Temi di «Dare la vita per l’opera di un Altro» – 2a parte

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AB CDEFGILMNOPRS TUV


Lettera «S»


Sacramento

41 – Siamo mendicanti e la forma della mendicanza illuminata da Cristo sono i sacramenti. Il sacramento in quanto forma suprema di preghiera.

Il sacramento, in quanto suprema forma di preghiera, «ha da essere domanda che uno, perfino sepolto nelle proprie miserie, rivolge a Dio come attraverso una piccola fessura di desiderio di essere liberato».

83-84 – Mistero e segno, in un certo qual senso, coincidono e il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

E quando il cristiano scopre che tutta la realtà è costruita da questo metodo di Dio, comprende meglio il valore dei sacramenti.

173 – Questo popolo, nel suo colmo, è segno sacramentale della presenza di Cristo (Segno sacramentale vuol dire che il segno non solo si identifica nello spazio con il Mistero, ma che il contenuto di cui è segno si attua, è attuato).

Sacrificio

114-115 –

«Credo che la stagione della nascita sia la stagione del sacrificio»

La stagione della nascita, per la madre e ciò che ella crea, è un sacrificio.

È un sacrificio evolvere verso una verità l’affetto che si ha verso una persona. È un sacrificio quando non si prendono con la truffa o con un escamotage dei soldi.

È un sacrificio quello di un magistrato che, nella sua ricerca di indizi soprattutto nella sua proposizione all’autorità della società di quel che si debba fare di un individuo, tenga conto della persona; perché non può un magistrato favorire una tendenza attiva che massacri la speranza di un popolo.

«La croce [il sacrificio] si oppone alla vita […] tale quale [noi] la sogniamo […]. Non si oppone alla vita tale quale è»

Sacrificio: condizione per il possesso del vero

115 – Ada Negri (in “Mia giovinezza“) […] ci ha dimostrato come il mistero dell’Essere implichi questa conversione del concetto di sacrificio e dell’atteggiamento di fronte ad esso.

Il mistero dell’Essere che si attua in questa valorizzazione del sacrificio, più che in qualsiasi altra situazione o posizione, è la conferma della positività di tutto quello che l’uomo ha davanti a sé.

122 -125 – (Sacrificio) è la parola più interessante e più determinante i nostri stati d’animo o le nostre impressioni o definizioni del nostro movimento: è il sacrificio che viene operato immettendo la propria vita nella realtà di una compagnia – della famiglia, per natura, o di una compagnia di uomini -.

Perché la famiglia e la compagnia degli uomini indicano come condizione di vita qualcosa d’altro.

Per questo noi abbiamo detto che «non c’è sacrificio più grande che dare la vita per l’opera di un altro».

Se è essenzialmente dare la vita per l’opera di un Altro, il sacrificio è un atto d’amore.

Perché questo è amore: dare la vita per l’opera di un Altro è amore.

Il sacrificio è atto d’amore, in quanto affermazione della positività di tutto il vivere, sia come riconoscimento dell’Ente supremo.

123 – Il sacrificio non è la difficoltà, ma è il punto di partenza per affrontare tutte le nostre opere, nei rapporti con le cose e con gli uomini.

Il sacrificio non è la difficoltà, ma un punto di partenza per affrontare tutte le difficoltà, cioè è affermazione positiva dell’Essere.

Per fare un sacrificio occorre vedere, intravedere, una positività.

Il sacrificio per il sacrificio, come negazione, come mutilazione, non può essere concepibile.

Ma chi non fa il sacrificio in un rapporto non ha in mano il rapporto, non l’ha ancora attuato.

L’appartenenza a un movimento, o a una realtà sociale nella misura in cui interessa la vita e «pretende» di decidere della vita, rende possibile una educazione (uno sviluppo della coscienza dell’uomo) a capire che la realtà, nella sua sollecitazione o nella sua provocazione, mira ad una positività: la positività dell’Essere.

124 – Comunque, il fattore oggettivo che il Mistero colloca nella dinamica delle cose, la modalità con cui il Mistero comunica la dinamica di tutte le cose, è proprio il sacrificio.

Il sacrificio assicura la positività della vita, dell’essere, dell’esistere.

125 – Per questo il sacrificio è obbedire: nel senso che la realtà non la faccio io, quello che sono non l’ho fatto da me, tutto quello che mi è dato è condizione per una coscienza maggiore, più profonda, di tutto quello che facciamo.

