Temi «La convenienza umana della fede» 85-86-87 – 2a parte

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Lettera «R»


Rapporto

66 – Vivere l’istante e il momento nel grande progetto pieno di avventura o nella banalità della vita quotidiana in casa, chiusi tra quattro mura per una ricerca da premio Nobel o chiusi tra quattro mura per lavare i piatti, è identico.

Questa è la giustizia: non è grande, se non chi nell’istante vive la coscienza del rapporto eterno, del rapporto con l’infinito che si è rivelato in Cristo, del rapporto con Cristo.

Allora uno salva il mondo, cioè ama il mondo, e lo trascina con sé.

86 – Il rapporto con il destino si chiama vocazione, ma l’immagine del mio rapporto col destino, o vocazione, è provocata dall’impatto della realtà con me stesso: la fede mi butta nella realtà e non c’è limite, non c’è paura.

89 – Quello che viviamo è veramente partecipazione a Dio perché vince il nulla del momento, delle circostanze: ciò che viviamo non ha bisogno di niente per essere grande, eccetto che del proprio rapporto con Cristo.

137-138 – Così il venir meno di ciò che costituisce il nostro rapporto con tutto, il venire meno di quel rapporto che costituisce la vita.

138 – Ma pensate che il rapporto con il Mistero, con il Padre, come diceva Gesù, e quindi l’imitazione di Cristo, non ci faccia guardare l’uomo, la donna, i figli e i fiori, le cose? No, ce le fa guardare in un modo cento volte più intenso e più vero.

La gente che andava a sentire Gesù era tutta impressionata perché continuava a parlare del Padre; la sua “idea fissa”, cioè la sua coscienza, la coscienza che aveva di sé, era la dipendenza dal Padre, il rapporto col Padre con Colui che lo mandava e di cui era costituito.

157 – Nell’uomo c’è qualcosa che non deriva dai genitori, ma è rapporto diretto con il Mistero che fa le cose: quello che il catechismo chiamava «anima».

168 – Che il rapporto col proprio destino, perciò con la parola felicità, con la verità, che il rapporto con Cristo o, con più timidità, che il rapporto con Dio, fosse una cosa alla portata di tutti – di tutti! -, anche di coloro che sono senza istruzione e popolani, di coloro che non hanno una particolare capacità di ascesi e di moralità, di coloro che non ricoprono un ruolo particolare nella vita sociale e nella comunità, come gli undici.

Sarebbe quello che il cuore dell’uomo desidererebbe di più di tutto: che Dio, usiamo subito la parola, che il Padre sia veramente una realtà familiare come la propria donna che si vede in casa […].

174 – L’Icaro è l’uomo che […] cerca di tessere un nesso fra la propria vita piccola e tutto il pullulare degli esseri che compongono l’universo, cerca di stabilire un rapporto fra il suo piccolo momento, fra la sua piccola energia, e la grande realtà di cui è parte, che lo circonda, da cui è nato, per cui è fatto.

238-240 – Vorrei indicare brevemente i tre termini di questa incarnazione della memoria, della coscienza della grande Presenza: nel rapporto tra noi, nel rapporto con noi stessi, nel rapporto col tempo e lo spazio, con le cose.

Innanzitutto la memoria diventa norma, diventa equilibrio, diventa ordine, diventa bellezza – diventando misura -, in quanto purificazione del rapporto.

La memoria diventa norma in quanto gesto, il rapporto – ogni gesto umano è rapporto – diventa più vero.

La memoria diventa norma perché rende vero il gesto, il rapporto.

Il non nutrire odio, o antipatia, che è la radice dell’omicidio, significa rendere vero il rapporto.

239 – Consideriamo la verità nel rapporto tra l’uomo e la donna. Da che cosa sarà determinato il loro rapporto? Dal fatto che sono due esseri umani in cammino verso l’identico destino, amati e salvati dallo stesso Dio fatto uomo, da Gesù.

Quando è vero questo rapporto? Quando la memoria diventa norma e così rende vero il loro rapporto.

