TEMI di «La verità nasce dalla carne» – Esercizi 88-89-90 – 1a parte

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ACDEFGILMOPQRSTUV

Lettera «I» — in lavorazione


Imitazione di Cristo

142 – La carità è il rapporto che il mio soggetto stabilisce per imitazione di Cristo. Vale a dire, il mio soggetto stabilisce e vive i rapporti per il movente stesso per cui Cristo si muove: è l’amore, l’amore all’uomo, riverbero di quell’amore del Padre che ha evocato dal nulla gli uomini e che, attraverso una storia, li sta salvando.

Per questo l’unica giustizia è l’amare.

Incontro

149-150 – Il rapporto con una persona è sempre un incontro: non è un incontro quando è rapporto con gli altri in genere, come ho parlato dei quattro figli generici, ma specificati nella loro singolarità.

Ma se una persona è una trama di bisogni ed esigenze, il rapporto con una persona è l’incontro con un bisogno e con una esigenza. Questa è la condivisione.

150 – Per essere tali, incontro e condivisione devono essere costruttivi nel tempo.

Anche per il sacerdote, per il levita, fu un incontro con il bisogno di un “povero cristo” che stava morendo, ma solo per il samaritano fu un vero incontro, costruttivo nel tempo.

234-235 –

«Non è a forza di scrupoli che un uomo diventerà grande. La grandezza arriva, a Dio piacendo, come un bel giorno».

A. Camus, Taccuini

È questo il valore dell’incontro che abbiamo fatto e che continuiamo a fare.

Credo che molti siano d’accordo con me: ogni volta che ci si raduna è realmente l’incontro che si rinnova, come se fosse la prima volta. Si tratta, infatti, della vita, e la vita non ha sclerosi.

235 – Abbiamo già in noi, già ci è stata data la vita che non muore, e l’incontro è la presa di coscienza di questo.

Se vogliamo vivere quello che ci è stato dato, l’incontro fatto, se lo vogliamo rendere nuovo tutti i giorni, se vogliamo che tutti i giorni siano come «il bel giorno», siano in grazia di Dio, bisogna che realmente abbiamo a compiere questa conquista, una conquista che è tanto più profonda quanto più matura è l’età: la conquista dell’infanzia di cui parla il Santo Evangelista.

Comunque sia, questo incontro, in cui abbiamo preso coscienza del passaggio che occorre alla vita perché diventi vita – dal peccato, dalla dimenticanza, dal tradimento alla memoria -, ci ha messi insieme.

incontro con Cristo

55 – (Gli apostoli) avevano in comune il riconoscimento, la scoperta, l’incontro di Cristo, cioè del senso della vita, di Colui che era il senso della loro vita e della vita del mondo: «Io sono la via la verità la vita».

76-77 – (Lettera): « La Fraternità è una compagnia che ci educa a servire, a seguire il movimento, domandando che l‘incontro con Cristo diventi il contenuto di tutto».

77 – Abbiamo questa semplicità? Riduciamo tutto quello che chiediamo a Dio a questa domanda («Domandando che l’incontro con Cristo diventi il contenuto di tutto?»)

Infinito/infinito

113 – Noi non siamo Dio, non siamo l’Essere, la sorgente dell’amore. Deus caritas est, Dio è amore. L’amore è l‘Infinito: noi creature, solo se prendiamo coscienza di essere volute, di essere amate, allora incominciamo a potere amare.

126-127 -Il sublime è il rapporto con l‘infinito, cioè il rapporto con Cristo, perché l’infinito è un Uomo, a cui una donna ha baciato i piedi lavandoli con le sue lacrime, che è tangibile e udibile adesso, in una forma in cui si possono ancora baciare i piedi.

127 – Normalmente è impossibile che un uomo agisca per gratuità, perché la gratuità è il nesso fra l’azione e l’infinito, è la sublimità dell’azione che fiorisce da una ontologia, si dice filosofia: la sublimità è l’essere grande dell”azione, la gratuità è il riverbero psicologico e affettivo di questa sublimità.

146 – La libertà agisce sempre nell’assoluta, estrema e imprecisabile discrezione (L’unico, perciò, che la rispetta è l’Infinito, Dio).

bisogno dell’infinito

149 – Un persona è una trama di esigenze, di bisogni in atto, e infatti la sua natura è di essere bisogno dell’infinito.

rapporto con l’infinito

17 – «Ma che importa se ti prendi tutto quello che ti viene in mente, se riesci in tutto quello che programmi, e p oi perdi te stesso?», questa grandezza, così ignorata, che noi siamo.