Per questo il sacrificio è obbedire, e parte da questo «pre-concetto» o «pre-giudizio»: il «dato», l’opera di un altro.

«Offerto» significa che non c’è sacrificio più grande che dare la proprio vita per l’opera di un Altro.

Segno

39 – Perciò per noi, per l’uomo che Egli sceglie, i valori attraverso cui giudicare sono quelli attenti alla parola del Verbo in quanto presenza di Gesù: in quanto Presenza ora.

Ma questa è la comunità della Chiesa cui si appartiene; essa è il volto di quella Presenza, o ciò in cui il volto di quella Presenza si rende sensibile, diventa segno, ma un segno che contiene ciò di cui è segno.

La comunità della Chiesa è il luogo dove l’avvenimento della presenza di Cristo si rinnova, è nuovo, rinasce.

Il metodo che il Mistero ha usato per darsi, per svelarsi alla sua creatura, è il metodo sacramentale: segno che contiene il Mistero di cui è segno.

La comunità della Chiesa è l’aspetto di questo segno, è l’aspetto visibile di quella faccia; è la veste di quella Presenza, come la veste di Gesù per i bambini piccoli che stavano vicino a Lui.

80-84 – Se l’uomo cede alle ideologie dominanti, insorte nella mentalità comune, si verifica una lotta, una divisione, una separazione tra segno e apparenza; da ciò consegue la riduzione del segno ad apparenza.

Il segno è l’esperienza di un fattore presente nella realtà che mi rimanda ad altro.

Il segno è una realtà sperimentabile il cui senso è un’altra realtà; esso rivela il suo significato conducendo ad un’altra realtà.

Non sarebbe ragionevole, umano, perciò, esaurire l’esperienza del segno nel suo aspetto percettivamente immediato o apparenza.

L’aspetto percettivamente immediato di una qualunque cosa, l’apparenza, non dice tutta l’esperienza che abbiamo delle cose, perché non ne dice il valore del segno.

La grande tentazione dell’uomo è esaurire l’esperienza del segno, di una cosa che è segno, interpretandola soltanto nel suo aspetto percettivamente immediato.

81 – L’idea di segno fa entrare operativamente nella vita il significato delle cose.

Mistero (cioè Dio) e segno (cioè la realtà contingente in quanto sempre rimanda ad altro; anche un sasso piccolissimo, per essere se stesso, rimanda alla sorgente dell’Essere), Mistero e segno, in un certo qual senso, coincidono: nel senso che il Mistero è la profondità del segno, il segno indica la presenza del Mistero profondo, del Dio creatore e redentore, del Dio Padre.

Il segno indica ai nostri occhi la presenza di altro, del Mistero profondo, di tutte le cose, la segnala ai nostri occhi, alle nostre orecchie, alle nostre mani.

Il Mistero si rende esperienza attraverso il segno.

E quando il cristiano scopre che tutta la realtà è costruita da questo metodo di Dio, comprende meglio il valore dei sacramenti.

83 – Il sacramento si differenzia da tutti gli altri segni.

Nei sacramenti, inventati, creati da Cristo per generare un popolo nuovo nel mondo, […] il segno giunge fino alla completa identità col Mistero. Come nell’Eucarestia. Ma in tutti i sacramenti c’è questo riferimento totalizzante: il segno coincide con il Mistero in senso proprio.

84 – Il comunicarsi del Mistero implica un metodo sacramentale.

Tutto è segno di Lui, e l’estremo lembo di questo metodo, è il sacramento della sua presenza nel mondo, perché ogni sacramento è la presenza nel mondo di Cristo morto e risorto.

Si chiama Chiesa, Corpo mistico di Cristo, ciò che viene generato e cambiato sotto l’impulso, la luce e la tenerezza del Battesimo e degli altri sacramenti.

Dio ha concepito il rapporto con il creato come rapporto con un immenso esercito di segni: tutto è segno di Lui.

L’eliminazione del segno implica, per un verso come causa e per l’altro come conseguenza, la riduzione del cuore a sentimento.

96 – La fede, come atteggiamento che l’uomo vive nei confronti di Dio, non è generica: è fede in Cristo, il Segno di tutti i segni.

Gesù non concepiva l’attrattiva sugli altri come un riferimento ultimo a sé, ma al Padre: a sé perché Lui potesse condurre al Padre, come conoscenza ed obbedienza.

