TEMI di «La verità nasce dalla carne» – Esercizi 88-89-90 – 1a parte

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ACDEFGILMOPQRSTUV

Lettera «C»


Cambiamento

40 – Le dimensioni culturali, trascendenti e religiose dell’uomo sono attuate integralmente nel rapporto con il Mistero fatto uomo con Cristo. Perciò è nel rapporto con Cristo la sorgente del cambiamento vero anche del mondo.

È proprio a questa passione per Cristo, a questa missione che abbiamo, così come siamo, lì dove siamo, che il cambiamento del mondo è legato.

43 – Di fronte all’annuncio di Cristo: «Noi crediamo in Cristo morto e risorto, in Cristo presente qui e ora, che solo può cambiare e [di fatto] cambia, trasfigurandoli, l’uomo e il mondo», nell’attesa affascinante e appassionata di sperimentare il cambiamento di sé e attorno a sé, noi abbiamo un solo modo di metterci, di tenerci in rapporto con Lui, così come era per Simon Pietro quando stava a sentire: è la domanda. Bisogna domandarlo, bisogna mendicarlo.

73-74 – Siamo un popolo che cammina verso la gioia profonda di un cambiamento. È nel cambiamento la presenza della creazione, la presenza della felicità finale. È nel cambiamento che tutto questo si rende segno.

123 – Forse potremmo individuare quattro punti, che segnano il cambiamento che, nelle nostre cose, viene generato dalla fede.

  1. Dalla banalità apparente delle cose quotidiane [….] alla apparente dignità delle cose importanti, cambiare significa che la banalità apparente non è banalità e l’apparente dignità non è dignità, le cose solite non solo solite e le cose importanti non sono importanti. Si chiama offerta questo gesto che deriva dalla coscienza della Sua presenza, della Tua presenza o Cristo.
  2. (pag.125) La Sua presenza, la memoria di Cristo ci costringe a una lealtà con gli scopi immediati dell’azione
  3. In ogni azione scaturisce, zampilla una sorgente per la vita eterna: si chiama gratuità
  4. (pag.128) Il sacrificio: nel sacrificio che la verità non resta dottrina cristallizzata, ma nasce dalla carne. Cristo deve nascere dalla carne sempre!

metànoia

128 – È una vita cambiata. Non per nulla sia chiama metànoia, un cambiamento totale di immagine, come percezione, come concezione, come sentimento, come giudizio, come valutazione e come uso, come manipolazione, come modo.

Carisma

80 – Il cristianesimo è qualcosa di vivente, cioè ha a che fare con un carisma. Il carisma è la modalità con cui il comunicarsi del Mistero tocca la tua carne, le tue ossa, la tua vita quotidiana.

Il cristianesimo è qualcosa di vivente, cioè ha a che fare con il carisma, vale a dire con il modo nel quale la risposta arriva ai bisogni e alle urgenze del tuo tempo presente. Quando io guardo questo mi metto in movimento.

164 – Il carisma è la modalità con cui lo Spirito di raggiunge, usando un tempo e uno spazio precisi, un temperamento e una storia precisi, una persona precisa, un incontro.

Si chiama carisma la modalità con cui lo Spirito di raggiunge persuasivamente.

165 – Il carisma, per affinità, si comunica a chi lo incontra.

Ci sono due regole perché il carisma sia vissuto con una obbedienza che lo renda movimento capace di comunicare la memoria di Cristo e di testimoniarLo.

  • Innanzitutto l’unità come riferimento, reale e determinante, al punto originale. Senza questo riferimento, reale e determinante, al punto dove s’origina il carisma e, attraverso il carisma, il movimento, senza questa unità di riferimento, reale e determinante, non è più obbedienza, viene evacuata l’obbedienza, e si riconduce tutta la questione al grande principio mondano e non cristiano dell’interpretazione.
  • (pag.166) La seconda caratteristica del movimento che nasce da un carisma, è la libertà: la libertà che è responsabilità personale, piena di intelligenza e di cuore, nell’aderire al fatto che ci è stato offerto, nell’aderire alla grande Presenza.

244 – Per questo dico che anche solo l’iscriversi, la vostra iscrizione alla Fraternità, ha già un sapore missionario, perché sottolinea, aiuta a sottolineare nella Chiesa di Dio questo carisma che ci è stato dato, questa modalità che ci è stata donata di sentire il dogma – ciò che Dio ci ha rivelato di sé – piena di luce e di affezione.

Carità

48-50 – «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona, un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza [l’ideale dello scienziato assoluto] e possedessi una pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono niente. (pag. 49) E se anche distribuissi tutte le mie sostanza e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, non mi gioverebbe»

Cor 13,1-3

Che pugno nello stomaco, nello stomaco del moralismo!

Ma che cosa è questa carità? La carità è quello che abbiamo detto stamattina: è, mentre si va per la strada e si vede un crocchio di gente, tra cui uno che parla, fermarsi incuriositi e, dopo due parole, guardandolo, guardando come parla quell’uomo, riconoscere la Sua presenza e desiderare, e cercare, di conoscerlo.

(50) La carità è riconoscere questa Presenza cui appartengo: «Vivo, non io, sei tu che vivi in me» (Gal 2,20). tutto di me in Te consiste.

Chiunque, è definito dal contenuto della sua appartenenza: il contenuto dell’autocoscienza, della coscienza di sé, è dato da ciò cui pensiamo di appartenere, cui riconosciamo d’appartenere.

Ecco, la carità è riconoscere la presenza di Colui cui tutto di me appartiene.

52 – Questa adesione è carità e perciò dono, è dono e gratuità, è benevolenza e gratitudine nello stesso tempo.

Ecco la carità è la sorpresa, lo stupore di questa Presenza, che mi dona se stessa, mi illumina, mi rincuora, mi accompagna, ed è la gratitudine per la benevolenza avuta.

Così nasce la morale cristiana, solo da questa coscienza. Il resto, i valori umani, i valori comuni o non comuni, nascono da un’altra coscienza di appartenenza, che non è quella cristiana.

65 – Le tre cose che abbiamo viste: la memoria di Cristo, l’amore a Cristo, la carità; la legge della koinonìa, la tendenza a mettere tutto in comune; il costruire l’opera, cioè u n pezzo di umanità nuova, riguarda il quotidiano.

76 – Allora il Mistero di Cristo, la realtà di Cristo, la Tua presenza, o Cristo, è dentro, è il contenuto di questa carità che c’è tra noi.

