Temi «La convenienza umana della fede» 85-86-87 – 2a parte

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Lettera «P»


Pace

158-159 – La regola della tua azione, anche piccola, è l’infinito, è la direzione dell’infinito, è la funzionalità al grande ordine di Dio.

Allora, mentre sei lì a lavare i piatti, è l’universo che hai in mano, è l’amore all’infinito che hai in mano. Infatti c’è pace.

«Perché la pace, chi la conosce, sa che in parti uguali di dolore e di gioia è fatta»

P. Claudel L’Annuncio a Maria

Di gioia, per il possesso del rapporto con l’infinito; di dolore per la fatica dello strappo. Uno deve strapparsi alla misura della sua spanna.

La pace è questo strappo alla tua misura breve, per cui seguendo la prospettiva dell’infinito, il parametro di Cristo, fai diventare pieno di gioia il tuo momento, che rimane momento, ma diventa più vero, finalmente vero!

164 – E qui è «la pace, […] che in parti uguali di dolore e di gioia è fatta»; di dolore, perché strapparsi a una propria misura istintiva, a un tornaconto miope.

207 – Cristo, andando via dalla visibilità immediata, carnale dell’uomo, ha lasciato una eredità: l’esperienza della pace.

La gioia insieme al dolore: sono questi i due fattori della pace.

Padre

21 – Che la nostra vita dipenda è evidente; che la nostra vita dipenda nella sua totalità è evidente, ma noi sappiamo che il Mistero o l’enigma ultimo da cui la nostra vita sorge, istante per istante, è Padre. Chi osa parlare al Mistero che lo fa con la parola più umana che esista: «Padre»? Di fronte a questo
Padre, noi non siamo puri e senza colpa.

Ma c’è una osservazione ulteriore: nessuno, più che a noi, questo Padre ha fatto sentire la sua parola.

52 – Quel passaggio si dettaglia innanzitutto in una chiarezza di idea, di immagine, di coscienza di Dio, al quale si rivolge, con il termine grande, il più grande termine: «Padre».

54 – L’aggettivo proprio di questo Padre, di questo Ultimo cui tu appartieni, di questa realtà attraente e perciò mobilitante il nostro essere, in cui si rivela la verità di tutto, l’aggettivo proprio del Padre è «misericordia»; e, quindi, in un certo senso, la parola che definisce ultimamente Dio è «misericordia»

127 – La nostra vita riconosce il Padre: questa è la grande parola.

Ecco, allora, la prima cosa che fa succedere in noi, la cosa fondamentale che deve far succedere in noi Cristo come uomo, Cristo come modello della vita, come parametro, come criterio dell’agire: la coscienza che noi siamo «di» qualcosa di più grande, siamo «del» Padre.

Questo lo si intuisce bene quando uno capisce che tutta la Sua esistenza è «in funzione» del Padre, è «proprietà» del Padre, è «del» Padre.

130 – La volontà del Padre è che io non perda nulla di ciò che mi ha dato: ogni momento, ogni circostanza di vita, ogni provocazione, ogni cosa da fare.

132-133 – «Io dico quello che ho visto presso il Padre, […] da Dio sono uscito, da Dio vengo, Non sono venuto da me stesso, ma Lui mi ha mandato»

Gv 8,29

Pensare al Padre è un modo veritiero di pensare alle cose, è il modo vero di pensare alle cose: è una modalità dello sguardo che porti a tua moglie o a tuo marito, ai tuoi figli, al tuo lavoro, al bene e al male che ti accade, a te stesso.

138 – Ma pensate che il rapporto con il Mistero, con il Padre, come diceva Gesù, e quindi l’imitazione di Cristo, non ci faccia guardare l’uomo in un modo cento volte più intenso e più vero.

La gente che andava a sentire Gesù era tutta impressionata perché continuava a parlare del Padre; la sua “idea fissa”, cioè la sua coscienza, la coscienza che aveva di sé, era la dipendenza dal Padre, il rapporto col Padre, con Colui che lo mandava, e di cui era costituito.

160 – Il sacrificio è esattamente, come diceva la preghiera di stamattina, il tener fissi i nostri occhi al Padre, perché questo è imitare Cristo. Occorre tenere fissi i nostri occhi al Padre: anche se sbaglio mille volte Tu mi raccogli lo sguardo, che a Te si rivolge con umiltà; la Tua misericordia è più grande della mia debolezza.

168-169 – Sarebbe quello che il cuore dell’uomo desidererebbe più di tutto: che Dio, usiamo subito la parola, che il Padre sia veramente una realtà familiare come la propria donna che si vede in casa.

