Temi di La «verità nasce dalla carne» – 2a parte

Frasi, parole e pensiero di don Giussani

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ACDEFGILMOPQRSTUV

Lettera «M»


Male

38 – «La mia potenza si manifesta pienamente nella tua debolezza. Allora, mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo».

Il male non mi definisce più, perché quello che mi definisce è questo stupore, meraviglia, fiducia totale, ammirazione, entusiasmo, passione per Cristo.

133-134 – «Tutto coopera al bene per quelli che accettano l’amore di Dio» e che Lo riconoscono, «anche il male», aggiunge sant’Agostino, per esperienza tragica personale.

134 – […] Dalla situazione della nostra incapacità, per il fatto che Dio vi si imbatte, vi penetra dentro, la investe e la traduce in positività, in una possibilità di positività senza fine – vince il male con il bene, che è ancor più grande che vincere il nulla -, nasce una strana posizione, una posizione sconvolgente la logica di una giustizia fatta con le nostre mani, di una giustizia naturale. È una posizione sconvolgente ogni moralismo.

140 – «Mi ami tu?». Ma sono costretto a dire: «Sì Ti riconosco!». Tutta la mia miseria non definisce più il mio soggetto: questo è il punto. […] Perciò non marcisce più niente, non diventa cadavere più nulla in noi, il male è costretto – alla lunga e alla corta – a diventare bene, a diventare dolore, che per un povero uomo è l’espressione più grande dell’amore.

214 – Insieme al Mistero di Dio che si faceva uomo, il nostro male è diventato carne con Lui mentre moriva. Sono già stato perdonato, siamo già stati perdonati. Tutto il mio male, tutto il nostro male è stato perdonato.

Bisogna che il perdona che già ci è stato dato – siamo già stati perdonati, il nostro male è perdonato, è redento – si manifesti. E si manifesta dal di dentro di noi, da quel fondo in cui nasciamo da Lui, nasciamo come libertà. Bisogna che si manifesti il Tuo amore, bisogna che si manifesti nel mio amore a Te.

Memoria

79 – «Se Dio è venuto nel mondo tuto deve polarizzarsi su questa Presenza»: tutto, ma proprio tutto! […] nella misura in cui essa sta nel tuo cuore.

Occorre vivere la memoria, noi diciamo sempre. Poi, non è che la memoria o la coscienza della Sua presenza ti detti come fare nel senso tecnico del termine: cambia però il tuo soggetto nell’affrontare la questione, e in qualche modo muta, qualifica quello che fai.

117-118 – Conformarsi al nostro Redentore è guardarlo, è vivere, come diciamo noi – con una parola che noi usiamo più di tutti gli altri, caratteristica nostra – la memoria, che è coscienza di una Presenza, della presenza di Uno che è incominciato nel passato, nel passato ultimo dell’eterno, nel passato storico di duemila anni fa, ed è presente.

Dunque, che le attività della vita non creino in noi troppa ansietà o troppa presunzione da dimenticarlo.

Nella sua lettera ai cristiani san Giacomo diceva: «Se qualcuno di voi manca di sapienza» – la sapienza è questa memoria, e che fortuna possa averla una donna carica di bambini, che abbia finito al massimo la terza elementare o sia analfabeta, e non il professorone di università – «la domandi».

223-224 – La ricchezza di un momento operoso è la memoria che si vive in esso:

«Fate questo in memoria di me».

La memoria, infatti, è un passato che diventa così presente, o meglio, è un passato incommensurabile, così grande, che diventa così presente da determinare il presente più di ogni altra cosa presente.

Perciò, che un uomo ami la donna, devi vivere questo nella memoria; madre che ami il figlio, devi vivere questo nella memoria.

È questa memoria che dà dignità cosmica al particolare, dà ad esso dignità dell’eterno: altrimenti che ti resterebbe in mano di tuo figlio o della tua donna?

