Temi «La convenienza umana della fede» 85-86-87 – 2a parte

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Lettera «S»


Sacrificio

65 – Cristo rende fedeli alla legge, che declina il modo di lavorare, ma rende liberi dall’esito. E questa è la nostra partecipazione alla croce: si chiama sacrificio.

143-144 – Il mio merito non è quello che faccio io, è la Tua misericordia, il mio merito, il mio valore è nel fatto che Tu mi ami, e mi ami perché mi fai.

Quale posizione nuova di fronte alla mia umanità assumo, quando aderisco a essere senza paura e a seguire Cristo? La svolta dell’essere si chiama sacrificio.

144 – Così il sacrificio della nostra vita non solo non è contro la vita, ma è la modalità con cui viene alla luce l’amore della vita, che la vita è amore, cioè che l’affermazione di qualcosa d’Altro: amare è affermare qualcosa d’Altro.

La vita dell’uomo è amore, perché è affermare qualcosa di più grande di sé. È nel sacrificio che questo viene a galla. Il sacrificio è nella rinuncia alla affermazione di una propria misura, ed è nel perdere la mia misura che io affermo la misura di un Altro. Così la morte diventa vita.

Perciò, nel sacrificio, o nella morte cristiana – che è il è sacrificio più grande -, è contenuta la resurrezione; perché un atto d’amore è un atto di vita, non di morte.

160-164 – Il sacrificio è esattamente il tenere gli occhi fissi «dov’è la vera gioia», il tener fissi i nostri occhi al Padre, perché questo è imitare Cristo.

Il sacrificio ripropone una misura più grande della nostra. […] che è l’amore, l’amare, l’amare e affermare l’altro.

161 – […] Così con il tempo, il sacrificio diventa, da una parte, partecipazione alla croce di Cristo, al gesto che libera dalla corta veduta di una spanna, dalla schiavitù del mondo – la croce libera da questo -. ma, dall’altra, nello stesso tempo, è l’inizio della resurrezione.

162 – Il sacrificio, che ripropone l’affermazione di una misura più grande, cioè dell’amore, l’affermazione dell’altro, stabilisce rapporti tra gli uomini come fraternità.

È una posizione che sperimentalmente si chiama sacrificio, perché è come uno strapparsi, è come lo strapparsi del figlio, che deve essere generato, dal ventre di suo madre: ciò che l’ha creato, ciò che l’ha formato diventerebbe un limite se gli impedisse di uscire, ci marcirebbe dentro.

163 – È il sacrificio che rende vero il gesto della madre, perché la rende madre: è quando il figlio nasce che lei diventa compiutamente madre.

164 – La profondità cui giunge questo processo (il sacrificio) è quella di un mondo nuovo, creato da un modo nuovo di convivenza. È il modo nuovo di convivenza che crea un mondo nuovo.

205 – La Quaresima è sempre stata sentita e vissuta dal cristiano di tutti i tempi come il cammino verso la Pasqua, verso l’esplosione della gioia.

L’esplosione della gioia, infatti, ha bisogno di una purità che non può avverarsi se non nel sacrificio.

Non è l’esito di un rimorso, per noi, il sacrificio, ma è la condizione di una libertà, di una intensità e di una pienezza.

231 – «Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio». Che quello che vivo sia offerto come “sacrificio” a Dio vuol dire che esso è di Dio, che è dell’Eterno, che è vero e perciò non passa più.

241 – Non può essere mai ragionevole un sacrificio se non ha – e non sono contradditorio – un ultimo tornaconto, vale a dire se non compie qualchecosa. Tutto ciò che compiamo ha una funzione ideale. Che cosa vuol dire? Vuol dire che tutto ciò che compiamo […] è in funzione di qualcosa di più grande, è in funzione del tutto.

264 – Questa è la mortificazione, che vuol dire: plasmare l’azione sul criterio giusto. In tal senso non esiste processo affettivo che sia vero senza sacrificio: senza mortificazione del sacrificio non è possibile una verità affettiva: il sacrificio è come un vento che purifica l’aria nell’affettività.

266 – È questa la formula della umanità nuova che vive della fede, della gloria di Cristo, come personalità nuova mendicante, che giudica e ama secondo un criterio nuovo, che riconosce nel sacrificio il fattore che rende vere le cose, soprattutto l’affettività, che genera e nello stesso tempo abbraccia una compagnia, fa dei rapporti umani una compagnia e non ha più obiezione nel dolore, perché il dolore è una obiezione solo per chi non Lo riconosce e non Lo accetta.