Si chiama carità, infatti, riconoscere la Tua presenza e amarti, o Cristo, e come conseguenza si chiama carità il riconoscerci con Te una sola cosa, tutti noi, e aiutarci, e volerci bene.

78 – Indicando anche i pericoli, indichiamo anche il nemico della nostra pace e il nemico della nostra carità. Segnalo un pericolo solo, che è quella di seguire una nostra idea di movimento, curvandoci sulla nostra opinione, invece che aprirci sempre di più a questa esperienza in cui Dio ci ha collocati.

99-100 – Che la carità diventi la dinamica della nostra vita! Che Dio ci perdoni: diamo sempre per scontate le cose che, invece, sono fluide, sono un flusso, sono il tempo, sono la storia, sono l’esistenza, sono la vita: il diventare carità.

100 – In questa carità, in questa imitazione di Cristo, in questo seguire Cristo, in questo riconoscere Cristo, in questo amarLo, in questo cercare di imitarLo come il bambino fa con i genitori, è implicato un ordine di cose, un ordine di condizioni e di condizionamenti. .

141-142 – Quanto più fisso gli occhi su questo Altro, quanto più vivo la memoria di questa Presenza, tanto più il mio agire, l’agire del mio soggetto ha come movente l’imitazione Sua. Si chiama carità, e la carità è solo questo.

La carità è il riconoscimento che Dio è venuto per amore nostro, fino a morirne. Per questo la giustizia è una sola: l’amore.

142 – La carità è il rapporto che il mio soggetto stabilisce per imitazione di Cristo. Vale a dire, il mio soggetto stabilisce e vive i rapporti per il movente stesso per cui Cristo si muove: è l’amore, l’amore all’uomo, riverbero di quell’amore del Padre che ha evocato dal nulla gli uomini e che, attraverso una storia, li sta salvando.

148 – «Nessuno ama tanto come chi dà la vita». È la carità. L’unico modo per testimoniare Cristo è la carità. Non sarà mai una dottrina schematizzata, come dice la frase di Mounier.

Il segno quindi del cristiano, dell’uomo che riconosce Cristo, è l’amore scambievole.

«La carità do ciascuno di voi verso gli altri aumenta sempre più»

“Tess 1,3

150 – La carità – non l’amore generico ma la carità – è di una concretezza assoluta.

Anche se dici: «È proprio esagerata», però la concretezza fino all’ultimo è propria dell’amare, è propria della carità.

166-167 – Il gruppo deve essere innanzitutto un’aiuto alla carità fraterna. Che il gruppo sia un aiuto alla carità fraterna vuol dire che deve favorire una trama di rapporti, di attenzioni, di sacrifici, di aiuti.personali. 167 – Un aiuto alla carità fraterna: il gruppo è un rapporto in cui si esplica la carità, più che una riunione – o peggio – una interpretazione e un giudizio propri sul movimento e su quel che fa.

Carne

27 – Solo da Dio può nascere l’uomo vero. Per questo «Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi». Abita tra noi.

36 – Io credo proprio che questo sia il punto più puro della nostra gioia, quello che rende possibile la nostra gioia: questo amore alla verità fatta carne, questa affezione quasi senza sentimento, anzi, no, carica di un sentimento profondo, l’attaccamento.

122 -«Perché la verità non si cristallizzi in dottrina» – perché il fatto che c’è tra di noi, Cristo, la verità, non un esempio, delle regole morali, dei valori morali, non si cristallizzi in dottrina, in leggi, in numeri, in giudizi-, «ma nasca dalla carne».

214 – Insieme al mistero di Dio che si faceva uomo, il nostro male è diventato carne in Lui mentre moriva.

Cristo fatto carne

114-115 – Nella omelia che il card. Meisner fece quando entrò in Colonia, attraversando l’ira di tutti gli avversari, disse testualmente:

«La Parola eterna del Padre si è fatta carne, ed ora è udibile e tangibile nella Chiesa, per tutti gli uomini»

J.Meisner citato in B.Scholz, Colonia, così abbiamo colto il nuovo vescovo Meisner, Litterae communionis – Cl n.3 marzo 1989.

A noi interessa molto la seconda parte, perché caratterizza il nostro movimento, ma occorre anzitutto fare attenzione alla prima: «La Parola eterna del Padre si è fatta carne», Cristo. È per Cristo, Dio fatto uomo, il Verbo fatto carne, che siamo stati fatti: Colui di cui tutte le cose sono state fatte, Colui in cui tutto consiste si è fatto uomo.

115 – L’uomo può fare quello che vuole, ma «la realtà è Cristo».

Come aveva ragione sant’Agostino a dire, e dovrebbe essere ripetuta in tutte le parrocchie del mondo: «Questa è l’orrenda radice del vostro errore: voi pretendete di far consistere il dono di Cristo nel suo esempio» – cioè di ridurre il cristianesimo a morale – «mentre quel dono è la sua persona stessa»! (S.Agostino – Contra Iulianum opus imperfectum

Ciò che ha fatto tutte le cose si è identificato con la precarietà di una carne, si identifica con la precarietà di una carne, si rende udibile e tangibile con la precarietà di una carne.

117 – «Colui che vuole onorare veramente la passione del Signore deve guardare con gli occhi del cuore Gesù Crocefisso, in modo da riconoscere nella sua carne la propria carne»

Leone Magno «Discorso 15 sulla passione del Signore»

Riconoscere nella carne Cristo crocefisso la propria carne: pensiamo a quando uno è ammalato, nel corpo o nell’anima. .

128 – È nel sacrificio che la verità non resta dottrina cristallizzata, ma nasce dalla carne. Cristo deve nascere dalla carna, sempre! È nato dalla carne, Dio.

180 – «[…] E siccome l’infinita trascendenza di questo Dio[…] si è avvicinata a noi in Cristo Gesù, fattosi carne per essere totalmente partecipe della nostra storia, bisogna allora concludere che la fede cristiana abilita noi credenti ad interpretare, meglio di qualsiasi altro, le istanze più profonde dell’essere umano e ad indicarne con serena e tranquilla sicurezza le vie e i mezzi di pieno appagamento»

Giovanni Paolo II, Discorso all’Università Cattolica del Sacro Cuore, 8 dicembre 1978

210-211 – «La Parola eterna del Padre si è fatta carne, ed è ora udibile e tangibile nella Chiesa, per tutti gli uomini».

card: J. Meisner citato in B.Scholz, Colonia. Così abbiamo accolto ili nuovo vescovo Meisner

Mistero fatto carne

70 – La legge del Signore è seguirlo, è seguire Cristo, il Mistero reso carne.