«Tu o Dio, dono alla Chiesa di Cristo» – all’obbediente, a chi vive la memoria – «di celebrare misteri ineffabili [«Sia che mangiate sia che beviate, sia che vegliate sia che dormiate»] nei quali la nostra esiguità di creature mortali si rende sublime in un rapporto eterno[…].

242 – Nella passione per condividere il bisogno, appare come il più grande bisogno sai il richiamo alla memoria di Cristo.

memoria di Cristo

69-70 – La legge del Signore non è più, come allora (nel Vecchio Testamento) un seguito di comminazioni, di articoli, di paragrafi, non è più un seguito di definizioni: la legge del Signore è la memoria di Cristo, che investe sempre più il cuore.

101 – Si chiama silenzio, capacità di silenzio, il rendersi fisico della memoria di Cristo nel cuore di una persona, il lavoro che il pensiero fa per penetrarne il Mistero e che l’affetto fa per aderire alla Sua persona.

122-123 – Aderire al Cristo significa che Egli sia fatto penetrare nella nostra carne, cioè che noi abbiamo a guardare, a concepire, a sentire, a giudicare e valutare, a cercare di trattare noi stessi e le cose, con la memoria di questa Presenza, con negli occhi questa Presenza.

123 -La fede è la coscienza della grande Presenza, è la memoria di Cristo, è domandare che Egli venga.

Si chiama offerta questo gesto che deriva dalla coscienza della Sua presenza, della Tua presenza, o Cristo, di cui mi scordo tante volte, ma che tante volte ricordo.

126 – La Sua presenza, la memoria di Cristo, ci costringe a una lealtà con gli scopi immediati dell’azione.

Si chiama moralità. Questa è la moralità: se viene la grazia, cioè la Sua presenza, la legge non è tolta, ma è resa finalmente possibile, godibile.

163 – Vivere la memoria di Cristo nella vita, nelle nostre inquietudini e nelle nostre fatiche, nei nostri sforzi di bene come nella nostra stessa peccaminosità, è per noi tutto.

234-239 – Il peccato è il gesto, è il rapporto con la realtà che non nasce dalla memoria di Cristo.

236 – Si aderisce per la coscienza del dono che ci è fatto della Sua presenza, Ciò che mette insieme i fratelli è la Sua presenza.

Occorre, allora, che la memoria sia sempre più viva: – è impressionante come diventi sempre più viva !-: memoria di Cristo e memoria della nostra compagnia.

Cosa è la Fraternità se non questo sostegno […] siamo insieme per ricordare per sostenerci in questa memoria.

237 – Potete radunarvi quando e come volete, potete dirvi quello che volete, potete darvi come contenuto immediato, come forma tutto quello che volete, ma deve risultare un sostegno vicendevole in questa memoria, attraversando qualsiasi convenienza umana.

Nasce dalla memoria di Cristo – può nascere dalla memoria di Cristo -, il modo con cui tu fai tutte le cose, con cui tratti tua moglie, tuo marito, i tuoi figli, gli amici, i compagni di lavoro, gli estranei, le cose che hai tra mano, quello che tu devi fare, il tuo lavoro?

238 – Perciò, se un gruppo di Fraternità deve essere una realtà vissuta che ci costringa a richiamare Cristo, a richiamarci alla memoria, e a domandarci: «Che cosa cerchi in tutto quello che fai?». «Che importa se ti prendi tutto e poi perdi di vista questo?»; se la Fraternità deve essere una realtà vissuta in questo modo, deve anche essere un luogo di carità.

239 – La memoria di Cristo fa essere diversi. L’abbiamo sentito dire oggi durante la liturgia: è più stabile e fedele l’amore di Dio a noi che quello di una madre; è più stabile e fedele l’amore per il prossimo, per il proprio fratello, di chi cerca Cristo, che non quello della madre di questo fratello.

