alla ragione come la sorgente dell’essere, ma se l’uomo non vuole capire e non se ne ricorda, è come se Dio non ci fosse.

Come facciamo a conoscerlo? Bisogna prenderne coscienza. Ciò riguarda la forza conoscitiva dell’uomo ragionevole.

La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori. Perciò prendere coscienza di una cosa significa scoprire la cosa secondo la sua totalità.

59 – La ragione accorgendosi che Dio è la sorgente di tutto, che il Mistero sta all’origine di tutto, è anche tesa a scoprire come comportarsi con Dio, come trattare Dio, e perciò a scoprire gli itinerari da cui conseguono le leggi morali.

75-76 – Jean Guitton, confermandoci nel nostro inquieto disagio, ci ha dato conforto di farci sentire la giustezza del nostro atteggiamento, circa il nesso tra ragione e vita quando ha detto che “ragionevole” è sottomettere la ragione all’esperienza»

D’altra parte, la ragione è quel livello della creazione in cui essa è consapevole di sé, diventando cosciente del dato, del «qualcosa» in cui l’uomo si imbatte. Questa coscienza genera la definizione di ragione.

Se si usa male la ragione, ne va di mezzo tutto il conoscere dell’uomo come costruzione sulla realtà e della realtà.

Se si usa male la ragione, cioè se la ragione si traduce come «misura» della realtà – e questo implica sempre la ragione come preconcetto, come un qualcosa che stranamente interviene nell’esperienza per sminuire e non riconoscere ciò che è presente nella nostra vita -, ci sono tre possibili gravi riduzioni che influenzano i comportamenti della vita (1° invece di un avvenimento, l’ideologia – 2° riduzione del segno ad apparenza – 3° riduzione del cuore a sentimento).

Se si usa male la ragione, se la si usa come misura, avvengono dunque tre possibili riduzioni gravi che influenzano tutti i comportamenti. Per parlare di morale è allora importantissimo comprendere e prendere coscienza del tipo di cultura cui apparteniamo, se essa sia mondana o cristiana.

85 – Il cuore indica l’unità di sentimento e ragione. Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l’ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quel che si chiama affezione.

È il cuore – come ragione e affettività – la condizione dell’attuarsi sano della ragione.

La condizione perché la ragione sia ragione è che l’affettività la investa e così muova tutto l’uomo.

Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell’uomo.

Noi non possiamo partire se non dall’amore alla ragione, dalla fiducia nella ragione.

Questo ci ha fatto percepire dagli inizi del nostro movimento il valore della ragione come prima cosa da chiarire.

94 – E come la ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, analogamente la moralità è rapporto dell’azione singolare con la totalità dei fattori che l’universo implica.

96-99 – La ragione da sola non può comprendere tutto quello che Cristo dice, perché Cristo rivela, svela il nuovo e l'inimmaginabile, e lo svela dopo che la gente gli si è legata.

97 – La fede è riconoscere una presenza eccezionale, essere colpiti da essa. […] La fede, perciò, è un gesto che ha come suo punto di partenza la ragione.

La ragione non come capacità o pretesa di descrivere Dio, di parlare di Dio, sostituendosi alla Rivelazione, ma la ragione in quanto afferma che il Mistero è una realtà esistente, senza la quale l’uomo non può portare uno sguardo ragionevole alla realtà.

Vale a dire, il punto di partenza della fede è la ragione come coscienza della realtà, cioè il senso religioso dell’uomo.

98 – La fede è razionale, in quanto fiorisce sull’estremo limite della dinamica razionale come un fiore di grazia, cui l’uomo aderisce con la sua libertà.

L’avvenimento di Cristo è immediatamente sperimentato come eccezionale perché è eccezionale; ma per coglierlo nella sua diversità occorre che la ragione, con semplicità, immediatamente accetti, riconosca quel che avviene, quello che è avvenuto, con l’immediatezza certa che si ha di fronte a ogni evidenza della realtà.

