Temi di «La convenienza umana della fede» -1a parte

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Lettera «M»


Male

13 – Come è grande e vasto il male nel mondo! E noi non sappiamo normalmente legare i fatti più gravi, le ingiustizie più clamorose, le violenze più ripugnanti, alla stessa radice che, in forme più meschine, fa comportare anche noi con violenza, con ingiustizia tutti i giorni.

19-20 – La nostra vita resta carica di un lievito che impedisce che essa diventi pesante, ottusa, giustificatrice fin nel male, vale a dire una tranquilla falsità.

Voglio dire che è la preghiera la prima saggezza, è una domanda a Cristo che ha vinto la morte e, nella morte, ha vinto tutto il nostro male.

19 – Il luogo del dramma umano è il cuore nato da tua madre, sei tu, la persona nata da una donna, il figlio di un padre e di una madre, ma «figlio di Dio», parte del mistero di quell’Uomo in cui tutto il nostro male e tutta la nostra destinazione cattiva sono stati riassunti e bruciati, nella sua morte e resurrezione, e che adesso attende, pulsando alla porta del tuo animo, di rivivere in te, di farsi vedere in te, di mostrarsi in te, poco o tanto, non esiste misura.

62-63 – Quello che fai è amore, anche se imposti un tuo progetto economico, un tuo progetto di carriera, perché nulla in sé è decifrabile come male, nulla; la malignità o la bontà stanno solo nella coscienza ideale con cui uno porta avanti le cose, qualsiasi cosa.

134-135 – Il pensiero di Dio è qualcosa che inerisce a tutto, vale a dire che coincide con una modalità nel vedere tutto, vostra moglie e voi stessi, il bene e il male, così che il bene non può diventare orgoglio e il male non diventa disperazione.

Il peccato è letteralmente il venir meno della coscienza del Padre.

Il male è l’agire umano che abbandona la coscienza di questo rapporto.

135 – La malvagità è tutto ciò che facciamo per uno scopo effimero, che butta nel nulla tutto. La nostra vita è in funzione di qualcosa di più grande.

Nella misura in cui la coscienza di ciò non diventa grande in noi e lentamente non sottende tutto quello che facciamo, noi sbattiamo nel niente tutto.

145-146 – Però dobbiamo pensare una cosa grande: il Padre, «Padre nostro che stai nei cieli», perché questo ci insegna l’uomo Cristo: è un uomo nuovo perché ha vissuto nella coscienza di questo.

Allora viene a galla il nostro male e si evidenziano la nostra forza, che è il non aver paura, e la nostra libertà, che deve scegliere.

Ma così la nostra vita diventa affermazione buona, amorosa.

Pensa che puoi offrire anche la cattiveria che hai commesso fino a un minuto fa.

Anche il male che ho fatto fino a un minuto fa può essere trasformato da questo, che è il lavoro della vita.

Qualunque cosa facciate, non esiste nessun lavoro umano paragonabile a questo lavoro della coscienza, cioè al lavoro verso la verità.

146 – Il male che c’è in noi ha «mille secoli», dice La ballata dell’uomo vecchio, in fondo, riecheggiando quello che diciamo nel Misere di Adriana Mascagni: ricordati che «io nacqui nel peccato».

Ma questa permanenza esistenziale del male – di fronte al quale noi siamo così deboli, impotenti – corrisponde l’altra osservazione: «questo Tu lo sai, ma resti qui».

Alla permanenza della nostra debolezza corrisponde la permanenza della Sua presenza.

148 – Il senso del male, del peccato, accade infatti là dove l’uomo ha coscienza della sua dipendenza da qualcosa di più grande.

210 – Se il distacco dal proprio male implica questo non pesabile, non misurabile respiro che abbiamo dentro di noi, allora il distacco dal male, il desistere dall’ingiustizia, l’allontanarsi dalla colpa commessa può essere come un soffio, esattamente come il presente.

Ecco, tutto il male che ho commesso, in un soffio, nel presente, nell’istante presente può essere distrutto.

215 – Per liberare il mondo dal «giogo del male», anche se vi siamo così irretiti e così abituati che occorre uno sforzo grande, bisogna prendere una iniziativa in cui l’impegno di noi stessi sia intero, per potercene accorgere e dolorare e supplicare Dio che ce ne liberi.

Il male è ciò che è contrario alla gioia, è esattamente il limite della gioia, è ciò che la impedisce, perché la gioia sta nella verità.

218-219 – L’aveva detto l’angelo nottetempo in quel sogno a Giuseppe, quando intervenne nella terribile prova in cui quel sant’uomo si è sentito impigliato: «Egli libererà il suo popolo dai suoi peccati», dal suo male, dai suoi limiti, dalle sue catene, dai suoi lacci.

E noi sappiamo che una strana presenza, un’altra presenza in noi rende il nostro cuore capace di volere il male altrui, dell’amico, e il male nostro: la presenza del maligno.

Coscienza del nostro male

221 – Se Cristo ci ha già salvati, si è fatto lui peccatore prendendo tutti i nostri peccati, se lui, che non aveva commesso nessun errore, si è fatto peccato per noi, allora questo risentimento che ancora ha il male che è in noi, che c’entra? C’entra, ma è come un dolore che, quasi forma di pensiero più verace, di fa ritornare a Lui. Il ricordo o la coscienza del nostro male ci fa ritornare a Lui.