Misericordia

197 – Il Mistero che ci chiede l’obbedienza nella circostanza veloce per cui ci fa passare, questo Mistero, la sostanza di questo Mistero, la sostanza dell’Essere è misericordia. Dio, dives in misericordia, ricco di misericordia, ascolta il nostro de profundis, ascolta il nostro grido dal fondo!

202 – Dio è misericordia: ci vuole, ci conserva nell’essere, e con noi intende costruire la Sua dimora tra gli uomini, dove Lui sia riconosciuto e amato e seguito, perché l’uomo sia felice.

209 – «La condizione dell’uomo è la “miseria”; la consapevolezza che l’uomo ha della propria miseria è la [sua] verità”. Dio ha misericordia dell’uomo, lo soccorre con la sua grazia e gli invia suo Figlio: il curvarsi di Dio verso l’uomo è la “misericordia“».

Missione

21-22 – Perché è toccato a me riconoscerTi, conoscerTi e seguirTi e a tanti altri no, alla maggior parte degli altri no? Perché questa è la strada che Lui batte nel mondo: è attraverso noi che arriva agli altri, è attraverso noi che vuole arrivare all’ultimo uomo di questo mondo.

22 – Per questo la prima caratteristica dell’uomo nuovo, la prima caratteristica dell’uomo che aderisce a Cristo, che ha la fede, è la passione della missione.

[…] Voglio ricordare Cristo, perché questo è ciò che manca nel mondo, lo sguardo a Cristo, il riconoscimento di Cristo.

40 – È proprio a questa nostra passione per Cristo, a questa missione che abbiamo, così come siamo, lì dove siamo, che il cambiamento del mondo è legato.

47 – Di certo, in tale direzione (la civiltà dell’amore) ci conduce anche il Concilio Vaticano II quando, parlando ripetutamente della necessità di rendere il mondo più umano, individua nella missione della Chiesa nel mondo contemporaneo appunto nella realizzazione di tale compito.

65 – Siccome stasera dovrete fare un’assemblea nei vostri singoli alberghi, vi rileggo quello che abbiamo già letto altre volte, come esempio di questo quotidiano in cui l’amore a Cristo, la carità, inizia la missione.

110-111 – Abbiamo a far memoria due volte nella giornata, abbiamo da ricordarci per forza nel Benedictus e nel Magnificat, di questa iniziativa di elezione dal niente per una missione – vocazione -, e tutto in noi, diventa brivido di questo, altrimenti resta senza tono, come una realtà morta, senza vibrazione.

111 – Sei eletto istante per istante, per una missione, per un compito.

114 – Non tutti saranno Mosè o Geremia, non tutti saranno Zaccaria o Maria o Simone, ma ognuno è chiamato a un compito, a una missione, e il cuore di questa missione, di questo compito, è uguale per tutti, è comune a tutti, a tutti noi, a me come all’ultimo presente che non vedo e che non conosco.

217 – «Cristo è stabile principio e centro permanente della missione, che Dio […] ha affidata all’uomo. A questa missione dobbiamo partecipare tutti, in essa dobbiamo concentrare tutte le nostre forze» – tutte, dice il Papa -, «essendo più che mai necessaria alla umanità del nostro tempo

E se tale missione sembra incontrare nella nostra epoca opposizioni più grandi che in qualunque altro tempo, tale circostanza dimostra pure che essa è nella nostra epoca ancor più necessaria e – nonostante le opposizioni -, è più attesa che mai.»

Giovanni Paolo II ha anticipato di dieci anni l’improvvisa eruzione del sentimento religioso nella società di oggi.