169 – Che Dio, che il Padre sia familiare allo stesso modo!

La familiarità del Signore non la capiscono, anzi, la prendono come uno scandalo, gli scribi e i farisei, quelli che credono già di sapere. Disse una volta Gesù: «Ti ringrazio Padre, perché hai nascosto queste cose a coloro che si credono saggi e le hai rivelate ai semplici. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te» (Mt 11,25-26).

170 – Se qualcheduno crede di essere in condizioni tali da dover fare eccezione, se crede che per lui, nelle condizioni in cui è, sia impossibile che il Padre diventi familiare come i suoi familiari e come i suoi amici, se uno di voi crede questo, sente questo, me lo venga a dire!

171 – La Madonna non poteva, istante per istante, non sentire se stessa come immolata in un sacrificio per il mondo, non poteva non sentire la propria vita come funzione di qualcosa di più grande.

[…]noi dobbiamo chiederle che ci avvicini a questo livello grande di consapevolezza della propria vita, della propria esistenza, del proprio io, come funzione del disegno del Padre, come appartenente a qualcosa d’altro.

181 – Ripetersi che tutto ciò che accade, anche ciò che ti rende più triste e sconsolato, è per un disegno buono, questo lavoro quotidiano nelle piccole cose o nelle grandi, ci fa scoprire che Cristo è proprio nostro Padre.

230 -Gli ha dato il potere su tutti, ma incomincia a dare la vita a coloro che il Padre gli dà nelle mani: col mistero del Battesimo, in cui la sua morte e risurrezione investono la nostra vita.

Attraverso noi il soggetto nuovo opera nel mondo, Cristo opera nel mondo.

coscienza del Padre

134 – Il peccato che è letteralmente il venir meno della coscienza del Padre, cioè il venir meno della tensione a far accadere questa coscienza.

Il male è l’agire umano che abbandona la coscienza di questo rapporto.

139 – Il pensiero di Dio, la coscienza di Dio, così come l’ha vissuta Gesù, nostro modello, parametro normativo del nostro agire, la coscienza del Padre, non arenata nella pur realistica considerazione del nostro peccato, del grande peccato della distrazione e di tutti i peccati che vi si innestano, ci fa vivere senza paura: «Non abbiate paura, non abbiate timore».

142 – Ecco, per uno che vive la coscienza del Padre, tutto diventa gustoso come l’arte, perché tutto diventa segno.

165 – Questo è il miracolo della fede, il miracolo del fatto che io ho come modello Cristo, che noi abbiamo come modello Cristo, il quale ha come contenuto della Sua coscienza il Padre: qualunque cosa uno faccia – mangiare e bere, vegliare e dormire, vivere o morire – è per il disegno del Padre.

174 – Questa è la moralità: che la concezione, il sentimento di noi stessi sia talmente definito dalla coscienza della grande presenza di Dio, del Padre, che ogni nostra espressione, sempre più ovviamente, sempre più normalmente, sia compiuta come rapporto con il grande disegno.

182-183 – Questa compagnia nasce in modo totalmente libero, come luogo di aiuto, come ha detto la lettera adesso, a tener desto l’Icaro in noi, cioè a tener desto il senso del nostro destino, del destino di cui siamo fatti, a tener desto il senso di appartenenza al Padre, la coscienza che tutta la mia vita è in funzione del disegno di Dio, del disegno del Padre.

183 – Se (la compagnia) ha come scopo quello di aiutarci a non dimenticare mai, a risorgere sempre, a sostenerci nel vivere la vita come coscienza del rapporto con il Padre, come funzione e servizio al disegno del Padre, come gloria di Dio, come gloria di Cristo, se ha questo scopo, allora è chiaro che deve essere fatta liberamente.

imitare il Padre

172 – Se devo imitare Dio, qual è la cosa principale, fondamentale che Dio è per me? Amore, misericordia. Bisogna saper amare se stessi.

173- La compagnia è il luogo dove ognuno, in modo commosso e tenace, persegue il suo grande dovere di imitare il Padre, dove trova la sua grande strada, che è imitare il Padre.

immagine del Padre

172 – Il paragone ultimo di quello che dobbiamo essere vicendevolmente è quello dell’amore che avete ai vostri bambini, perché questo vuol dire essere immagine del Padre, essere fatti come Dio.

pensare al Padre

132-133 – Pensare al Padre è un modo veritiero di pensare le cose, è il modo vero di pensare alle cose: è una modalità dello sguardo che porti a tua moglie o a tuo marito, ai tuoi figli, al tuo lavoro, al bene e al male che ti accade, a te stesso.

sentimento del Padre

128 – Voglio che prendiate nota di alcuni brani del Vangelo di Giovanni in cui l’uomo Cristo si mostra come modello di questo sentimento del Padre:

  • Gv 10,30
  • Gv 4.32.34
  • Gv 5,17
  • Gv 5,30
  • Gv 6,38-39
  • Gv 3,3
  • Gv 6,57
  • Gv 7,18

Pazienza

244 – La memoria diventa norma e si realizza nella pazienza. «Nella vostra pazienza possiederete la vostra vita.»

