Temi di «La convenienza umana della fede» -1a parte

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Lettera «F»


Familiare/familiarità

17 – In noi vi sono questa empietà, questi ragionamenti errati, questi propositi contro la giustizia, questa insofferenza del rimorso che il senso del bene desta di fronte ai nostri errori, questa intolleranza di fronte all’affermazione certa del vero Dio che ci fa conoscere, soprattutto questa familiarità di Dio con noi: io credo che questo sia l’ostacolo più grande.

La familiarità che Dio chiede all’uomo, è questa che non può essere sopportata. Perché una familiarità di Dio con l’uomo significa un Dio che troviamo appena alzati al mattino, che si siede con noi a mensa, che esce con noi per strada, che sta là dome lavoriamo, che è presente nei nostri rapporti familiari, nella nostra vita familiare, per cui il nostro modo di vivere non ha ombre, non ha rifugio di tenebre, e tutto viene alla luce.

È la familiarità di Dio con l’uomo che anche a noi ripugna e a essa ci ribelliamo in vari modi: «È impossibile!» o «Come si fa?», fino alla ribellione pura e semplice, come uno che dica: «Ma nelle mie cose non voglio che si introduca nessun altro».

128 – «Chi vede me vede il Padre». È questa l’origine della tenerezza e dello stupore senza fondo che Dostoevskij aveva per Cristo, perché nel Figlio è il mistero del Padre, cui noi apparteniamo, che si rende familiare.

La parola «padre» è la parola meno lontana che possiamo usare: padre e madre sono i simboli più vicini di questa familiarità.

152 – Guardate la letizia e la libertà di certe persone – per le quali il Signore è veramente il Signore e la familiarità di Cristo, la familiarità del Signore in Cristo, la familiarità con la presenza di Dio e di Cristo è patente -, non sono in loro perché sono dei gonzi o degli ingenui.

Ma si preferisce l’attaccamento alla riuscita, di qualunque genere, starei per dire anche a una riuscita nella propria legge morale.

153 – È in questo il primo idolo della mentalità moderna, che penetra come piovra negli interstizi della nostra vita personale e familiare: la riuscita, il demone della riuscita, in qualunque senso, dal riuscire ad avere la donna al riuscire ad avere figli, al riuscire ad avere soldi, al riuscire ad avere salute. È il riuscire come idolo.

168-169 – Sarebbe quello che il cuore dell’uomo desidera di più.[…] Che Dio, che il Padre sia veramente una realtà familiare come la propria donna che si vede in casa, il proprio uomo di cui ci si prende cura in casa, i propri figli che giocano in casa, se sono piccoli, o che incominciano a dare preoccupazioni, se sono grandi, i propri amici che si siedono agli stessi banchi di scuola, oppure che frequentano lo stesso corso in università, o che vanno agli stessi Centri di solidarietà.

169 – Che Dio, che il Padre sia familiare allo stesso modo! «Ma non è possibile!» La mente, cioè i sacerdoti e gli anziani, la saggezza umana, la misura dell’uomo, la misura della ragione eretta a sistema o a principio culturale […] non può crederci.

«Non è possibile!», e, dall’altra, in quel nucleo in cui sta la radice della libertà, capisce che ne sarebbe determinato in tutta la vita, che questo Dio divenuto familiare sarebbe veramente il Signore, che la propria vita gli apparterrebbe, dovrebbe appartenergli, sia che mangi, sia che beva, sia che vegli, sia che dorma, sia che viva, sia che muoia.

Questo è stato il metodo che ha usato il Signore. Così la familiarità di Dio non la capiscono, anzi, la prendono come uno scandalo, gli scribi e i farisei, quelli che credono già di sapere.

familiarità con Dio

17 – In noi vi sono questa empietà, questi ragionamenti errati, questi propositi contro la giustizia, questa insofferenza del rimorso che il senso del bene desta di fronte ai nostri errori, questa intolleranza di fronte all’affermazione certa del vero Dio che ci fa conoscere, soprattutto questa familiarità di Dio con noi: io credo che questo sia l’ostacolo più grande.

La familiarità che Dio chiede all’uomo, è questa che non può essere sopportata. Perché una familiarità di Dio con l’uomo significa un Dio che troviamo appena alzati al mattino, che si siede con noi a mensa, che esce con noi per strada, che sta là dome lavoriamo, che è presente nei nostri rapporti familiari, nella nostra vita familiare, per cui il nostro modo di vivere non ha ombre, non ha rifugio di tenebre, e tutto viene alla luce.

