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Lettera «C»
- Cambiamento/cambiare
- Carisma
- Carità
- Chiesa
- Compagnia/comunità
- Comunione
- Condivisione
- Convenienza
- Conversione/convertire
- Coscienza
- Cultura
- Cuore
Cambiamento/cambiare
24 – «Cambiate il cuore, cambiate il modo di concepire, di valutare e di sentire»
Mt 4,17
La metànoia, il cambiamento nel sentimento di sé, questa è la partenza. E il vertice di questo cambiamento, il frutto supremo di questo cambiamento, è la capacità di perdono.
31 – «Fulmina le mie povere emozioni«, non lasciarmi dentro la vanità dell’emozione, «liberami dalla inquietudine», che è il contrario del vero desiderio di cambiamento, «sono stanco di urlare senza voce». Un grido senza contenuto: questa è l’inquietudine rispetto al desiderio ci cambiamento.
42 – È nel grido e nella domanda di perdono che quel qualcosa di grande che abbiamo percepito commuove la nostra vita, la muove, la mette in movimento. Inizia così un cambiamento, con un orizzonte ancora ignoto.
49-51 – L’Inno della Quaresima che abbiamo cantato adesso, Liberati dal giogo del male, è uno degli inni che mi piacciono di più perché veramente descrive questo moto, questo movimento, questo cambiamento che la coscienza seria di Cristo, che lo sguardo serio a Cristo porta in noi.
51 – Questo cambiamento, questo mutamento, questa conversione è, infatti, destinata alla gioia, una gioia senza fine, ma una gioia che incomincia in questo mondo.
56-57 – La gente che aveva curiosità di Lui, era curiosa perché era gonfia di qualcosa da domandare, anche se non ci pensava, anche se non pensava di domandare, come Zaccheo, perché quella curiosità era domanda di cambiamento.
Questa è la miseria, il non chiedere!
Chiedere, questo è realmente l’inizio reale del cambiamento, del mutamento, è l’inizio della conversione.
108-109 – Che cosa rende incontro tutte le volte che vi vedete, tutte le volte che vi telefonate? Ciò che lo rende incontro è la coscienza dello scopo. Se c’è questo incontro, allora il desiderio di cambiamento viene continuamente messo sotto pressione.
109 – È una tensione a qualcosa d’altro, che si svela nella promessa – il desiderio di cambiamento è proprio l’accendersi della promessa – ed è incontrato nella storia, perché nella nostra Fraternità e nella nostra compagnia il Signore non lascia mai mancare innumerevoli esempi e testimonianze di questa novità di vita e di cose.
113 – Concedici o Signore, «un generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina», verso quel cambiamento che esploderà alla fine della nostra vita e che vedrà tutto il mondo, perché coinciderà col cambiamento e la trasfigurazione del mondo.
184 – Siamo uomini non perché siamo robot o creiamo stabilimenti o facciamo questo e quest’altro, ma per questo cambiamento.
Il lavoro umano è solo questo: spalancarsi ad accogliere l’azione dello Spirito di Cristo e vivere creando umanità nuova, rapporti con gli altri, in vista di questo cambiamento, per questo cambiamento.
198-199 – È il cambiamento della nostra vita, è il nostro cambiamento il segno o la meraviglia del Suo amore.
199 – Il cambiamento della mia vita, e il fatto di una compagnia che non avrebbe paragone, non ha paragone, anche se è così appesantita dalla miseria di tutti i singoli – appunto, ognuno di noi sarebbe pietra scartata dai costruttori -, è un miracolo.
226-227 – Questa è la vita: che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Cristo.
In questo riconoscimento di Cristo sta la conversione.
227 – Questa conversione ci cambia alla radice, agisce in noi e con il tempo ci cambia, cambia il modo di pensare, cambia il modo di giudicare, cambia il modo di atteggiarci, cambia il modo di comportarci: Cambia! Siamo tali e quali, ma cambiamo.
metànoia
24 – La metànoia, il cambiamento nel sentimento di sé, questa è la partenza. e il vertice di questo cambiamento, il frutto supremo di questo cambiamento, è la capacità di perdono.
165 – La metànoia è una concezione diversa della vita e del mondo che nasce là dove si riconosca chela realtà e la vita sono in funzione della volontà di Dio, del Padre: «Venga il tuo regno»!
Carisma
190 – Si chiama «movimento» quella realtà che si è sviluppata da un incontro in cui la fede ti è apparsa, anche timidamente, in modo più persuasivo, più pedagogico, più edificante. Si chiama «carisma» la modalità con cui la Chiesa diventa viva.
Si chiama carisma la modalità per cui, di fatto, nella tua vita, la fede della Chiesa ti ha raggiunto in un modo che ti ha mosso, ti ha mosso persuasivamente, pedagogicamente, costruttivamente.
«I carismi dello Spirito sempre creano delle affinità» – uno si sente attratto, vicino – «destinate ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito nella Chiesa». cioè nella vita.
Carità
191 – Dopo preghiera e sequela, ecco la seconda condizione – che corrisponde a quella della verginità -, che è la carità, cioè la condivisione: usiamo il nostro termine, condivisione.
Vale a dire la Fraternità deve diventare una educazione alla capacità di sentire la vita dell’altro come parte della propria.
240-241 – Questa adesione profonda a Cristo fa sì che ogni azione diventi, o tenda a diventare, un amore, una affezione profonda.
Usiamo la parola cristiana: una carità.
È l’amore alla grande Presenza, senza la quale l’uomo si intorbida nei suoi tornaconti, di qualsiasi tornaconto si possa trattare.
«La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai un limite»
1 Cor 13,4-8
251 – La caritas è l’amore a Cristo, è il riconoscimento, nel lavoro di ogni giorno, nella fatica e nel rischio di ogni giorno, che tutto gli appartiene.
265-266 – «Al di sopra di tutto sia la carità, che è la perfezione della persona.»
La carità è riconoscere Cristo. La gratuità assoluta, la carità come gratuità totale è riconoscere che Dio è diventato uno fra noi.
266 – «Al di sopra di tutto sia la carità, che è il vincolo della perfezione. e la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo, e siate pieni di gratitudine!»