La parola «pazienza» è come una madre con tanti figli, che cammina non volendo perdere di vista nessuno di loro e abbraccia ogni presenza che nasce dalla sua carne, l’abbraccia come porta se stessa.

246-247 – La pazienza può far dire a una persona, a cui il Signore chiede, in fondo, ormai tutto: (lettera)

«Mi sono accorta che l’ostacolo per il manifestarsi della Sua capacità rinnovatrice del corpo e dello spirito poteva essere la mia libertà: io stessa – io stessa! – potevo impedire il miracolo. Ho cominciato a camminare, a lavorare per abbandonarmi a Lui.[…] Mi sento così portata che sono quasi impedita a retrocedere nella disperazione. A volte sono così certa della mia guarigione che quasi mi stupisco di camminare ancora male. A volte mi chiedo quanto devo aspettare ed esercitare la pazienza. Oppure mi domando se Dio vuole chiedermi, portarmi a offrire la vita, e questo mi fa tremare, perché penso alle mie bambine

250 – Allora «opera» è innanzitutto il lavoro quotidiano, se esso è visto nella prospettiva del suo nesso con ili disegno totale, se è vissuto per pietà degli uomini, gratitudine e amore a Cristo vissuto nella pazienza.

Peccato/peccatore

19 – Poi muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali, che non hanno drammi e peccati.

Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio.

22 -Il nostro errore non ci definisce, il peccato non è ancora la nostra tomba.

33 – È questo il peccato che descrive il volto almeno esteriore della nostra esistenza personale, il peccato che perciò caratterizza i termini del nostro volto, se non del nostro cuore. Sappiamo bene quali ne siano le radice: innanzitutto, la dimenticanza.

41-42 – Questo è il peccato: non l’incoerenza e la fragilità, che hanno una consanguineità così grande ed evidente con la nostra nullità da destare compassione, ma il tentativo di annichilire la percezione di questo qualcosa di grande, cioè l’indifferenza al Destino.

42 – Il peccato è la dimenticanza, il peccato è la scetticità che protegge ili disimpegno, il peccato è la fiducia in qualcosa che facciamo noi, con le nostre mani, che non c’erano e che se hanno valore è solo per ciò cui sono destinate, per il rapporto con il Destino, con un Altro, con qualche cosa d’altro.

47 – Nel mondo che si muove e che diventa storia, nel tempo che passa, c’è una Presenza che nessuno potrà estirpare, nessun potere potrà far tacere, e che raggiunge l’uomo che il Padre sceglie e dà in mano a Cristo.

È Cristo l’incontro che può rendere organico il senso del destino, redimere il senso del nulla e del peccato.

«Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»

55 – La misericordia! Perciò non esiste più niente di antitetico a Dio, di più ribelle a Dio che, per qualunque motivo, dubitare della sua capacità e possibilità di misericordia. Non esiste «ma»! È il peccato contro lo Spirito Santo, direbbe Cristo, l’unico che non può essere perdonato, perché è dire che Dio non può perdonarmi.

71 – La moralità ha come suo clima verificante l’umiltà, perché l’umiltà è la coscienza del nostro niente e di ciò che conferma il nostro nulla, in modo paradossale, approfondendolo, se si può dire così, rendendolo più grave: è il senso del nostro peccato.

134 – Il peccato, che è letteralmente il venire meno della coscienza del Padre, cioè il venir meno della tensione a far accadere questa coscienza.

137 – Stiamo attenti al peccato. «Mi hanno odiato senza ragione» Gv 15,24-25)

Dobbiamo arrivare dentro la grande verità: che la ragione della vita è Cristo, vale a dire che senza la fede viene meno la nostra ragione, diventa meno ragionevole il vivere.

142 – Percepire il proprio peccato è l’inizio della verità, ed è il contrario di quel peso soffocante di cui non sappiamo l’origine e il valore e che subiamo normalmente, essendo schiavi di un ritmo e di un meccanismo senza ragioni, vale a dire che ha solo le nostre ragioni, cioè che non ha ragioni.

Il peccato è la dimenticanza di Dio nella vita.

