Temi «La convenienza umana della fede» 85-86-87 – 2a parte

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Lettera «O»


Obbedienza

44 – Solo dopo un incontro, l’incontro del roveto ardente (Mosè), solo dopo un incontro e un mandato, cioè solo per obbedienza, inizio la sua epopea di liberazione.

54 – Non è Dio un alieno nelle nostre immagini, non è la nostra interpretazione, la nostra strada di salvezza; ciò che domina in noi è la coscienza di appartenenza e perciò la vita come obbedienza.

103-104 – (Se vivi l’appartenenza) allora la regola suprema della vita è la sequela.

Sequela vuol dire che non la convenienza «umana», ma la mia convenienza vera coincide con una obbedienza.

Sequela e quindi obbedienza, significa non tanto il ripetere delle cose o realizzare degli schemi, ma rifare in noi, rivivere in noi un atteggiamento di giudizio e di affezione in tutto quello che facciamo.

104 – Mentre la comunità sviluppa la coscienza di appartenenza, esalta la sequela come atteggiamento profondo della vita e l’obbedienza come la convenienza suprema, questo passaggio dalla convenienza umana, dal possesso umano, all’ideale, alla conversione a Cristo, è favorito e aiutato invece, dalla comunità, da ciò che chiamiamo regola, dalla compagnia come regola.

185 – Concretamente, quando uno va in convento e fa i voti di obbedienza, di povertà e di verginità, non si impegna in cose strane, si impegna in una determinata espressione di valori che sono di tutti i cristiani, e si impegna in tale determinata espressione per una certa funzione della Chiesa. Questi tre sono valori per tutti i cristiani, in qualunque modo possiamo tradurli.

Innanzitutto, l’obbedienza. Possiamo dire che l’obbedienza è definita dalla preghiera e dalla sequela.

Il primo modo di obbedire è la preghiera.

La preghiera è la prima forma di obbedienza proprio perché domanda, è mendicanza di Cristo, è mendicanza della verità della vita, è mendicanza del suo regno: […] attraverso di me.

Offrire/offerta

70 – Questa affezione, che ci fa tendere a Cristo, ci fa vivere la sua memoria, cioè ci fa vivere il sentimento della sua compagnia: «Ti riconosco presente a me e tra di noi, Ti offro…»; l’offerta è come il frutto immediato di questa affezione: «ti offro, io che sono così labile e peccatore». E questa affezione aumenta il senso del bene, fa struggere il cuore del desiderio – sì – della perfezione! Ma il cuore resta umile.

174 – La moralità di una azione è misurata dal rapporto tra quell’azione e il disegno di Dio. Non per nulla la moralità suprema, si dice, è l’offerta, nell’offerta; stessi anche pulendo un bicchiere, io stabilisco un nesso infinito: quel gesto assolutamente effimero ha un valore infinito, perché è rapporto con il disegno, è compiuto in funzione del grande disegno di Dio

Opera/opere

122 – […]Se Lui ha incominciato in noi la Sua opera, è per portarla fino in fondo. Certo, occorre la partecipazione della nostra libertà.

129 – «Ho da mangiare un un cibo che voi non conoscete. Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera»

Gv 4,32-34

Compiere la Sua opera, non perché sono prete; per me è esattamente come per te che sei una dattilografa! «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.» Oppure: «Il Padre opera sempre e io opero».

153-154 – Caratteristica della mentalità moderna, atea nel senso pratico del termine, è quindi l’istintività, la moralità resa uguale a istinto e spontaneità. […] E questo accade perché l’uomo moderno guarda al mondo, alla realtà, non come a un’«opera», riconoscendo la Presenza che si esprime in essa e nel suo ordine, ma semplicemente come a un palcoscenico o a una piazza dove l’uomo irresponsabile, l’irresponsabilità nostra, gioca quello che sente, cioè gioca in base alla reazione che le circostanze producono: l’uomo è ridotto a un fattore meccanico.

Il mondo è il luogo dove agisce la speranza che l’uomo compia la sua opera. Non più il mondo opera di un Altro a cui obbedire, ma la realtà come il campo dove l’istinto brandito dalla dignità e dalla scaltrezza della ragione – scienza e tecnica – diventa pretesto perché l’uomo compia l’opera che gli salta in mente, la visione che si crea, come predicava Bertrand Russel.

Non più il mondo opera di un Altro, ma un mondo opera dell’uomo.

249-250 – Le strutture operative immaginate, create per affrontare i bisogni in cui si incarnano desideri ed esigenze del cuore di un uomo, dei cuori umani, noi le chiamiamo opere.

250 – Se uno di voi è tranviere, ed è obbligato a manovrare il tramvai, e prende al 27 del mese o non so quando il suo stipendio perché manovra il tramvai, può vivere questo lavoro per quello che esso è veramente: un’opera, il servire una struttura operativa per il bisogno degli uomini.

Allora «opera» è innanzitutto il lavoro quotidiano, se esso è visto nella prospettiva del suo nesso con il disegno totale, se è vissuto per pietà degli uomini, per stupore, gratitudine e amore a Cristo vissuto nella pazienza.

Le nostre opere, dalla modalità del lavoro quotidiano, all’immaginazione fervida, tenace e rischiosa, carica di dedizione, di strutture operative per affrontare i bisogni, costituiscono un vero apporto di novità nel tessuto e nel volto sociale.

252 – «La fede non sia più ciò che era nei giorni della nostra giovinezza, una adesione appassionata nell’oscurità, ma una certezza solida, qualcosa di magnificamente pieno e ragionevole».

Paul Claudel

È nell’opera, è nella memoria che diventa opera, è nell’amore che diventa casa dove tutti i figli di Dio possano essere ospitati, che ciò trova un grande modo di manifestarsi.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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