Col 3,14-15
Chiesa
98-99 – Noi apparteniamo al gruppo che frequentiamo, perché il mistero di Cristo e perciò il mistero del Suo corpo misterioso che è la Chiesa, si identifica nella contingenza storica della compagnia in cui il Signore ci ha dato la grazia di trovarci, attraverso la quale l’autorità giunge al nostro cuore e lo richiama, lo sollecita e lo sostiene, lo aiuta nel grande passaggio.
Se tu nella tua famiglia, nella tua casa, non cerchi di vivere questa coscienza d’appartenenza al mistero di Cristo e della Chiesa, tutto si restringe.
Ma il mistero di Cristo e della Chiesa rimane astratto e totalmente interpretabile dal tuo momento, dal momento del tuo stato d’animo, se non è obbedienza al cammino che stai facendo con quel piccolissimo brano di mistero di Cristo e di Chiesa che ti stringe ai fianchi.
99 – Quindi la prima condizione di questa compagnia è che appartenga, a sua volta, alla grande compagnia della Chiesa, che la tua Fraternità o il tuo gruppo o la tua comunità appartenga, viva la coscienza dell’appartenenza alla Chiesa, come la Chiesa vive e non può non vivere la sua appartenenza a Cristo.
.. e siamo grati al Papa e a chi ha attuato la cosa, siamo profondamente grati perché la Chiesa ha riconosciuto la nostra appartenenza ad essa.
101-102 – Dobbiamo sviluppare la coscienza dell’appartenenza a qualcosa di più grande, la coscienza dell’appartenenza a Colui che è tra noi, la coscienza dell’appartenenza al grande mistero della Chiesa, ciò per cui la storia è fatta, insistevamo i Padri, ciò per cui il mondo è stato creato: Cristo, nella sua Chiesa, perché non la si può più strappare da essa, non si può concepire Cristo senza questo dinamismo di cammino verso la sua pienezza, dice san Paolo, che è la Chiesa, la pienezza di Cristo.
102 – Capite il valore di una battaglia per la libertà di educazione che nessun altro fa? Se noi non ci fossimo mossi, nessun altro lo avrebbe fatto.
Questo è servire il mistero della Chiesa.
Bene sappiamo che il Popolo di Dio ha ora, storicamente, un nome a tutti familiare: è la Chiesa.
190 – Si chiama «carisma» la modalità con cui la Chiesa diventa viva.
La Chiesa come istituzione è come l’alveo, in cui però ci deve essere l’acqua, altrimenti uno crepa.
Si chiama carisma la modalità con cui storicamente, di fatto, nella tua vita, la fede della Chiesa ti ha raggiunto in un modo che ti ha mosso persuasivamente, pedagogicamente, costruttivamente.
«I carismi dello Spirito sempre creano affinità destinate ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito nella Chiesa», cioè nella vita.
258 – «La Chiesa stessa è un “movimento”»
GPII . Omelia alla santa Messa per i partecipanti al convegno “Movimenti nella Chiesa” Castelgandolfo 27-9-1981
Compagnia/comunità
65-66 – Come ho detto prima, perché questo sussista e resista bisogna che l’istante, il momento, viva in quella compagnia cui siamo destinati e in cui sta il nostro compimento, la nostra felicità, che è la compagnia per cui esistiamo, in quanto essa ci crea: in questo momento io sono fatto da essa.
70-72 – Perciò, per noi che abbiamo conosciuto il Suo volto, come sarebbe terribile il delitto che passassimo le nostre ore, le nostre giornate, il nostro tempo senza il riconoscimento della Sua compagnia, senza memoria.
Questa affezione, che ci fa tendere a Cristo, ci fa vivere la Sua memoria, cioè ci fa vivere il sentimento della compagnia: «Ti riconosco presente a me e tra di noi, Ti offro…»; l’offerta è come il frutto immediato di questa affezione.
71 – Soltanto nell’umiltà di chi è profondamente teso a Cristo, ama Cristo, vive l’affezione al Mistero che lo crea, lo attende e lo accompagna, solo per chi è in questa umiltà la compagnia risalta in tutta la sua provvidenzialità.
La compagnia è la grazia, il segno fisico della grazia, di una grazia senza fondo e senza termine, perché la compagnia è il luogo dei profeti, è il luogo della Sua parola, è il luogo dove la Sua parola ferisce, […] facendo luce.
Solo l’umile non si scandalizza che la compagnia sia fatta tutta da gente come me, come lui, e guarda soltanto all’aiuto pieno di forza che attraverso di esso il Signore gli dà, perché Cristo agisce in me, su di me, attorno a me, nel mondo, attraverso questa compagnia che Lui continuamente crea.
72 – Allora amare Dio, l’affezione a Cristo, che è l’essenza della moralità, si rivela come affezione alla compagnia, come devozione alla compagnia, come ascolto; si rivela come sequela.
85 – Intervento: «Il frutto più grande dell’esperienza della Fraternità è per me una ridecisione più netta per il movimento come luogo oggettivo in cui vivere Cristo, in cui Cristo mi ha preso e mi accompagna. È una riscoperta elementare della dimensione della comunità, cioè dell’essere insieme, come condizione fondamentale dell’appartenenza»
88 – Intervento: «Questa compagnia, senza la quale non si ha la capacità di rispondere sempre, è una presenza che spesso mi viene portata dal alcune persone del movimento, da mio marito, da quella vita che tante volte attraverso di loro traspare. Il Signore ci conduce per mano perché noi possiamo arrivare a lui e guardarlo. Ci sono cose obbligate che il Signore ci fa vivere, e alcune di queste vie, quelle che io adesso vedo più importanti per me, sono «l’essere per», L’essere per quello che in quel momento ti chiede di essere presente. Ecco, quella persona, quella malattia, quel bisogno è tutta l’espressione di Lui. «Essere per», che poi vuol dire essere obbedienti, affidarsi, vivere sapendo cha Qualcuno ti conduce.»
Questa fede, che ha creato la nostra compagnia, che la nostra compagnia vive, questa fede è l’ipotesi di lavoro per la vita, è l’ipotesi di lavoro che diventa legge della vita perché tutto diventa positivo, come abbiamo visto anche ora. […] La fede rende positivo in modo assoluto l’istante.