99 – «Una delle funzioni della fede, e non tra le più irrilevanti, è quello di offrire un risanamento alla ragione come ragione, di non usarle violenza, di non rimanerle estranea, ma di ricondurla nuovamente a se stessa. Lo strumento storico della fede può liberare nuovamente la ragione come tale, in modo che quest’ultima – messa sulla buona strada dalla fede – possa vedere da sé. […] La ragione non si risana senza la fede, ma la fede senza la ragione non diventa umana […].»

J. Ratzinger – La fede e la teologia ai giorni nostri

120-121 – Il razionalismo tende a concepire la ragione come luogo della verità: la verità è quello che la ragione ammette, e così finisce con l’idealizzare ciò che sente.

Noi finiamo sempre con il tendere a idealizzare ciò che sentiamo o, più ancora, a identificare il vero con ciò che sentiamo.

Il senso religioso è identificato così con un sentimento: è un sentimento, vago o deciso, ma è un sentimento, non è una ragione, non ha ragioni particolari, vale a dire non è una realtà che si raggiunge come conoscenza, abbandonando i primi passi più istintivi, più meccanici.

121 – Il senso religioso, invece, non è un sentimento, non è un complesso di sentimenti.

La ragione c’entra, perciò.

Il senso religioso è originalmente agli inizi della vita della ragione, cioè della vita cosciente dell’uomo, si pone agli inizi: è implicito nella sua identificazione con la natura stessa dell’uomo.

Il senso religioso non è un sentimento e la ragione non è una attività estranea ad esso.

Ora la fede è riconoscimento di una Presenza.

Questo non è un sentimento: anche se implica tanto sentimento, non è definibile come sentimento.

La Presenza riguarda gli occhi, l’emozione che provoca: ci sono di mezzo gli occhi, il cuore in quel che si prova.

126 – La natura vera della ragione è cogliere l’essere delle cose, o meglio, si esprime, si realizza innanzitutto come rivedere o vedere, cogliendo l’essere delle cose, le cose come essere.

Questo è il primo argomento che la ragione ha: la positività ultima dell’esistenza di tutto è l’unica definizione che rende ragione all’uomo.

La ragione è fatta per cogliere l’essere delle cose.

129-131 – Il motivo per dire sì a qualcosa che si introduce nella nostra vita vincendo tutti i preconcetti è una bellezza: una bellezza e una bontà che possiamo benissimo non riuscire a definire, ma che sentiamo come contenuto della nostra ragione per la decisione più «grave» in cui essa è implicata, cioè la fede, perché la fede nasce come riconoscimento della ragione.

Dalla fede – che è affermazione di un fatto, dell’oggettività di un fatto, Cristo – si sviluppa una esteticità, cioè una suggestività, che rivela una ragione adeguata realmente in atto: è una ragione adeguata che fa nascere l’estetica in un rapporto.

Perché la bontà, meglio, l’etica, deriva dall’estetica.

131 – Per questo Gesù citava il bambino più piccolo come esempio ai grandi, perché innanzitutto bisogna essere liberi e veri, trasparenti.

Diversamente, in tutto sorge l’obiezione: tutte le nostre obiezioni partono da un preconcetto e vi si arroccano, così che esso diviene inattaccabile e impedisce, poi, ogni tentativo di identificare una verità reale da parte della ragione.

Lo stupore solo «convince», cioè conosce fino alla convinzione, fino a generare convinzione. Il preconcetto è l’eliminazione della vera estetica, del vero gusto della vita.

138-139 – «Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità»

La ragione ha proprio il compito di chiarire quello che riesce a guardare e ad afferrare.

«In verità l’uomo afferma veramente se stesso solo accettando ili reale, tanto è vero che l’uomo comincia ad affermare se stesso accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è data da sé»

L. Giussani – Il Senso Religioso

È questa la ragione che fa dire: l’uomo appartiene a Dio.