212-213 – O Cristo, «nato da donna» proprio per questo è inesauribile lo sguardo che si può portare alla Madonna, questa ragazza di quindici-diciassette anni in cui il significato del mondo, l’Eterno, il Mistero si è fatto carne.

213 – È come se quell’uomo, che è il Mistero fatto carne, anzi, non «come se», ma in quell’uomo tutti i nostri errori e tutta la nostra debolezza si sono anche essi incarnati.

220 – Un ragazzo scrive: «Il mio necessario» – l’origine del mio essere, il Mistero – «si è fatto carne e sangue nel tempio dei vostri volti».

223 – Non si può contemplare se non il Mistero, cioè Cristo, perché il Mistero è diventato carne, è nato da una donna, dal seno di una donna.

228-229 – «I predicatori, e le persone che sono solite ripetere le sentenze a orecchio, parlano della sofferenza come di un mistero. In realtà essa è una rivelazione

O. Wilde – De profundis

(La sofferenza) rivela chi sono, rivela il mio destino, rivela a chi appartengo, rivela il mio nesso con il Mistero, con il Mistero fatto carne, con questo Mistero fatto carne che permane nella storia e mi raggiunge con questa gente presente, in queste contingenze, nell’istante.

Verbo fatto carne

27 – L’uomo vero non nasce dalla donna e da un uomo – per quel male acuto, profondo, che la Chiesa chiama «peccato originale» -, ma solo da Dio.

Solo da Dio può nascere l’uomo vero. Per questo «Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora tra di noi». Abita tra noi.

115 – Occorre prestare molta attenzione a: «La Parola eterna del Padre si è fatta carne», Cristo. È per Cristo, Dio fatto uomo, il Verbo fatto carne, che siamo stati fatti: Colui di cui tutte le cose sono fatte.

212 – Ora, su queste cose bisogna semplicemente fissare gli occhi. «Il Verbo si è fatto carne» per noi, propter nos homines, per noi uomini e per la nostra salvezza, per la nostra vita. È disceso dal cielo, si è incarnato, ha patito e morto.

Chiesa

55 – Perciò, koinonìa, la comunione cristiana, era chiamata anche l’agàpe, cioè l’«amore», oppure eirène, che voleva dire «pace», la realtà della pace, in latino concordia: La Chiesa era chiamata «la concordia». oppure anche pax, che traduce il termine greco eirène.

70 – La legge del Signore è seguire il Suo mistero nella storia, il Suo corpo misterioso, la Chiesa.

Ma la Chiesa ti tocca attraverso una compagnia vocazionale indicata da Dio; questa è per noi la nostra compagnia.

74-75 – «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella unione fraterna, nella frazione del pane e delle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e grandi segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano le cose in comune. Chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno, tutti insieme frequentavamo il tempio e spezzavamo il pane a casa, prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia del popolo. E ogni giorno il Signore aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati».

At 2,42-48

È la prima descrizione della realtà della Chiesa.

75 – «[…] Vivendo secondo la verità della carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, da quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da maturare se stesso nell’amore»

Ef 4,14-16

Questa è la più bella descrizione che san Paolo fa del metodo che Cristo ha scelto per rimanere tra di noi: Egli rimane con noi dentro la nostra compagnia e la nostra unità. Dentro il mistero della Chiesa come ci tocca, Cristo prende corpo tra di noi, in noi e tra di noi.

100 – In questa carità, in questa imitazione di Cristo, in questo seguire Cristo, in questo riconoscere Cristo, in questo amarLo, in questo cercare di imitarLo come il bambino fa con i genitori, è implicato un ordine di condizioni o di condizionamenti.

Nel suo insieme grandioso, questo ordine di condizionamenti, per amare e seguire e imitare Cristo, si chiama «Chiesa», che tradotta nella nostra contingenza,, nel nostro vivere quotidiano, negli impatti con cui Dio, Cristo, ha toccato la nostra vita, si chiama «movimento».

124 -L’eterno è la verità del presente, dell’apparente, perciò è Ciò di cui tutto consiste. «Tu doni alla Chiesa di Cristo di celebrare misteri ineffabili nei quali la nostra esiguità di creature mortali si insublima in un rapporto eterno e la nostra esistenza nel tempo comincia a fiorire nella vita senza fine.

127-128 – In tutte le cose, si stabilisce una incidenza dell’offerta come gratuità, come amore al regno di Cristo che è la Chiesa, che tu faccia la tua impresa, la tua cooperativa, la tua famiglia.

128 – Innanzitutto l’offerta, che rende sublime l’azione; poi la moralità, cioè la lealtà con gli scopi immanenti l’azione; in terzo luogo la gratuità come affezione al regno di Cristo, che è la Chiesa e che è il movimento, in tutto quello che fa.

165 – Certo, la strada per andare a Cristo si chiama «Chiesa»; anzi, il luogo dove Cristo è riconosciuto, vissuto e amato è la Chiesa; ma la Chiesa vive dove tu vivi, tocca quello che tu pensi, senti.

La Chiesa mantiene l’oggettività della sua proposta, ottiene da te la verità di una obbedienza, che è il supremo atteggiamento di virtù, come abbiamo detto ieri, attraverso una compagnia più stretta, come per il bambino: per me, quando ero piccolo, il mio povero papà e la mia mamma.

219-221 –

«Le differenze nazionali devono mantenersi fino alla fine dei tempi; i diversi popoli devono continuare ad essere membra realmente distinte dell’organismo universale», analogamente alle persone – «Ma […] questo organismo deve esistere realmente, la grande unità umana non deve esistere solo come una potenza occulta o un ente di ragione ma deve incarnarsi in un corpo sociale visibile e capace di esercitare in maniera manifesta e permanente una forza d’attrazione che possa tenere in scacco la moltitudine delle spinte centrifughe che lacerano l’umanità»

V. Solov’ëv – – L’idea russa (1888)

Per me questa la la descrizione di quello che Cristo ha creato nel mondo, l’unità umana già attuata,, la Chiesa, il suo Corpo misterioso.

La nostra compagnia e, nell’«organismo» dell’umanità, nell’organismo dell’umanità in cammino verso la sua perfezione esplicitata, la Chiesa.

220 – La nostra compagnia è una «unità imperfetta ma reale» a cui l’uomo può appoggiarsi.