Vittoria sul male

90 – Comunque la cosa principale è questa: che la vittoria di Cristo sul male diventa una evidenza definitiva quando cambia qualcosa si significativo nella nostra vita: per uno può essere l’accoglienza, la capacità di accoglienza, che è un fenomeno di gratuità certamente impressionante; per un altro può essere qualunque altra cosa.

Ma la vittoria di Cristo, cioè la risurrezione di Cristo, tocca la nostra vita, diventa evidenza definitiva, nel cambiamento reale in qualche cosa, in qualche cosa di sostanziale dal punto di vista del valore.

Memoria

55-56 – Innanzitutto Cristo combatte la nostra dimenticanza. Si chiama memoria l’opposto della dimenticanza: «Fate questo in memoria di me!».

Luca al capitolo 11, versetti 1-11, parla di questa memoria che è domanda.

58 – Alla dimenticanza si oppone la memoria, cioè la domanda. Non si può domandare se non a un presente

70 – Per noi che abbiamo conosciuto il Suo volto, come sarebbe terribile il delitto che passassimo le nostre ore, le nostre giornate, il nostro tempo senza il riconoscimento della Sua compagnia, senza memoria.

Ma senza memoria non c’è più passato e senza memoria non si può affrontare il futuro, se non con vaneggiamenti; soprattutto, senza memoria è vuoto il presente, perché un presente riempito soltanto dalla nostra forza di volontà è un presente vuoto, un soffio.

Invece, questa affezione, che ci fa tendere a Cristo, ci fa vivere la sua memoria, cioè ci fa vivere il sentimento della sua compagnia.

178-180 – Normalmente siamo incapaci di riconoscerlo, non è abituale che la nostra compagnia faccia memoria di Lui, sia automaticamente memoria di Lui.

179 – È questa la giovinezza vera, quando la nostra compagnia diventa memoria, quando il movimento diventa memoria di Cristo, cioè riconoscimento della Sua presenza in modo stabile, facile, così come uno si porta dentro di sé continuamente il sentimento dei propri figli o della propria moglie, della propria famiglia.

180 – Cristo è memoria dentro la compagnia, perciò vi conosco per questo e basta, vi conosco perché c’è Lui, vi conosco «in nome di Lui», per quella potenza per cui il tempo e lo spazio lo esprimono e non lo frenano, non lo esiliano nel passato, ma diventano espressione, strumenti sempre più espressivi della sua presenza: della Tua presenza, o Cristo.

227 – La parola che Cristo ha usato per indicare questo ricordo, questo voltarsi indietro per guardarlo, è «memoria»; l’ha chiamato memoria.

«Fate questo in memoria di me.» Che cos’è «questo»? Tutto. Tutto!

229 – La nostra moralità non può operare come sforzo immaginativo, come sforzo del sentimento, ma come riconoscimento di Qualcuno che c’è, vicino a noi, in noi.

Facendo crescere la memoria ci si cala nel lavoro di un soggetto nuovo.

232-234 – È nella memoria la radice della salvezza. Tra l’altro – è bellissimo – la memoria è il contrario della solitudine.

E, se per camminare verso la fine di questo richiamo, se la conversione sta nella memoria, il peccato – a cui siamo così legati e di cui, nello stesso tempo, abbiamo incominciato a conoscere il dolore, non più solo la vergogna, tanto meno la tracotanza della giustificazione, ma il dolore – sta nello scordare, nel non ricordare.

233 – Se la memoria fa fluire il Suo potere in noi, come lucidità, come intelligenza della legge di Dio, e come dolore, come affezione e amore, lo scordarsi brucia tutto questo, lascia terra bruciata, come uno che rimanga piccolo a vent’anni, con la coscienza di un bambino di un anno e mezzo o due.

L’origine del peccato è lo scordarsi, ma è anche la fragilità, una fragilità senza sponde. E che faremo allora, se non basta la memoria, se non basta guardarTi?

234 – Abbiamo una intensità della memoria, un contenuto della memoria che non è soltanto lo sguardo a Cristo, ma -ed è soltanto a questo punto che diventa pienamente memoria – è domanda, è mendicare Cristo.

Per questo siamo inescusabili, perché mendicare è proprio di chi non ha niente, di chi è pieno di stracci.

237-241 – Nella carità la memoria diventa opera

Esse (le suore di Madre Teresa di Calcutta) amano Gesù e trasformano in azione vivente quell’amore: la memoria non può non trasformarsi in «azione vivente».

Voglio innanzitutto dire che la memoria non può non diventare norma o, usiamo pure la parola più intimidente, legge.

Ma la memoria diventa norma, diventa legge, con una certa emozione, quando il cuore è toccato da una verità nel rapporto: la propria moglie, il proprio marito, i propri figli, o l’amico, o l’uomo in cui ci si imbatte, rappresentano qualcosa di diverso, e il gesto si fa più prudente, il cuore si fa più generoso, la volontà si fa più capace di sacrificio, l’ordine è più accuratamente osservato, il rinnegamento di sé o il superamento della propria reattività diventa possibile, e un progetto di utilità più grande s’affaccia sul nostro orizzonte. Insomma, uno si sente più buono.