«Oggi tocchiamo indirettamente quel mistero dell’economia divina, [del disegno divino] che ha unito la salvezza e la grazia con la croce. Non invano Cristo disse che “il regno dei cieli soffre violenza” […] ed inoltre che “i figli di questo mondo (…) sono più scaltri dei figli della luce”. Accettiamo volentieri questo rimprovero, per essere come i “violenti di Dio” che abbiamo tante volte visto nella storia della Chiesa e che scorgiamo ancor oggi [i santi], per unirci consapevolmente nella grande missione per rivelare Cristo al mondo, aiutare ciascun uomo perché ritrovi se stesso in Lui

Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptor hominis

Mistero/mistero

22 – Proviamo a pensare: Dio, il Mistero che fa tutte le cose, s’è fatto uomo nel ventre di una ragazza, è nato, è stato bambino. Il Mistero di è fatto uno di noi.

31 – E lei (la samaritana) corre, corre a dirlo, diventa subito missionaria, perché non si può dire: «Signore, Mistero di Dio», e restare fermi.

È quello a cui dovrebbe portarci la Scuola di comunità, a questi due poli supremi della nostra conoscenza: che il nostro io è sete di una cosa infinita, di una cosa infinita che è Mistero -è, ed è Mistero per noi -, e che questo Mistero è diventato uomo. Come si fa a pensare, a sentire questo, a riconoscere questo, e non dirlo a tutti?

42 – È come se tutta la loro persona (dei discepoli) fosse una domanda, perché non si può, con la nostra ragione, imbastire un lavoro che capisca il Mistero, percorrere una strada che capisca la presenza del Mistero in questo uomo, chi sia questo uomo.

75-76 – Egli rimane con noi dentro la nostra compagnia e la nostra unità. Dentro il mistero della Chiesa come ci tocca, Cristo prende corpo tra di noi, in noi e tra di noi.

Non è una idea il grande mistero del corpo di Cristo.

76 – È questo il movimento. E come altri – in Australia, in Giappone o in Cile, o anche nel nostro Paese -, il mistero della Chiesa, Cristo, li tocca attraverso una compagnia fatta per loro, così per noi Cristo ha fatto questa compagnia. Allora, il mistero di Cristo, la realtà di Cristo, la Tua presenza o Cristo, è dentro, è il contenuto di questa carità che c’è tra noi.

80 -82 – Il carisma è la modalità con cui il comunicarsi del Mistero tocca la tua carne, le tue ossa, la tua vita quotidiana.

82 – Prendere coscienza del mistero di Cristo tra noi non significa pretendere già di saperlo, ma riconoscere che questo Mistero ci è compagnia, per questo la certezza della vita è in questa sequela al movimento; non è il movimento, ma è in questa sequela al movimento: nella goffaggine dei nostri volti e nella goffaggine dei nostri metodi sta qualcosa che illumina e salva la vita.

85-86 – La terra è del Mistero, non è nostra. La terra, la vita nella sua esistenza di ogni momento, nella circostanza secondo la banalità dei dati che la compongono, è del Mistero.

86 – Però c’è un segno, c’è una voce, che si fa udire nel vuoto del mondo e che indica, segna, ciò che il Mistero riconosciuto, il riconoscimento dell’esser servi, dell’«essere di», la certezza di questo, operando nella vita, produce come un cambiamento; c’è un segno di questo che è come la voce che hanno sentito nel Vangelo, come un tuono nel cielo sereno: è la gioia, è l’esperienza della gioia, incontrare l’esperienza della gioia.

100 – Non ci sarà più nulla di piccolo, di meschino, giudicato secondario, perché tutto deve incrementare questa vita che è rapporto con il Mistero, fatto uomo, morto per noi, e che attraverso noi vuole cambiare il mondo, renderlo più umano; affinché, dunque, questo rapporto con il Mistero avvenga sempre di più, nulla ci sarà che noi riterremo troppo piccolo o troppo banale o troppo trascurabile.

132 – Di fronte alla evocazione, fatta questa mattina, del MisteroMistero che ci definisce: come definisce Dio, definisce noi -, la nostra situazione come è?

Quello che emerge come un tempesta vincente, è la nostra incapacità.