Non si può appoggiare, infatti, sulla Chiesa astrattamente concepita. L’uomo si appoggia sulla Chiesa che incontra in una realtà udibile e toccabile. Questo deve essere la nostra compagnia.

Ora questa appartenenza a un «unità imperfetta, ma reale» fatta -come diceva Péguy – «razza spirituale e carnale, temporale ed eterna»; in questa appartenenza totalizzante – altrimenti non vi si appartiene, non è vero che la si riconosce – a una «unità imperfetta ma reale», tanto imperfetta quanto reale veicolo di Cristo e del Mistero della Chiesa; in questa appartenenza che cosa è il mio soggetto, la mia persona?

221 – La personalità, la persona, il soggetto è consapevolezza di un avvenimento che è diventato storia, l’avvenimento di Cristo nel suo comunicarsi al mondo: Chiesa, corpo Suo.

226 – Dopo d’aver richiamato e meditato su Cristo, la Parola eterna del Padre fatta carne, udibile e tangibile nella Chiesa, che diventa reale nell’incontro con una compagnia dove Cristo e la Chiesa sono tutto, costituiscono la mente e il cuore, il criterio della concezione, lo scopo del progetto, l’origine dell’atteggiamento; dopo aver richiamato, dunque, Cristo e questa Chiesa che diventa così imperfettamente reale nella nostra compagnia – tutto dipende da quella affezione nuova che in noi deve rendere matura la grazia del Battesimo e che si chiama appartenenza: l’appartenenza è a Cristo, ma non c’è appartenenza a Cristo se non ci apparteniamo tra di noi, con quella libertà che è pari soltanto alla totalità che essa esige e implica -, è una umanità nuova ciò di cui dobbiamo parlare.

compagnia della Chiesa

69-70 – Questa mendicanza da poveri, questa domanda da bambini non può essere inventata in un momento; è un assetto, un atteggiamento, che implica una concezione della vita, un sentimento della propria persona, un desiderio e una tensione dell’animo, possibili solo nella compagnia di Cristo. E la compagnia di Cristo ci stringe da vicino nella compagnia della Chiesa, e la compagnia della Chiesa diventa vera ed esistenziale – vi si incarna fisicamente il mistero del Signore – come compagnia nostra, la compagnia della nostra amicizia nella fede.

70 – La legge del Signore è seguire il Suo mistero nella storia, il Suo corpo misterioso, la Chiesa.

Ma la Chiesa ti tocca attraverso una compagnia vocazionale indicata da Dio; questa è per noi la nostra compagnia.

226 – Dopo d’aver richiamato e meditato su Cristo, la Parola eterna del Padre fatta carne, udibile e tangibile nella Chiesa, che diventa reale nell’incontro con una compagnia dove Cristo e la Chiesa sono tutto, costituiscono la mente e il cuore, il criterio della concezione, lo scopo del progetto, l’origine dell’atteggiamento; dopo aver richiamato, dunque, Cristo e questa Chiesa che diventa così imperfettamente reale nella nostra compagnia – tutto dipende da quella affezione nuova che in noi deve rendere matura la grazia del Battesimo e che si chiama appartenenza: l’appartenenza è a Cristo, ma non c’è appartenenza a Cristo se non ci apparteniamo tra di noi, con quella libertà che è pari soltanto alla totalità che essa esige e implica -, è una umanità nuova ciò di cui dobbiamo parlare.

Circostanza

82 – All’ultimo incontro della Fraternità ci siamo lasciati con questa frase: “Prendere coscienza del mistero di Cristo tra noi non significa pretendere già di saperlo, ma riconoscere che questo Mistero ci è compagnia, per questo la certezza della vita è in questa sequela al movimento“.

170 – Come un gruppo di giovani mi ha scritto: «Pensieri come “Il movimento è una circostanza in cui Cristo ri educa“, o “Solo nel rapporto con l’origine della compagnia si chiarifica la strada personale di ciascuno“, questo ci sta restituendo al nostro presente».

«Il movimento è una circostanza in cui Cristo ti educa»: è la circostanza, nel senso globale della vita, in cui Cristo ti educa.

192 – Il Mistero di manifesta – questo è il primo e fondamentale modo – in quanto di più banale, di più insensato noi possiamo rendere oggetto dei nostri occhi e della nostra considerazione: l’istante, le circostanze dell’istante, l‘istante circostanziale.

Non esiste niente di più sicuro, anzi, non esiste niente di sicuro e di chiaro nel rapporto con il Mistero se non questo momento. Perché il Suo volere ci si rende noto in questo momento.

Come mi fa collaborare Dio al suo disegno? Facendomi passare di istante in istante, di contingenza in contingenza, di circostanza in circostanza; la parola «bisogno» indica il dinamismo di ogni istante e di ogni circostanza.

195-197 – La sottolineatura del valore dell’istante ci fa scivolare anche in un altro pensiero: proprio qui è l’origine del nostro peccato. Noi ci ribelliamo al Dio che emerge nelle circostanze. Noi non ci ribelliamo a Dio, anzi diciamo: «Padre nostro che sei nei cieli»; ma coscientemente o incoscientemente, più o meno coscientemente, ci ribelliamo al Suo emergere, al Suo manifestarsi, al Suo comunicarsi, al comunicarsi della Sua volontà, che è la circostanza.

Ci ribelliamo alla circostanza, vorremmo che fosse diversa la circostanza. Non diciamo fiat, «sì», come la mamma nella lettera, e anzitutto come la Madonna. La resistenza – ecco, invece che ribellione possiamo chiamarla resistenza – si mostra soprattutto nella incapacità di stare nell’istante.

Stare nell’istante: tu, mamma, che sei a casa; tu, operaio che sei in fabbrica; tu, imprenditore, che sei in azienda; tu, marito, che sei in famiglia; tu, moglie, col tuo marito che ti percuote col suo modo di fare.

La resistenza si mostra soprattutto nella incapacità di stare nell’istante. L’immaginazione nostra fugge nel futuro o nel passato e lascia inquieta, timorosa o rabbiosa l’ora.

Così per sentirci consistere, per avere consistenza, noi non obbediamo alla circostanza.

Crediamo di consistere, cerchiamo la nostra consistenza nel fare quello che pensiamo, nel fare quello che si pensa o si vuole: mettiamo la nostra consistenza nella reazione alla circostanza, invece che nella obbedienza alla circostanza.

196 – Mentre nella obbedienza al Mistero, dentro la circostanza, cresce il nostro io[…].