238 – Innanzitutto la memoria diventa norma, diventa equilibrio, diventa ordine, diventa bellezza – diventando misura -, in quanto diventa purificazione del rapporto

La memoria diventa norma in quanto gesto, il rapporto – ogni gesto umano è rapporto – diventa più vero.

La memoria diventa norma perché rende vero il gesto, il rapporto.

«La memoria diventa norma» significa una purificazione dell’umano gesto, che lo rende più vero, che lo rende vero.

240 – Si capisce bene che la memoria non solo diventa norma come purificazione e verità del rapporto – e al di fuori di questa norma non è vero il rapporto -, ma anche che essa rende ogni azione adesione alla verità vivente, adesione cioè a Cristo, rende ogni gesto affezione, una affezione profonda che sbarazza il cammino da ogni fariseismo.

241 – Tutto diventa affezione, se è compiuto dentro l’influsso, sotto l’influsso della grande memoria, della memoria della tua presenza, o Cristo.

247-249 – Questo avvenimento, così discretamente e potentemente accennato nella storia di questa nostra amica, rosa dal cancro, l’avvenimento della coscienza di quella Presenza, l’avvenimento che si esprime nella memoria , diventa gioia, un gioire.

Un vera comunicazione di sé può avvenire solo nella gioia. sii può comunicare solo nella gioia: la memoria come norma, come purificazione, come adesione intensa, come amore all’ideale, come funzionalità al tutto, come valore, la memoria come pazienza, attraverso il moto del godimento e della gioia, diventando affezione, si comunica, diventa presenza comunicativa; cioè la memoria diventa movimento, diventa movimento umano.

La memoria diventa movimento, la memoria diventa compagnia, e la caratteristica di questa compagnia è proprio quella di essere movimento, vale a dire è una compagnia che non ha limite.

248 – (A seguito di alcune lettere lette in assemblea) […] questi nostri amici hanno rischiato e rischiano la vita, nel senso letterale della parola, non per un cancro, ma per le pallottole, e la rischiano per amore di Cristo, il suo segno sensibile sono le persone che attraverso di loro lo hanno conosciuto, che per loro hanno imparato che la memoria è la vita della vita, e perciò non li hanno voluti abbandonare quando le pallottole fischiavano vicino alle loro teste: padre, madri e figli nostri.

249 – Solo nella gioia è l’energia di una presenza comunicativa, e allora la memoria diventa movimento, diventa compagnia, il cui dolore supremo è di non poter abbracciare il mondo, comunicando per osmosi della propria carne agli altri la bellezza della verità, l’intensità dell’adesione, la meraviglia, lo stupore del valore, della idealità.

La memoria, la coscienza di Cristo rende estremamente concreti ed estremamente vigilanti su tutte le condizioni del vivere; più precisamente, ci rende capaci, rende la nostra vita estremamente sensibile a quel fenomeno che si chiama «bisogno», al fenomeno dei bisogni umani.

Allora la memoria di Cristo rende incapaci di stare fermi.

memoria come movimento

247 – La memoria diventa movimento, la memoria diventa compagnia, e la caratteristica di questa compagnia è proprio quella di essere movimento, vale a dire è una compagnia che non ha limite.

249 – Solo nella gioia è l’energia di una presenza comunicativa, e allora la memoria diventa movimento, diventa compagnia, il cui dolore supremo è di non poter abbracciare il mondo, comunicando per osmosi della propria carne agli altri la bellezza della verità, l’intensità dell’adesione, la meraviglia, lo stupore del valore, della idealità.

memoria come norma

237-239 – Esse (le suore di Madre Teresa di Calcutta) amano Gesù e trasformano in azione vivente quell’amore: la memoria non può non trasformarsi in «azione vivente».

Voglio innanzitutto dire che la memoria non può non diventare norma o, usiamo pure la parola più intimidente, legge.

Ma la memoria diventa norma, diventa legge, con una certa emozione, quando il cuore è toccato da una verità nel rapporto: la propria moglie, il proprio marito, i propri figli, o l’amico, o l’uomo in cui ci si imbatte, rappresentano qualcosa di diverso, e il gesto si fa più prudente, il cuore si fa più generoso, la volontà si fa più capace di sacrificio, l’ordine è più accuratamente osservato, il rinnegamento di sé o il superamento della propria reattività diventa possibile, e un progetto di utilità più grande s’affaccia sul nostro orizzonte. Insomma, uno si sente più buono.

238 – Innanzitutto la memoria diventa norma, diventa equilibrio, diventa ordine, diventa bellezza – diventando misura -, in quanto diventa purificazione del rapporto

La memoria diventa norma in quanto gesto, il rapporto – ogni gesto umano è rapporto – diventa più vero.

La memoria diventa norma perché rende vero il gesto, il rapporto.

«La memoria diventa norma» significa una purificazione dell’umano gesto, che lo rende più vero, che lo rende vero.

239 – «La memoria diventa norma» significa una purificazione dell’umano gesto, che lo rende più vero, lo rende vero.