146-152 – Abbiamo parlato del peccato come esito della nostra debolezza.

147 – Pio XII disse: «Il peccato di questo secolo è la perdita del senso del peccato»

L’uomo commette il peccato senza chiamare per nome ciò che fa.

La prima verità dell’uomo percosso dal vivere è la sua inadeguatezza, è il suo peccato.

«L’uomo commette il peccato senza chiamare per nome ciò che fa. Questa, però non è la via della liberazione. Essa è soltanto la via della falsificazione della verità. La via della liberazione giunge a buon fine solo attraverso la verità. colui che morì sulla croce disse: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Proprio per questo è andato sulla croce. Nella croce è racchiusa fino in fondo la verità sul peccato dell’uomo, sul peccato del mondo. E per quanto l’umanità voglia respingere questa verità, per quanto tenti di cancellare nelle coscienze e nei costumi il senso del peccato, la croce darà sempre testimonianza a questa verità»

Giovanni Paolo II, “Discorso durante la meditazione alla “via Crucis

148 – Il senso del male, del peccato, accade infatti là dove l’uomo ha coscienza della sua dipendenza da qualcosa di più grande, del fatto che la vita è funzione da qualcosa di più grande.

La perdita del senso del peccato vuol dire perdita del senso dell’appartenenza a Dio: si tratta qui del peccato come rifiuto del logos, come rifiuto del mondo ordinato a un disegno più grande. Questo è diventato forma mentale

149 – Perciò molto profondamente, il peccato è indicato non come incoerenza […] ma come rifiuto di Dio. In noi non è un rifiuto consapevole, un rifiuto cosciente, un rifiuto critico: nel mondo sì, è un rifiuto critico, che fluisce, rifluisce anche dentro di noi come rifiuto.

150 – Vorrei che ci rendessimo più consapevoli della presenza del peccato nella nostra vita; del peccato, come l’abbiamo identificato stamattina, perciò non del peccato in senso moralistico o nel senso, così umano, della incoerenza – nei gesti, nei fatti -, ma del peccato proprio nella sua radice totale, che è il rifiuto di Dio.

151 – Nel libretto (Coscienza religiosa dell’uomo moderno) sono indicate in tre grandi direttive le flessioni della mentalità mondana, che elimina il senso del peccato nel nostro agire, perché commette il peccato più vero, che sta alla radice: la dimenticanza

232-233 – Se la conversione sta nella memoria, il peccato – a cui siamo così legati e di cui, nello stesso tempo, abbiamo incominciato a conoscere il dolore, non più solo la vergogna, tanto meno la tracotanza della giustizia, ma il dolore – sta nello scordare, nel non ricordare.

Andate a rileggere il capitolo 32 del Deuteronomio: tutto il peccato di Israele è nell’aver scordato ciò che Dio aveva fatto per esso.

233 – Il peccato sta proprio nello scordare, nel dimenticare

Il peccato è lo scordare Cristo.

Se la memoria fa fluire il Suo potere in noi, come lucidità, come intelligenza della legge di Dio, e come dolore, come affezione e amore, lo scordarsi brucia tutto questo, lascia terra bruciata, come uno che rimanga piccolo a vent’anni, con la coscienza di un bambino di un anno e mezzo o due.

Non è appena lo scordare.

Ecco, l’origine del peccato è lo scordarsi, ma è anche la fragilità, una fragilità senza sponde.

234 – L’arma contro la fragilità è la domanda, è domandare Cristo.

rifiuto di Dio

149-150 – Molto profondamente, il peccato è indicato non come incoerenza, non come debolezza, ma come rifiuto di Dio.

In noi non è un rifiuto consapevole, un rifiuto cosciente, un rifiuto critico: nel mondo sì, è un rifiuto critico, che fluisce, rifluisce anche dentro di noi come rifiuto.

Noi (invece) costruiamo, per questo Padre, una nicchia, come un aggeggio fra gli altri, non determinante la vita, non determinante l’agire umano.

Il rifiuto di Dio è forma culturale del nostro tempo. E badate che ci penetra totalmente.

Vorrei che ci rendessimo più consapevoli della presenza del peccato nella nostra vita; del peccato come l’abbiamo identificato questa mattina, perciò non del peccato in senso moralistico o nel senso, così umano, dell’incoerenza – nei gesti, nei fatti -, ma del peccato proprio nella sua radice totale, che è il rifiuto di Dio («Dio non c’entra»).

Perdono/perdonare

24 – La metànoia, il cambiamento nel sentimento di sé, questa è la partenza. E il vertice di questo cambiamento, il frutto supremo di questo cambiamento, è la capacità di perdono.