127-128 – Cristo, come uomo ragionevole, è stato concepito dal Mistero come il momento totalizzante della storia dell’universo, nel tempo e nello spazio dell’universo e in tutta la storia dell’uomo.

Cristo è il Segno con cui il mistero coincide totalmente, realmente.

Rifiutare Cristo è diventare prigionieri di un preconcetto nell’uso delle cose.

128 – Cristo è il Segno con cui il Mistero coincide, nella realtà e nella storia, nell’universo intero e nella storia dei popoli.

166-167 – Se Dio è diventato uno di noi per renderci capaci di esistere bene, cioè di vivere la fede in Cristo, la condizione è l’accoglienza di Cristo, il riconoscere la nostra appartenenza a Cristo, e quindi la convivenza con Lui, cioè l’intima partecipazione agli avvenimenti della vita, per guardare l’altro uomo come parte di sé realizzata nel profondo della comunione: dal profondo dei nostri esseri ontologicamente uniti dal Mistero comunicato nel segno sacramentale, tale comunione si organizza nel segno sacramentale supremo che è la Chiesa.

172-173 – Un popolo che è creato e condotto da Dio attraverso taluni che Dio lascia esprimere con forza dilatante.

Questo popolo , nel suo colmo, è segno sacramentale della presenza di Cristo (segno sacramentale vuol dire che il segno non solo si identifica nello spazio con il Mistero, ma che il contenuto di cui è segno si attua, è attuato).

Seguire

54 – Il peccato è seguire un estraneo, cioè seguire un’attrattiva che non porta al destino, una risposta che è fuori strada.

Il peccato è proprio seguire una risposta che non corrisponde al desiderio di felicità, al desiderio di compimento che il mio cuore è.

92 – Si vive il carisma quanto più si paragona tutta la propria vita all’ideale del carisma stesso, così come lo affermano coloro che sono riconosciuti dalla Chiesa come garanti per essa della verità del dono dello Spirito: seguire loro è un’ultima obbedienza che cerca di incarnare fino agli ultimi capillari l’imitazione di Cristo e la fedeltà alla Chiesa.

123-124 – L’appartenenza a un movimento [….] mira a una positività: alla positività dell’Essere. Seguire il carisma rende più fattibile il riconoscimento di questa positività

Semplicità di cuore

98 – Aderire con la propria libertà significa, per l’uomo, accettare con semplicità quello che la ragione percepisce come eccezionale, con quella immediatezza certa, come avviene per l’evidenza inattaccabile e indistruttibile di fattori e momenti della realtà, così come entrano nell’orizzonte della propria persona.

Così, l’avvenimento di Cristo è immediatamente sperimentato come eccezionale perché è eccezionale; ma per coglierlo nella sua diversità occorre che la ragione, con semplicità, immediatamente accetti, riconosca quello che avviene, quello che è avvenuto, con l’immediatezza certa che si ha di fronte a ogni evidenza della realtà.

Perché prima di tutto, prima del giudizio che Giovanni dà di quell’Uomo, che Pietro dà di quell’Uomo, prima del loro giudizio e della loro adesione, prima c’è questa semplicità, c’è questo cuore semplice, ci sono questi occhi semplici, questa tensione, questo desiderio semplice che è aperto a recepire, che è nella possibilità di recepire con chiarezza quello che ha incontrato, l’aspetto della realtà in cui si è imbattuto.

125-126 – Nella semplicità del mio cuore, lietamente Ti ho offerto tutto. «Offerto» significa, come diciamo nella nostra definizione, che non c’è sacrificio più grande che dare la propria vita per l’opera di un Altro.

L’osservazione sui bambini è veramente interessante, perché tutta la loro resistenza al dolore che ne scaturisce non toglie, non strappa il primo impatto che hanno di fronte alle cose: entrano nelle cose con gli occhi sgranati, con tutto il loro impeto, e quando il dolore li colpisce, non necessariamente abbandonano questa semplicità dell’origine.

129 – La semplicità dei bambini è la verità del nostro aderire alla fede, dell’aderire della nostra fede a ciò che la Chiesa dice, che la tradizione cristiana porta a noi, che la Chiesa, nel movimento, ci dice: la semplicità è l’atteggiamento del bambino che va davanti alle cose senza «ma», «se» e «però», va davanti alle cose, le tocca o le tratta, con immediatezza.