Consideriamo la verità del rapporto tra l’uomo e la donna. Da che cosa sarà determinato il loro rapporto?

Dal fatto che sono sue esseri umani in cammino verso l’identico destino, amati e salvati dallo stesso Dio fatto uomo.

Quando è vero questo rapporto? Quando la memoria diventa norma e così rende vero il loro rapporto.

240 – Si capisce bene che la memoria non solo diventa norma come purificazione e verità del rapporto – e al di fuori di questa norma non è vero il rapporto -, ma anche che essa rende ogni azione adesione alla verità vivente, adesione cioè a Cristo, rende ogni gesto affezione, una affezione profonda che sbarazza il cammino da ogni fariseismo.

242-243 – Per quanto appassionato possa essere il grido del cuore dell’uomo, se non avesse una corrispondenza, se non udisse una risposta, se non sentisse l’eco di un «Eccomi!», sarebbe come una solitudine, la solitudine del suicidio: una consumazione inutile, distruttiva. Per questo la memoria diventa norma come funzione ideale di ciò che compiamo.

243 – La memoria diventa norma, come purificazione e verità, come energia adesiva, affettiva, come idealità, funzione ideale, funzione spirituale, funzione dell’infinito in noi.

247 – Si può comunicare solo nella gioia: la memoria come norma, come purificazione, come adesione intensa, come amore all’ideale, come funzionalità al tutto, come valore, la memoria come pazienza, attraverso il noto del godimento e della gioia, diventando affezione, si comunica, diventa presenza comunicativa: cioè la memoria diventa movimento, diventa movimento umano.

memoria come pazienza

247 – Si può comunicare solo nella gioia: la memoria come norma, come purificazione, come adesione intensa, come amore all’ideale, come funzionalità al tutto, come valore, la memoria come pazienza, attraverso il noto del godimento e della gioia, diventando affezione, si comunica, diventa presenza comunicativa: cioè la memoria diventa movimento, diventa movimento umano.

Miracolo

92 – (In risposta a una lettera) Ti ringrazio molto. E con questa testimonianza al miracolo del cristianesimo, pardon, al miracolo di Cristo, per cui non c’è più lontananza tra gli uomini e non c’è più estraneità, tanto è vero che non c’è più estraneità perfino con noi stessi, ringraziamo tutti gli intervenuti e preghiamo Iddio che le nostre Fraternità siano un luogo dove l’estraneità viene abolita dall’amore alla Presenza e che, in secondo luogo, diventino ambito di accoglienza, e perciò di creazione di umanità, e che, in terzo luogo, diventino missionarie, e perciò creative di una umanità nuova, cioè creative di Chiesa.

165 – Questo è il miracolo della fede, il miracolo del fatto che io ho come modello Cristo, che noi abbiamo come modello Cristo, il quale ha come contenuto della Sua coscienza il Padre: qualunque cosa uno faccia – mangiare, bere, vegliare e dormire, vivere o morire – è per il disegno di Dio.

Questo realizza un miracolo in questo mondo, il miracolo di una umanità diversa: sarà una realtà piccola, una famiglia; sarà più grande, una Fraternità; sarà più grande ancora, una comunità, un movimento; sarà decisamente più grande, una realtà geograficamente più vasta, una regione del mondo investita da questo, come lo fu nel Medioevo tanta parte della umanità, ma il miracolo è sempre lo stesso.

Si chiama miracolo perché attraverso di esso, la fede dimostra la sua verità.

198-199 – Il miracolo dello Spirito, il miracolo con ci Cristo ha dimostrato al mondo la sua verità, che era vero, è una comunità di uomini diversa, è una convivenza diversa di uomini.

199 – Il cambiamento della mia vita, e il fatto di una compagnia che non avrebbe paragone, non ha paragone, anche se è così appesantita dalla miseria di tutti i singoli, è un miracolo.

Misericordia

54-55 – L’aggettivo proprio di questo Padre, di questo Ultimo cui tu appartieni, di questa realtà attraente e perciò mobilitante il nostro essere, in cui si rivela la verità di tutto, l’aggettivo proprio del Padre è «misericordioso»; e, quindi, in un certo vero senso, la parola che definisce ultimamente Dio è «misericordia».

Io confesso che non ho mai trovato niente di più persuasivo della divinità reale di ciò che c’è tra noi di questa parola: «Misericordia».

55 – La misericordia! Perciò non esiste niente di più antitetico a Dio, di più ribelle a Dio che, per qualunque motivo, dubitare della sua capacità e possibilità di misericordia.

È il peccato contro lo Spirito Santo, direbbe Cristo, l’unico che non può essere perdonato, perché è dire che Dio non può perdonarmi.

143 – Quale tipo di svolta dell’essere avviene, se io accetto queste cose, se la mia libertà accetta di essere senza paura, di andare controcorrente, affidandosi a Cristo, alla Sua misericordia, secondo la frase di san Bernardo, che dovete scrivere, perché è la più bella cosa del mondo, è una cosa che farebbe venire voglia di ballare sempre: «Il mio merito è la Tua misericordia».

Il mio merito non è quel che faccio io, è la Tua misericordia; il mio merito, il mio valore è nel fatto che Tu mi ami, e mi ami perché mi fai.