35-36 – Come facciamo a reagire di fronte al nostro peccato, alla nostra nullità? Questo è il grido di dolore, o la domanda di perdono. La domanda di perdono ci trasforma improvvisamente dal profondo, ci trasforma e ci rende vivi, ci dà una strana solidità.

36 – È la domanda di perdono che risentiamo in noi quando leggiamo attentamente, non solo con una emozione estemporanea e superficiale, le parole del Salmo 130:

«Dal profondo a Te grido Signore, / […]Se consideri le colpe, Signore, / Signore chi potrà sussistere? / Ma presso di Te è il perdono[…].»

domanda di perdono

35-36 – Come facciamo a reagire di fronte al nostro peccato, alla nostra nullità? Questo è il grido di dolore, o la domanda di perdono. La domanda di perdono ci trasforma improvvisamente dal profondo, ci trasforma e ci rende vivi, ci dà una strana solidità.

36 – È la domanda di perdono che risentiamo in noi quando leggiamo attentamente, non solo con una emozione estemporanea e superficiale, le parole del Salmo 130:

«Dal profondo a Te grido Signore, / […]Se consideri le colpe, Signore, / Signore chi potrà sussistere? / Ma presso di Te è il perdono[…].

42 – Alla disperazione amara, cui il senso del nostro niente porta l’uomo che si lascia travolgere dalla oscurità di questo nulla, deve subentrare un grido; questa disperazione deve essere vinta da un grido.

È nel grido e nella domanda di perdono che quel qualcosa di grande che abbiamo percepito commuove la nostra vita, la muove, la mette insieme.

Personalità

259-261 – Se questo è il problema, la nostra personalità deve essere segnata da procedure diverse, deve essere disegnata in forma diversa da quella degli altri.

La prima e fondamentale di queste flessioni in cui la nostra personalità si esprime è il pregare, ma il pregare nella sua sostanza che è il domandare.

Innanzitutto la nostra personalità deve essere definita dal pregare come domanda.

260 – La prima caratteristica della personalità nuova è la preghiera, la fedeltà alla domanda, alla mendicanza.

261 – Luce e sicurezza: questo vuol dire che la personalità nostra deve avere un tipo di giudizio diverso. Un giudizio è diverso non quando cambiano le cose, ma quando cambia il criterio: dire lo scopo della vita, il problema della vita è la gloria di Cristo, significa sconvolgere totalmente la mentalità comune.

La gloria di Cristo si opera attraverso le inevitabili circostanze, senza cancellare, dimenticare, obliterare nulla, nella vita concreta così come essa è, nella tua attività quotidiana.

nuova personalità

260 – La prima caratteristica della personalità nuova è la preghiera, la fedeltà alla domanda, alla mendicanza

262 – Oltre all’intelligenza, la personalità nuova ha una energia che si chiama libertà o volontà o affettività. La volontà umana, l’affettività umana è una energia che consegue a un giudizio, e il giudizio è quello che deve avere come criterio ciò che abbiamo detto prima (la gloria di Cristo).

264-266 -La personalità nuova vive due circostanze eterogenee tra loro: sono, a mio avviso, le due circostanze principali più grandi, più decisive.

Prima di tutto la compagnia, Questa personalità nuova nel mondo è una personalità in compagnia.

La compagnia è il luogo, o la realtà, o il segno concreto in cui si incarna la verità della nostra vita, in cui si incarna la vocazione, l’attrattiva, la memoria di Cristo.

265 – La seconda circostanza della personalità nuova è il dolore. Non si può parlare di amore al dolore, ma la parola «dolore» implica già l’amore.

«Al di sopra di tutto sia la carità, che è il vincolo della perfezione»

È questa la formula della umanità nuova che vive la fede, della gloria di Cristo, come personalità nuova, mendicante, che giudica e ama secondo un criterio nuovo, che riconosce nel sacrificio il fattore che rende vere le cose, soprattutto l’affettività, che genera e nello stesso tempo abbraccia una compagnia, fa dei rapporti umani una compagnia e non ha più obiezione nel dolore, perché il dolore è un’obiezione solo per chi non Lo riconosce e non Lo accetta.

Possedere/possesso

93 – Il problema è come entrare in rapporto o come possedere le cose. Ecco, la nostra difficoltà è accogliere l’ideale dentro i rapporti, dentro questo possesso.