La stessa ragione sospinge, poi, questa evidenza ultima della dipendenza da Dio, come la dipendenza dell’uomo da u n altro, da altro da sé, fino all’appartenenza agli strumenti di cui Dio può servirsi, cioè la famiglia e la società.

139 – Come la ragione è strutturalmente, naturalmente tensione a cogliere la realtà secondo la totalità dei suoi fattori, analogamente l’esperienza enuclea l’esigenza e l’evidenza di una dipendenza totale, una dipendenza dalla sorgente de l suo essere come tale, una dipendenza totalizzante.

163-164 – Pavel Florenskij:

«Chi vuole la Verità non può trovar pace nel semplice nichilismo, perché se la ragione non partecipa all’essere, neanche l’essere partecipa alla ragione»

P.A. Pavel Florenskij – Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici.

Se la ragione non partecipa all’essere, se non riconosce che qualche cosa prima di essa si impone ad essa, anzi, se non riconosce che è stata fatta per questo incontro ulteriore, ulteriore a una coscienza di sé, non può nemmeno cominciare a conoscere.

ragione misura della realtà

Se si usa male la ragione, cioè se la ragione si traduce come «misura» della realtà – e questo implica sempre la ragione come preconcetto, come un qualcosa che stranamente interviene nell’esperienza per sminuire e non riconoscere ciò che è presente nella nostra vita -, ci sono tre possibili gravi riduzioni che influenzano i comportamenti della vita (1° invece di un avvenimento, l’ideologia – 2° riduzione del segno ad apparenza – 3° riduzione del cuore a sentimento).

Se si usa male la ragione, se la si usa come misura, avvengono dunque tre possibili riduzioni gravi che influenzano tutti i comportamenti.

Per parlare di morale è allora importantissimo comprendere e prendere coscienza del tipo di cultura cui apparteniamo, se essa sia mondana o cristiana.

Realtà

14-15 – Ma se Dio è tutto, io che cosa sono? La persona a cui voglio bene che cosa è? La patria che cosa è? I soldi che cosa sono? Mari e montagne, fiori e stelle, terra e firmamento che cosa sono?

La risposta non è la soluzione di preoccupazioni etiche, è la scoperta di una ontologia: l’ontologia della realtà.

Ma la realtà nel suo essere, la realtà come appare nella esperienza, cioè come appare alla ragione dell’uomo, come fa ad esserci e di che cosa è fatta? La realtà come appare all’uomo è fatta da Dio, è «di» Dio.

15 – L’Essere dal niente crea, cioè partecipa a sé. È la partecipazione della contingenza della realtà, dal fatto cioè che la realtà non si fa da sé.

33-34 – Per noi imitare Gesù è vivere innanzitutto la religiosità di ogni gesto. Questa prima flessione, questo primo articolo della morale per noi è chiaro: vivere la religiosità di ogni gesto. Il valore del rapporto tra l’uomo e qualsiasi realtà nella vita è Cristo, di qualunque rapporto si tratti.

46 – Vivere per la gloria umana di Cristo si chiama testimonianza.

È il fenomeno per cui gli uomini riconoscono – per una grazia potente, un dono potente – di che cosa è fatta la realtà, gli uomini e le cose: è fatta di Cristo, e lo gridano a tutti, lo dimostrano con la propria esistenza, con la modalità trasformata della loro esistenza.

55 – L’etica deriva dalla considerazione o dalla coscienza della realtà, da una cosa nella sua realtà, perché ci fa comportare come essa richiede, altrimenti una cosa possiamo trattarla male, prendere lucciole per lanterne, prendere un buco invece che l’essenza della questione.

57 – Che cosa è Dio per l’uomo? La risposta è ontologica, parte cioè dalla realtà come è, dalla realtà di Dio come è, da quello che è Dio, per suggerirci come comportarci con Lui.

Ora come facciamo a conoscerlo in modo tale che la realtà di Dio assuma un significato etico anche per noi, ci indichi come comportarci e quale comportamento avere di fronte a Lui?.