È la familiarità di Dio con l’uomo che anche a noi ripugna e a essa ci ribelliamo in vari modi: «È impossibile!» o «Come si fa?», fino alla ribellione pura e semplice, come uno che dica: «Ma nelle mie cose non voglio che si introduca nessun altro».

167 – Sarebbe la cosa che il cuore dell’uomo desidera di più: che Dio diventi familiare. E questo è il metodo che Dio ha usato.

169 – Che Dio, che il Padre sia familiare allo stesso modo! «Ma non è possibile!» La mente, cioè i sacerdoti e gli anziani, la saggezza umana, la misura dell’uomo, la misura della ragione eretta a sistema o a principio culturale […] non può crederci.

«Non è possibile!», e, dall’altra, in quel nucleo in cui sta la radice della libertà, capisce che ne sarebbe determinato in tutta la vita, che questo Dio divenuto familiare sarebbe veramente il Signore, che la propria vita gli apparterrebbe, dovrebbe appartenergli, sia che mangi, sia che beva, sia che vegli, sia che dorma, sia che viva, sia che muoia.

Questo è stato il metodo che ha usato il Signore. Così la familiarità di Dio non la capiscono, anzi, la prendono come uno scandalo, gli scribi e i farisei, quelli che credono già di sapere.

Fede

80 – È totalizzante non per la scaltrezza intuitiva o pedagogica del movimento stesso, ma perché è il modo con cui il Signore ci ha raggiunti e ci ha comunicato una fede viva in Lui, ci ha fatto intuire la possibilità di una fede viva in Lui.

E la fede in Cristo impegnala totalità di me stesso.

88 – Dobbiamo dirlo, scientificamente un’ipotesi di lavoro diventa legge quando risolve meglio, quando risolve i fenomeni secondo tutti i fattori.

Questa fede, che ha creato la nostra compagnia, che la nostra compagnia vive, questa fede è l’ipotesi di lavoro per la vita, è l’ipotesi di lavoro che diventa legge della vita perché tutto diventa positivo, come abbiamo visto anche ora.

È questo che mi ha colpito e che oggi non sono riuscito a dire bene: la fede rende positivo in modo assoluto l’istante, che è niente, che è come niente.

162 – Il card. Ratzinger chiama «fraternità» ciò che noi chiamiamo vita di comunione e di fede, vita di rapporti nella fede.

La fede è una ragione permanente: una fraternità è un rapporto di comunione nella fede permanente.

165 – Questo è il miracolo della fede, il miracolo del fatto che io ho come modello Cristo, che noi abbiamo come modello Cristo, il quale ha come contenuto della Sua coscienza il Padre: qualunque cosa faccia è per il disegno del Padre.

Si chiama miracolo perché, attraverso di esso, la fede dimostra la sua verità.

La fede, da Cristo in poi, ha dimostrato la sua verità dal fatto che con essa avvenivano fenomeni, fatti di umanità più grande, l’uomo diventava più umano, non solo per la gamba più diritta o gli occhi che ci vedevano, ma soprattutto per il cuore diverso.

199 – Se noi avessimo più fede! È una semplicità maggiore che ci occorre.

Occorre la semplicità della fede, altrimenti non è fede. Allora, nella semplicità dell’occhio, dell’occhio purificato, la nostra fede vedrà tutti i segni della Sua presenza.

235 – È in questa mendicanza la fede: tutto il resto è parola e tutto il resto è sentimento vano, se non è mendicanza che Lui venga nella nostra vita e la muti e la compia.

251 – «Anche la fede non è più per me ciò che era nei giorni della mia giovinezza, una adesione appassionata nell’oscurità, ma una certezza solida, qualcosa di magnificamente pieno e ragionevole, dignum, iustum, aequum, salutare, secondo le parole del prefazio»

255 – Uno dei ministri del benessere sociale, qui a Nuova Delhi, ha detto: «Voi e noi stiamo facendo lo stesso lavoro sociale, ma c’è una differenza fra voi e noi: noi lo facciamo per qualcosa, voi lo fate per qualcuno».

257-258 – Riconoscere Cristo è il contenuto della fede. La fede è riconoscere questa Presenza grande che è la realtà di tutto, il senso di tutto quello che facciamo.

La fede è data ad alcuni perché rifluisca sugli altri. Per questo la fede in noi deve diventare un movimento dentro la società.