Salvezza

54 – Non è Dio un alieno nelle nostre immagini, non è la nostra interpretazione, la nostra strada di salvezza; ciò che domina in noi è la coscienza di un’appartenenza e perciò la vita come obbedienza.

109 – In qualunque stato d’animo noi siamo, di fronte a questa immagine della salvezza cristiana, dobbiamo ripetere a noi stessi e agli altri quello che dice uno scrittore:

«Non bisogna buttarsi via. Anche se la salvezza sembrasse non venire, voglio però esserne degno ogni momento»

F.Kafka, Confessioni e Diari

Occorre vivere in modo tale la salvezza, che mi sembra non sia ancora avvenuta per me, possa essere riconosciuta e accettata da me in qualunque momento dovesse venire: «Voglio esserne degno ogni momento».

219-220 – Il cuore dell’uomo è una promessa. Ci è stato promesso, per bocca dell’umano cuore e di tutti i geni dell’umanità, che Dio ci avrebbe salvato da ciò che ci è nemico, «da tutti quelli che ci odiano», e da chi vuole il nostro male.

E noi sappiamo che una strana presenza, un’altra presenza in noi rende il nostro cuore capace di volere l male altrui, dell’amico, e il male nostro: la presenza del maligno.

Quando dice menzogne, le trae dal suo profondo, perché egli è proprio il padre della menzogna.

Così ci sentiamo ogni mattina come bambini chiamati a essere profeti dell’Altissimo, ad andare «innanzi al Signore a prepararGli le strade» del cuore di coloro a cui vogliamo bene, cioè degli uomini, affinché Egli possa «dare al Suo popolo la conoscenza della salvezza», la conoscenza di Gesù, perché siano purificati dai loro peccati […].

220 – Se i genitori e i familiari dei tredici morti del porto di Ravenna di ieri sera non hanno almeno un briciolo della fede delle piccole suore di Madre Teresa di Calcutta, che ne è del loro tempo oggi, che ne sarà del loro tempo domani? Salvo una cosa, e questa sarebbe la “salvezza“: la dimenticanza.

Santità/santo

18 – Dopo l’avvenimento della santità, dell’incontro con un santo, un autentico santo, credo che i bambini siano il richiamo più grande che Dio possa fare alla nostra vita.

133 – Così la coscienza di Dio deve penetrare quel che facciamo; e lentamente, col tempo, diventa abituale. La santità non è una cosa da aureola, è ciò cui siamo chiamati, è la verità del vivere umano.

Ma voi non avete letto, in Moralità, memoria e desiderio, il capitolo sulla santità, e avete sbagliato: lì dice che la santità è una dimensione.

254 – Dobbiamo stare attenti, dunque, a non espellere dalla nostra compagnia, che è dono dello Spirito, il Signore, a non degradarla dal suo significato.

E il suo significato è l’urgenza della fede, della speranza e dell’amore a Cristo, cioè della santità.

La santità è un fattore non astratto dalla vita del tempo dello spazio, è il fattore determinante ultimamente il cammino dell’umano, l’umanizzazione del cosmo.

Scetticità/scetticismo

33 – E là dove un briciolo di attenzione riflessa noi poniamo, ecco la scetticità che ci prosciuga l’energia del desiderio e l’energia del volere.

La scetticità è, infatti, lo strumento della menzogna per distaccarci dall’impegno con la vita e le sue provocazioni, e la sua vocazione.

Allora, presi dalla scetticità, noi fuggiamo sempre più dal “centro di gravità”, dal Destino che il fondo di noi stessi pur ricerca, e poniamo la fiducia nelle cose che facciamo noi, poniamo la nostra fiducia nelle nostre cose, nel nostro avere, e perciò nella nostra violenza, perché l’avere nostro è in qualche modo violenza, se non è offerta al Destino.

35 – Il capitolo secondo di Geremia, quando Dio si scaglia contro il suo popolo, che ha abbandonato lui, sorgente di acqua viva, per scavarsi delle cisterne aride e senza acqua, ritroveremo la nostra dimenticanza, la nostra scetticità, la fiducia che noi poniamo nelle nostre cose.

42 – Il peccato è la dimenticanza, il peccato la scetticità che protegge il disimpegno, il peccato è la fiducia in qualcosa che facciamo noi, con le nostre mani, che non c’erano e che se hanno un valore è solo per ciò cui sono destinate, per il rapporto con il Destino, con un Altro, con qualcosa d’altro.