È una grandezza perché è rapporto con l’infinito. Tu ed io siamo rapporto con l’infinito.

32 – […] perché il cuore dell’uomo è un frumento già maturo per la mietitura, ha bisogno della risposta oggi, è già carico di maturità, nasce maturo, nasce come rapporto con l’infinito, nasce come esigenza di felicità, come abbiamo detto tante volte.

48 – Per questo dice l’uomo, alla fine del suo lungo itinerario biblico: «Vieni, Signore». È naturale, perché, essendo l’uomo rapporto con l’infinito, qualsiasi gioco suo, qualsiasi calcolo e impegno suo, non può corrispondere all’ideale di sé, ma l’ideale di sé si realizzerà come grazia.

56 – Ma la parola tendenza che cosa salva? Salva l’unico modo di rapporto tra l’uomo e l’infinito, che si chiama libertà: la libertà dell’uomo e la libertà di Dio che a uno può far compiere la traiettoria in un lampo – come l’ha fatta compiere a santa Teresina del Bambin Gesù – e a un altro può far compiere la traiettoria in quarant’anni nel deserto, come l’ha fatta compiere a Mosè.

124 – «Tu doni alla Chiesa di Cristo di celebrare misteri ineffabili nei quali la nostra esiguità di creature mortali si insublima in un rapporto eterno e la nostra esistenza nel tempo comincia a fiorire nella vita senza fine. Così, seguendo la Tua presenza d’amore, l’uomo trascorra da una condizione di morte a una prodigiosa salvezza»

Prefazio, XIX domenica per annum, rito ambrosiano

126 – Normalmente è impossibile che un uomo agisca per gratuità, perché la gratuità è il nesso fra l’azione e l’infinito, è la sublimità dell’azione che fiorisce da una ontologia, si dice filosofia: la sublimità è l’essere grande dell”azione, la gratuità è il riverbero psicologico e affettivo di questa sublimità.

199 – (riferendosi ad Abramo) La morale proibisce a un padre di sacrificare il figlio. Il rapporto con l’infinito supera ogni nostra concezione etica, e mentre la fonda, mentre le dà corpo, stabilisce al nostro impeto morale un orizzonte senza fine, che è l’orizzonte del Mistero, come nel caso di Abramo.

224 – «L’obbediente – chi aderisce, chi riconosce aderisce, chi vive la memoria – prende persino le cose della terra per il loro aspetto interiore» (H. de Lubac, Paradossi e nuovi paradossi), per il loro rapporto con l’infinito, cioè per il loro aspetto sublime.

229-230 – Ma se qualcosa non c’entra con me, io non sono io – cioè rapporto con l’infinito, rapporto con il Mistero, parte del Mistero di Cristo -, non sono neanche me stesso, perché l’«l’uomo è in qualche modo tutto», dice san Tommaso, e allora perdo pezzi di me.

Intelligenza

82 – Ricordatevi che seguire da uomini significa usare l’intelligenza, perciò cercare di comprendere le ragioni, di assimilare la modalità con cui si affrontano le cose, e usare l’affezione: si segue con tutto il cuore, con il cuore.

94-95 – Una certezza piena di comprensione, una intelligenza che penetra dentro il grande Mistero e, nello stesso tempo, una gioia, cioè una affezione, perché la gioia è il massimo della affettività: ccco, è come se urgesse sempre di più l’unità della nostra persona nella fede.

95 – Ho trovato una preghiera di sant’Anselmo che riguarda proprio l’urgenza che abbia a crescere l’unità tua e mia nella fede, l’unità della nostra persona, una unità che è “congegnata” di intelligenza, cioè di comprensione sempre più grande, e di affezione sempre più grande, perché la vostra gioia sia piena.

«Ti prego, Signore, fammi gustare attraverso l’amore quello che sento attraverso la conoscenza. Fammi sentire attraverso l’affetto quello che sento attraverso l’intelletto. Tutto ciò che è Tuo per condizione fà’ che sia Tuo per amore»

Anselmo d’Aosta, Meditatio

97 – La fede è intelligenza e affezione. senza questo non vi può essere gioia.