95-96 – Lo spazio del tuo rapporto con la moglie o col marito, lo spazio del tuo rapporto coi figli, lo spazio del tuo rapporto con l’ambiente di lavoro, con l’oggetto del lavoro e la compagnia del lavoro, lo spazio del tuo rapporto con la società in cui vivi, nella tua città, nel tuo paese, nella nazione intera, lo spazio del tuo sguardo al passato e lo spazio della lettura che fai, questo spazio è senza paragone più grande di quello che tu puoi pensare, di quello che naturalmente senti.
L’autorità è l’avvenimento di Dio tra di noi, è l’avvenimento in cui Dio si rende vicino, si rende compagnia che richiama senza tregua. L’autorità è la grande amicizia.
98-108 – La comunità è l’avvenimento cui apparteniamo, è l’aspetto visibile e sensibile del fatto cui apparteniamo, e il fatto cui apparteniamo è Dio fatto uomo, Cristo.
Certo, noi non apparteniamo al gruppo con cui siamo affiatati, apparteniamo a Cristo.
Ma noi apparteniamo al gruppo che frequentiamo, perché il mistero di Cristo e perciò il mistero del Suo Corpo misterioso che è la Chiesa si identifica nella contingenza storica della compagnia in cui il Signore ci ha dato la grazia di trovarci, attraverso la quale l’autorità giunge al nostro cuore e lo richiama, lo sollecita e lo sostiene, lo aiuta nel grande passaggio.
99 – La prima condizione di questa compagnia è che appartenga, a sua volta, alla grande compagnia della Chiesa.
C’è una caratteristica sintomatica della nostra compagnia, della verità e della bontà della nostra Fraternità, ed è la gratuità del motivo ultimo.
La gratuità del motivo ultimo è l’affermazione, nella contingenza, nel momento umano che viviamo, dell’ideale, cioè di Cristo.
100 – È questo il valore della comunità: perché l’autorità agisce nella comunità. E quando la comunità sembrasse o fosse sprovveduta di fenomeni naturali, […] in quel caso la stessa comunità, in quanto continua una storia, è l’ultimo spalto, l’ultima trincea dell’autorità, l’ultimo luogo dell’autorità.
La compagnia, fosse fatta tutta da gente come te e come me, fosse fatta tutta da gente senza spicco, senza colore, senza voce, senza autorevolezza, la comunità in quanto appartiene al grande fatto che è iniziato tra di noi, o è a monte di noi, e scende lungo il tempo fino a noi, la compagnia come tale, in quei momenti è la strada.
Certo, in quei frangenti, se la compagnia è senza persone e fatti autorevoli, aiuterà di meno, però è la strada.
101 – La comunità come tale, in quanto appartiene al fatto del movimento come tale, è l’ultimo aspetto dell’autorità.
Allora, di fronte all’autorità e alla comunità, come aiuto al grande passaggio dalla nostra naturalezza, destinata alla morte, a Cristo, che è il principio dell’eternità in noi; di fronte all’autorità e alla comunità, quello che dobbiamo sviluppare in noi è ciò cui ho già accennato tante volte: la coscienza dell’appartenenza.
Dobbiamo sviluppare la coscienza dell’appartenenza a qualcosa di più grande, la coscienza dell’appartenenza a Colui che è tra noi.
102 – Ecco, la nostra compagnia è l’inizio della consapevolezza di appartenere a questo Popolo, tutto il significato della nostra compagnia è l’appartenenza a questo «vero Popolo di Dio».
103 – Ed è veramente compagnia che educa l’appartenenza a questo popolo, se tu vivi l’appartenenza ad essa. Allora la regola suprema è la sequela.
Sequela vuol dire che, non la convenienza «umana», ma la mia vera convenienza coincide con una obbedienza.
Fra la stima di Cristo e la sua attuazione nella vita c’è di mezzo quello che chiamiamo «regola».
La regola è ancora la compagnia, ma è la compagnia in quanto è individuabile in fatti precisi, in fatti stabiliti, che si raduna per dire le Lodi o per fare la riunione settimanale, ed è carica di esempi gratuiti.
Mentre la comunità sviluppa la coscienza di appartenenza, esalta la sequela come atteggiamento profondo della vita e l’obbedienza come la convenienza suprema.
104 – Questo passaggio dalla convenienza umana, dal possesso umano, all’ideale, alla conversione a Cristo, è favorito e aiutato invece, nella comunità, da ciò che chiamiamo regola.
La regola è la compagnia in quanto ha momenti fissi cui si appoggia, come il tetto di appoggia ai piloni, e in cui vibrano esempi che, nella loro gratuità, costituiscono una edificazione, uno stimolo edificante.
Ecco allora il valore della compagnia e dell’autorità che essa sviluppa: ti richiama.
105 – Sento continuamente ripetere per esempio: «Nono sono capace». Per ciò stesso che uno lo pensa e lo dice, questo lo fa ritirare.
Mentre uno dice: «Non sono capace» si ritira e quindi getta il dubbio sulla convenienza di ciò che stava facendo nella comunità.
106 – Proprio perché sono incapace, non sono preparato, sono inetto, sono peccatore, proprio per questo domando, e la forma più potente di domanda è il riconoscere d’appartenere alla comunità di Cristo, alla compagnia per Cristo.
107 – Anche il fare la Scuola di Comunità diventa esperienza. Sono esperienza queste cose che vi si fanno fare, che la compagnia ti fa fare, quando tendo a riflettere la loro anima, il modo con cui le fai, su tutto.
È molto più sentita, per superficialità, la compagnia che non Cristo, cioè è sentita la compagnia e non lo scopo per cui essa si raduna, e non ciò che genera.
108 – Il contenuto della compagnia, cioè l’affezione a Cristo, […] è degradato; è degradato ideologicamente e praticamente.
La realtà della compagnia è tutta degradata, diventa ideologia o diventa pratica di rapporti per evitare la solitudine o per abitudine instaurata.
Il Movimento, la Fraternità, la compagnia non è come te l’aspetti. Ma che cosa ti aspetti? Se ti aspetti Cristo, se tendi a Cristo, anche se la comunità fosse fatta da un branco di ignobili, di persone ignobili, tu sentiresti crescere in te l’affezione a Cristo, tu sentiresti la tua vita che si trasforma, che col tempo che passa non è più come prima.