172 – Se io devo imitare Dio, qual è la cosa principale, fondamentale che Dio è per me? Amore, misericordia. Bisogna saper amare se stessi.

222-223 – Che cosa è la misericordia, ricorda il Papa, se non il fatto che Dio afferma sempre, da ultimo, il valore che permane, il valore permanente, in mezzo a tutte le circostanze possibili e immaginabili, quindi anche le più cattive, come appunto è stata la sequenza cattiva – quante ne ha commesse! – della vita del Figliol prodigo?

Ma tutte le circostanze possibili e immaginabili, anche li più avverse, lasciano intatto il valore permanente: «Egli è mio figlio». «Tu sei mio padre».

223 – il Mistero, di cui l’uomo non può parlare, su cui non può dir pensiero, in Gesù si è rivelato “misericordia“: «Prevarrà sempre il valore che io ti ho dato, sei mio figlio, ti ho data la vita, ti ho dato me stesso. Questo prevarrà sul tuo male!».

Missione

32 – Non è innanzitutto verso altri l’incombenza che abbiamo di fronte al mondo – che ognuno di noi ha di fronte al mondo, perché ognuno di noi ha di fronte al mondo l’incombenza della missione -, ma è innanzitutto verso noi stessi, che questa prima missione deve essere realizzata, poiché la dialettica di cui parla Geremia è dentro di noi.

Noi prendiamo a scherno ciò che ci proviene dal profondo, noi riprendiamo continuamente a lottare contro ciò cui siamo stati chiamati.

84-85 – Se il movente della Fraternità è il richiamo alla grande Presenza che c’è tra noi e a investire la nostra vita su di essa, uno capisce che lo scopo del vivere è la missione, vale a dire, è il movimento: il movimento, infatti, è il modo della nostra missione.

Intervento: « Io credo che il movimento avvenga per la persona, cioè in quanto ciascuno di noi, nell’istante, vive la totalità dell’esperienza, e quindi la lascia trasparire, la comunica. Questo, quindi, rende possibile la missione

102 – «Come esercita la missione ideale e tonificante nella società, nella quale è immerso? Capite il valore di una battaglia per la libertà dell’educazione che nessun altro fa? Se noi non ci fossimo mossi, nessun altro lo avrebbe fatto.

Mistero

14 – Quante volte ci siamo ricordati che proprio per questo la Pasqua è il mistero principale, il mistero grande della vita cristiana!

[…] Il Mistero della Pasqua è il più importante perché è quello che deve accadere tutti i giorni, anzi, tutte le ore.

Prima di accostarci al grande mistero del tempo, al grande mistero del nostro confronto nuovo col destino, con Cristo, riconosciamo di essere peccatori.

21 – Che la nostra vita dipenda nella sua totalità è evidente, ma noi sappiamo che il Mistero o l’enigma ultimo da cui la nostra vita sorge, istante per istante è Padre.

Chi osa parlare al Mistero che lo fa con la parola più umana che esista: «Padre?» di fronte a questo Padre noi non siamo puri e senza colpa.

67 – La moralità vera sta nella affezione, in quella affezione al destino che è il Mistero, che è Padre rivelato da Cristo, che è Cristo a cui il Padre ha dato tutto nelle mani.

70-71 – L’affezione al Mistero, al Padre che ci fa, al Destino, alla felicità che ci attende, è l’affezione alla Presenza che ci accompagna: «Colui che è tra noi».

Soltanto nell’umiltà di chi è profondamente teso a Cristo, ama Cristo, vive l’affezione al Mistero che lo crea, lo attende e lo accompagna, solo per chi è in questa umiltà la compagnia risalta in tutta la sua provvidenzialità.

La compagnia è la grazia, il segno fisico della grazia.

98 – Ma noi apparteniamo al gruppo che frequentiamo, perché il mistero di Cristo e perciò il mistero del Suo Corpo misterioso che è la Chiesa – il mistero di Cristo e del popolo di Dio – si identifica nella contingenza storica della compagnia con cui il Signore ci ha dato la grazia di trovarci, attraverso la quale l’autorità giunge al nostro cuore e lo richiama, lo sollecita e lo sostiene, lo aiuta nel grande passaggio.

138 – Ma pensate che il rapporto con il Mistero, con il Padre, come diceva Gesù, e quindi l’imitazione di Cristo, non ci faccia guardare l’uomo, la donna, i figli, i fior, le cose? No, ce le fa guardare in un modo cento volte più intenso e più vero.

140 – La libertà: questo è veramente il mistero più grande, insieme al mistero di Cristo. È un pensiero che ho da quindici giorni, imponente: il mistero di Dio che muore in croce ha un solo paragone come grandezza di mistero: la libertà dell’uomo, che l’uomo possa odiare la verità, cioè odiare se stesso, che l’uomo possa essere così impudentemente presuntuoso.

222-223 – È questa la definizione del Mistero. Il Mistero, di cui l’uomo non può parlare, su cui non può dire pensiero, in Gesù si è rivelato “misericordia”: «Prevarrà sempre il valore che ti ho dato, sei mio figlio, ti ho data la vita, ti ho dato me stesso. Questo prevarrà sul tuo male!»