138 – Ma, in questo momento , al Mistero fatto uomo che si rivolge a te come a Simon Pietro e dicendo il tuo nome ripete: «Mi ami tu?», io credo che noi tutti risponderemmo – perché qui non è una questione d una emozione, ma di un riconoscimento, fatto di intelligenza e volontà, di quello che sei per me e per tutto il mondo -: «Ti riconosco, Signore!»

189 – Ma, dice Gesù, questo sentimento – uso questa parola per riassumere tutto quello che Il Senso Religioso analizza, e che è il sommo della intelligenza umana, la quale subito, appena arriva alla vetta, si confonde, s’obnubila: per questo le cose «vestite di luce e silenzio» ce le ha portate Cristo – soltanto l’umile cuore lo può vivere.

Io

11-13 – Ho detto: «Io e Cristo», «Tu e Cristo». E non sappiamo quasi che cosa sia più importante o risulti più immediatamente importante, se il nostro io o Cristo. Senza Cristo, infatti, io, tu, la nostra persona, non sarebbe niente, sarebbe di polvere, un istante di significato più esigito e presentito, che atteso e vissuto, senza programmi, qualcosa di dissolto in mezzo al turbinio delle reazioni e che le cose e gli avvenimenti ci susciterebbero.

12 – Ma è proprio questo che forma il soggetto dei pensieri e dei sentimenti, delle fatiche, delle preghiere, del comportamento di questi giorni: l’io, la persona, quell’io a cui mia madre ha dato vita e che a un certo punto ha incominciato non a capire in astratto, ma a sentire il peso di quella parola.

Per questo io, senza del quale nulla avrebbe rilievo, anche Cristo diventa importante. È importante perché costituisce , dà consistenza a me! È a ciò che Cristo dà consistenza.

13 – Dire «io» con il senso della propria origine e soprattutto del proprio inevitabile destino è come una cosa strana; strana, estranea, estranea alla nostra vita quotidiana, anche se preghiamo, cioè anche se diciamo le preghiere.

17-18 – Tu ed io siamo rapporto con l’infinito, E questo Mistero infinito è diventato un uomo per raccoglierci, per salvarci, per farci essere noi stessi secondo la totalità dei fattori, degli elementi della nostra vita, anche il corpo.

«Neanche uno iota, neanche una virgola andrà persa, del nostro tempo; neanche una virgola andrà persa della nostra esistenza, del nostro tempo e del nostro spazio» (Mt 5,18), di tutto quello che è stato toccato e fatto proprio, personalizzato, dalla parola «io».

18 – Quando diciamo «io» o «noi», infatti, riflettiamo la mentalità comune. Ed è in questa “estraneità” che Cristo penetra, sostenendola, perché lì è la verità, non nell’effimero che passa.

114 – L’uomo può amare solo se riconosce di essere amato. L’io sta e agisce solo se ha davanti un tu, per un tu.

196 – Nella obbedienza al Mistero dentro la circostanza, cresce il nostro io.

io e persona

11-13 – Ho detto: «Io e Cristo», «Tu e Cristo». E non sappiamo quasi che cosa sia più importante o risulti più immediatamente importante, se il nostro io o Cristo. Senza Cristo, infatti, io, tu, la nostra persona, non sarebbe niente, sarebbe di polvere, un istante di significato più esigito e presentito, che atteso e vissuto, senza programmi, qualcosa di dissolto in mezzo al turbinio delle reazioni e che le cose e gli avvenimenti ci susciterebbero.

12 – Ma è proprio questo che forma il soggetto dei pensieri e dei sentimenti, delle fatiche, delle preghiere, del comportamento di questi giorni: l’io, la persona, quell’io a cui mia madre ha dato vita e che a un certo punto ha incominciato non a capire in astratto, ma a sentire il peso di quella parola.

Per questo io, senza del quale nulla avrebbe rilievo, anche Cristo diventa importante. È importante perché costituisce , dà consistenza a me! È a ciò che Cristo dà consistenza.

Il soggetto di questi giorni è proprio la nostra persona, quella che si stanca e quella che si dispera, quella che spera in modo euforico, e tante volte così insensatamente o quella che deve fare fatica.

13 – Le incombenze della vita, premendoci da tutte le parti, sono la cosa importante, senza nessun paragone.