Il punto di partenza è ontologico, si parte dalla realtà come è. Per l’uomo, Dio è tutto! E l’essere, ciò che è, è Dio, perché «Dio è tutto», tutto l’essere.

Fuori di Dio c’è il nulla, non altro, non qualcosa d’altro.

62 – Soprannaturale è una realtà umana in cui è presente il mistero di Cristo, è una realtà naturale – nel senso che si dimostra e si specifica con volto umano – in cui è presente il mistero di Cristo.

75 – L’esperienza è l’emergere della realtà alla coscienza dell’uomo, è il divenire trasparente della realtà allo sguardo umano.

Così la realtà è qualcosa in cui ci si imbatte, è un dato, e la ragione è quel livello della creazione in cui essa diventa coscienza di sé.

Perché è «ragionevole sottomettere la ragione all’esperienza?»

Perché l’esperienza ci dice la realtà he noi siamo e in cui è la nostra presenza; è una realtà che ci è data, in cui ci si imbatte, non è creata da noi, non è inventata da noi.

80-82 – Il segno è l’esperienza di una fattore presente nella realtà che ci rimanda ad altro.

Il segno è una realtà sperimentabile il cui senso è un altra realtà; esso rivela il suo significato conducendo ad un’altra realtà.

La grande tentazione dell’uomo è esaurire l’esperienza del segno, di una cosa che è segno, interpretandola soltanto nel suo aspetto percettivamente immediato.

Un certo atteggiamento di spirito fa pressappoco così con la realtà del mondo e dell’esistenza (le circostanze, il rapporto con le cose, una famiglia da fare, i figli da educare…): ne accusa il colpo, arrestando però la capacità umana di addentrarsi alla ricerca del significato, cui innegabilmente il fatto stesso del nostro rapporto con la realtà sollecita l’umana intelligenza.

81 – L’umana intelligenza non può imbattersi in qualche cosa senza percepire che essa, in qualche modo, è segno di un’altra realtà, riprende l’insinuazione di un’altra realtà.

L’idea di segno fa entrare operativamente nella vita il significato delle cose.

82 – Mistero e segno, in un certo qual senso, coincidono e il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

E quando il cristiano scopre che tutta la realtà è costruita da questo metodo di Dio, comprende meglio il valore dei sacramenti.

La realtà viene dal Creatore, e ha in sé il riferimento al Creatore e Lo dimostra: la realtà fa emergere, nell’intimo del nostro rapporto con le cose, la percezione di qualcosa d’altro, di un altro.

97-98 – La fede è un gesto che ha come punto di partenza la ragione.

La ragione non come capacità o pretesa di descrivere Dio, di parlare di Dio, sostituendosi alla Rivelazione, ma la ragione in quanto afferma che il Mistero è una realtà esistente, senza la quale l’uomo non può portare uno sguardo ragionevole alla realtà.

Vale a dire, il punto di partenza della fede è la ragione come coscienza della realtà, cioè il senso religioso dell’uomo.

98 -Aderire con la propria libertà significa, per l’uomo, accettare con semplicità quello che la ragione percepisce come eccezionale, con quell’immediatezza certa, come avviene per l’evidenza inattaccabile e indistruttibile di fattori e momenti della realtà, così come entrano nell’orizzonte della propria persona.

L’avvenimento di Cristo è immediatamente sperimentato come eccezionale perché è eccezionale; ma per coglierlo nella sua diversità occorre che la ragione, con semplicità, immediatamente accetti, riconosca quello che avviene, quello che è avvenuto, con l’immediatezza certa che si ha di fronte a ogni evidenza della realtà.

Perché prima di tutto, prima del giudizio che Giovanni dà su quell’Uomo, che Pietro dà su quell’Uomo, prima del loro giudizio e della loro adesione, prima c’è questa semplicità, c’è questo cuore semplice, ci sono questi occhi semplici, questa tensione, questo desiderio semplice che è aperto a recepire, che è nella possibilità di recepire con chiarezza quello che ha incontrato, l’aspetto della realtà in cui si è imbattuto.