Mondo

16-17 – Noi siamo circondati da questo mondo, quel mondo per cui Cristo non prega, come dice il Vangelo di san Giovanni.

17 – Di fronte a questa ostilità esterna che determina l’aria che respiriamo, e di fronte a questo nugolo di pensieri e di reazioni che riverberano il mondo dentro di noi, la nostra povertà e la nostra fragilità diventano veramente grandi; e il bene, se non passa falsamente come presunzione, se non è corrotto da una certa vanità e presunzione, diventa impossibile.

65-66 – Vivere il momento: forse è questa la formula che racchiude più potentemente la capacità redentiva di Cristo, liberatrice dell’uomo, ciò che la comunione con Cristo fa realizzare.

L’impeto di abbracciare il mondo caratterizza il cuore dell’uomo. Ma ciò avviene se uno vive il limite del momento.

Se uno non abbraccia il mondo nell’istante piccolo e breve, nella contingenza del suo momento, non solo non abbraccerà mai il mondo, ma oblitererà, perderà di vista anche questo suo spazio del cuore e vivrà con il respiro di quelle che sono sotta la tenda a ossigeno, anzi, che avrebbero bisogno di entrarci.

Si abbraccia il mondo se uno vive il limite del suo momento.

66 – Questa è la giustizia: non è grande, se non chi nell’istante vive la coscienza del rapporto eterno, del rapporto con l’infinito che si è rivelato in Cristo, del rapporto con Cristo.

Allora uno salva il mondo, cioè ama il mondo e lo porta, lo trascina con sé. Altrimenti uno, nel momento, nell’istante, ama se stesso e si corrompe, rompe cioè l’unità del disegno totale e tutto si frammenta.

Questa è dunque l’alternativa: o amare Cristo e nell’impeto dell’istante abbracciare il mondo, vivendo il limite del momento nel rapporto infinito, e allora tutto si salva, uno abbraccia il mondo, cioè salva il mondo, lo trascina con sé, proietta sul mondo la sua libertà e la sua verità; o altrimenti uno, nell’istante effimero, ama se stesso e si corrompe, e l’effimero non ha più storia, non edifica, non genera, è inutile.

105 – Nella scelta di appartenere al mondo si introduce una eclissi del messaggio vero, un’eclissi del volto, del messaggio e dell’annuncio di Cristo, un’eclissi di Cristo ed è proprio questo che fa dire certe frasi, per esempio: «Non sono capace».

Per ciò stesso che uno lo pensa e lo dice, questo lo fa ritirare.

113 -«Il tempo si fa breve. Per cui chi fa la cosa sia come se non la facesse» (1Cor 7,29); la faccia, ma come se non la facesse, perché non è quello che abbiamo tra mano il vero volto delle cose che vogliamo e che amiamo, il vero volto del mondo.

Concedici o Signore, un generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina, verso quel cambiamento che esploderà alla fine della nostra vita e che vedrà tutto il mondo, perché coinciderà col cambiamento e la trasfigurazione del mondo. L’altro mondo sarà questo mondo trasfigurato.

119 – Come è importante la nostra coscienza! Il mondo c’è, esiste, per questa coscienza. Tutto il mondo vive senza coscienza, se non con sussulti incompiuti, generati da quella esigenza di verità e felicità che ogni madre, facendo nascere un cuore, fa sì che si accenda nel mondo..

«E noi che di notte vegliammo, / attenti alla fede nel mondo»,

Di notte, nella notte del mondo, noi vegliamo «attenti alla fede del mondo», attenti al destino per cui le cose sono fatte, che tutte le cose hanno, che tutta la natura ha.

149 – In noi non è un rifiuto (di Dio) consapevole, un rifiuto cosciente, un rifiuto critico: nel mondo sì, è un rifiuto critico, che fluisce e rifluisce anche dentro di noi come rifiuto.

Il mondo, che è critico, consapevole, che è rifiuto del logos, rifiuto cioè che il mondo sia una grande responsabilità da vivere di fronte al Signore, questa mentalità, che nel mondo è stata costruita in secoli di accanito programma anticristiano, rifluisce in noi e noi ne viviamo.

La nostra vita si imposta come facendo al Signore, al Padre che ci genera, una nicchia.

Noi costruiamo, per questo Padre, nel migliore dei casi una nicchia, come un aggeggio fra gli altri, non determinante.

154 – Il mondo è il luogo dove agisce la speranza che l’uomo compia la sua opera. Non più il mondo opera di un Altro a cui obbedire, ma la realtà come il campo dove l’istinto brandito dalla dignità e dalla scaltrezza della ragione – scienza e tecnica – diventa pretesto perché l’uomo compia l’opera che gli salta in mente, la visione che si crea, come predicava Bertrand Russel (Il culto dell’uomo libero).

169 – Oh, fratelli miei, che egli sia «il» Padre e che la nostra vita sia sua proprietà! Che tutta la nostra esistenza sia in funzione d’una Sua parola, d’un suo logos, d’un Suo ordine grande (non a caso il mondo si chiama “cosmo”, che vuol dire ordine).

mondo nuovo

164-165 – La profondità cui giunge questo processo è quella di un mondo nuovo, creato da un modo nuovo di convivenza. È il modo nuovo di convivenza che crea un mondo nuovo.