La nostra persona è come strappata pezzetto per pezzetto, ogni cosa le strappa via un pezzetto

Dire «io» con il senso della propria origine e soprattutto del proprio inevitabile destino è come una cosa strana; strana, estranea, estranea alla nostra vita quotidiana, anche se preghiamo, cioè anche se diciamo le preghiere.

69 -Questa mendicanza da poveri, questa domanda da bambini non può essere inventata in un momento; è un assetto, un atteggiamento, che implica una concezione della vita, un sentimento della propria persona, un desiderio e una tensione dell’animo, possibili solo nella compagnia di Cristo.

95-96 – Ho trovato una preghiera di sant’Anselmo che riguarda proprio l’urgenza che abbia a crescere l’unità tua e mia nella fede, l’unità della nostra persona, una unità che è “congegnata” di intelligenza, cioè di comprensione sempre più grande, e di affezione sempre più grande, perché la vostra gioia sia piena.

«Ti prego, Signore, fammi gustare attraverso l’amore quello che sento attraverso la conoscenza. Fammi sentire attraverso l’affetto quello che sento attraverso l’intelletto. Tutto ciò che è Tuo per condizione fà’ che sia Tuo per amore»

Anselmo d’Aosta, Meditatio

96 – Ora, quando la persona è ben unita, vale a dire […] quando avanza la comprensione della fede e si rende più densa l’affezione al suo contenuto, cioè a Cristo, allora quella che è chiamata gioia da San Paolo può essere più precisamente definita come speranza: vibra, si dilata e s’avventa sul tempo e sullo spazio della nostra esistenza la speranza.

149-151 – Innanzitutto l’amore è personale, nel senso che il suo oggetto è proprio la persona; non una ideologia sulla povertà, ma il povero, questo povero.

L’amore è un rapporto personale. E se il traguardo è la persona dell’altro, le persone sono prese nella loro concretezza, come sottolineava tante volte il Papa nei suoi primi discorsi: Cristo ama l’uomo, il singolo uomo, uno su quattro miliari di persone, tu.

Il rapporto con una persona è sempre un incontro: non è un incontro quando è rapporto con gli altri in genere, come ho parlato dei quattro figli generici, non specificati nella loro singolarità.

Ma se una persona è una trama di bisogni e di esigenze, il rapporto con una persona è l’incontro con un bisogno e una esigenza. Questa è la condivisione.

150 – Per essere tali, incontro e condivisione, devono essere costruttivi nel tempo.

151 – L’attore – il soggetto umano – diventa vivo; solo in rapporto alla situazione concreta, altrimenti non diventa vivo; fuori dalla situazione concreta resta astratto, nonostante le buone intenzioni.

Questo è Dio con noi! Il cristianesimo non è un insieme di regole morali, un insieme di riti, un insieme di dottrine, ma un evento, un avvenimento – come una persona che trovo seduta qui al mio fianco: «Chi sei?»-. «In tale situazione, il complemento della persona è l’evento, l'”azione”, che rimane eternamente incomprensibile se separata dall'”attore”» altrimenti, se il soggetto rimane astratto, l’azione come debba essere, come è richiesta dalle condizioni, diventa incomprensibile, è impossibile che uno la capisca.

198 – Il far consistere il valore della persona in questo abbraccio dell’istante, delle circostanze, implica un rintuzzare la reazione, implica uno strappo da me, implica il cambiare direzione a un desiderio, implica il non “artigliare” il possesso delle cose, implica il sacrificio.

205 – O fratelli miei, essere attaccati a Lui non è impossibile: è umano, e lì sta la consistenza della nostra persona.

220-221 – Alla elezione della mia persona, alla chiamata della tua persona a capire Cristo, a credere in Cristo, a riconoscere Cristo, alla fede, corrisponde immediatamente la necessità che la tua persona crei compagnia, una realtà dove il mistero della Chiesa è imperfettamente, ma realmente presente, toccabile, udibile.

221 – La personalità, la persona, il soggetto è la consapevolezza di un avvenimento che è diventato storia, l’avvenimento di Cristo nel suo comunicarsi al mondo: Chiesa, corpo Suo.

Questo avvenimento è diventato storia per me: questo avvenimento è la mia persona: «Vivo, non io, sei tu Cristo che vivi in me» (Gal 2,20).

Questa è l’essenza della mia persona, tutta giocata nella libertà.