58-59 – Badate, per favore, che lo scetticismo è un veleno o un serpente che entra surrettiziamente, senza che nessuno si accorga, in tutti.

Perché ciò che si esprime in ultima sostanza con il «ma» -anche se non lo esprime e lo si tiene dentro – o col «se» o col «chissà», è scetticismo, e stacca la corrente della vita, stacca dall’impegno con il reale.

Seguire/sequela

72 – Allora, amare Dio, l’affezione a Cristo, che è l’essenza della moralità, si rivela come affezione alla compagnia, come ascolto; si rivela come sequela.

Sì, si rivela proprio come capacità di sequela.

Ogni obiezione – ogni obiezione! – alla sequela è immorale, è l’immoralità profonda che si accusa.

È solo nella sequela che ognuno di noi sperimenterà che il Signore ci ha straziati con questa fragilità, con questa meschinità, con questa debolezza, con questo peccato, ma anche che Egli ci guarirà.

79-80 – Io ho sperimentato che soltanto aderendo, vivendo la sequela profonda a tutto quello che il movimento propone si diventa veramente intelligenti e pieni di gusto per la propria vita.

80 – La fede in Cristo impegna la totalità di me stesso. Perciò il movimento è innanzitutto totalizzante. Se è totalizzante, ogni preoccupazione di salvare qualcosa di proprio nono è scaltrezza, ma è perdere qualcosa. Soltanto la sequela profonda rende più intelligente e gustosa la vita.

La sequela è la cosa più intelligente, anche perché la sequela esige intelligenza e affezione, esige la personalità, mentre ogni «ma», ogni «se», ogni delimitazione della sequela è affermare una reattività che nasce dal temperamento, dal sesso, dalla nazionalità, dalla professione, da quello che volete.

Ma questa sequela profonda si incarna nelle circostanze, tutte, perché la vita è una cosa grande, in cui c’è qualcosa di grande, di incommensurabile. Questo incommensurabile si incontra nella banalità del lavare i piatti, nella banalità delle circostanze. Non è infinito quello che non si trova nell’istante: è un ente del pensiero.

103-104 – È veramente compagnia che educa l’appartenenza a questo popolo, se tu vivi l’appartenenza a essa. Allora la regola suprema della vita è la sequela e, perciò, è chiaro che occorre imparare che cosa significhi «sequela».

Se si sviluppa la coscienza dell’appartenenza allora è chiaro in che cosa consista la regola della vita: la regola suprema della vita è la sequela.

Sequela vuol dire che, non la convenienza «umana», ma la mia convenienza vera coincide con una obbedienza.

Sequela, e quindi obbedienza, significa non tanto il ripetere delle cose o realizzare degli schemi, ma rifare in noi, rivivere in noi l’atteggiamento di un giudizio e di affezione in tutto quello che facciamo.

Comunque è nella sequela che avviene il passaggio dalla convenienza umana alla grande convenienza di Cristo, la convenienza ideale. È nella sequela che avviene il passaggio dalla stima del mondo alla stima di Cristo, perché questa è la grande alternativa della libertà.

Fra la stima di Cristo e la sua attuazione nella vita c’è di messo quello che chiamiamo «regola». La regola è ancora la compagnia, ma è la compagnia in quanto individuabile in fatti precisi, in fatti stabiliti, che si raduna per dire le lodi o per fare la riunione settimanale, ed è carica di esempi gratuiti.

104 – Mentre la comunità sviluppa la coscienza di appartenenza, esalta la sequela come atteggiamento profondo della vita e l’obbedienza come la convenienza suprema, questo passaggio dalla convenienza umana, dal possesso umano, all’ideale, alla conversione a Cristo, è favorito e aiutato invece, nella comunità, da ciò che chiamiamo regola, dalla compagnia come regola.

187-189 – In secondo luogo, vi è la sequela, un altro aspetto della preghiera; un aspetto che sottende la preghiera.

Occorre essere disponibili a seguire le indicazioni, dal punto di vista formativo ed operativo, del Centro della Fraternità, cioè della Diaconia centrale della Fraternità.

Ma tale sequela non è nient’altro che lo specificarsi della preghiera.

Se dico: «Venga il tuo regno , Signore, in me», «Signore, non sono capace, perdonami, dammi la capacità», e il Signore risponde: «Fa’ questo e ti metto vicino delle persone che ti sostengano», ecco, accettare sul serio tale offerta è la sequela del movimento, meglio, la sequela della Fraternità.