101-102 – Se si elimina in Cristo il fatto di essere uomo, uomo reale, storico, si elimina la possibilità stessa di un’esperienza cristiana.

Un’esperienza cristiana è una esperienza umana, perciò è fatta di tempo di spazio come ogni realtà anche materiale.

Senza quest’aspetto di materialità l’esperienza che l’uomo fa di Cristo manca della possibilità di verifica della sua contemporaneità, cioè della verità di quanto Lui ha detto di sé.

102 – «L’identificazione di una singola figura storica, Gesù di Nazareth, con la realtà stessa [La realtà è l’Essere, perciò è qui a tema l’identificazione di Gesù di Nazareth con il Mistero, con l’origine della realtà stessa], ossia con il Dio vivente, viene respinta come una ricaduta nel mito; Gesù viene espressamente relativizzato come uno dei tanti geni religioso. ciò che è assoluto, oppure Colui che è l’assoluto, non può darsi nella storia, dove si hanno solo modelli, solo figure ideali che ci rinviano al totalmente altro, il quale non si può afferrare come tale nella storia».

J. Ratzinger «La fede e la teologia ai giorni nostri», in enciclopedia del cristianesimo, pag.24

106-107 – (Se) la salvezza è concepita «escatologicamente», solo nell’ultimo giorno, […] si annulla così il fatto che il cristianesimo è l’annuncio di una realtà profondamente nuova, che implica in sé tutta la natura umana con una risoluzione interiore a un altro livello, a un livello non previsto e non prevedibile, né decifrabile, né immediatamente quindi fattibile, dalla coscienza solita dell’uomo

In questo modo l’ontologia cristiana viene distrutta da un’etica intesa come coscienza e uso della realtà che partono da un concetto di che cosa sia l’uomo e da una ontologia umana non percossi dal messaggio cristiano.

125 – Per questo il sacrificio più grande è obbedire: nel senso che la realtà non la faccio io, quello che sono non l’ho fatto da me, tutto quello che mi è dato (dal Mistero come da mia madre) è condizione per una coscienza maggiore, più profonda, di tutto quello che facciamo.

Per questo il sacrificio è obbedire, e parte da questo «pre-concetto» o «pre-giudizio»: il «dato», l’opera di un Altro.

128 – Cristo è il Segno con cui il Mistero coincide, nella realtà e nella storia, nell’universo intero e nella storia dei popoli.

Per questo affermare Cristo è affermare una bellezza oggettiva che rende appassionati alla vita, e tutto diventa trasparente ai miei occhi.

Perché fino a quando una cosa, una realtà, non giunge alla trasparenza, a una certa trasparenza, è come possederla senza possederla, resta equivoco il suo valore.

138 – Se non si parte dall’esperienza per cogliere se stessi e la propria realtà, significa che la vita si svolge determinata dal preconcetto o adottando un pre-fabbricato che si impone.

«In verità l’uomo afferma veramente se stesso solo accettando il reale, tanto è vero che l’uomo inizia ad affermare se stesso accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è data da sé»

L. Giussani, Il Senso religioso

149 – «Il nulla diventa sostituto globale della realtà, poiché il nulla non apporta sollievo. Sollievo, beninteso, senza realtà: è meramente psicologico, un sedativo per l’ansia e la paura»

H. Arendt, La vita della mente

«Quando l’uomo è privato di tutti i mezzi di interpretazione degli eventi, è lasciato senza alcun senso della realtà».

H. Arendt, Ebraismo e modernità

196 – Dio fa oggi quello che ha fatto ieri! Per questo è una realtà nuova nel mondo, che è entrata nel mondo.

Religiosità

33-34 – Per noi imitare Gesù è vivere innanzitutto la religiosità di ogni gesto.