241 – Si può dire che il gesto missionario primo è il comportamento della mia persona, illuminato e sorretto, animato dalla fede, è l’esempio della persona, la testimonianza.

246-247 – La Fraternità è il fatto che assicura l’esistenza del movimento, perché la Fraternità poggia totalmente sulla persona, su di te!

Il movimento camminerà se ci sono persone che vivono questa tensione e si sostengono con questa tensione.

247 – Ieri si è parlato di appartenenza: perché, per come l’abbiamo concepita, per come concepiamo la nostra compagnia, per come abbiamo identificato l’origine e lo scopo della nostra compagnia, è proprio una appartenenza della nostra persona che essa esige.

Ira

132-133 – L’ira è la conseguenza nefasta dell’incapacità originale: il nulla non si può dare nulla, la contraddizione radicale non può salvarsi da sé, non può rimediarsi da sé, e la menzogna del mondo non può diventare “verità di stato”.

Istante

103 – Siamo chiamati a vivere l’istante.

109 – «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.» L’avessero sentita i colti di allora, guardassero seriamente quel che disse i colti di adesso, la deriderebbero. Eppure noi in questo istante stiamo realizzando la profezia di quella ragazza di quattordici-quindici anni di duemila anni fa: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata.

110 – […] tu sei voluto, eletto. Ma non come succede in democrazia, che uno viene eletto e poi fa tutto quello che vuole e fa fare quello che vuole anche a chi lo ha eletto. Sei eletto, istante per istante, per una missione, per un compito.

192-198 – Il Mistero si manifesta in quanto di più banale, di più insensato noi possiamo rendere oggetto dei nostri occhi e della nostra considerazione: l‘istante, le circostanze dell’istante, l‘istante circostanziale.

Come mi fa collaborare, Dio, al suo disegno?

Facendomi passare di istante in istante, di contingenza in contingenza, di circostanza in circostanza; la parola «bisogno» indica il dinamismo di ogni istante e di ogni circostanza.

193 – Non c’è niente di più appassionante, di più affascinante, del fatto che in questo momento io sono rapporto col Mistero e il Mistero è rapporto con me.

E il bisogno di questo momento, la lotta di questo momento, il dibattermi di questo momento, collaborano al disegno che il Mistero vuole realizzare, sta realizzando, e che si chiama storia. Il mio bisogno, percepito in questo momento, già collabora al mondo.

Il bisogno non mi può dettare un progetto, perché il progetto è di un Altro: vivendo, nell’istante e nelle circostanze, il bisogno che provo, se lo offro, accetto che sia collaborazione a un disegno non mio.

194 -Diceva il filosofo ebreo Heschel: «Essere è obbedienza»; essere – che vuol dire stare qui a parlare, perché l‘istante prima non c’è più e l’istante dopo non c’è ancora – è questo: è la circostanza, è l’istante.

195 – La sottolineatura del valore dell’istante ci fa scivolare anche in un altro pensiero: proprio qui è l’origine del nostro peccato. Noi ci ribelliamo al Dio che emerge nelle circostanze.

Ci ribelliamo alla circostanza, vorremmo che fosse diversa la circostanza.

La resistenza si mostra soprattutto nella incapacità di stare nell’istante.

Stare nell‘istante: tu mamma quando sei a casa, tu, operaio, che sei in fabbrica, tu, imprenditore, che sei in azienda, tu, marito, che sei in famiglia, tu, moglie con quel marito che ti percuote ora con il suo modo di fare. L’immaginazione nostra fugge nel futuro o nel passato e lascia inquieta, timorosa o rabbiosa l’ora.

196 – Il Tu di Dio si articola nella circostanza di tempo e spazio, di condizione, nell’istante che viviamo.

Ma, dentro l’inevitabile sgretolamento dell’immagine di me, che quotidianamente avviene – per affermare la nostra consistenza ci sgretoliamo perché non costruiamo; costruire vuol dire aderire al disegno di un Altro che ci convoca, che ci chiama momento per momento -, qualcuno continua ad amarmi, qualcuno mi vuole, l’essere mi vuole, il Padre mi vuole, il Mistero mi vuole: dentro lo sgretolamento che io produco tutti i giorni, mi vuole. Così continuo a vivere.