258 – «La Chiesa stessa è “un movimento”», ci ha detto il Papa alcuni anni fa. La fede deve diventare movimento e in quanto plasma in modo diverso l’agire dell’uomo, in quanto ci fa pensare, sentire, comportarci in modo diverso, in quanto ci rende uniti in modo diverso, la fede deve diventare un movimento di civiltà, come in questa aula ha detto Giovanni Paolo II quando ci ha scongiurati di lavorare con tutte le nostre energie per creare una civiltà della verità e dell’amore.

Fraternità/fraternità

74 – Una Fraternità dovrebbe essere l’ambito dove la caratteristica, la natura, la fisionomia del movimento è più viva e più vivacemente vissuta.

Si può essere in tre (badate che l’essere in tre deve essere l’introduzione ad essere in due: una Fraternità deve essere l’ambito dove uno impara a voler bene a sua moglie, perché l’«in due» è il massimo sia della difficoltà sia della realizzazione).

La Fraternità deve essere un luogo dove uno impara a guardare una persona secondo la totalità del suo spazio umano, dove impara a guardare l’altro secondo il suo destino e come compagno di cammino, secondo i termini dei suoi bisogni, con i quali giocarsi.

76-77 – Alcuni che erano ai margini hanno deciso di costituirsi in Fraternità. E io sono contento di questo: fanno la loro Fraternità, non fanno niente altro.

Ma mi è venuta un po’ di preoccupazione: che futuro ha questa cosa? Voglio dire, è possibile che la Fraternità fra di noi possa fungere da alibi, come una sorta di esonero dal vivere il movimento, dal partecipare ai luoghi normali di educazione del movimento e anche dall’assumersi quella responsabilità che è la costruzione del movimento?.

La Fraternità o non è nient’altro che la maturità della fede, quindi di volontà di ascesi, di cammino, che si è imparata lungo il tempo di partecipazione al movimento, oppure la Fraternità è la scoperta del tempo che si è perduto, e perciò il mettersi insieme per riparare a questo tempo perduto.

Un Fraternità che sia conclusa in se stessa è una Fraternità che non ha storia, non ha tempo, vale a dire, la vita è breve, è una illusione, non è niente altro che il surrogato di una amicizia comune.

La Fraternità è quella compagnia con la quale, insieme alla quale, si può fare il cammino, perché senza compagnia il cammino non si fa.

77 – Il riconoscimento che la Chiesa ha fatto della Fraternità coincide con il riconoscimento che la Chiesa ha fatto dell’esperienza matura del movimento.

Perciò la Fraternità non può essere un alibi o sostitutiva della vita, dell’impegno, del fermento del movimento: è la modalità perché ognuno sappia partecipare.

Un Fraternità può senz’altro avere delle proprie caratteristiche, diverse da quelle di altre Fraternità, ma il denominatore comune sono i fattori essenziali della vita del movimento.

Una Fraternità in cui gli appartenenti sono altamente indifferenti, poniamo, alla libertà di educazione o alla libertà della scuola, non è Fraternità di Comunione e Liberazione, è Fraternità di incoscienti: vadano a vendere stringhe!

Una Fraternità in cui i partecipanti non si interessano agli strumenti espressivi del nostro sentimento della Chiesa, come la nostra stampa, che Fraternità è? Non è certamente la Fraternità di Comunione e Liberazione.

Il movimento rappresenta il luogo paradigmatico, perché la Fraternità è l’espressione matura dell’esperienza del movimento.

Ma uno può incominciare con la Fraternità, senza avere mai incontrato il movimento prima, e si mette all’opera nella compagnia nuova che ha trovato.

83-84 – Che la Fraternità desideri aiutare a risolvere i problemi è chiaro, altrimenti che Fraternità sarebbe? Ma non è fatta per risolvere il problemi.

La Fraternità è gente che si mette insieme perché ha capito la meta, lo scopo, il traguardo e vuole camminare insieme verso quel traguardo. E il traguardo è Cristo.

Allora la Fraternità è l’aiuto che ci si dà come richiamo a questo, e anche come consiglio e come esempio in questo, per questo. È dallo scopo che viene la luce che illumina e dà forma più precisa alle nostre azioni.

84 – In secondo luogo, se il movente della Fraternità è il richiamo alla grande presenza che c’è tra di noi e a investire la nostra vita su di essa, uno capisce che lo scopo del vivere è la missione, vale a dire, è il movimento: il movimento, infatti, è il modo della nostra missione.

86 – Intervento: «Il fatto che mi trovi così dopo questi mesi è una misericordia, perché la Fraternità realmente è un aiuto affinché avvenga la mia vocazione».