158 – Perciò, la confidenza buona e piena di spontaneità dei fanciulli, che dobbiamo avere nel mistero del Padre, nel mistero dello Spirito, che «ci» agisce in Cristo, si concreta in una drammaticità, se non anche in una tragedia – perché la morte è la tragedia Sua, è la tragedia nostra, il dolore è comunque sempre drammatico -, quella confidenza si concreta, nel nostro rapporto con Cristo, in una drammaticità, se non in una tragedia quotidiana, dove l’aspetto più acuto, più doloroso non è che il mondo ci odi, ma che nel nostro cuore abbiamo ancora a trovare resistenze a te, o Cristo.

187-210 – Potrebbe non sembrare, ma noi nella nostra vita possiamo dire facilmente: «Padre nostro che sei nei cieli», dimenticando che Egli è Mistero.

È questa la prima parola, prima anche perché è quella che lo sguardo umano attento, in tutte le epoche della storia, osservando la realtà, ha dovuto in qualche modo pensare, dire, in tutte le lingue, in tutte le versioni: Mistero.

188 – Il Mistero da cui siamo, per cui siamo, di cui siamo.

«Se il pensiero rubasse / Una parola del mistero / Tutto sarebbe falso»

E. Muir «The poet»

Se noi pretendessimo sapere un pizzico del Mistero, se noi pretendessimo definire un pezzetto del Mistero, sarebbe tutto falso.

In ogni momento del nostro vivere, noi siamo immersi nel Mistero, vi siamo immersi nativamente, perché ne sorgiamo, ne siamo alimentati, la consistenza del nostro corpo e del nostro animo è fatta di qualcosa che ci supera.

Al Mistero noi possiamo, anzi, noi dobbiamo dire «tu»: è la parola meno indecorosa, meno indegna, la parola più grande che noi possiamo usare. L’uomo di tutti i tempi gli ha detto «tu», ma coprendo questo «tu» di immaginazioni o di definizioni, rendendo così fallace l’impeto nobile, originale – perché dettato dal Mistero stesso -, di conoscenza di quel «tu».

189 – Bisogna scivolare dentro il midollo della liturgia per sentirsi penetrare fisicamente dal sentimento chiaro, da riconoscimento netto di questo Mistero che ci supera da tutte le parti.

190- Dio dunque è Mistero.

Ora, questo Mistero – è il secondo passo: il primo è che il Dio di cui ci ha parlato Cristo, che ci ha rivelato Cristo, perché nessuno lo ha mai visto, se non Colui che è discepolo dal cielo, è Mistero – è un Mistero che entra nella storia: il Dio è un Dio storico. Questo è l’insopportabile dalla cultura umana di tutti i tempi.

Che questo Mistero abbia avuto a che fare con la storia, che Dio sia diventato un Dio storico, questo non è facilmente sopportabile, perché non è concepibile.

Proprio perché il Mistero non è concepibile da noi, tanto meno possiamo concepire come il Mistero possa stare con e dentro la miseria del tempo e dello spazio, quella miseria che ci porta dal mattino incerto alla sera stanca […]

192 – Se il Mistero ha rapporto con l’esistenza e con la storia, questo rapporto come si palesa? Come si manifesta? Il Mistero di manifesta – questo è il primo e fondamentale modo – in quanto di più banale, di più insensato noi possiamo rendere oggetto dei nostri occhi e della nostra considerazione: l’istante, le circostanze dell’istante, l’istante circostanziale.

Non esiste niente di più sicuro, anzi, non esiste niente di sicuro e di chiaro nel rapporto con il Mistero se non questo momento.

«[…] Quello che noi crediamo sia l’Altro da noi, cui appuntiamo il desiderio» – quello che noi crediamo il Mistero, l’Altro da noi, l’inimmaginabile da noi, cui appuntiamo il desiderio, perché il cuore, il senso religioso, è fatto per qualcosa di più grande, che da tutte le parti ci supera, che non può essere immaginato o afferrato da noi-, «agisce già, è già qui».