Senso della vita

73-74 – Vi è una irreligiosità nel nostro mondo che inizia, senza che nessuno se ne accorga, da un distacco che si opera tra Dio come origine e senso della vita e Dio come fatto di pensiero, fatto del pensiero, concepito secondo le esigenze del pensiero dell’uomo.

Ciò si riconduce a un distacco del senso della vita dall’esperienza.

La negazione di Dio […] implica un distacco del senso della vita dall’esperienza: il senso della vita è Dio e l’esperienza è il rapporto tra la libertà dell’uomo e la realtà in cui egli si trova immerso.

Se Dio è concepito distaccato dall’esperienza, se non incide sulla vita, vi è un distacco del senso della vita dall’esperienza.

Il senso della vita, cioè, non ha più nessun rapporto o ha un difficilmente definibile rapporto con il momento dell’esistenza in cui uno pure sta camminando.

74 – Il distacco del senso della vita dall’esperienza implica anche un distacco della moralità dall’azione dell’uomo: la moralità, così concepita, non ha la stessa radice dell’azione. In che senso? Nel senso che la morale c’entra sì con l’azione dell’uomo, c’entra con l’esperienza, ma senza avere la stessa radice dell’azione: non risponde alla fisionomia, al volto che ci dà l’esperienza.

Senso religioso

96-97 – La fede, come atteggiamento reale che l’uomo vive nei confronti di Dio, non è generica: è fede in Cristo.

La fede in Cristo supera e rende più chiaro il senso religioso del mondo.

La fede svela l’oggetto del senso religioso, cui la ragione non può accedere.

97 – La fede in Cristo è conoscere una Presenza eccezionale, essere colpiti da essa e, quindi, aderire a quello che essa dice di sé.

La fede perciò è un gesto che ha come suo punto di partenza la ragione.

Vale a dire, il punto di partenza della fede è la ragione come coscienza della realtà, cioè il senso religioso dell’uomo.

99-100 – Nell’epoca moderna il razionalismo, perdendo la vera natura della religione, rende abituale la confusione tra senso religioso e fede, evacuando così anche la vera natura della fede.

Il razionalismo moderno, che si impone all’uomo di oggi, nella società di oggi, come privilegiato criterio, rende normale la confusione tra senso religioso e fede, negando anche la vera natura della fede, che è quella di un giudizio cui la libertà si unisce: l’affettività compie il contenuto di questo giudizio.

100 – La confusione tra senso religioso e fede rende confuso tutto. Il crollo della fede nella sua natura vera, com’è nella Tradizione, cioè nella vita della Chiesa, il crollo della fede come riconoscimento di «Cristo tutto in tutti», come adeguazione a Cristo e imitazione di Cristo, ha dato origine allo sconcerto moderno, in quale si rivela in vari ed identificabili aspetti.

120-121 – «In un passaggio di ieri, tu hai detto che uno degli esiti più impressionanti della mentalità moderna, del razionalismo moderno, è la confusione tra il senso religioso e la fede. Potresti aiutarci ad approfondire questo aspetto?».

Il razionalismo tende a concepire la ragione come luogo della verità: la verità è quello che la ragione ammette, e così essa finisce con l’idealizzare ciò che sente.

Il senso religioso è identificato così con un sentimento: è un sentimento, vago o deciso, ma è un sentimento, non è una ragione, non ha ragioni particolari, vale a dire non è una realtà che si raggiunge come conoscenza, abbandonando i primi passi più istintivi, più meccanici.

121 – Il senso religioso non è un sentimento, non è un complesso di sentimenti. La ragione c’entra, perciò. Il senso religioso è originalmente agli inizi della vita della ragione, cioè della vita cosciente dell’uomo, si pone agli inizi: è implicito nella sua identificazione con la natura stessa dell’uomo.

Il senso religioso non è un sentimento e la ragione non è una attività estranea ad esso.

Sentimento

84-85 – L’eliminazione del valore del segno implica, per un verso come causa e per l’altro come conseguenza, la riduzione del cuore a sentimento.

Noi prendiamo il sentimento invece che il cuore come motore ultimo, come ragione ultima del nostro agire.

Che cosa vuol dire? La nostra responsabilità è resa vana proprio dal cedere all’uso del sentimento come prevalente sul cuore, riducendo così il concetto di cuore a quello di sentimento.