Anche se il Centro della Fraternità ti dice cose che ti sembrano esagerate o che ti sembrano sbagliate, devi sempre dire: «Signore, che cosa mi vuoi insegnare con questo che mi sembra sbagliato?». E così segui, intelligentemente, giustamente.

188 – Sii umile! La sequela è la preghiera, è lo spirito della preghiera – lo spirito della preghiera è la mendicanza di Cristo – che si attua nella umiltà: uno fa quello che può. [….] Ognuno è povero a suo modo, e ognuno segue nella povertà.

189 – Per la sequela ci sono due punti importanti .

Primo, la Scuola di comunità. La Scuola di comunità di quest’anno (Il Senso religioso) deve essere studiata come quando studiamo a scuola.

Deve essere studiata, perché è la nostra catechesi, e il testo di quest’anno realmente fa passare tutta la trama profonda della nostra ispirazione, perciò è una indicazione da seguire.

Guardate che a proposito della sequela, l’importanza della compagnia in cui ci siamo venuti a trovare è grande. Io vi ricordo una frase del Papa che ci ha detto nel discorso del 29 settembre di due anni fa: «È significativo come lo Spirito per continuare con l’uomo di oggi il dialogo iniziato da Dio in Cristo e proseguito nel corso della storia, ha suscitato nella Chiesa contemporanea molteplici movimenti ecclesiali

Ora, non lo scegli tu il modo, ti accade. Perché la vocazione non è mai una nostra scelta, la vocazione accade, è qualcosa che ti è accaduto.

Semplicità

180-182 – La nostra compagnia è il luogo dove la nostra vita è aiutata a riuscire, non come successo, ma come verità. E quello che occorre è una grande semplicità di cuore.

Lettera: «Ti ringrazio di aver sottolineato che anche il nostro cuore può essere “centrato” verso la riuscita della vita. Siamo sposati da vari mesi e il desiderio nostro è stato fin dall’inizio di generare un bambino, proprio per la grazia del nostro sacramento. Invece, per il momento ci è chiesto di vivere una attesa, una pazienza. Ma la cosa che mi ha sconvolto è che mio marito mi ha fatto notare, con una gomitata, mentre parlavi, che anche il desiderio, pur buono, di avere figli, può rientrare nel nostro progetto di essere qualcuno, di riuscire nella vita. È terribile, perché sconvolge anche il desiderio più buono, e tutte le volte che questo desiderio non si realizza, siamo costretti a ricominciare da capo, ricominciare a volgere lo sguardo a Lui, il nostro Padre. Ripetersi che tutto ciò che accade, anche ciò che ti rende più triste e sconsolato, è per un disegno buono, questo lavoro quotidiano nelle cose piccole e nelle cose grandi, ci fa scoprire che Cristo è proprio nostro Padre. Ripetendoselo e ricordandoselo diventa più familiare, diventa coscienza propria. In questo cammino di fede, più diamo noi stessi, e più desideriamo di dare ancora».

Ecco, è questa la semplicità che occorre alla nostra compagnia.

(Segue un’altra lettera di uno che ha lasciato e poi è ritornato)

182 – È questa la semplicità che occorre, e basta; la semplicità di dire: «Non vengo» e poi venire. Ma questa semplicità non è automatica, è possibile a chiunque, ma non è automatica: deve essere desiderata, deve essere voluta.

Non si può costruire la semplicità con uno sforzo artificioso, cioè non semplice. Si può solo mendicarla.

184 – Il problema è semplice, come la semplicità che occorre per aderirvi, ed è il desiderio reale di essere aiutati.

Che bello quando il nostro amico ha detto di capire che Dio sta intervenendo: «Ho veramente toccato con mano la fedeltà di Dio, e di conseguenza credo di aver finalmente compreso il senso della mia speranza: è la certezza che Lui mi sta cambiando». Ecco, si tratta di questo.

193 – Nella semplicità del nostro cuore, lietamente dobbiamo dare tutto: come dice un’antifona all’Offertorio del Messale Ambrosiano

199 – Se avessimo più fede! Gesù che cosa rimprovera a san Tommaso? Rimprovera di non essere stato semplice. È una semplicità maggiore che ci occorre.

Infatti, vedere l’esito, i frutti della Sua venuta nel mondo, sentirli nella propria carne e vederli attorno, nella nostra compagnia, nella Chiesa di Dio, nel Papa, vedere questo è vederLo, perché un essere – dice la filosofia – è là dove produce, dove agisce.