La tua attenzione di adesso, il tuo stare ad ascoltare ora, la mia fatica di parlare adesso: questo è il rapporto con il Mistero; il tuo silenzio mentre sali sul pulman, la fatica che hai fatto a strapparti da casa per venire qui, il salire sul treno: questo è il rapporto con il Mistero.

193 – […] Stiamo operando per il disegno del Mistero, per il Mistero in quanto investe la storia, in quanto è rapporto con la storia, in quanto crea la storia.

Non c’è niente di più pieno di pathos, di più affascinante, del fatto che in questo momento io sono rapporto col Mistero e il Mistero è rapporto con me.

E il bisogno di questo momento, la lotta di questo momento, il dibattermi di questo momento collaborano al disegno che il Mistero vuole realizzare, sta realizzando che si chiama storia.

Il mio bisogno, percepito in questo momento, già collabora al mondo.

196 – Nell’obbedienza al Mistero, dentro la circostanza, cresce il nostro io.

Costruire vuol dire aderire aderire al disegno di un Altro che ci convoca, che ci chiama momento per momento, qualcuno continua ad amarmi, qualcuno mi vuole, l’Essere mi vuole, il Padre mi vuole, il Mistero mi vuole.

Così continuo a vivere. Dentro l’inevitabile sgretolamento dell’immagine di me che quotidianamente avviene, qualcuno mi ama, qualcuno mi vuole: il Dio dell’istante, che sembra insensibile alla nostra reazione, il Mistero che ci chiede l’obbedienza nella circostanza veloce per cui ci fa passare, questo Mistero, la sostanza di questo Mistero, la sostanza dell’Essere è misericordia.

197 – Dio, dives in misericordia, ricco di misericordia, ascolta il nostro de profundis, ascolta il nostro grido dal fondo.

198 – C’è però una obiezione, lo sappiamo bene. L’obiezione è che questo modo di concepire la vita e il proprio rapporto con l’Essere, il rapporto costitutivo con il Mistero che mi fa, che è l’origine, la consistenza e il destino mio che mi fa, questo modo di concepire l’istante (perché il Mistero si rivela nell’istante e non posso sapere tra un po’ che cosa vorrà da me, potrà volere anche la mia morte), il far consistere nell’abbandono profondo a Dio la virtù di ogni giorno – tutto il giorno io offro -, il far consistere il valore della persona in questo abbraccio dell’istante, delle circostanze, implica un rintuzzare la reazione, implica uno strappo da me, implica il cambiare direzione a un desiderio, implica il non “artigliare” il possesso delle cose, implica il sacrificio.

199 – «E Abramo tosto si alzò

Gen 22,1-3

Dio mio! Qui, in queste parole, sta tutto lo scatto della grandezza umana, dell’uomo di fronte all’infinito, di fronte al Mistero, di fronte al suo destino, di fronte alla giustizia.

«Si abbandonò Abramo a Dio e questo gli fu imputato a giustizia.» (Rm 4,3)

«Il dovere assoluto [il dovere assoluto è il rapporto con il Mistero] può allora condurre a fare ciò che l’etica proibirebbe».(Kierkegaard)

La morale proibisce a un padre di sacrificare il figlio. Il rapporto con l’infinito supera ogni nostra concezione etica, e mentre la fonda, mentre le dà corpo, stabilisce al nostro impeto morale un orizzonte senza fine, che è l’orizzonte del Mistero, come nel caso di Abramo.

200 – Il sacrificio è nell’amore, è un amore più grande dentro l’amore terreno, è l’amore più grande che dà eternità all’amore terreno.