Invece, il cuore rappresenta e agisce come il fattore fondamentale dell’umana personalità; il sentimento no, perché preso da solo il sentimento agisce come reattività, infondo è animalesco.

85 –

Il cuore indica l'unità di sentimento e ragione.

Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l’ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quel che si chiama affezione.

È il cuore la condizione dell'attuarsi sano della ragione.

La condizione perché la ragione sia ragione è che l’affettività la investa e così muova tutto l’uomo.

Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell'uomo.

121 – (Nell’epoca moderna) Il senso religioso è identificato con un sentimento: è un sentimento, vago o deciso, ma è un sentimento, non è una ragione, non ha ragioni particolari, vale a dire non è una realtà che si raggiunge come conoscenza, abbandonando i primi passi più istintivi, più meccanici.

Il senso religioso, invece, non è un sentimento, non è un complesso di sentimenti.

La ragione c’entra, perciò.

Il senso religioso è agli inizi della vita della ragione, cioè della vita cosciente dell’uomo, si pone agli inizi: è implicito nella sua identificazione con la natura stessa dell’uomo.

Il senso religioso non è un sentimento e la ragione non è una attività estranea ad esso.

Ora la fede è riconoscimento di una Presenza.

Questo non è un sentimento, anche se implica tanto sentimento, non è definibile come sentimento.

La presenza riguarda gli occhi, l’emozione che provoca: ci sono di mezzo gli occhi, il cuore in quel che si prova.

Esprime non un suo modo di sentire, ma un suo modo di vedere, che è razionale, è l’inizio della vita, di un cammino razionale.

Spiritualismo

105 – Lo «spiritualismo» è la fede giustapposta alla vita: così la fede non è più ragione illuminante o forza operante della vita.

Ogni spiritualismo non può che parlare della Resurrezione di Cristo in modo sentimentale: devozione di un ricordo, non memoria di una presenza.

Il modo sentimentale, devozionale, con cui la Resurrezione di Cristo è trattata e ridotta è il sintomo più grave e cospicuo dello spiritualismo nella sua incidenza sul popolo e sulla Chiesa tutta.

108 – Spiritualismo – «Chiesa senza mondo» vuol dire, infatti, «Chiesa Corpo di Cristo» e «Cristo» senza la versione quotidiana in cui si cala e prende forma l’io umano: in questo senso, resta una Chiesa astratta o una concezione astratta della vita.

Ma se la Chiesa è senza mondo, questo mondo tende ad essere senza l’io: vale a dire è un’alienazione.

Storia

45-47 – Infine, l’atteggiamento e il comportamento di Gesù verso la storia.

46 – Noi dobbiamo imitare Gesù nel suo comportamento verso la storia, perché la gloria umana di Cristo è da noi riconosciuta come il senso della storia, della nostra esistenza personale e del suo contesto totale, che si chiama storia.

Come per Gesù il senso della storia era il compiersi della volontà del Padre, per l’uomo il senso della storia è Cristo, la gloria umana di Cristo; imitare Gesù è quindi vivere lo scopo di ogni azione come affermazione del senso della storia, che è Gesù Cristo stesso, la gloria umana di Cristo.

Vivere la gloria umana di Cristo si chiama testimonianza.

La fine della storia sarà il giorno in cui tutto l’universo umano sarà costretto a riconoscerlo.

Ogni tempo nella storia, ogni misura di tempo «merita», cioè si proporziona all’eterno, nella misura in cui vive la memoria di Cristo.

Perciò la moralità cristiana implica che l’impegno sociale, culturale e politico sia educato, quindi maturi, nell’ideale concreto di un richiamo e di un aiuto alla memoria di Cristo, e quindi al senso della storia come significato del tempo e dei rapporti.

50 – Il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia.

60 – Ogni rapporto è amicizia in quanto è un dono, rappresenta o ha la possibilità di essere un dono, che ci arriva da Dio, o da Cristo, o dalla Chiesa, o dalla storia dell’uomo: è un dono, l’amicizia, che noi ospitiamo.

83 – Nei sacramenti, inventati, creati da Cristo per generare un popolo nuovo nel mondo – che fluisca come un fiume nelle acque del mare dell’umanità, come iniziale svelarsi dentro la storia del Mistero infinito a cui l’uomo va incontro ai termine dei suoi giorni: è l’inizio, nella storia, dell’eterno -, nei sacramenti , creati da Cristo, dall’uomo Dio, da Dio diventato uomo.