177-185 – Che la vita riesca non come successo ma come verità: e per questo dobbiamo stare attaccati alla compagnia in cui il Signore ci ha messi.
178 – Egli è realmente tra di noi. «Ma gli occhi erano incapaci di riconoscerlo». Normalmente siamo incapaci di riconoscerlo, ma è abituale che la nostra compagnia faccia memoria di Lui, sia automaticamente memoria di Lui.
179 – Che cosa meravigliosa […] è l’adulto, l’anziano a cui maturamente si aprono gli occhi e Lo riconosce. È questa la giovinezza vera, quando la nostra compagnia diventa memoria, quando il movimento diventa memoria di Cristo, cioè riconoscimento della sua presenza in modo stabile, facile[…]
Questo è il sintomo che noi stiamo arrivando alla soglia di questa giovinezza matura.
180 – Cristo è memoria dentro la compagnia, perché io vi conosco per questo e basta, vi conosco perché c’è lui, vi conosco «in nome di lui». Vi conosco per questo, ci conosciamo per questo.
La nostra compagnia è il luogo dove la nostra vita è aiutata a riuscire, non come successo, ma come verità. E quello che occorre è una grande semplicità di cuore.
181 – È questa semplicità che occorre alla nostra compagnia. È una semplicità che ha come vertice la capacità di ritornare, come dice un altro biglietto: «[…] ma per grazia di Dio ho incontrato gli amici della comunità, e il lavoro di Scuola di Comunità sembrava lì ad aspettarmi da sempre per aiutarmi a riscoprire la mia umanità offuscata[…]»
182 – Questa compagnia nasce in modo totalmente libero, come luogo di aiuto a tener desto l’Icaro che è in noi, cioè a tener desto il senso del nostro destino, del destino di cui siamo fatti, a tener desto il senso della mia appartenenza al Padre, la coscienza che tutta la mia vita è in funzione del disegno di Dio, del disegno del Padre.
183 – La compagnia di cui stiamo parlando nasce liberamente, in modo totalmente libero.
185 – Siamo in cammino. Richiamo ora le condizioni di questa compagnia, quelle su cui abbiamo sempre insistito_
- obbedienza. Possiamo dire che l’obbedienza è definita dalla preghiera e dalla sequela. Il primo modo di obbedire è la preghiera.
- In secondo luogo vi è la sequela
- condivisione
- povertà
190-191 – «I carismi dello Spirito sempre creano affinità destinate ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito nella Chiesa» cioè nella vita.
Questo è il sostegno per il tuo compito oggettivo nel mondo. «È legge universale il crearsi di tale comunione»; che si crei questa comunione, questa compagnia, è una legge universale.
E, infatti, la Chiesa resta astratta, arida, e soprattutto filtrata dal proprio parere, se non diventa una vicinanza, una prossimità illuminante, sorprendente, stimolante, correttiva e costruttiva, come in compagnia.
191 – La famiglia è così legata al singolo, alla singolarità della persona, che, se anch’essa non vibra e non si alimenta in questa compagnia, diventa arida, perde senso.
193-194 – L’amore è astratto, la carità è astratta, se non diventa concreta in una comunità; ma se diventa concreta in una umanità, diventa concreta con tutti.
Chi invece fa diventare centro della compagnia soltanto una attività o soltanto certe cose, s’accorgerà di quanto queste cose avranno vita breve.
209 – La nostra compagnia è profonda molto al di là di quanto possa sembrare agli altri e anche normalmente a noi stessi: è per sostenere la nostra libertà nella sua scelta, che dovrebbe essere ovvia e non lo è.
247-249 – La memoria diventa movimento, la memoria diventa compagnia, e la caratteristica di questa compagnia è proprio quella di essere movimento, vale a dire è una compagnia che non ha limite.
La nostra compagnia, quando è definita nei suoi limiti è falsa.
Certo che la vostra compagnia familiare non può essere identificata da certi limiti, e la compagnia in cui noi ci troviamo non può non essere definita da certi limiti, ma l’orizzonte della tua famiglia o l’orizzonte della tua compagnia, se ha un limite, elimina quella grandezza incombente e sempre al di là dell’orizzonte stesso, che è Dio, che è il mistero, che è Cristo.
248 – Per questo la nostra compagnia non ha limite.
Lettera: «[…] È ora di smetterla di vivere all’ombra dei santi, perché è molto più bello vivere da santi. Questa è la vocazione personale a cui desidero rispondere con l’aiuto di Dio e con l’aiuto della compagnia che mi ha messo a fianco. […] Capisco sempre più che la vera compagnia è solo la trasparenza di un’appartenenza a Cristo e alla comunione, quindi, trano, sempre più profonda. La vera compagnia non ha preoccupazione ansiosa di veder passare una certa forma o una certa convenienza delle cose».
249 – Solo nella gioia è l’energia di una presenza comunicativa, e allora la memoria diventa movimento, diventa compagnia, il cui dolore supremo è di non poter abbracciare il mondo, comunicando per osmosi della propria carne agli altri la bellezza della verità, l’intensità dell’adesione, la meraviglia, lo stupore del valore, della idealità.
264-266 – Prima di tutto la compagnia. Questa personalità nuova nel mondo è un personalità in compagnia.
Sei sola a casa ma sei in compagnia, perché la compagnia è una dimensione del modo di percepire, sentire e vivere se stessi.
La compagnia è il luogo, o la realtà, o il segno concreto con cui si incarna la verità della nostra vita, in cui si incarna la vocazione, l’attrattiva, la memoria di Cristo.
265 – Non si può vivere un dolore se non nel fremito o nel tremito di un amore.
La compagnia, da una parte, è il sostegno; il dolore è la condizione di tutti, che per nessuno, se non per chi ama Cristo, diventa alimento della vita, diventa fattore definitivo del proprio volto.
266 – È questa la formula della umanità nuova, mendicante, che ama e giudica secondo un criterio nuovo, che riconosce nel sacrificio il fattore che rende vere le cose, soprattutto l’affettività, che genera e nello stesso tempo abbraccia una compagnia, fa dei rapporti umani una compagnia e non ha più obiezioni nel dolore, perché il dolore è una obiezione solo per chi non Lo riconosce e non Lo accetta.
comunità fraterna
166 – «L’amore in astratto non avrà mai forza nel mondo, se non affonda le sue radici in comunità concrete, costruite sull’amore fraterno».