202 – La passione più grande della vita non è la nostra soddisfazione, ma creare la dimora al Potente di Giacobbe, creare la dimora all’Eterno nel mondo, creare la dimora al Mistero nel mondo, una dimora dove Egli sia riconosciuto, dove possa investire gli uomini che sono il suo cuore, dove possa rendere più umana la vita, dove possa rendere il cammino dell’uomo cammino al destino: nel dolore, nel sacrificio, attraverso la morte, ma pieno di abbandono e di sicurezza, di luce e di silenzio. Creare la dimora al Dio di Giacobbe.

Dio è Mistero e si rivela nell’istante, ed è a questo che ci ribelliamo. Ci ribelliamo all’abbandono, non siamo bambini.

203 – È la distrazione che tende ad essere totalizzante per noi, la fuga dal Mistero, la distrazione.

204 – Ancora una volta Cristo ci dà l’esempio, perché Egli, che è venuto a rivelarci il Mistero, come uomo ha vissuto il rapporto con il Mistero: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare al Padre; quello che Egli fa, anche il Figlio lo fa».

209 – «Il mio popolo è malato della sua infedeltà […]. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione

Os 11,7-8

Ci sia questa verità in noi: il punto di appoggio per l’infinito, il Mistero, nella sua volontà di amore all’uomo, è il nostro riconoscerci peccatori.

210 – L’arcivescovo di Colonia, il card, Meisner, nel discorso di entrata nella sua nuova diocesi ha detto: «La Parola eterna del Padre si è fatta carne, ed è ora udibile e tangibile nella Chiesa, per tutti gli uomini»

«Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio nato da donna»

Gal 4,4

Io vi confesso che di fronte a questa frase tante volte mi soffermo senza riuscire a pensare ad altro, perché è come se, realmente, il Mistero invadesse la testa e il cuore: «Nato da donna». Questo vuol dire il Mistero come amore. Che è anche l’inverso: l’amore è Mistero, è «il» Mistero. Il Mistero è amore, Deus caritas est.

212-213 – Mi ricordo la parabola degli operai: i chiamati subito, i chiamati all’ultima ora. E fa scandalo questa libertà assoluta in cui si esprime il Mistero.

213 – Fa scandalo che Dio diventato uomo penetri la storia, si rensa udibile e toccabile attraverso pochi, relativamente pochi uomini, attraverso uomini scelti, chiamati.

Perché questo Mistero, che si rivela essere amore, rivelandosi come amore è come se approfondisse il mistero.

Innanzitutto Dio deve parlare in termini umani, altrimenti non lo riconosceremmo – e infatti si è fatto uomo, ha pianto, è morto-; in secondo luogo, occorre che il suo svelarsi non elimini, rattrappisca o riduca il mistero, ma lo aumenti, così che noi conosciamo sempre più il Mistero come Mistero, penetriamo nel Mistero, lo conosciamo sempre più come Mistero.

E, infatti, diventato uomo, è morto per noi.

È accaduto: il mio peccato e il tuo peccato sono perdonati, la nostra grande debolezza cattiva è già perdonata. È come se il quell’uomo, che è il Mistero fatto carne, anzi, non «come se», ma in quell’uomo tutti in ostri errori e tutta la nostra debolezza si sono anch’essi incarnati.

220-221 – «Non si è cristiani» dice Charles Péguy «Perché si è giunti ad un certo livello morale, intellettuale, magari spirituale. Si è cristiani perché si “appartiene” a una certa razza ascendente», tesa all’ideale, che è Cristo, a «una certa razza mistica» – che fa l’esperienza del Mistero, perché il Mistero si è reso presenza e perciò si è reso sperimentabile – a « una razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue».

221 – Ora in questa appartenenza a una «unità imperfetta ma reale», fatta – come diceva Péguy – «razza spirituale e carnale, temporale ed eterna; in questa appartenenza totalizzante – altrimenti non vi si appartiene, non è vero che la si riconosce – a una «unità imperfetta ma reale», tanto imperfetta quanto reale veicolo di Cristo e del Mistero della Chiesa.