88 – Il Papa, nella sua enciclica Dives in Misericordia, dice che la misericordia nella storia dell’uomo ha un nome: Gesù Cristo.

Il giudizio di Dio è misericordia.

102 – Il razionalismo sostiene «dogmaticamente» che Cristo Dio, come tale, non si può afferrare nella materialità dell’uomo, cioè nella storia (Il cui flusso invece è condotto dal Mistero).

111 – La moralità nuova è il riconoscimento amoroso di una Presenza connessa con il destino che continua nella storia.

Tutta la storia precedente dà forza a questa evidenza – perché è una evidenza!

È da una evidenza che sorge il «sì» di Pietro, prende corpo.

127-128 – Cristo, come uomo ragionevole, è stato concepito dal Mistero come il momento totalizzante della storia dell’universo e in tutta la storia dell’uomo.

128 – Cristo è il Segno con cui il Mistero coincide, nella realtà e nella storia, nell’universo intero e nella storia dei popoli.

151-152 – La storia è il tempo e lo spazio che navigano trascinando l’uomo verso il suo destino.

Tutta la storia di tutto il mondo diventa chiara in un filone che parte da un uomo della Mesopotamia, Abramo.

152 – Abramo è stato la sorgente di questa purissima idea di Dio che tutta la storia ebraica ha avuto.

La modalità della elezione, o scelta, o privilegio, svela il modo particolare, implicato in avvenimenti di storia reale, della comunicazione all’uomo di quello che il Mistero è.

Il processo della elezione entra nella storia con potente pretesa di essere magistero per tutto il mondo.

155 – La decisione del Mistero di scegliersi un popolo è un «rischio» cui il Mistero stesso si abbandona.

Il tempo che passa diventa un avanzarsi della storia.

La storia è fatta di avvenimenti: Abramo, Isacco, Giacobbe.

159 – Nella vita e nella coscienza del popolo ebraico c’era un vuoto: l’attesa di come Dio avrebbe usato di loro per raggiungere gli altri uomini.

La risposta di Dio è stata più potente della conoscenza pura del Dio e dell’avvenimento incomprensibile, terribile, del peccato originale: l’annuncio di un fattore nuovo entra nella storia dell’uomo.

168 – Il popolo scelto, gli uomini chiamati si giocano, sono giocati tutti in questa appartenenza a Cristo, il Dio fatto uomo, il Dio che è emerso nella storia dell’uomo come un uomo qualsiasi, che è stato ucciso per il popolo e che è risorto da morte, a cui il Mistero ha comunicato la forza, cioè lo Spirito, ha comunicato se stesso, ha comunicato il potere sopra ogni cosa.

177-179 – Occorre amare Cristo in tutte le circostanze inevitabili della nostra vita, nel modo della sua dinamica e nel modo della sua affettività.

Così è concepito l’estremo passaggio della coscienza dell’appartenenza al significato dell’essere, del cosmo e di tutta la storia, che è il Giudizio finale.

È il Padre che stabilisce il disegno misterioso, in cui la storia del popolo cristiano conosce i tempi buoni e cattivi, analogamente al fluire della storia del popolo ebraico.

178 – La differenza più evidente dell’uomo cristiano come mentalità, cioè intelligenza e amore, da chi non appartiene a Cristo è il fatto che egli vive le condizioni dell’esistenza e della storia a partire da una certezza positiva su tutto: è impossibile mantenere questa posizione, se non nell’avvenimento cristiano.

179 – Questo è il testi della fede! La fede in Cristo è riconoscere Cristo presente, fondamento della nostra speranza: in qualsiasi caso, anche di fronte alla morte.

Così è concepito l’estremo passaggio al significato dell’essere del cosmo e di tutta la storia, che è il Giudizio finale: l’estremo passaggio al significato, cioè l’estrema risposta a tutto il problema dell’appartenenza.

Storicità

150 – L’appartenenza a Dio, come suo fattore essenziale, implica la storicità; storicità vuol dire persone, cose che conosciamo, che si possono toccare vedere; vuol dire e che, proprio essendo nostre possiamo manipolare.

L’appartenenza a Dio, come suo fattore essenziale, implica storicità: questo è stato il genio del Creatore, il quale ha fatto sentire la sua signoria in un certo modo.


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