J. Ratzinger, Il cammino pasquale
«La civiltà dell’amore si costruisce soltanto partendo da piccole comunità fraterne. Si deve cominciare dal particolare per arrivare all’universale.»
J. Ratzinger, Il cammino pasquale
Dopo il disastro dei barbari, le città nuove si costruirono attorno a gruppi di fraternità di monaci, che non erano dei conventi come li immaginiamo adesso: erano gruppi di cristiani che volevano vivere il cristianesimo fraternamente, e tutta la gente vi si disponeva intorno e imparavano il modo di trattarsi tra di loro.
comunità guidata al destino
103 – La regola è ancora la compagnia (io ho sempre definito la regola una «compagnia guidata al destino»), ma è la compagnia in quanto è individuabile in fatti precisi, in fatti stabiliti (la regola nel senso stretto della parola), che si raduna per dire le Lodi o per fare una riunione settimanale, ed è carica di esempi gratuiti.
comunità vocazionale
254 – Il segno più grande per noi è la compagnia vocazionale. La compagnia vocazionale è la compagnia in cui la vocazione cristiana diventa più chiara, più attuale, più persuasiva, più pedagogica, più operante; essa è il segno più vicino, più aderente alla nostra persona della presenza attiva, energica dello Spirito.
Comunione
118 – Teniamo il nostro cuore focalizzato sulla grande Presenza, sulla grande presenza di Dio, anzi sulla grande presenza di Cristo fra di noi, perché Cristo è veramente nella comunione, è la dove vive la comunione tra di noi.
E se c’è un gesto che tutti insieme compiamo e che ha come unico scopo la comunione, è questo.
Chiedendo, mendicando l’aiuto di Dio per la nostra debolezza, lasciamoci percuotere dai temi delle Lodi, che sono sempre più segnati dalle antifone.
178 – Ecco, questa è la pagina della Fraternità, perché a ognuno di noi capita letteralmente così: come nell’ostia Cristo penetra nel tempo e nello spazio, è nella storia, nella specie, dentro l’apparenza, dentro il segno della nostra comunione. Comunione: riconoscerci fratelli e uniti perché c’è Lui.
190 – «I carismi dello Spirito sempre creano affinità destinate ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito nella Chiesa» (GPII – Discorso ai sacerdoti partecipanti all’esperienza del Movimento di Comunione e liberazione), cioè nella vita.
Questo è il sostegno per il tuo compito oggettivo nel mondo.
«È legge universale il crearsi di tale comunione»; che si crei questa comunione, questa compagnia, è una legge universale.
Condivisione
191-192 – Dopo la preghiera e sequela, ecco la seconda condizione – che corrisponde a quella della verginità -, che è la carità, cioè la condivisione; usiamo il nostro termine: condivisione.
Vale a dire, la Fraternità deve diventare una educazione alla capacità di sentire la vita dell’altro come parte della propria.
Ecco si può essere una Fraternità anche senza riunioni in cui si discuta – tanto non c’entra quello -, ma non senza condivisione.
192 – La condivisione, certo, va dal pensiero fino al bisogno più concreto, dallo scambio, dall’aiuto nella ricerca del vero, fino al bisogno più materiale e banale.
194 – A proposito di condivisione, colgo l’occasione per ricordare a tutti e per lodare con tutto il cuore l’associazione delle Famiglie per l’Accoglienza.
Se hai a cuore il dilatare del regno di Dio nel mondo, se ti imbatti in un disabile o in un povero, come fai a non aiutarlo? L’abbiamo detto prima: è il principio della condivisione.
Convenienza
60 – L’ideale non c’entra normalmente con la valutazione delle cose concrete, sembra non non c’entrare: noi dobbiamo invece vivere la convenienza umana con una stima che superi i termini della pura convenienza.
Ciò che determina quello che fai deve essere una stima che sembra non c’entrare con quello che fai. Vale a dire, mentre tu fai i passi, devi amare la meta più che i passi. Nei passi devi amare qualcosa d’altro. Ami, se e nella misura in cui ami la meta.
93ss – Il problema è come entrare in rapporto o come possedere le cose.
Eccola nostra difficoltà è accogliere l’ideale dentro i rapporti, dentro questo possesso.
È che noi, nel nostro modo di possedere […] seguiamo una convenienza umana, vale a dire seguiamo una convenienza che consegue a una valutazione e a una stima che facciamo nascere da uno sguardo “concluso” dentro l’orizzonte della nostra umanità e della sua reattività.
La difficoltà è che questa convenienza umana senta il brivido dell’ideale, venga attraversata da esso venga ultimamente vinta e perciò determinata da esso.
94 – Il livello drammatico della vita, che è la convenienza umana in tutti i campi e in tutti i sensi, come la sentiamo naturalmente, non ha pace e non ha ultimamente letizia; non ha pace perché non ha la sicurezza di ciò per cui tutto fa e vive, e non ha letizia perché non è riverberata in anticipo sul presente la felicità del futuro, dell’ultimo futuro.
Questa difficoltà ad accogliere l’ideale dentro la convenienza umana trova il suo aiuto nel fenomeno che maggiormente riflette la presenza di Dio, del Dio vivo, nel mondo: l’autorità.
L’autorità dice che la convenienza in quel che faccio è qualcosa d’altro che non quello che naturalmente vedo, fisso, cui naturalmente mi abbandono.
La convenienza vera non è la convenienza umana, la convenienza vera è qualcosa d’altro.
Il polo di attrazione della vita e di tutti i suoi singoli passi è un Altro o, più misteriosamente, qualcosa d’altro.
Il polo di attrazione della vita è un Altro, è Uno fra noi, Cristo.
96 – L’autorità è chi non ci fa dare per scontato quel che siamo, che ci fa comprendere in qualche modo che la convenienza non sta in quel che vediamo noi, ma in qualcosa d’altro, che il polo di attrazione è un Altro.
Non esiste autorità, se non in funzione di una comunità.
Perciò, l’aiuto sistematico al passaggio dalla convenienza umana alla grande convenienza di Cristo, è nel luogo della comunità, è nella comunità che può avvenire.
convenienza ideale
103 – Sequela vuol dire che, non la convenienza «umana», mala convenienza vera coincide con una obbedienza.