Questa è la frase! La Fraternità è perché avvenga la mia vocazione, è un aiuto a che avvenga la mia vocazione. «Vocazione è la parola cristiana più bella e meno capita. La vocazione è l’impatto del cosmo, della realtà, della storia sul mio io: l’impatto provoca il mio io, questo «pro-vocare» si chiama vocazione.

Che cosa determina il senso del destino? La provocazione della realtà. Il rapporto con il destino si chiama vocazione, ma l’immagine del mio rapporto col destino, o vocazione, è provocato dall’impatto della realtà con me stesso: la fede mi butta nella realtà e non c’è limite, non c’è paura.

92 – […] preghiamo Iddio che le nostre Fraternità siano un luogo dove l’estraneità viene abolita dall’amore alla Presenza e che, in secondo luogo, diventino ambito di accoglienza, e perciò di creazione di umanità, e che, in terzo luogo, diventino missionarie, e perciò creative di una umanità nuova, cioè creative della Chiesa.

99 – La prima condizione di questa compagnia è che appartenga, a sua volta, alla grande compagnia della Chiesa, che la tua Fraternità o il tuo gruppo o la tua comunità appartenga, viva la coscienza della appartenenza alla Chiesa, come la Chiesa vive e non può non vivere – strada per tutti gli uomini – la sua appartenenza a Cristo.

106 – Dobbiamo stare molto attenti ad avere molta stima del movimento. Ricordiamoci che la Fraternità è l’espressione più alta, più compiuta, più matura della vita del movimento.

162-163 – Il card. Ratzinger chiama «fraternità» ciò che noi chiamiamo vita di comunione e di fede, vita di rapporti nella fede. La Fraternità è una vita di rapporti nella fede.

La fede è una ragione permanente: una fraternità è un rapporto di comunione nella fede permanente. Ratzinger dice: questa realtà nuova tra i cristiani, la comunione nella fede o la fraternità, «significa che i cristiani devono essere pronti a prestare gli uni agli altri servizi da schiavi e che soltanto così potranno realizzare la rivoluzione cristiana, cioè costruire la città nuova».

163 – La Fraternità è questo. Per favore alla prossima riunione della Fraternità, pensate a queste cose: la Fraternità è questo, non il discorrere! Il discorrere è solo bella parte di questo, è una bella parte di questo servizio da servo.

166 – «La civiltà dell’amore si costruisce soltanto partendo da piccole comunità fraterne. Si deve cominciare dal particolare per arrivare all’universale. La costruzione di spazi di fraternità è oggi non meno importante che nei tempi di San Giovanni o di san Benedetto, che con la fondazione della fraternità dei monaci fu il primo architetto dell’Europa cristiana, costruendo il modelli della nuova città nella fraternità della fede»

J. Ratzinger, Il cammino pasquale

Dopo il disastro dei barbari, le città nuove si costruirono attorno a gruppi di fraternità di monaci, che non erano conventi come li immaginiamo adesso: erano gruppi di cristiani che volevano vivere il cristianesimo fraternamente, e tutta la gente vi si disponeva attorno e imparavano il modo di trattarsi tra di loro.

178 – Ecco, questa è la pagina della Fraternità, perché a ognuno di noi capita letteralmente così: come nell’ostia, Cristo penetra nello spazio e nel tempo, è nella storia dentro la specie, dentro l’apparenza, dentro il segno della nostra comunione. comunione: riconoscerci fratelli e uniti perché c’è Lui.

187 – Abbiamo detto – c’è anche nello statuto della Fraternità – che occorre ad essere disponibili a seguire le indicazioni, dal punto di vista formativo ed operativo, del Centro della Fraternità, cioè della Diaconia centrale della Fraternità.

Ma tale sequela non è nient’altro che lo specificarsi della preghiera.

Se dico: «Venga il tuo regno, Signore, in me», «Signore, non sono capace, perdonami, dammi la capacità», e il Signore mi risponde: «Fa’ questo e ti metto vicino delle persone che ti sostengano», ecco, accettare sul serio questa offerta è la sequela del movimento, meglio, la sequela della Fraternità.

Anche se il Centro ti dice cose che ti sembrano esagerate o ti sembrano sbagliate, devi sempre dire: «Signore, che cosa mi vuoi insegnare con questo che mi sembra esagerato, con questo che mi sembra sbagliato?». E così segui, intelligentemente, giustamente.

191 – La Fraternità deve diventare una educazione alla capacità di sentire la vita dell’altro come parte della propria.

193 – È nel gruppo, è nella vostra Fraternità che imparerete e scoprirete anche che cosa avete sbagliato in famiglia, e incomincerete a desiderare di essere più veri anche in famiglia.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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