L’abbandono, la capacità di abbandono è la prima capacità nella consistenza di noi stessi, è la piena e prima libertà.

205 – Non è un progetto, la giustizia, ma l’abbandono alla circostanza, la circostanza inevitabile per cui Dio ci fa passare: l’istante.

«Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite»

Gv 8,29

Civiltà

46-47 – Se per civiltà si intende la trama stabile e continuamente dinamica di tutti i rapporti che una persona crea, vive, utilizza per un’opera che sia la sua collaborazione alla grande opera di Dio, allora è un metodo di civiltà quello che le parole dello starets implicano: «Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui»

47 – «Se Paolo VI indicava a più riprese la “civiltà dell’amore” come fine a cui debbono tendere tutti gli sforzi in campo sociale e culturale, come pure in campo economico e politico, occorre aggiungere che questo fine non sarà mai conseguito, se nelle concezione e attuazioni, relative alle ampie e complesse sfere della convivenza umana, ci arresteremo al criterio dell'”occhio per occhio e dente per dente”» – che è l’unica sapienza cui può arrivare la mentalità razionale – «e non tenderemo invece a trasformarlo essenzialmente, completandolo con un altro spirito»

Giovanni Paolo II – Lettera enciclica Dives in Misericordia – 30-11-1980

Compagnia/comunità

74-77 – Questa è la «roccia che si alza tra noi»: Cristo dentro la nostra unità, dentro la nostra compagnia. Per quei primi cristiani, che non l’avevano neanche visto, la roccia che si alzava tra loro, da cui bere e da cui essere sostenuti, era la comunità.

«Affinché non siamo più come bambini, sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità della carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da maturare se stesso nell’amore

Ef 4,14-16

75 – Questa è la più bella descrizione che san Paolo fa del metodo che Cristo ha scelto per rimanere con noi: Egli rimane con noi dentro la nostra compagnia e la nostra unità.

Se non ci toccasse ora attraverso la nostra compagnia e la nostra unità, questo grande corpo, questo grande corpo che è la Chiesa sarebbe astratto per noi, sarebbe lontano per noi, non sarebbe una rupe su cui appoggiarci, a cui bere, da cui trarre cioè il criterio, la direttiva e il sostegno della vita; sarebbe come una cosa mirabile e malinconica, ognuno di noi sarebbe nella sua solitudine, lontano, come si è di una idea.

76 – Ecco, questo grande corpo misterioso di Cristo ci tocca, ci tocca proprio le orecchie, si fa sentire, si fa toccare con le mani, si fa vedere con gli occhi, attraverso l’unica modalità propria dell’uomo, con cui esso viene investito, come udito, come sguardo, come tatto, come tangibilità, così che la compagnia diventi realmente compagnia.

La Fraternità è una compagnia che ci educa a servire, a seguire il movimento, domandando che l’incontro con Cristo diventi l contenuto di tutto.

La Fraternità è il modo con cui ci aiutiamo a vivere questa nostra più grande compagnia.

77 – Ecco, innanzitutto la nostra compagnia, la vita del nostro movimento ci sia punto di riferimento come criterio.

80 – Il cristianesimo è qualcosa di vivente, cioè ha a che fare con un carisma, vale a dire con il modo nel quale la risposta arriva ai bisogni e alle urgenze del tempo presente. Quando io guardo questo e lo accetto, mi metto in movimento, e se lo faccio, mi trovo quasi subito insieme a chi fa la stessa cosa.

È questa l’affinità che si genera intorno a ognuno di noi e crea il volto di una comunità. Questa comunità è un avvenimento di novità assoluta nel mondo, tanto è vero che il mondo nella sua impostazione di coscienza non l’accetta.

Tale rifiuto ha una radice anche in noi, avviene soprattutto come mentalità. Per questo è importante, per il cristiano, l’impostazione culturale. Essa è originariamente una nuova mentalità che l’amicizia, in una compagnia come la nostra, più o meno lentamente genera.

82-83 – La nostra pietra di sostegno è la nostra compagnia, innanzitutto come esempio di giudizio sulla vita e sul mondo, perciò come direttive, come direttive che ci vengono date, che sono gli esempi di un giudizio, per sapere come fare.

Comunque sia, la comunità e soprattutto la Fraternità, oltre sorgente di una direttiva, deve essere sorgente di sostegno.

Lettera: «All’ultimo incontro della Fraternità ci siamo lasciati con questa frase: “Prendere coscienza del mistero di Cristo tra noi non significa pretendere già di saperlo, ma riconoscere che questo Mistero ci è compagnia, per questo la certezza della vita è in questa sequela al movimento“.

83 – «Quest’anno ci siamo sempre richiamati al fatto che Cristo si incontra e si domanda attraverso le circostanze che la vita pone, così che i semi di una umanità nuova si sviluppano nell’amore alla realtà quotidiana

Si sottolineano due punti: la compagnia stretta in cui è la direzione, in cui siamo continuamente risollevati, richiamati, e l’applicazione alla realtà quotidiana.

130 – «Un punto di svolta decisivo nella storia più antica quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione dell’imperium. Il compito che invece si prefissero fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e oscurità. […] Dovremmo concludere che da qualche tempo anche noi abbiamo raggiunto questo punto di svolta. Ciò che conta […] è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi»

A. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Feltrinelli, Milano 1988, p. 133

È un compito storico quello che noi abbiamo, proprio come compagnia, come famiglia, la tua famiglia, tu, i tuoi amici, la tua comunità, la tua Fraternità, la nostra grande Fraternità benedetta dalla Chiesa, grazie a Dio e grazie a coloro che ci hanno voluto bene.

153 – E questo ideale è anche collettivizzabile: è l’ideale della propria famiglia o l’ideale della comunità o l’ideale della diaconia.

219-220 –

«Le differenze nazionali devono mantenersi fino alla fine dei tempi; i diversi popoli devono continuare ad essere membra realmente distinte dell’organismo universale», analogamente alle persone – «Ma […] questo organismo deve esistere realmente, la grande unità umana non deve esistere solo come una potenza occulta o un ente di ragione ma deve incarnarsi in un corpo sociale visibile e capace di esercitare in maniera manifesta e permanente una forza d’attrazione che possa tenere in scacco la moltitudine delle spinte centrifughe che lacerano l’umanità»

V. Solov’ëv, L’idea russa (1888)

Per me questa è la descrizione di quello che Cristo ha creato nel mondo, l’unità umana già attuata, la Chiesa, il suo Corpo misterioso.