Anche nelle sorelle di Madre Teresa di Calcutta quei poveri tra i più poveri provocano quella ripugnanza che provocano in noi, ma il loro rapporto con questi uomini che sono là a morire nella fogna a cielo aperto è vero, è un rapporto veramente umano.

240 – Allora si capisce chela memoria non solo diventa norma come purificazione e verità del rapporto – e al di fuori di questa norma non è vero rapporto -, ma anche che rende ogni azione adesione alla verità vivente, adesione cioè a Cristo, rende ogni gesto affezione, una affezione profonda che sbarazza il cammino di ogni fariseismo.

Questa adesione profonda a Cristo fa sì che ogni azione diventi – anche il gesto quotidiano fatto in casa, anche il dovere quotidiano compiuto nell’ufficio o nella fabbrica -, o tenda a diventare, un’amore, una affezione profonda.

Usiamo la parola cristiana: una carità.

242 -Il rapporto con l’ideale della cosa – anche piccola, scarna, senza alcun prezzo ai nostri occhi – si chiama valore.

Esso è il rapporto fra quello che compiamo e la totalità: e la totalità è la volontà di Dio.

rapporto con l’infinito

48 – Non c’è nulla che possa dare all’istante un diritto di rispetto o una dignità di contenuto, nulla, perché tutto è vano; vano l’istante passato perché è passato e vano quello futuro perché non c’è ancora. L’istante è reso vero solo – solo! – dal suo rapporto con il Destino.

Amore e ardore, altruismo e dedizione hanno solo questa sorgente, nell’istante reso pieno dal rapporto con l’infinito: Cristo!

66 – Questa è la giustizia: non è grande, se non chi nell’istante vive la coscienza del rapporto eterno, del rapporto con l’infinito che si è rivelato in Cristo, del rapporto con Cristo.

Allora uno salva il mondo, cioè ama il mondo e lo trascina con sé.

Questa è la grande alternativa: o amare Cristo «In un annientamento di tutta la vita nell’amore, / Nell’ardore, altruismo e dedizione», e nell’impeto dell’istante abbracciare il mondo, vivendo il limite del momento nel rapporto infinito, e allora tutto si salva, uno abbraccia il mondo, cioè salva il mondo, lo trascina con sé, proietta sul mondo la sua libertà e la sua verità; o altrimenti uno, nell’istante effimero, ama se stesso e si corrompe.

69 – (Il Creatore) Come ci ha lanciati nella vita? Come aspirazione all’infinito, come rapporto con l’infinito.

Un giorno senza tensione a Lui è immorale.

158-159 – La regola della tua azione, anche piccola, è l‘infinito, è la direzione dell’infinito, è la funzionalità al grande ordine di Dio. allora, anche mentre sei lì a lavare i piatti, è l’universo che hai in mano, è l’amore all’infinito che hai in mano. Infatti c’è la pace.

«Perché la pace, chi la conosce, sa che in parti uguali di dolore e di gioia è fatta»: di gioia, per il possesso del rapporto con l’infinito; di dolore, per la fatica, appunto dello strappo. Uno deve strapparsi dalla sua misura di una spanna.

Ma quella gioia non è il rapporto con l’infinito astratto, perché nell’amore alla donna questo strappo vuol dire la verità: l’amore alla donna diventa veritiero[…].

La pace è questo strappo alla tua misura breve, per cui, seguendo la prospettiva dell’infinito, il parametro di Cristo, fai diventare pieno di gioia il tuo momento, che rimane momento, ma diventa più vero, finalmente vero.

174-176 – Questa è la moralità: che la concezione e il sentimento di noi sia talmente definito dalla coscienza della grande presenza di Dio, del Padre, che ogni nostra espressione, sempre più ovviamente, sempre più normalmente sia compiuta come rapporto con il grande disegno.

Questo Icaro è l’uomo che ha conosciuto il Signore, e perciò vive la sua vita lanciato nel rapporto con il grande universo di Dio.

La moralità di un'azione è misurata dal rapporto tra quell'azione e il disegno di Dio.