Gli apostoli, quella volta sul lago, quando Gesù è apparso, hanno detto: «È un fantasma!», hanno avuto paura, non sono stati semplici.

L’errore di Tommaso non sia da noi ripetuto. Occorre la semplicità della fede, altrimenti non è fede. Allora, nella semplicità dell’occhio, dell’occhio purificato, la nostra fede vedrà tutti i segni della Sua presenza.

Servo/servire

62 – L’indissolubilità del matrimonio ha la stessa identica ragione della verginità, che è data dal fatto che la nostra vita e tutto il suo impegno sono «per» qualcosa di più grande, sono servizio a qualcosa di più grande. Ecco dunque la ragione: «Svolgi il tuo servizio, l’organismo cui tu devi servire, per amore del quale cammini, ha bisogno di questo ordine fondamentale, e allora ti è richiesto».

102 – Capite il valore di una battaglia per la libertà dell’educazione che nessun altro fa? Se noi non ci fossimo mossi, nessun altro l’avrebbe fatto. Questo è servire il mistero della Chiesa.

161 – L’indissolubilità del matrimonio si fonda nel fatto che il rapporto tra l’uomo e la donna non ha come scopo la loro reazione, ma ha come scopo servire il regno di Dio, servirlo in quella situazione, nella famiglia, che ha come scopo la generazione di figli.

162-163 – Sentite cosa dice Ratzinger: questa realtà nuova tra cristiani, la comunione della fede o la fraternità, «significa che i cristiani devono essere pronti a prestare li uni agli altri servizi da schiavi», cioè, «e che soltanto così potranno realizzare la rivoluzione cristiana, cioè costruire la città nuova» per l’uomo. La Fraternità è questo.

Accade che la mia vita la scopro come servizio a qualcosa d’altro. Nel vivere e nel morire, nel mangiare e nel bere, nel vegliare e nel dormire, in tutto siamo «di» Cristo, «di» qualcosa d’altro.

Silenzio

212-213 – Stiamo in silenzio, così salvaguardiamo la domanda, rispondiamo alla domanda fatta. Questo silenzio io credo che debba incominciare da quando entriamo in salone; anche da prima, nel senso di un certo raccoglimento interiore, ma da quando entriamo in salone nel senso letterale del termine: anche i libri che ci sono proposti possono essere comperati in silenzio, contrattando sottovoce.

Oltre al silenzio c’è un’altra cosa.

Il silenzio infatti non è un nulla, il silenzio è una preghiera, è la coscienza di essere di fronte a Dio, e la preghiera, a sua volta – come abbiamo detto – è una domanda: dobbiamo incominciare a domandare nel cuore quello che sappiamo e quello che non sappiamo.

Speranza

123 – «Colui che ha iniziato, mi porterà fino in fondo». Noi dobbiamo avere l’animo spalancato a questa certezza positiva, a questa speranza.

153 -154 – L’autonomia della ragione. Delle tre (NB: le altre due sono la riuscita nella vita, e l’istintività) delle tre è quella che sembra avere più dignità.

Vale a dire, il mondo è il luogo dove agisce la speranza che l’uomo compia la sua opera. Non più un mondo opera di un Altro cui obbedire […].

157 – Ciò che caratterizza l’uomo, immediatamente e clamorosamente, di fronte alla realtà animale, è il senso del passato, che è il segno che tu sei capace di uscire, di essere libero dal presente e di abbracciare ciò che stava prima.

Questo ti protende all’avvenire come progetto, e non ti protende all’avvenire come violenta volontà che accada quel che vuoi tu, secondo il concetto della speranza atea del mondo laicista di oggi.

181-182 – Lettera: «[…] Infine, ai recenti esercizi di Riva del Garda, la contrapposizione tra paura e speranza, fra mancanza di senso e verità mi ha messo veramente a nudo e mi ha fatto capire il tempo perso in questi dieci anni. Ho veramente toccato con mano la fedeltà di Dio, e di conseguenza credo di aver finalmente compreso il senso della mia speranza: è la certezza che Lui mi sta cambiando»

185 – Ma è venuto il Redentore, e se noi abbiamo la semplicità del bambino, tutto rimane nella sua drammaticità e tragedia, ma tutto viene investito dal vento della speranza. E questa è la speranza: la certezza che Lui mi sta cambiando, la certezza del cammino.