Anche se la pagina può sembrare un po’ difficile, queste unità imperfette, ma reali, coincidono con quello che noi chiamiamo «compagnia». La nostra compagnia è, nell’«organismo universale» dell’umanità, nell’organismo dell’umanità in cammino verso la sua perfezione esplicitata.

220 – La nostra compagnia è una «unità imperfetta ma reale». a cui l’uomo può appoggiarsi. Non si può appoggiare, infatti, sulla Chiesa astrattamente concepita. L’uomo s’appoggia sulla Chiesa che incontra in una realtà udibile e toccabile. Questo deve essere la nostra compagnia.

226-227 -Dopo aver richiamato Cristo e questa Chiesa che diventa così imperfettamente reale nella nostra compagnia – tutto dipende infatti da questa affezione nuova che in noi deve rendere matura la grazia del Battesimo e che si chiama appartenenza: l’appartenenza è a Cristo, ma non c’è appartenenza a Cristo se non ci apparteniamo tra di noi, con quella libertà che è pari soltanto alla totalità che essa esige ed implica -, è una umanità nuova ciò di cui dobbiamo parlare.

Una umanità nuova, Cristo introduce nel mondo una umanità nuova.

227 – Ma affinché non sia l’emozione del bisogno, ricordiamoci che il test supremo dell’accoglienza è l’accoglienza dei soliti, della gente solita. La famiglia è il primo caso, ed è particolarissimo, ma l’accoglienza della gente solita è accoglienza dei compagni di lavoro, di studio, degli amici, della gente della comunità, della compagnia, così come Gesù ha accolto me, ha avuto e ha pietà di me.

236 – Partecipando alla nostra compagnia, non si aderisce a una persona, non si aderisce a un modo di comportamento, di vita, di socialità che ci torna più facile o comodo, non si aderisce per un rifugio. Si aderisce per la coscienza del dono che ci è fatto della Sua presenza. Ciò che mette insieme i fratelli è la Sua presenza.

Occorre che la memoria sia sempre più viva: – è impressionante come diventi più viva! -: memoria di Cristo e memoria della nostra compagnia.

Perché nella fragilità e nell’effimero della nostra compagnia è veicolata, si veicola, si porta dentro la nostra vita la realtà di Cristo.

239 – È attraverso questa nostra compagnia e amicizia, per quanto fragile possa essere , che noi andiamo a Lui.

241 – Può succedere non perché una folata improvvisa, una tempesta di Spirito Santo ci porti via tutta la nostra piccolezza, meschinità e anche cattiveria, ma perché c’è questo «santo desiderio», perché accettiamo che la compagnia ce lo richiami sempre.

Non è un giudizio quello che convince gli uomini, non è un discorso, ma una compagnia umana. Una compagnia che ha come test il perdono, che ha come anima e spinta, anche se appena balbettata, il desiderio del destino dell’altro, come una madre ha il desiderio della felicità del figlio.

La compagnia è l’avvenimento che rende presente Cristo, è la forma di Cristo per i nostri occhi e il nostro cuore, e per gli occhi e il cuore degli altri.

247 – Ieri si è parlato di appartenenza: perché, per come l’abbiamo concepita, per come concepiamo la nostra compagnia, per come abbiamo identificato l’origine e lo scopo della nostra compagnia, è proprio una appartenenza della nostra persona che essa esige.

E una appartenenza o è totalizzante o non serve.

Compagnia di Cristo

69-70 – La compagnia di Cristo ci stringe da vicino nella compagnia della Chiesa, e la compagnia della Chiesa diventa vera, esistenziale – vi si incarna fisicamente il mistero del Signore – come compagnia nostra, la compagnia della nostra amicizia nella fede.

70 -La legge del Signore è seguire il Suo mistero nelle storia, il Suo corpo misterioso, la Chiesa.

Ma la Chiesa ci tocca attraverso una compagnia vocazionale indicata da Dio; questo è per noi la nostra compagnia.

La legge del Signore è seguire la comunità. Non perché abbia valore chi la guidi o chi la componga, ma perché nella sua concretezza si rende esistenzialmente presente Cristo: da riconoscere così che mobiliti la nostra vita, pensieri e azioni, e che il cuore si pieghi o si apra alla carità, a quell’amore senza confini che è la perfezione dell’Essere, la perfezione del Padre, a quella imitazione di Cristo, che può giungere – lo si capisce bene – anche fino ad amare i propri nemici e a pregare, offrire la propria vita per i propri persecutori.

Comunione

46ss – La vita come comunione. (Seguono diverse pagine sulla carità e citazioni varie)

52 – Non si può creare una realtà nuova, che può cambiare, e di fatto cambia, l’uomo e il mondo, senza la coscienza di appartenenza, se non partendo dalla coscienza dell’appartenenza a Cristo.

Così nasce la morale cristiana, solo da questa coscienza. Il resto, i valori umani, i valori comuni o non comuni, nascono da un’altra coscienza di appartenenza, che non è quella cristiana.

54-55 – Tutto deve partire da questa coscienza di appartenenza a Cristo, non all’idea di Cristo che abbiamo, ma al Cristo reale, quello che nella storia si prolunga dentro l’unità dei credenti in quanto uniti al Papa, al vescovo di Roma.

La prima comunità la chiamava legge della koinonìa, della comunione. Koinonìa è la parola creca per dire «comunione».

55 – Come ricordo ai miei scolari, la parola koinonìa era un termine del vocabolario ellenico di allora e indicava il fatto che della gente fosse insieme per un certo interesse. Adesso la chiameremmo «cooperativa».

Gli apostoli avevano una cooperativa di barche per andare a pesca e perciò erano koinoinòi, erano della persone – si direbbe tradotto – in comunione tra di loro, ma in comunione nel senso che erano dei soci della cooperativa.

Essi allora hanno incominciato ad applicare alla loro vita, al modo, al metodo della loro vita, il termine koinonìa – in latino communio, comunione -, che tante volte sostituivano con dei sinonimi, per esempio, in greco: agàpe, che vuol di re «amore».

Ma che cosa avevano in comune, che cosa riconoscevano in comune questi cristiani per sentirsi in koinonìa, per sentirsi in una unità di interesse? Avevano in comune il riconoscimento, la scoperta, l’incontro con Cristo, cioè il senso della vita, di Colui che era il senso della loro vita e della vita del mondo: «Io sono la vita, la verità e la vita».

Avevano in comune l’aver scoperto questo, l’aver incontrato questo. Avevano in comune tra loro questo, l’aver incontrato questo.