È nella sequela che avviene il passaggio dalla convenienza umana alla grande convenienza di Cristo, la convenienza ideale.
Conversione/convertire
57 – Chiedere, questo è realmente l’inizio reale del cambiamento, del mutamento, è l’inizio della conversione. Tutti i giorni dovrebbero essere testimoni di questa vita di Dio in noi.
100 – Non poteva venir fuori dalla testa di Abramo come uomo che fosse giusto alzarsi, sellare l’asino e camminare verso il luogo che Dio gli mostrava per uccidere il figlio: è un’altra cosa che penetra dentro la convenienza umana e la sconvolge, cioè la converte.
Ma la verità non è la convenienza umana, è quella conversione.
224-227 – Che cosa, dunque, dobbiamo fare, se non tenere lo sguardo fisso su Gesù? È questa la conversione.
Questa è la conversione: « Stare attenti a».
225 – Immergerci nella presenza di Cristo che ci dà la sua giustizia, guardarlo; questa è la conversione, che ci cambia alla radice, vale a dire ci lascia perdonati. Basta riguardarLo, basta ripensarlo e siamo perdonati.
226 – La vita è riconoscerlo, conoscerlo, aderirvi con l’energia dell’affezione, l’energia della libertà, della volontà. In questo riconoscimento di Cristo sta la conversione; uno si volta indietro e lo riconosce, lo guarda e dice: «Voglio aderire a te, ti riconosco e ti “aderisco”».
227 – Questa conversione ci cambia alla radice, agisce in noi e con il tempo ci cambia, cambia il modo di pensare, cambia il modo di giudicare, cambia il modo d’atteggiarci, cambia il modo di comportarci: cambia! Siamo tali e quali, ma cambiamo.
232 – E se la conversione sta nella memoria, il peccato – a cui siamo così legati e di cui, nello stesso tempo, abbiamo incominciato a conoscere il dolore, non più solo la vergogna, tanto meno la tracotanza della giustificazione, ma i l dolore – sta nello scordare, nel non ricordare.
Coscienza
119-120 – Le cose si destano dal buio nella coscienza dell’uomo, è nella coscienza dell’uomo che le cose prendono luce, diventano consapevoli di se stesse. Come è importante la nostra coscienza! Il mondo c’è, esiste per questa coscienza.
E la nostra voce di uomini, i nostri gesti di uomini, i nostri gesti “fedeli”, compiuti con la coscienza della fede, sono come l’albore di questa manifestazione della verità delle cose che è Cristo.
130-131 – Non si cerca l’affermazione dei propri punti di vista, ma l’affermazione piena di tentativo di umiltà della verità, nella ricerca del “parere” di Colui che ci ha mandati.
È un atteggiamento diverso della coscienza.
131 – La parola «coscienza» sulla bocca del cristiano è totalmente l’opposto di quella sulla bocca dell’uomo moderno.
Sulla bocca dell’uomo moderno la parola coscienza («io seguo la mia coscienza»)significa il luogo dove uno genera i suoi pareri, i suoi pensieri: la coscienza è concepita come la sorgente dei criteri e dei pareri.
Invece, per l’uomo cristiano non è così: la coscienza è il luogo di sé dove uno cerca e ascolta la verità di un Altro; il cristiano perciò è per sua natura umile, e quando la cosa è chiara, è certissimo, è umilmente certo.
capacità di coscienza
121 – Siamo qui per riattingere un po’ di vena, un po’ di fiotto nuovo di questo divino suggerimento che è la coscienza della vita.
È questa capacità di coscienza che rende la vita «umana»
coscienza della fede
120-121 – E la nostra voce di uomini, i nostri gesti di uomini, i nostri gesti “fedeli”, compiuti con la coscienza della fede, sono come l’albore di questa manifestazione della verità delle cose che è Cristo.
La coscienza della fede si attua dentro quel sacrificio, che altrimenti diventerebbe meccanico, sia pur pieno di simpatia, di energia e sentimento umano.
coscienza dell’appartenenza
62-64 – Affrontando il tuo impegno umano alla luce dell’ideale, attraversandolo nella stima di qualcosa di più grande, in funzione del quale tutto è, in funzione del quale tutto tu fai, diventa possibile.
Insomma, qualunque strada sia stato chiamato a compiere, tu appartieni, e devi affrontarla con la coscienza di questa appartenenza, e questa appartenenza al valore più grande può implicare un sacrificio anche della vita.
64 – Non solo Cristo ci rende fedeli alla legge, ma ci rende liberi dall’esito: vi è cioè la redenzione della fiducia nelle nostre cose, partendo dalla coscienza di appartenenza e quindi partendo dalla coscienza dell’ideale, che diventa come l’anima di tutto ciò che facciamo, anche mangiare e bere.
98-99 – Non esiste cristianesimo se non nella concretezza, nel modo concreto, storico, con cui ci ha toccato e ci tocca.
Se vivi in casa tua, nella tua famiglia, senza la consapevolezza di questa grande appartenenza, prima di tutto lo spazio di vita si restringe. Se tu nella tua famiglia, nella tua casa, non cerchi di vivere questa coscienza di appartenenza al mistero di Cristo e della Chiesa, tutto si restringe.
99 – Quindi la prima condizione di questa compagnia è che appartenga, a sua volta, alla grande compagnia della Chiesa, che la tua Fraternità o il tuo gruppo o la tua comunità appartenga, viva la coscienza della appartenenza alla Chiesa, come la Chiesa vive e non può non vivere – strada per tutti gli uomini – la sua appartenenza a Cristo.
101 – Di fronte alla autorità e alla comunità, quello che dobbiamo sviluppare in noi è ciò cui ho accennato diverse volte: la coscienza dell’appartenenza.
Dobbiamo sviluppare la coscienza dell’appartenenza a qualcosa di più grande, la coscienza dell’appartenenza a Colui che è tra noi, la coscienza dell’appartenenza al grande mistero della Chiesa.
111 – Che Cristo diventi familiare alla coscienza, che la nostra coscienza viva l’appartenenza a lui come sentimento abituale, così come voi, mamme, avete come sentimento abituale il senso della presenza dei vostri bambini, e il bambino ha come sentimento abituale il senso dell’appartenenza a voi.