La civiltà non è il Paradiso: riguarda questa terra, è un mondo nuovo, è «la rivoluzione cristiana» che costruisce una convivenza, una «città nuova» dell’uomo. Si tratta di questo mondo.

193 – Dal messale Ambrosiano: «Signore Dio, nella semplicità del mio cuore lietamente ti ho dato tutto. E ho visto il Tuo popolo, con grande gioia, offrirti se stesso», cioè costruire il mondo nuovo, di cui Dio è il Signore, incominciando dalla prossimità.

[…] l’amore è astratto, la carità è astratta, se non diventa concreta in una comunità; ma se diventa concreta in una comunità, diventa concreta con tutti.

Morale / moralità

67-69 – La morale è la questione della vita. Il rapporto tra la vita e il destino è tutto quanto nella verità che si attua dentro l’azione e perciò attraverso la nostra libertà.

È la verità che per l’uomo diventa affezione.

La moralità vera sta allora nella affezione, in quella affezione al destino che è il Mistero.

La moralità è quella affezione a Cristo e al Padre

68 – La morale è tendere a Dio.

69 – La moralità prosegue nella vita l'assetto originale con cui Dio ci ha fatti, facendoci uscire dalle sue mani: la tensione a Lui. Un giorno senza tensione a Lui è immorale.

E potrebbe essere una giornata da fariseo, onesta, potrebbe essere una settimana o un mese o potrebbero essere anni apparentemente a posto, ma senza tensione a Lui, non c’è moralità.

La moralità è qualcosa che sta alla radice di ogni comandamento, qualcosa che i comandamenti ancora non dicono, perché di seguire Cristo i comandamenti non parlano esplicitamente: è l’ultima implicazione, appunto, l’espressione di questa affezione a Colui da cui nasciamo ogni istante e che ci attende alla fine del tempo come compimento del nostro io e che è presente come compagno.

«Se tu non mi accompagni, io non mi muovo più di qui» (Es 33,15)

71-72 – La moralità ha come suo clima verificante l’umiltà, perché l’umiltà è la coscienza del nostro niente e di ciò che conferma il nostro nulla, in modo paradossale, approfondendolo, se si può dire così, rendendolo più grave: è il senso del nostro peccato.

72 – Allora, amare Dio, l’affezione a Cristo, che è l’essenza della moralità, si rivela come affezione alla compagnia, come devozione alla compagnia, come ascolto; si rivela come sequela.

Ogni obiezione alla sequela è immoralità, è l’immoralità profonda che si accusa.

108 – Che cosa rende incontro tutte le volte che vi vedete, tutte le volte che vi telefonate? Ciò che lo rende incontro è la coscienza dello scopo. Se c’è questo incontro, allora il desiderio di cambiamento viene continuamente messo sotto pressione.

Questa è l’umanità nuova o la morale nuova che dalla Fraternità deve dilatarsi nella nostra vita e nella vita della società: la vita tesa a qualcosa d’Altro.

174 – Questa è la moralità: che la concezione, il sentimento di noi stessi sia talmente definito dalla coscienza della grande presenza di Dio, del Padre, che ogni nostra espressione, sempre più ovviamente, sempre più normalmente, sia compiuta come rapporto con il grande disegno.

La moralità di una azione è misurata dal rapporto tra quell'azione e il disegno di Dio.

Non per nulla la moralità suprema è l’offerta, nell’offerta.

Stessi anche pulendo un bicchiere, io stabilisco un nesso infinito: quel gesto, assolutamente effimero ha un valore infinito, perché è rapporto con il disegno, è compiuto in funzione del grande disegno di Dio.

227-228 – La moralità della vita non è una capacità nostra.

Il nostro cuore è cattivo, tanto è vero che Gesù l’ha detto una volta: «Tutti voi siete cattivi».

La moralità non è capacità nostra. E chi brandisce questa parola per giudicare altri, o per sbandierare programmi, è veramente un pover uomo.

La moralità non è capacità nostra, ma è la possibilità di Cristo in noi. E Cristo fa entrare la sua forza in noi, se lo guardiamo, se lo invochiamo.

228 – La moralità è la possibilità di Cristo in noi, come diceva san Paolo: «Di tutto sono capace insieme a Colui che è la mia forza!»

232 – La moralità è una storia. Anche l’Antico Testamento però descrive la moralità del popolo ebraico come un “riguardare” Dio, come un convertere ad Dominum Deum tuum Os 14,2); guarda al Dio tuo, cioè al Dio dei tuoi padre, al Dio della tua storia, che ti si è fatto conoscere, che ti ha dato il suo nome, ricordati.

244 – La moralità non è una capacità nostra, ma una capacità di Cristo in noi.

Mortificazione

264 – Mortificazione, in senso cristiano, è plasmare l’azione sul criterio giusto. (Non vado a vedere la televisione e metto a posto la cucina). Questa è mortificazione, che vuol dire: plasmare l’azione sul criterio giusto.

In tal senso non esiste processo affettivo che sia vero senza sacrificio; senza la mortificazione del sacrificio non è possibile una verità affettiva: il sacrificio è come il vento che purifica l’aria nell’affettività.