È che noi, nel nostro modo di possedere, nel nostro modo di entrare in rapporto con tutto – sto parlando dell’istante, del momento, più che delle cose, qualunque sia il tipo di cosa che si pigia dentro quel momento -, nel possesso o nel rapporto con le cose, seguiamo una convenienza umana, vale a dire seguiamo una convenienza che consegue a una valutazione e a una stima che facciamo nascere da uno sguardo “concluso” dentro l’orizzonte della nostra umanità e della sua reattività.

Invece che possesso, e quindi violenza, deve subentrare, come i passi in un cammino, una provvisorietà, anche se destinata all’eterno, e quindi una gratuità e un amore.

162 – L’amore tra l’uomo e la donna vissuta nella fedeltà o nella verginità ha una profondità che inizia, pur come lontanissimo albore, il possesso vero, inizia l’amore che ci porteremo fino alla fine del mondo, per l’eternità, inizia la modalità di un possesso che si manifesterà per l’eternità.

Il possesso vero, infatti, non è quello che abbiamo, ma è dentro quello che abbiamo, se è vissuto come funzione del regno di Dio: già in quello che abbiamo il possesso eterno diventa una iniziale, crepuscolare, ma reale esperienza.

Povero/povertà

105-106 – Se sei toccato da un certo richiamo, questa è la grazia, e in te occorre esattamente il contrario di quanto pensi, occorrerà cioè la povertà.

Non: «Io non sono degno, io non sono preparato, io non sono capace…», no, è la povertà che occorre in te.

Proprio perché sono incapace, non sono preparato, sono inetto, sono peccatore, proprio questo domando, e la forma più potente di domanda è il riconoscere d’appartenere alla comunità di Cristo, alla compagnia di Cristo.

188 – Invece di essere povero come quella vedova, uno può avere un carattere irascibile, un altro può avere un carattere troppo flemmatico, un altro può avere condizioni di vita brutte, un altro può avere contratto abitudini che lo condizionano: ognuno è povero a suo modo, e ognuno segue nella sua povertà.

194-196 – Voglio infine richiamare la povertà, lo spirito di povertà.

La povertà è la condizione per dilatare il regno di Dio.

195 – La povertà che intendo richiamare è la condizione per dilatare il regno di Dio nel mondo, perciò è molto più definita dal modo con cui tu concepisci in funzione del regno di Dio quello che hai, secondo libertà del tuo cuore.

Il primo modo della povertà è sostenere gli strumenti di diffusione della nostra esperienza

Se la nostra esperienza è la modalità con cui viviamo il mistero di Cristo, così come siamo stati raggiunti dalla bontà di Dio, se la nostra esperienza è questo, allora il primo modo della povertà è quello di usare, dentro la libertà pura e semplicissima, le realtà che possediamo, quello che abbiamo, in funzione dell’espansione di questa esperienza.

196 – Sostenere la nostra stampa è certamente un atto di povertà, perché, se uno si abbona a tutto,, come minimo, all’anno, occorre metter lì duecento mila lire.

Povertà è nulla avere e tutto possedere in spirito di carità, vale a dire, usando tutto per il regno di Dio.

spirito di povertà

194 – Voglio infine richiamare la povertà, lo spirito di povertà. Come mi ha detto uno di voi stamattina, la povertà è la condizione per dilatare il regno di Dio.

Preghiera/pregare

19 – È una preghiera la prima saggezza, è una domanda a Cristo che ha vinto la morte e, nella morte, ha vinto tutto il nostro male.

56 – L’opposto della dimenticanza è la preghiera. La parola «preghiera» non la si può capire se non la si fa coincidere con la parola «domanda»; ma anche la parola «domanda» diventa subito riconducibile a una nostra misura di pretesa, se non coincide con lo stupore della Sua presenza, lo stupore della Sua presenza riconosciuta.

185-186 – Il primo modo di obbedire è la preghiera. La preghiera è la prima forma di obbedienza proprio perché è domanda, è mendicanza di Cristo, è mendicanza della verità della vita, la mendicanza del suo regno.

186 – La preghiera è il primo modo di obbedire, è il modo di obbedire da parte del povero peccatore, dell’uomo peccatore.

Perciò, la prima cosa in cui la compagnia deve aiutare è la preghiera.

Attenzione, la preghiera non è la “preghiera della comunità”: la preghiera è della persona, ed è preghiera della comunità se è preghiera dei singoli che compongono la comunità.

188 – Non vogliamo il tuo parere, vogliamo la tua preghiera a Dio: «Signore che cosa mi insegni con questo, che cosa vuoi chiedermi? Io non mi sento di fare queste cose»

Sii umile! La sequela è la preghiera, è lo spirito della preghiera – lo spirito della preghiera è la mendicanza a Cristo – che si attua nella umiltà: uno fa quel che può.