Questa prima flessione, questo primo articolo della morale per noi è chiaro: vivere la religiosità di ogni gesto. Il valore del rapporto tra l’uomo e qualsiasi realtà nella vita è Cristo, di qualunque rapporto si tratti.

Di qui, dunque, la religiosità di ogni gesto, di ogni azione, di ogni rapporto.

85ss – La corruzione della religiosità.

86 – Al termine di un lungo percorso di dimenticanza del «Dio tutto in tutto», nel nostro ultimo secolo il sentimento religioso proprio della natura umana si afferma con libertà assurda, corrompendosi, nella progressiva eliminazione della religiosità propria di Cristo, e quindi della religiosità che ha avuto nel popolo ebraico, in modo mirabile, la sua manifestazione, l’esemplificazione della sua verità, della sua ultima implicazione.

Come il popolo ebraico fu osteggiato da coloro che non recepivano Dio, il Dio unico che ha fatto tutto le cose, così dalla situazione di oggi è avversata proprio la religiosità propria di Cristo, erede di tutto l’umanamente incomprensibile fenomeno del popolo ebraico – la storia del popolo ebraico è stata l’assetto profetico di quello che Cristo avrebbe chiarito con se stesso.

Questa è la religiosità che ci tocca.

La lotta è, dunque, in noi, tra la religiosità propria di Cristo e della Bibbia, della tradizione cristiana e della tradizione ebraica, e il dio dell’anticristiano.

98 – La fede è un giudizio e non una emozione; non è un sentimento cangiante che identifica l’esistenza di Dio come gli pare e vive la religiosità come gli piace.

Essa è un giudizio che afferma una realtà, il Mistero presente.

103-104 – Chiesa senza mondo. Da qui dipendono il clericalismo e lo spiritualismo, quale duplice riduzione della valore della Chiesa come Corpo di Cristo.

La vita religiosa cristiana viene determinata dallo statalismo che, in modo unilaterale, viene chiamato anche «clericalismo».

La religiosità cristiana svolge così nell’ambito di regole legalisticamente concepite (fariseismo), per cui si è adepti di un potere (civile, politico o religioso)

Responsabilità

84 – Noi prendiamo il sentimento invece che il cuore come motore ultimo, come ragione ultima del nostro agire. Che cosa vuol dire?

La nostra responsabilità è resa vana proprio all’uso del sentimento come prevalente sul cuore, riducendo così il concetto di cuore a quello di sentimento.

Invece il cuore rappresenta e agisce come il fattore fondamentale dell’umana personalità.

responsabilità storica

185 – Si evita l'egemonia come motivo del proprio impegno, quando non ci si impegna con la sete di riuscita dovuta all'amor proprio o all'egoismo o a un interesse (egoismo e interesse); allora l'opposizione tra egemonia e responsabilità storica trova la sua soluzione.

Resurrezione

30 – «Chi sarà vittorioso [chi seguirà Cristo nella croce, in quella croce che lo porta fino alla Resurrezione e fino alla signoria su tutto il mondo] erediterà questi beni; io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio»

Ap 21,7

105 – Perché il mondo sia rinnovato, occorre che il mistero di Cristo, nella sua presenza temporale, entri attivamente nel mondo secondo tutti i suoi aspetti, come la Resurrezione di Cristo implicò la salvezza di tutti i fattori dell’umano.

La Resurrezione di Cristo è la salvezza dell’uomo come tale, di tutto l’uomo.

Ogni spiritualismo non può che parlare della Resurrezione di Cristo in modo sentimentale: devozione di un ricordo, non memoria di una presenza.

Così Cristo non sarebbe risorto come corpo realmente: la Resurrezione non è presente, la salvezza non è già cominciata (per cui la vita presente è svolgimento del seme iniziale che è Cristo risorto).

Il modo sentimentale, devozionale, con cui la Resurrezione di Cristo è trattata e ridotta è il sintomo più grave e cospicuo dello spiritualismo nella sua incidenza sul popolo e sulla Chiesa tutta.