Non per nulla la moralità suprema, si dice, è l’offerta: stessi anche pulendo un bicchiere, io stabilisco un nesso infinito.

176 – Ogni nostro gesto, ogni nostra azione, ogni nostro comportamento è una prigione o è un sepolcro, se non ha questo spazio, se non è rapporto con l’infinito, se non cerchiamo di vivere le cose, le nostre espressioni, nella coscienza del rapporto con l’infinito, come rapporto con il grande disegno di Dio, in funzione del suo disegno.

Regola

103-104 – La regola suprema della vita è la sequela e, perciò è chiaro che occorre imparare che cosa significhi la sequela.

Se si sviluppa la coscienza della appartenenza, allora è chiaro in che cosa consiste la regola della vita:

La regola suprema della vita è la sequela

Fra la stima di Cristo e la sua attuazione nella vita c’è di mezzo quello che chiamiamo «regola».

La regola è ancora la compagnia, ma è la compagnia in quanto individuabile in fatti precisi, in fatti stabiliti, che si raduna per dire le Lodi o per fare riunione settimanale, ed è carica di esempi gratuiti.

La regola è una compagnia in quanto stabilisce alcuni punti di riconoscimento e si fa riconoscere attraverso degli esempi preclari, tanto gratuiti quanto impressionanti, carichi di aiuto.

[…] l’obbedienza come la convenienza suprema, questo passaggio dalla convenienza umana, all’ideale, alla conversione a Cristo, è favorito e aiutato invece, nella comunità, da ciò che chiamiamo regola, dalla compagnia come regola.

[…] la regola è la compagnia in quanto ha momenti fissi in cui si appoggia ai piloni, e in cui vibrano esempi che, nella loro gratuità, costituiscono una edificazione, uno stimolo edificante.

158 – La regola della tua azione, anche piccola, è l’infinito, è la direzione dell’infinito, è la funzionalità al grande ordine di Dio.

Allora, anche mentre sei lì a lavare i piatti, è l’universo che hai in mano, è l’amore all’infinito che hai in mano.

Ricominciare/risorgere

13-14 – Ricominciare è una parola molto vicina alla parola più cristiana, alla parola finale cristiana: «Risorgere», «risurrezione»

14 – Quante volte ci siamo ricordati che proprio per questo la Pasqua è il mistero principale, il mistero grande della vita cristiana!

Perché essa è questo ricominciare, questo passaggio continuo dalla falsità alla verità, dall’incoerenza all’adesione, dalla presunzione e dall’autonomia all’adorazione, dalla pesantezza che fa arrestare, all’energia del camminare: il mistero della Pasqua è il più importante perché è quello che deve accadere tutti i giorni, anzi, tutte le ore. […] In ogni azione, in ogni momento, ci è necessario questo ricominciare.

18-20 – Ricominciare, questo è il punto. La risurrezione è il mistero che noi dobbiamo sperimentare, a cui dobbiamo partecipare.

19 – Ricominciare! Il risorgere diventa, ogni giorno, ogni ora e ogni momento, possibile: «Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita […].

È per Colui che è tra noi che ci siamo raccolti. ed è per Colui che è tra noi che ognuno di noi riprende, ognuno di noi ricomincia, ognuno di noi rinasce.

20 – […] Parte del mistero di quell’Uomo in cui tutto il nostro male e tutta la nostra destinazione cattiva sono stati riassunti e bruciati, nella sua morte e risurrezione, e che adesso attende, pulsando alla porta del tuo animo, di rivivere in te, di farsi vedere da te, di mostrarsi in te, poco o tanto, non esiste misura.

Non giudichiamo nessuno e neanche noi stessi, dice san Paolo,, perché il giudizio è di Dio, e il giudizio di Dio ha due parole che lo definiscono, ma una la conclude: morte e risurrezione; ed è la risurrezione che conclude.