128-139 – Quello che Cristo, come modello di umanità, come parametro, introduce in noi è questa coscienza profonda e sempre più invadente che noi apparteniamo a qualcosa di più grande a cui possiamo dire «Padre».
132 – Proviamo a pensare, a immaginare un uomo che dieci, cento, mille volte al giorno prenda coscienza del fatto che Colui che lo ha mandato, cioè Colui che lo fa, il Mistero che lo fa, è con lui, che Dio è con lui: la serenità di certi volti, di certi volti di monaci e di monache, ha qui la sua radice.
133 – Così la coscienza di Dio deve penetrare quel che facciamo; e lentamente, col tempo, diventa abituale. La santità non è una cosa da aureola, è ciò a cui siamo chiamati, è la verità del vivere umano.
134 – Il peccato è letteralmente il venire meno della coscienza del Padre, cioè il venir meno della tensione a far accadere questa coscienza.
134 – Nella misura in cui la coscienza di ciò non diventa grande in noi e lentamente non sottende tutto quello che facciamo, noi sbattiamo nel niente tutto.
136 – È come una guerra, nel senso che bisogna andare contro la corrente, contro la forza di inerzia che ci fa fissare l’orizzonte del nostro agire in ciò stesso che facciamo e nel breve calcolo dell’utilità che noi stabiliamo.
137 – Ecco questa coscienza dev’essere come una luce diffusa dentro di noi: uno, a un certo punto, se la sente addosso senza accorgersene.
138 – La gente che andava a sentire Gesù era tutta impressionata perché continuava a parlare del Padre; la sua “idea fissa”, cioè la sua coscienza, la coscienza che aveva di sé, era la dipendenza dal Padre, il rapporto con il Padre, con colui che lo mandava, e di cui era costituito.
182-183 – Questa compagnia nasce in modo totalmente libero, come luogo di aiuto, a tener desto l’Icaro che è in noi, cioè a tener desto il senso del nostro destino, del destino di cui siamo fatti, a tener desto il senso della mia appartenenza al Padre, la coscienza che tutta la mia vita è in funzione del disegno di Dio, del disegno del Padre.
183 – Se (la compagnia) ha come scopo quello di aiutarci a non dimenticare mai, a risorgere sempre, a sostenerci nel vivere la vita come coscienza del rapporto con il Padre, come funzione al servizio del disegno del Padre, come gloria di Dio, come gloria di Cristo, se ha questo scopo, allora è chiaro che deve essere fatta liberamente.
coscienza della Sua presenza
56 – La parola «preghiera» non la si può capire se non la si fa coincidere con la parola «domanda»; ma anche la parola «domanda» diventa subito riconducibile a una nostra misura di pretesa, se non coincide con lo stupore della Sia presenza, lo stupore della Sua presenza riconosciuta.
83 – È dallo scopo che viene la luce che illumina e dà forma più precisa alle nostre azioni.
Insomma, noi non siamo nel movimento perché il movimento ci aiuta a risolvere i nostri problemi, ma perché riconosciamo che Cristo è tra noi, compagno di cammino, e nella coscienza di questa Sua presenza vogliamo affrontare tutto.
174 – Questa è la moralità: che la concezione, il sentimento di noi stessi sia talmente definito dalla coscienza della grande presenza di Dio, del Padre, che ogni nostra espressione, sempre più ovviamente, sempre più normalmente, sia compiuta come rapporto con il grande disegno.
Non per nulla la moralità suprema è l’offerta, nell’offerta: stessi anche pulendo un bicchiere, io stabilisco un nesso infinito: quel gesto assolutamente effimero ha un valore infinito, perché è rapporto con il disegno, è compiuto in funzione del grande disegno di Dio.
238 – Vorrei indicare brevemente i tre termini di questa incarnazione della memoria, della coscienza della grande Presenza: nel rapporto tra di noi, nel rapporto con noi stessi, nel rapporto col tempo e lo spazio, con le cose.
coscienza di sé
175-176 – Questa è la moralità: che la concezione, il sentimento di noi stessi sia definito dalla coscienza della grande Presenza di Dio, del Padre, che ogni nostra espressione, sempre più ovviamente, sempre più normalmente, sia compiuta come rapporto con il grande disegno.
176 – Tutta la gloria dell’uomo, figlio di Dio, fatto a immagine di Dio, è dentro, cioè è nella coscienza di sé come rapporto con l’infinito. Tutta la gloria è lì.
Cultura
148-150 – L’uomo nel mondo di oggi è costruito, è educato sistematicamente a portare via lo sguardo da ciò cui appartiene, da Dio; è educato a quello che abbiamo chiamato la dissipazione, o la distrazione, la smemoratezza.
Questo è diventato forma mentale. […] che per essi Dio non c’entri, questa assenza dipende dalla cultura dominante, che crea, come forma mentale, uno sguardo sulla vita e sulla realtà in cui Dio non c’entra.
149 – Noi costruiamo, per questo Padre, nel migliore dei casi una nicchia, come un aggeggio fra gli altri, non determinante la vita, non determinante l’agire umano.
I riflessi morali della fede sono anch’essi distrutti dalla mentalità comune.
150 – Il rifiuto di Dio è forma culturale del nostro tempo. E badate che essa ci penetra totalmente.
169 – Che Dio, che il Padre sia familiare allo stesso modo! «Ma non è possibile!». La mente, cioè i sacerdoti e gli anziani, la saggezza umana, la misura dell’uomo, la misura della ragione eretta a sistema o a principio culturale, a parametro, o a modello d’un uomo immaginato “a modo”, dignitoso, non può crederci.
256-258 – La più grande divisione nella storia della cultura umana e nel fenomeno della socialità umana, è quella prodotta dalla formula «gloria di Cristo».
Tutti i tipi di cultura e tutti i tipi di socialità si possono ricondurre alle stesse categorie, alle stesse premesse e agli stessi contenuti, ma una vita guardata e affrontata, una socialità vissuta per la gloria di Cristo, questo stabilisce una posizione che non ha uguali, irriducibile a qualunque altra.
Sembrò, 50 anni fa, che ili liberalismo e il capitale da una parte, il marxismo e il proletariato dall’altra, costituissero le due culture o le due socialità antitetiche, irriducibili.