Se la Resurrezione non è presente, la salvezza non può essere già presente e la resurrezione di Cristo sarebbe come un punto che parla di avvenire, dell’ultimo ignoto avvenire riservato all’ultimo passo della storia.

209 – Dobbiamo richiamarci tutti i giorni tra di noi la vittoria della sanità, la vittoria della vittoria, la vittoria della resurrezione di Cristo; la vittoria di Cristo, che piegherà il nostro cuore ad essere tramite di quella conoscenza che i nostri compagni di popolo, i nostri compagni di comunità, i nostri compagni di comunione avranno il diritto e il dovere di comunicarci, facendo della positività della vita la salvezza di quello che noi abbiamo sempre voluto.

Riconoscere (Cristo una presenza)/Riconoscimento (amoroso) di una presenza

97 – La fede è riconoscere una presenza eccezionale, essere colpiti, venire colpiti da essa, senza nessun paragone con altre occasioni già vissute e possibili anche nel futuro, e aderire a quello che essa dice di sé, perché se non vi si aderisse ci sarebbe contraddizione col giudizio eccezionale che si è dato, che si è costretti a dare.

La fede è perciò un gesto che ha come suo punto di partenza la ragione.

111 – La moralità nuova che scaturisce nell’avvenimento cristiano è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino.

Poi si capisce, maturando, stando in essa, che questa Presenza è continua.

La moralità nuova è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino che continua nella storia.

113 -[…] il cambiamento che dimostra la presenza di Cristo si chiama testimonianza: è l’opera dell’io come opera di Dio, opus Dei, secondo la libertà che Dio esige; riguarda la vita, tempo e spazio, lavoro e società: non è soppressione di qualcosa dell’io, ma positività ultima di tutto l’io nel suo essere.

Il cambiamento è frutto, opera, del Mistero nel tempo – del disegno di Dio.

La parte che spetta alla libertà dell’uomo è la mendicanza.

Questi sono fattori del del Disegno di Dio. Alla libertà dell’uomo spetta la mendicanza, perché tutto il potere è di Dio.

Così la mendicanza è l’espressione del riconoscimento pieno che l’uomo fa della sua dipendenza da Dio, del suo riconoscimento di quel che è Dio.

121 – La fede è riconoscimento di una Presenza. Ormai diciamo abitualmente: la fede è riconoscimento di una Presenza, di una presenza eccezionale.

La definizione del riconoscimento di una Presenza appartiene a quello stadio originale della coscienza umana per cui, di fronte a uno spettacolo della natura, anche il bambino dice: «Che bello!».

129-130 – Come si fa a riconoscere che siamo sollecitati ad aderire a Cristo dal movimento e dalla Chiesa di Dio, dalla Chiesa cattolica invece che da altre versioni? «Solo lo stupore»: è lo stupore, come per Giovanni e Andrea.

141 – La natura della libertà è proprio riconoscere questa origine totalizzante, l’origine totalizzante cioè del rapporto con Dio.

154-155 – È come se il mistero avesse detto: «Voglio, vogliamo un riconoscimento dal nulla». Come si fa a realizzare un riconoscimento dal niente?

155 – È come se la Trinità avesse detto: «Facciamo qualcosa da cui poter essere riconosciuti».

La libertà è riconoscere l’Essere, aderire all’Essere.

Perciò non riconoscere l’Essere «stringe» l’essere che ci ha dato, lo costringe, lo strozza, lo debilita.

164 – Se la ragione non partecipa all’essere, se non riconosce che qualche cosa prima di essa si impone ad, anzi, se non riconosce che è stata fatta per questo incontro ulteriore, ulteriore a una coscienza di sé, non può nemmeno cominciare a conoscere.

179 – Questo è il principale test della fede! La fede in Cristo è riconoscere Cristo presente, fondamento della nostra speranza: in qualsiasi caso anche di fronte alla morte.


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