Per ogni giornata o ora e istante della nostra vita, la risurrezione, la ripresa, il ricominciare debbono dettare il cammino, debbono essere legge. Abbiamo una sola legge: riprendere, ricominciare, risorgere.

rinascere

19 – È per Colui che è tra noi che ci siamo raccolti. ed è per Colui che è tra noi che ognuno di noi riprende, ognuno di noi ricomincia, ognuno di noi rinasce.

riprendere

19 – È per Colui che è tra noi che ci siamo raccolti. ed è per Colui che è tra noi che ognuno di noi riprende, ognuno di noi ricomincia, ognuno di noi rinasce.

ripresa

20 – Abbiamo una sola legge: riprendere, ricominciare, risorgere.

risurrezione

14 – Ricominciare è una parola molto vicina alla parola più cristiana, alla parola finale cristiana: «Risorgere», «risurrezione».

Quante volte ci siamo ricordati che proprio per questo la Pasqua è il mistero principale, il mistero più grande della vita cristiana!

18-20 – Ricominciare, questo è il punto. La risurrezione è il mistero che noi dobbiamo sperimentare, a cui dobbiamo partecipare.

19 – Ricominciare! Il risorgere diventa, ogni giorno, ogni ora e ogni momento, possibile: «Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita […].

È per Colui che è tra noi che ci siamo raccolti. ed è per Colui che è tra noi che ognuno di noi riprende, ognuno di noi ricomincia, ognuno di noi rinasce.

20 – […] Parte del mistero di quell’Uomo in cui tutto il nostro male e tutta la nostra destinazione cattiva sono stati riassunti e bruciati, nella sua morte e risurrezione, e che adesso attende, pulsando alla porta del tuo animo, di rivivere in te, di farsi vedere da te, di mostrarsi in te, poco o tanto, non esiste misura.

Non giudichiamo nessuno e neanche noi stessi, dice san Paolo, perché il giudizio è di Dio, e il giudizio di Dio ha due parole che lo definiscono, ma una la conclude: morte e risurrezione; ed è la risurrezione che conclude.

Per ogni giornata o ora e istante della nostra vita, la risurrezione, la ripresa, il ricominciare debbono dettare il cammino, debbono essere legge. Abbiamo una sola legge: riprendere, ricominciare, risorgere.

Riconoscere/riconoscimento

22-23 – Dobbiamo partire d questa prima verità: «Signore, io sono peccatore. Come sono venuto meno, lungo tutto l’arco di quest’anno!». Ma la seconda verità costruisce sulla prima: «Signore, io Ti riconosco».

La seconda verità è questo riconoscimento che abbiamo di te, o Signore: […] il nostro errore non ci definisce, il nostro peccato non è ancora la nostra tomba.

[…]Noi riconosciamo che dobbiamo risollevarci e riprendere la corsa verso di Te, che dobbiamo riprendere il rapporto con Te in un altro modo, più pronto, più diuturno, più conseguente, con quel coraggio che tu ci infondi, perché l’hai promesso.

23 – Costruiamo il cammino di questa giornata con tale duplice verità: «Io sono peccatore, Signore. Ma ti riconosco, aiuta la mia debolezza».

125 – Ma io vorrei chela grazia di questa tenerezza e di questa acutezza nel percepire la grande presenza di questo Uomo, nostro fratello, che è Dio presente tra noi, presente alla comunione che c’è tra noi, al riconoscimento che c’è tra noi – il riconoscimento che c’è tra noi è come l’involucro sacramentale che Lo rende presente -, io vorrei che questa tenerezza e questa acutezza penetrassero un po’ in tutti noi.

Noi dobbiamo giungere a che l’affezione a Cristo si metta alla radice di tutte le nostre affezioni e, in un modo o nell’altro, vi influisca, perché esse diventino più vere e i nostri rapporti diventino più lieti, cioè la nostra vita diventi più umana, poiché è attraverso la nostra vita diventata più umana che tutto il mondo Lo riconoscerà.

179 – Che cosa meravigliosa, senza alcun paragone con tutto l’entusiasmo dei nostri giovani, dei nostri universitari, dei nostri giovani lavoratori, è l’adulto, l’anziano a cui maturamente si aprono gli occhi e Lo riconosce.