197 – Dentro l’inevitabile sgretolamento dell’immagine di me che continuamente avviene, qualcuno mi ama, qualcuno mi vuole: il Dio dell’istante, che sembra insensibile alla nostra reazione, il Mistero che ci chiede l’obbedienza alla circostanza veloce per cui ti fa passare, questo Mistero, la sostanza di questo Mistero, la sostanza dell’Essere è misericordia.

«Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo alla mia ira, non tornerò a distruggerti perché sono Dio e non uomo, sono il Santo in mezzo a te e non verrò con la mia ira» (Osea 11,8-9).

Questo brano di Osea 11 ci fa comprendere che razza di umiltà, che razza di semplicità, che abbandono occorrono per vivere l‘istante. per vivere le circostanze dell’attimo fuggente, così come abbiamo detto.

Che umiltà, che semplicità, che abbandono -«Avvenga di me secondo la tua parola» – occorrono per vivere l’istante, quell’istante, quella circostanza irripetibile.

L’abbandono, la capacità di abbandono è la prima libertà nella consistenza di se stessi, è la piena e prima libertà.

198 – C’è però una obiezione, lo sappiamo bene. L’obiezione è che questo modo di concepire la vita e il proprio rapporto con l’Essere, il rapporto costitutivo con il Mistero che mi fa, che è l’origine, la consistenza e il destino mio, questo modo di concepire l’istante (perché il Mistero si rivela nell‘istante e non posso sapere tra un po’ che cosa vorrà da me, potrà volere anche la mia morte), il far consistere nell’abbandono profondo a Dio la virtù di ogni giorno – tutto il giorno io offro -, il far consistere il valore della persona in questo abbraccio dell’istante, delle circostanze, implica il cambiare direzione a un desiderio, implica il non “artigliare” il possesso delle cose, implica il sacrificio.

201-202 – Tutto, proprio tutto – l’istante, le circostanze, la nostra disponibilità, la nostra obbedienza, fino all’incomprensibile sacrificio – è per una costruzione al di là dell’orizzonte ultimo, dove l’Eterno apparirà come il volto di nostra madre, dove l’Eterno sarà posseduto come possediamo la persona amata, ma una costruzione in questo mondo.

La dimora di Dio tra gli uomini: questa è la costruzione.

Dio è il Mistero, si rivela nell'istante, ed è a questo che ci ribelliamo.

222 – Lettera: «Un ragazzo gravemente malato, che quindi frequenta la scuola solo saltuariamente, è rimasto impressionato dal fatto che molti suoi compagni di classe gli hanno detto di essere molto colpiti dalla sua testimonianza di fede, più da lui che non da altri che partecipano da più tempo a GS. Raccontandomi la cosa, quasi con disagio, l’ha commentata così: ” È proprio vero che, quando uno appartiene, basta che respiri per essere presenza“».

È una coscienza totalizzante che investe le cose, che investe innanzitutto l’istante, a questo livello.

Istante circostanziale

192-198 – Il Mistero si manifesta in quanto di più banale, di più insensato noi possiamo rendere oggetto dei nostri occhi e della nostra considerazione: l’istante, le circostanze dell’istante, l’istante circostanziale

istante come circostanza.

195-196 – La sottolineatura del valore dell’istante ci fa scivolare anche in un altro pensiero: proprio qui è l’origine del nostro peccato. Noi ci ribelliamo al Dio che emerge nelle circostanze.

Ci ribelliamo alla circostanza, vorremmo che fosse diversa la circostanza.

La resistenza si mostra soprattutto nella incapacità di stare nell’istante.

Stare nell‘istante: tu mamma quando sei a casa, tu, operaio, che sei in fabbrica, tu, imprenditore, che sei in azienda, tu, marito, che sei in famiglia, tu, moglie con quel marito che ti percuote ora con il suo modo di fare. L’immaginazione nostra fugge nel futuro o nel passato e lascia inquieta, timorosa o rabbiosa l’ora.

Così per sentirci consistere, per avere consistenza, noi non obbediamo alla circostanza.

Crediamo di consistere, cerchiamo la nostra consistenza nel fare quello che pensiamo, nel fare quello che si pensa o si vuole: mettiamo la nostra consistenza nella reazione alla circostanza, invece che nell’obbedienza alla circostanza.

196 – Mentre nell’obbedienza al Mistero, dentro la circostanza, cresce il nostro io.

205 – Non è un progetto, la giustizia, ma l'abbandono alla circostanza inevitabile per cui Dio ci fa passare: l'istante.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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