Movimento

74 – Sarebbe una contraddizione creare, realizzare una Fraternità che non abbia l’ampiezza e la profondità di interesse umano che caratterizza il movimento.

Un Fraternità dovrebbe essere l’ambito dove la caratteristica, la natura, la fisionomia del movimento è più viva e più vivacemente vissuta.

Il movimento non è soltanto o non è tanto una quantità più vasta del tuo rapporto con tua moglie o con tuo marito: il movimento è la fede che investe lo spazio umano.

Lo spazio umano è la totalità dei fattori di una persona, la totalità di una persona.

La Fraternità deve essere un luogo dove uno impara a guardare una persona secondo la totalità del suo spazio umano, dove impara a guardare l’altro secondo il suo destino e come compagno di cammino, secondo i termini dei suoi bisogni, con i quali giocarsi.

77 – Il riconoscimento che la Chiesa ha fatto della Fraternità coincide col riconoscimento che la Chiesa ha fatto dell’esperienza matura del movimento.

Perciò la Fraternità non può essere un alibi o la sostitutiva della vita, dell’impegno, del fermento del movimento: è la modalità perché ognuno vi sappia partecipare.

Un Fraternità può senz’altro avere delle proprie caratteristiche, diverse da quelle di altre Fraternità, ma il denominatore comune sono i fattori essenziali della vita del movimento.

Il movimento rappresenta il luogo paradigmatico, perché la fraternità è l’espressione matura dell’esperienza del movimento.

Ma uno può incominciare con la Fraternità, senza avere mai incontrato il movimento prima, e si mette all’opera nella compagnia nuova che ha trovato.

84-85 – Se il movente della Fraternità è il richiamo alla grande Presenza che c’è tra noi e a investire la vita su di essa, uno capisce che lo scopo del vivere è la missione, vale a dire, è il movimento: il movimento, infatti, è il modo della nostra missione.

Intervento: «Il frutto più grande dell’esperienza della Fraternità è per me una ridecisione più netta per il movimento come luogo oggettivo in cui vivere Cristo, in cui Cristo mi ha preso e mi accompagna. È una riscoperta elementare della dimensione della comunità, cioè dell’essere insieme, come condizione fondamentale dell’appartenenza».

Intervento: «L’esperienza della Fraternità come esperienza del riaccadere del movimento ha reso più vera e più trasparente la mia persona. io credo che il movimento avvenga per la persona e attraverso la persona, cioè in quanto ciascuno di noi, nell’istante, vive la totalità dell’esperienza, e quindi la lascia trasparire, la comunica. Questo, quindi, rende possibile la missione

85 – L’essere insieme è una condizione che il movimento ha sempre sottolineato.

Il dover essere insieme per poter camminare, è il sintomo che apparteniamo a qualche cosa d’altro.

106-107 – Dobbiamo stare molto attenti ad aver molta stima del movimento. Ricordiamo che la Fraternità è l’espressione più alta, più compiuta, più matura della vita del movimento.

Dobbiamo aver stima del movimento. Il movimento ti giudica nel senso evangelico o nel senso biblico della parola, che è un senso di festa: «Viene il Signore a giudicare la terra».

Che giudichi la terra vuol dire che la trasforma, la urge a una trasfigurazione.

Il movimento ti giudica proprio attraverso le cose che si fanno: gli Esercizi, la vendita de «Il Sabato», l’abbonamento a «Litterae comunionis», la Scuola di Comunità, tutto quello che volete; ti giudica proprio attraverso le cose che ti dice di fare.

130 – Il movimento è la vostra vita di ogni giorno, tra le quattro mura della vostra casa o del vostro ufficio, sul tranvai che ballonzola e che vi scuote.

Il movimento è questo cuore nuovo, è un uomo nuovo, cioè una coscienza nuova, è la coscienza del destino.

247 – La memoria diventa movimento, diventa movimento umano. Occorre che attraversi tutte queste, non dico barriere, ma queste condizioni, queste flessioni del tempo e dello spazio, queste versioni del nostre umore e del nostro cuore.

Allora la memoria diventa movimento, la memoria diventa compagnia, e la caratteristica di questa compagnia è proprio quella di essere movimento, vale a dire è una compagnia che non ha limite.

249 – Solo nella gioia è l’energia di una presenza comunicativa, e allora la memoria diventa movimento, diventa compagnia, il cui dolore supremo è di non poter abbracciare il mondo, comunicando per osmosi della propria carne agli altri la bellezza della verità, l’intensità dell’adesione, la meraviglia, lo stupore del valore, della idealità.

258 – Per questo la fede in noi deve diventare un movimento dentro la società.

«La Chiesa stessa è «un movimento», ci ha detto il Papa (GPII) alcuni anni fa.

La fede deve diventare movimento e, in quanto plasma in modo diverso l’agire dell’uomo, in quanto ci fa pensare, sentire, comportarci in modo diverso, in quanto ci rende uniti in modo diverso, la fede deve diventare movimento di civiltà.

esperienza del movimento

79 – Il movimento, l’esperienza del movimento, o è totalizzante oppure manca al suo scopo e fa perdere tempo.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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