È questa la giovinezza vera, quando la nostra compagnia diventa memoria, quando il movimento diventa memoria di Cristo, cioè riconoscimento della Sua presenza in modo stabile, facile, così come uno si porta dentro di sé continuamente il sentimento dei propri figli o della propria moglie, della propria famiglia.

Perché non c’è niente che riscatti la nostra vita dalla banalità, non c’è niente che riabbracci in perdono qualsiasi errore che la nostra vita commetta, non c’è niente, soprattutto, che spalanchi agli altri, come riconoscere Cristo presente.

257 – Riconoscere Cristo è il contenuto della fede. La fede è riconoscere questa Presenza grande che è la realtà di tutto, il senso di tutto quello che facciamo. La fede è data ad alcuni perché rifluisca sugli altri.

riconoscere Cristo presente

48 – Riconoscere Cristo, il punto di intersezione del senza tempo col tempo, è una occupazione da santi.

63 – A san Francesco è stata richiesta anche la camicia, mentre a Nicodemo, che era un ricco, no, è stata richiesta l’unica cosa importante: riconoscere Cristo.

179 – Perché non c’è niente che riscatti la nostra vita dalla banalità, non c’è niente che riabbracci in perdono qualsiasi errore che la nostra vita commetta, non c’è niente, soprattutto, che spalanchi agli altri, come riconoscere Cristo presente.

Riuscita/riuscire

152-153 – Ecco allora la prima flessione: il senso della vita come riuscita, il riuscire nella vita, dove il contenuto è fissato dal singolo.

Riuscire: che malinconico squallore c’è nella applicazione di questo criterio, perché potrebbe essere il diventare caposquadra oppure diventare diacono!

La riuscita nella vita: proviamo a pensare se nelle nostre famiglie questo non sia, sotto sotto, il criterio dominante.

153 – È questo il primo idolo della mentalità moderna, che penetra come piovra negli interstizi della nostra vita personale e familiare: la riuscita, il demone della riuscita, in qualunque senso, dal riuscire ad avere la donna al riuscire ad avere figli, al riuscire ad avere soldi, al riuscire ad avere salute. È il riuscire come idolo.

177 – La nostra vita deve riuscire non come successo ma come verità. Qui sta la vera riuscita:

«Forse che fine della vita è vivere? Non vivere, ma morire, e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna

P. Claudel, L’Annuncio a Maria

180 – La nostra compagnia è il luogo dove la nostra vita è aiutata a riuscire, non come successo, ma come verità. E quello che occorre è una grande semplicità di cuore.

Lettera: «Ti ringrazio di aver sottolineato che anche il nostro cuore può essere “centrato” verso la riuscita della vita. Siamo sposati da vari mesi e il desiderio nostro è stato fin dall’inizio di generare un bambino, proprio per la grazia del nostro sacramento. Invece, per il momento ci è chiesto di vivere una attesa, una pazienza. Ma la cosa che mi ha sconvolto è che mio marito mi ha fatto notare, con una gomitata, mentre parlavi, che anche il desiderio, pur buono, di avere figli, può rientrare nel nostro progetto di essere qualcuno, di riuscire nella vita. È terribile, perché sconvolge anche il desiderio più buono, e tutte le volte che questo desiderio non si realizza, siamo costretti a ricominciare da capo, ricominciare a volgere lo sguardo a Lui, il nostro Padre. Ripetersi che tutto ciò che accade, anche ciò che ti rende più triste e sconsolato, è per un disegno buono, questo lavoro quotidiano nelle cose piccole e nelle cose grandi, ci fa scoprire che Cristo è proprio nostro Padre. Ripetendoselo e ricordandoselo diventa più familiare, diventa coscienza propria. In questo cammino di fede, più diamo noi stessi, e più desideriamo di dare ancora».

Ecco, è questa la semplicità che occorre alla nostra compagnia.

riuscire nella vita

152 – Ecco allora la prima flessione: il senso della vita come riuscita, il riuscire nella vita, dove il contenuto è fissato dal singolo.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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