E se avevano in comune il senso della vita, il significato di tutta la loro vita, a maggior ragione avevano in comune tutto ciò che apparteneva alla vita.

62 –

koinonia

54-56 – Tutto deve partire da questa coscienza di appartenenza a Cristo, non all’idea di Cristo che abbiamo, ma al Cristo reale, quello che nella storia si prolunga dentro l’unità dei credenti in quanto uniti al Papa, al vescovo di Roma.

La prima comunità la chiamava legge della koinonìa, della comunione. Koinonìa è la parola greca per dire «comunione».

55 – Come ricordo ai miei scolari, la parola koinonìa era un termine del vocabolario ellenico di allora e indicava il fatto che della gente fosse insieme per un certo interesse. Adesso la chiameremmo «cooperativa».

Gli apostoli avevano una cooperativa di barche per andare a pesca e perciò erano koinonòi, erano della persone – si direbbe tradotto – in comunione tra di loro, ma in comunione nel senso che erano dei soci della cooperativa.

Essi allora hanno incominciato ad applicare alla loro vita, al modo, al metodo della loro vita, il termine koinonìa – in latino communio, comunione -, che tante volte sostituivano con dei sinonimi, per esempio, in greco: agàpe, che vuol dire «amore».

Ma che cosa avevano in comune, che cosa riconoscevano in comune questi cristiani per sentirsi in koinonìa, per sentirsi in una unità di interesse? Avevano in comune il riconoscimento, la scoperta, l’incontro con Cristo, cioè il senso della vita, di Colui che era il senso della loro vita e della vita del mondo: «Io sono la vita, la verità e la vita».

Avevano in comune l’aver scoperto questo, l’aver incontrato questo. Avevano in comune tra loro questo, l’aver incontrato questo.

E se avevano in comune il senso della vita, il significato di tutta la loro vita, a maggior ragione avevano in comune tutto ciò che apparteneva alla vita.

56 – Ecco allora come si potrebbe tradurre la legge della koinonìa: la tendenza a mettere tutto in comune, sia i beni spirituali sia i beni materiali, dove la parola «tendenza» è la vera formula della legge cristiana, che non è mai una misura, come sono invece tutte le norme morali, o i cosiddetti valori umani, che misurano. La giustizia umana misura; invece la moralità cristiana non misura mai, guarda se stai tendendo, in che posizione di tensione e di direzione sei, se stai tendendo a mettere tutto in comune, sia le risorse materiali sia le risorse spirituali.

58-59 – La legge della koinonìa è la legge di ogni vera comunità cristiana. .

La legge della koinonìa deve arrivare almeno alla soglia, che è la soglia divina, ove l’uomo bussa alla porta dell’eterno: qui l’uomo arriva al confine, per così dire, della casa di Dio, al confine del volto ultimo di Cristo, che è il perdono.

59 – Della legge della koinonia, di questa tensione a concepire tutto in comune, poiché abbiamo in comune il senso della nostra vita e la consistenza stessa delle nostre ossa e del nostro cuore, noi sottolineiamo questo, non so dire se primo o ultimo traguardo, in fondo è l’ultimo e il primo nello stesso tempo: il traguardo del perdono, parola “impossibile” – tutte le volte che l’abbiamo richiamata siamo stati costretti ad aggiungerlo -, impossibile all’uomo: è una parola divina, perché il perdono ricrea. Non esiste più il passato, nel senso che è diventato un bene presente; non è uina ferita che non si tocca più, oppure che non si ostenta più, no, è una ferita che è abolita.

65 – Le tre cose che abbiamo viste: la memoria di Cristo, l’amore a Cristo, la carità; la legge della koinonìa, la tendenza a mettere tutto in comune; il costruire l’opera, cioè un pezzo di umanità nuova riguarda il quotidiano.

Condivisione

149-150 – Occorre vivere quella grande parola che è in uso nel nostro movimento: condivisione.

Una persona è una trama di esigenze, di bisogni in atto, e infatti la sua natura è di essere bisogno dell’infinito. Non esiste aspetto della esistenza di un uomo, di una creatura umana, che non sia un aspetto di bisogno ed esigenza: occorre perciò condivisione del bisogno, dell’esigenza. «Non amiamo con le parole, ma con i fatti».

Questa prima condizione è importante: tutto ciò che viene generalizzato, genericizzato, cessa di essere carità. Voi mamme non amate i vostri due, tre, quattro figli in generale: «i figli»; voi amate Giacomo, Simone…Carlino… È una condivisione, è un amore personale. Capite cosa vuol dire incontro? Il rapporto con una persona è sempre un incontro.

150 – Incontro e condivisione devono essere costruttivi nel tempo.

152 – Un’altra caratteristica conseguenza è che l’amore, oltre a essere personale – condivisione -, costruttivo nel tempo, lealissimo con le condizioni concrete fin nelle sfumature, è lieto. Lieto: questo è proprio il sintomo più cristiano che esista, è il sintomo cristiano più sensibilmente sperimentabile.

Consistenza/consistere

12 – Come potrei riconoscerLo che significato avrebbe, se non fosse importante per me, per me? È importante perché costituisce, dà consistenza a me! Il soggetto di questi giorni è proprio la nostra persona, quella che si stanca e quella che si dispera, quella che spera in modo euforico, e tante volte così insensatamente o quella che deve fare fatica. È a ciò che Cristo dà consistenza

188 – In ogni momento del nostro vivere, noi siamo immersi nel Mistero, vi siamo immersi nativamente, perché ne sorgiamo, se siamo alimentati, la consistenza del nostro animo è fatta di qualcosa che ci supera.

195-198 – Noi ci ribelliamo a Dio che emerge nelle circostanze.

Così per sentirci consistere, per avere una consistenza noi non obbediamo alla circostanza.

Crediamo di consistere, cerchiamo la nostra consistenza nel fare quello che pensiamo, nel fare quello che si pensa e si vuole:

mettiamo la nostra consistenza nella reazione alla circostanza, invece che nella obbedienza alla circostanza.

196 – Dentro l’invitabile sgretolamento dell’immagine di me che quotidianamente avviene – per affermare la nostra consistenza ci sgretoliamo perché non costruiamo; costruire vuol dire aderire al disegno di un Altro che ci convoca, che ci chiama momento per momento -, qualcuno continua ad amarmi, qualcuno mi vuole, il Padre mi vuole, il Mistero mi vuole: dentro questo sgretolamento che io produco tutti i giorni.