Vediamo adesso come l’una è ridotta totalmente all’altra, tanto che si confondono: gli stessi scopi, gli stessi metodi, gli stessi sistemi e soprattutto gli stessi frutti.
C’è una sola alternativa, che – come ha detto il vecchio Simone alla Madonna – spacca il mondo in due, divide la cultura e la socialità umana: là dove la gloria di Cristo è il principio e là dove la gloria di Cristo non si sa cosa sia.
257 – La vita è data per la gloria di Cristo.
Per questo la fede in noi deve diventare un movimento dentro la società.
258 – Se il problema della vita è la gloria di Cristo, se il problema della storia e della cultura e della civiltà è la gloria di Cristo, senza la gloria di Cristo l’uomo è come un bambino che, giocando al meccano, crea solo formalmente realtà diverse, ma i fattori in gioco sono sempre gli stessi: senza la gloria di Cristo l’umanità non diventa più umana.
clima/forma culturale
43 – Per la maggior parte della gente, Dio può essere una parola rispettabile, ma non ha alcun nesso con la vita, eccetto che, al massimo, con una paura, che il clima culturale di oggi fa tutto, ottenendo l’intento, per annebbiare, per eliminare.
150 – Il rifiuto di Dio è forma culturale del nostro tempo. E badate che ci penetra totalmente.
Cuore
20 – Il luogo del dramma umano è il cuore nato da tua madre, sei tu, la persona nata da una donna, il figlio di un padre e di una madre, ma «Figlio di Dio», parte del mistero di quell’Uomo in cui tutto il nostro male e tutta la nostra destinazione cattiva sono stati riassunti e bruciati, nella sua morte e resurrezione, e che adesso attende, pulsando alla porta del tuo animo, di rivivere in te, di farsi vedere in te, di mostrarsi in te, poco o tanto, non esiste misura.
24 – E il nostro viaggio è incominciato e incomincia di nuovo, ogni volta, dalla verità del nostro cuore. Per questo, la prima parola che il Signore ha usato non è stata: «Fate questo o fate quest’altro». ma: «Cambiate il cuore, cambiate il modo di concepire, di valutare e di sentire».
Qual è il punto di partenza, la prima verità? Il problema non è enunciarla, il problema che essa penetri il nostro cuore, diventi a tal punto fattore del colore del mondo, del clima della nostra vita, del sentimento del nostro cuore, della nostra autocoscienza, della coscienza che abbiamo di noi stessi, diventi così abituale che poi incida, determini tutti gli altri atteggiamenti.
43-45 – Come rendere organico questo centro di gravità, che la Bibbia chiama «cuore» dell’uomo? O, se volete, come redimere l’originale senso del nulla e l’attuale senso del peccato, della sproporzione, dell’ingiustizia, dell’ottusità connivente?
44 – Se volete rendere organico, cioè dare corpo al senso del destino, o al senso religioso, o alle domande ed evidenze originali che costituiscono il cuore, rendere organico questo centro di gravità significa realizzare la liberazione nostra – la liberazione -, redimere il senso del nulla e del peccato.
Qual è l’incontro che rende possibile la liberazione nostra, che può redimere il senso del nostro nulla, del nostro male, può rendere organico quel centro di gravità che è il cuore nostro, il cuore della natura che pulsa nell’uomo? Qual è questo incontro?
45 – «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. […] In lui è la vita. La vita è la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. […] Venne nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. Ma a quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere d’uomo, ma da Dio sono stati generati. e il Verbo s’è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi»
Gv 1,1-14
65 – L’impeto di abbracciare il mondo caratterizza il cuore dell’uomo. Ma ciò avviene se uno vive il limite del momento.
Se uno abbraccia il mondo nell’istante piccolo e breve, nella contingenza del suo momento, non solo non abbraccerà mail il mondo, ma oblitererà, perderà di vista anche questo spazio del cuore e vivrà con il respiro di quelli che sono sotto la tenda ad ossigeno, anzi che avrebbero bisogno di entrarci.
110 – Di tutta la ricchezza ed emozioni che la liturgia oggi ci desta, uno mi p are possa dominare su tutti, semplificare tutto e animarci totalmente, ed è il desiderio che la nostra vita sappia accogliere la luce che è venuta, che Cristo entri veramente nella nostra vita. È entrato nella nostra vita, Lo ricordiamo, ci muoviamo tante volte per Lui, ma Egli deve penetrare la nostra coscienza così da entrare in ogni azione: ha qualcosa da dire alla nostra persona, qualunque cosa compia, ha qualcosa da dire alla nostra coscienza e al nostro cuore, minuto per minuto, circostanza per circostanza.
173 -L’Icaro del noto antico, così come l’Ulisse dell’antico mito pagano, rappresenta dolorosamente e in modo affascinante l’impeto che è il cuore umano, l’impeto con cui il cuore umano tende alla verità, alla giustizia, alla bellezza e alla felicità, al possesso di tutto.
Ma la condizione umana rende incapaci di raggiungere ciò cui si aspira.
176 – Ogni nostro gesto, ogni nostra azione, ogni nostro comportamento è una prigione o è un sepolcro, se non ha questo spazio, se non è rapporto con l’infinito.
E le cose grandi non sono le cose grandi, ma il cuore grande
219 – Perché tra noi «è stata suscitata una salvezza potente», come era stato promesso dagli inizi della vita umana, perché il cuore dell’uomo è fame e sete di questa libertà e di questa felicità. Il cuore dell’uomo, come meditiamo ne Il senso religioso, è una promessa.
Ci è stato promesso, per bocca dell’umano cuore e di tutti i geni dell’umanità, che Dio ci avrebbe salvato da ciò che ci è nemico, «da tutti quelli che ci odiano», da chi vuole il nostro male.
E noi sappiamo che una strana presenza, un’altra presenza in noi rende il nostro cuore capace di volere il male altrui, dell’amico, e il male nostro: la presenza del maligno.
226 – Che cosa vuol dire glorificare Cristo? Vuol dire riconoscerlo, vuol dire conoscerlo e aderire a lui con l’affezione del cuore, che non è un sentimento, un trasporto, ma un aderire della libertà e della volontà al nostro Salvatore, a chi ci salva, a chi dà il senso della vita e della morte, a chi ci purifica dal nostro male inevitabile.
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