218 – Tu ci hai liberati tutti, e la vita che ci hai data l’hai resa contenuto della speranza, ché la speranza cristiana è la certezza per quanto riguarda il futuro.

254 – Dobbiamo stare attenti, dunque, a non espellere dalla nostra compagnia, che è dono dello Spirito, il Signore, a non degradarla dal suo significato. E il suo significato è l’urgenza della fede, della speranza e della amore a Cristo, cioè della santità.

Spirito Santo

55 – La misericordia! Non esiste niente di più antitetico a Dio, di più ribelle a Dio che, per qualunque motivo, dubitare della sua capacità e possibilità di misericordia. Non esiste «ma»! È il peccato contro lo Spirito Santo, direbbe Cristo, l’unico che non può essere perdonato, perché è dire che Dio non può perdonarmi.

189-190 – Giovanni Paolo II (Discorso al Movimento di Comunione e Liberazione nel XXX anniversario di fondazione, 29 settembre 1984): «È significativo come lo Spirito per continuare con l’uomo di oggi il dialogo iniziato da Dio in Cristo e proseguito nel corso della storia, ha suscitato nella Chiesa contemporanea molteplici movimenti ecclesiali».

190 – «I carismi dello Spirito sempre creano affinità destinate ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito nella Chiesa», cioè nella vita. Questo è il sostegno per il tuo compito oggettivo nel mondo.

«È legge universale il crearsi di tale comunione»; che si crei questa comunione, questa compagnia, è una legge universale.

Tutti, anche i vescovi, sono chiamati a rendersene conto, ma innanzitutto noi dobbiamo rendercene conto.

«Viverla» questa comunione, «è un aspetto dell’obbedienza al grande mistero dello Spirito»

254 – Senza lo Spirito, Cristo è nel passato, perché senza lo Spirito, Cristo è vuoto della sua divinità.

Lo Spirito è l’energia divina con cui Cristo penetra la storia e ci raggiunge.

Ora qual è il segno dello Spirito in azione che rende presente alla nostra vita Cristo? Il segno più grande per noi è la nostra compagnia vocazionale.

La compagnia vocazionale è la compagnia in cui la vocazione cristiana diventa più chiara, più attuale, più persuasiva, più pedagogica, più operante; essa è il segno più vicino, più aderente alla nostra persona della presenza attiva, energica dello Spirito.

Dobbiamo stare attenti, dunque, a non espellere dalla nostra compagnia, che è dono dello Spirito, il Signore, a non degradarla dal suo significato. E il suo significato è l’urgenza della fede, della speranza e della amore a Cristo, cioè della santità.

Storia

226 -«E ora, Padre» Ora: questa è la storia. Tutta la storia è questo “ora” in cui Dio, il Mistero che fa tutte le cose, fa riconoscere Cristo all’uomo, dall’uomo.

«Ora, Padre, glorificami davanti a Te!» Che cosa vuol dire glorificare Cristo? Vuol dire riconoscerlo, vuol dire conoscerlo e aderire a lui con l’affezione del cuore[…].

230-232 – Ciò che sei ti sta davanti e la vita ti è data per rincorrerlo, per aderirvi, cioè per guardarLo

La vita ti è data. Così la moralità diventa la nostra storia, la moralità è la nostra storia.

231 – E così, la Lettera ai Romani, al capitolo 12, versetto 1, è come la formula della nostra storia: «Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente….» il corpo in San Paolo è la vita concreta, tutta la vita concreta, quella che si svolge nella materia, col cuore, la mente e l’anima.

È la storia di Abramo, che andrete a leggere nel quarto capitolo della Lettera ai Romani.

232 – La moralità, dunque, è una storia.

Anche l’antico Testamento però descrive la moralità del popolo ebraico come un “riguardare” Dio, cioè al Dio dei tuoi padri, al Dio della tua storia, che si è fatto conoscere, che ti ha dato il suo nome, ricordati.

234 – Abbiamo l’arma contro la fragilità, e nella storia – perché è storia il rapporto di Cristo con noi, di Dio con l’uomo: s’è fatto uomo! -, prima della morte, noi siamo chiamati a sperimentare la forza di Cristo in noi: l’arma contro la fragilità è la domanda, è domandare Cristo.

Strumentalizzazione

160 – L’amare è affermare l’altro. Solitamente noi affermiamo, invece, la nostra presa dell’altro, quello che ci conviene dell’altro: si chiama strumentalizzazione.


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