211 – La natura della preghiera è la domanda. In questa domanda sta la sincerità di un giudizio che riconosce la verità, sta nel dolore di una affezione a Cristo per cui uno piange per il tradimento e la sproporzione, ma vibra di una fiducia, non in sé, bensì nella grandezza di Colui che ci ha fatti o, più ancora, nella stupefacente grandezza di Colui che, avendoci fatti, è diventato uno fra noi e si è lasciato uccidere da noi.

La preghiera. Oh ritornassimo nelle nostre case domenica pomeriggio e domenica sera con una volontà nuova di preghiera!

235-236 – La preghiera è mendicare; non è un’altra cosa, se non domandare, mendicare. Allora mendicare che tu venga, che tu venga nella mia vita, o Cristo, è la sorgente della gioia di ogni giorno.

236 – «Ma la voce che, nell’annunziare la gioia, trema pel dolore; questa si apre la via all’orecchio, ed è trattenuta dal cuore»

Kierkegaard, Diario

Questa è la gioia della preghiera: una gioia che si annunzia tremando di dolore.

239 – La preghiera fatta nel nascondimento non ha assolutamente più valore che la preghiera gridata nella assemblea; ma sottolineare che la preghiera gridata nell’assemblea deve essere come una preghiera che sussulta nel cuore significa riportare l’attenzione alla verità della preghiera.

246 – (Lettera): «Mi sono accorta che l’ostacolo per il manifestarsi della Sua capacità rinnovatrice del corpo e dello spirito poteva essere la mia libertà stessa: io stessa! potevo impedire il miracolo. Ho cominciato a camminare, a lavorare per abbandonarmi a Lui, per aver fiducia, per non disperare, p er rivolgermi a Lui in ogni momento, per avere un dialogo intimo. Così ho scoperto la preghiera e i suoi diversi modi: la preghiera di protesta, in cui maltratto Dio e gliene dico di tutti i colori, la preghiera di lamento, in cui piango perché non ne posso più; la preghiera di ringraziamento per le cose belle e le gioie che sa trarre anche da tutta questa negatività; la preghiera di lode, per il cambiamento profondo che ha operato nel mio sentire, per un gusto nuovo nel vivere, perché mi fa intravedere un disegno che ci intesse lentamente. Mi sento oggetto di un’attenzione privilegiata: Lui mi assiste nei momenti particolari della giornata e si fa presente con aiuti imprevedibili; mi fa capire attraverso incontri, messaggi, coincidenze, dove devo andare […]

259-260 – La prima e fondamentale di queste flessioni in cui la nostra personalità si esprime è il pregare, ma il pregare nella sua sostanza che è il domandare.

La nostra personalità , dunque, deve essere definita dal pregare come domanda. E la domanda, la domanda di Cristo, che Cristo venga nella nostra vita, che Cristo venga nella storia della umanità, bisogna provare che fatica è.

Domandare è realmente lo strapparci totalmente da noi stessi: «Vieni, Signore!»

La caratteristica della personalità nuova è la preghiera, la fedeltà alla domanda, alla mendicanza.

domanda a Dio

56 – L’opposto della dimenticanza è la preghiera. La parola «preghiera» non la si può capire se non la si fa coincidere con la parola «domanda»; ma anche la parola «domanda» diventa subito riconducibile a una nostra misura di pretesa, se non coincide con lo stupore della Sua presenza, lo stupore della Sua presenza riconosciuta.

210-211 – […] dall’umore nero che la nostra imperfezione continuamente secerne in noi, il soffio che ci libera da questo istante è la domanda a Dio.

La domanda a Dio. Se avete fatto a suo tempo la Scuola di comunità sulla moralità, sul testo Moralità: memoria e desiderio, sapete che l’essenza, la natura della preghiera è la domanda.

211 – In questa domanda sta la sincerità di un giudizio che riconosce la verità, sta nel dolore di una affezione a Cristo per cui uno piange per il tradimento e la sproporzione, ma vibra di una fiducia, non in sé, bensì nella grandezza di Colui che ci ha fatti o, più ancora, nella stupefacente grandezza di Colui che, avendoci fatti, è diventato uno fra noi e si è lasciato uccidere da noi.

La preghiera. Oh ritornassimo nelle nostre case domenica pomeriggio e domenica sera con una volontà nuova di preghiera!

213 – Il silenzio non è un nulla, il silenzio è una preghiera, è la coscienza di essere di fronte a Dio, e la preghiera, a sua volta è domanda: dobbiamo incominciare a domandare nel cuore quello che sappiamo e quello che non sappiamo.