197 – L’abbandono, la capacità di abbandono è la prima libertà della consistenza di se stessi, è la piena e prima libertà.

198 – C’è però una obiezione, lo sappiamo bene.

L’obiezione è che questo modo di concepire la vita e il proprio rapporto con l’Essere, il rapporto costitutivo con il Mistero che mi fa, che è l’origine, la consistenza e il destino mio, questo modo di concepire l’istante, il far consistere nell’abbandono profondo a Dio la virtù di ogni giorno – tutto il giorno io offro -, il far consistere il valore della persona in questo abbraccio dell’istante, delle circostanze, implica un rintuzzare la reazione, implica uno strappo da me, implica il cambiare direzione a un desiderio, implica il non “artigliare” il possesso delle cose, implica ili sacrificio.

Cuore

32 – […] Il cuore dell‘uomo è un frumento già maturo per la mietitura, ha bisogno della risposta oggi, è già carico di maturità, nasce maturo, nasce come rapporto con l’infinito, nasce come esigenza di felicità.

35 – Diceva nella Lettera ai Romani san Paolo: «Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» cioè sarai un uomo vero, la tua umanità sarà salva. «Con il cuore infatti si crede, per ottenere giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede, per avere la salvezza. […]»

67-70 – Tutto ciò che è finito è come una stanza, in cui uno attende l’aprirsi della porta, lo spalancarsi sulla soglia eterna, che preme dentro di noi, la cui vita preme dentro di noi, perché ne è fatto il cuore.

Per amare i nemici, fino a pregare per i persecutori, occorre un cuore nuovo, occorre una vita nuova, occorre una umanità nuova.

69 – La legge del Signore non è più come allora, un seguito di comminazioni, di articoli, di paragrafi, non è più un seguito di definizioni: le legge del Signore è la memoria di Cristo, che investe sempre di più il cuore.

82 – Ricordatevi che seguire da uomini significa usare l’intelligenza, perciò cercare di comprendere le ragioni, di assimilare le modalità con cui si affrontano le cose, e usare l’affezione: si segue con tutto il cuore, con il cuore.

97-98 – Non c’è nessuna gioia senza fede, senza che la fede diventi conoscenza progressiva, senza che la fede scaturisca in affezione che mobiliti la nostra volontà, senza che il cuore non si perda, perché il cuore è la libertà.

98 – La gioia è un sintomo, è un test che abbiamo compiuto il sacrificio bene: queste giornate devono aumentare la nostra gioia, devono aumentare la persuasione profonda del cuore, la volontà disponibile e semplice, come quella di un bambino, e la gioia, che è propria di chi riconosce il Signore, la gioia della Pasqua, la gioia di Cristo risorto.

La pace è la caratteristica del cuore di chi è figlio di Dio, di chi, – con tutto il peso della sua povertà e anche della sua peccaminosità, è discepolo di Cristo, vuole essere seguace di Cristo, vuole amare il Signore: Ti riconosco e Ti chiedo la capacità di amarti.

«Tu che mi fai chiedere concedi»

147 – Se uno domanda, se uno anche tacitamente domanda, se uno spalanca l’occhio del cuore, è perché le sue opere vengano alla luce; e la via di Dio può sembrare lunga, longa fino all’ultimo magari, ma quello è salvato.

185-186 – (Paolo) «Pur avendo in Cristo piena libertà di comandarti ciò che devi fare, preferisco pregarti in nome della carità,, così come sono io, Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero per Gesù Cristo; ti prego dunque per il mio figlio, che ho generato nelle catene, Onesimo, quello che un giorno ti fu utile a te e a m e. Te lo rimando, lui, il mio cuore»

Fm 1,8-12

Di questo schiavo dice- «Te lo rimando, lui, mio cuore». Come dovremmo sentirci tutti così, l’uno il cuore dell’altro, perché a noi è accaduto qualcosa che ad altri non è accaduto!

186 – Noi possiamo togliere il velo che appesantisce di sonno e di meschinità il cuore di tutti; possiamo togliere questo velo e accorgerci di ciò di cui siamo fatti, di ciò per cui è fatto il nostro cuore: «Dio, Tu sei il mio Dio, all’aurora Ti cerco, […] a Te anela la mia carne».

192 – Quello che noi crediamo sia l’Altro da noi, cui appuntiamo il desiderio, quello che noi crediamo il Mistero, l’Altro da noi, l’inimmaginabile da noi, cui appuntiamo il desiderio, perché il cuore, il senso religioso, è fatto per qualcosa di più grande, che da tutte le parte ci supera, che non può essere afferrato o immaginato da noi, «agisce già, è già qui», adesso.

194 – Quando i nostri amici o parenti morti, quanto i nostri amici malati ci hanno insegnato, e ci insegnano questo! Di fronte a loro diciamo: «Lui è il mio cuore». Sì , sono veramente il nostro cuore.

L’ultima lettera della mamma di uno di noi, missionario in Messico, scritta a lui pochissimi giorni prima di morire.

«Qui in ospedale non si può pregare come si vuole» – neanche il progetto di pregare uno può pretendere di attuare -, «però al mattino mi portano la Comunione e durante la giornata accetto tutto senza lamentarmi mai. Ciao, carissimo figlio, non ti rattristare per queste cose, fa’ bene il tuo dovere e il padrone della messe saprà dare la ricompensa dovuta»

Grazie sorella, adesso che ci vedi con gli occhi e il cuore di Dio aiutaci a essere così, aiuta non solo i tuoi figli, ma anche noi!

206-207 – Non importa se non v’ho citato tutto prima, l’importante è che si muova il cuore.

207 – «Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze», almeno come desiderio santo.

«Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore»

244 – La preghiera di padre Grandmaison

«Santa Maria, madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo, puro e limpido come acqua di sorgente. Ottienimi un cuore semplice, che non si pieghi ad assaporare le proprie tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione; un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore di alcun male. Formami un cuore dolce e umile che ami senza esigere di essere riamato, contento di scomparire in altri cuori, sacrificandosi davanti al tuo Divin Figlio; un cuore grande e indomabile, così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere e nessuna indifferenza lo possa stancare; un cuore tormentato dalla Gloria di Cristo, ferito dal Suo amore, con una piaga che non si rimargini se non in cielo».

cuore nuovo

68 – Per amare i nemici, fino a pregare per i persecutori, occorre un cuore nuovo, occorre una vita nuova, occorre una umanità nuova.


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