260 – Domandare è realmente lo strapparci totalmente da noi stessi: «Vieni, Signore!»

La prima caratteristica della personalità nuova è la preghiera, la fedeltà alla domanda, alla mendicanza.

Presente

70 – Senza memoria non c’è più passato e senza memoria non di può affrontare il futuro, se non con vaneggiamenti; soprattutto, senza memoria è vuoto il presente, perché un presente riempito soltanto dalla nostra forza di volontà è un presente vuoto, un soffio.

Vivere la memoria, cioè ci fa vivere il senso della Sua compagnia: «Ti riconosco presente a me, tra di noi. Ti offro…»; l’offerta è il frutto immediato di questa affezione.

108 – Amando la donna, amando i figli, lavorando, prendendo la busta.

125 – Uomo, nostro fratello che è Dio presente tra noi, presente alla comunione che c’è tra di noi, al riconoscimento che c’è tra noi – il riconoscimento che c’è tra noi è come l’involucro sacramentale che Lo rende presente -, io vorrei che questa tenerezza e questa acutezza penetrassero un po’ tutti noi.

175 – L’uomo è tutto se stesso nell’istante, nell’azione, ora, perché l’istante prima non c’è più e l’istante dopo non c’è ancora e non sappiamo come sarà.

State attenti, nella Scuola di comunità su Il Senso Religioso, a questo richiamo del valore del presente, perché è il presente il luogo della responsabilità, in cui emerge quello che l’uomo è.

210-211 – Il distacco dal male, il desistere dall’ingiustizia, l’allontanarsi dalla colpa commessa può essere come un soffio, esattamente come il presente.

È un presente, e il presente è come un soffio, quando l’ho detto già non c’è più.

Questo presente, questo soffio in cui uno si libera dalla colpa commessa anche poco prima, e da tutte le sue colpe, in cui uno è liberato, si libera da tutto il peso del suo limite, da tutta la tristezza della sua inadeguatezza, da tutta la malinconia, dall’umore nero che la nostra imperfezione continuamente secerne in noi, il soffio che ci libera da questo istante è la domanda a Dio.

211 – Questo presente, questo presente veloce, questo istante fuggevole in cui dico: «Signore, abbi pietà di me!», può vincere mille e mille volte tutta la mia fragilità e la mia debolezza.

l’istante presente

157-158 – È nell‘istante presente, che sembra così niente, eppure è nell‘istante presente che si gioca la rivalutazione di tutto il passato, ma la ricchezza, il contenuto, il materiale della rivalutazione, il materiale della libertà viene dal passato, perché se uno nascesse nell’istante – ora, ora! – non avrebbe niente da dire.

175 – L’uomo è tutto se stesso nell’istante, nell’azione, ora, perché l’istante prima non c’è più e l’istante dopo non c’è ancora e non sappiamo come sarà.

State attenti, nella Scuola di comunità su Il Senso Religioso, a questo richiamo del valore del presente, perché è il presente il luogo della responsabilità, in cui emerge quello che l’uomo è.

210-211 – Il distacco dal male, il desistere dall’ingiustizia, l’allontanarsi dalla colpa commessa può essere come un soffio, esattamente come il presente.

È un presente, e il presente è come un soffio, quando l’ho detto già non c’è più.

Questo presente, questo soffio in cui uno si libera dalla colpa commessa anche poco prima, e da tutte le sue colpe, in cui uno è liberato, si libera da tutto il peso del suo limite, da tutta la tristezza della sua inadeguatezza, da tutta la malinconia, dall’umore nero che la nostra imperfezione continuamente secerne in noi, il soffio che ci libera da questo istante è la domanda a Dio.

l’ora presente

157 – È nell’istante presente, che sembra così niente, eppure è nell’istante presente che si gioca la rivalutazione di tutto il passato, ma la ricchezza, il contenuto, il materiale della rivalutazione, il materiale della libertà viene dal passato, perché se uno nascesse nell’istante – ora, ora! – non avrebbe niente da dire.

Promessa

109 – È una tensione a qualcosa d’altro, che si rivela nella promessa – il desiderio di cambiamento è proprio l’accendersi della promessa – ed è incontrato nella storia, perché nella nostra Fraternità e nella nostra compagnia il Signore non lascia mai mancare innumerevoli esempi e testimonianze di questa novità di vita e di cose.

219 – Ci è stato promesso, per bocca dell’umano cuore e di tutti i geni dell’umanità, che Dio ci avrebbe salvato da ciò che ci è nemico, «da tutti quelli che ci odiano», da chi vuole il nostro male.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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