228 – «I predicatori, e le persone che sono solite ripetere sentenze a orecchio, parlano della sofferenza come di un mistero. In realtà essa è una rivelazione»

O.Wilde, De profundis

(La sofferenza) rivela chi sono, rivela il mio destino, rivela a chi appartengo, rivela il mio nesso col Mistero, col Mistero fatto carne, con questo Mistero fatto carne che permane nella storia e mi raggiunge con questa gente presente, in queste contingenze, nell’istante.

231 – La verità rende umilissimi di fronte a chiunque, perché la verità è coscienza del Mistero, ma non è ambigua mai, neanche con se stessi.

233 – Tu e io siamo responsabili di questa umanità nuova, che sappia accogliere tutto, al di là dell’obiezione della nostra sensibilità, perdonando nel segno della preghiera, nella passione della verità, efficace fino a creare opere.

Così daremo gloria a Cristo. «Gloria» vuol dire Mistero che in qualche modo si rende visibile, sensibile, sperimentabile, tangibile, per la diversità che in nome Suo si crea.

Mondo

22-24 – Voglio ricordare Cristo, perché questo è ciò che manca nel mondo, lo sguardo a Cristo, il riconoscimento di Cristo.

Il Mistero si è fatto uno di noi. A pensarci con attenzione, non è solo per il mio carattere che mi vengono i brividi, perché è una cosa dell’altro mondo.

E infatti il delitto del mondo, ma il delitto anche del mondo nostro – del mondo di coloro cui l’annuncio è stato portato, a cui l’annuncio, nei secoli, attraverso i secoli è arrivato – è usare queste pure parole, è sentirle ancora come parole fuori di noi, come parole strane, anche se devotamente accettate.

Così il mondo cristiano collabora a quella riduzione accanita che viene fatta dal messaggio cristiano, dell’annuncio cristiano, l’annuncio del Dio fatto uno fra noi, l’annuncio che Egli è qui.

23 – Il delitto del mondo anche cristiano sta proprio qui, nel fatto che aderisce e collabora a questa riduzione accanita dell’avvenimento cristiano, che la cultura di oggi e la politica di oggi, e tante volte l’ecclesiasticità stessa di oggi fanno.

(Nel Padrone del mondo di Soloviev) Tutti hanno amore o stima per il cristianesimo, della Chiesa.

L’Imperatore offre per questo, benevolmente, ai cristiani, il compito di essere l’autorità spirituale per il bene comune di tutto il mondo, di essere cioè fattore di un aiuto per i valori comuni necessari alla vita consociata.

24 – La risposta del vecchio starets è chiara: «Grande sovrano! quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità» (V.Soloviev – i tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo).

26 – Un cristiano che abbia un po’ di fede è come la figura di Pietro, perché a ognuno di noi che è stato chiamato – e chi è stato battezzato è stato chiamato – il Signore dà nelle mani il destino della Sua presenza nel mondo.

Non importa che io sia un punto infinitesimale dentro questo grande mondo e questa lunga, lunga storia: a me, anche a me, è affidato il destino della presenza di Cristo, del Dio fatto uomo nel mondo.

28 – Questa è l’opera per cui ogni uomo si sveglia, si risveglia al mattino, in qualunque posizione sia, in qualunque stato d’animo sia, in qualunque condizione sia, per cui ogni uomo si risveglia al mondo, alla vita: «Credere in colui che egli ha mandato, credere in Cristo!».

32 – Che commozione, ma anche che riverbero in noi di questa commozione di Cristo, quando, con dentro l’impressione di quella donna che lo aveva riconosciuto, a differenza di tanti, guardando i campi gli viene in mente l’immagine del mondo – del mondo! – dove tutto già biondeggia per la mietitura, perché il cuore dell’uomo è frumento già matura per la mietitura.

34 – «Come tu, o Padre, hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo»

Gv 17,18

47 – In tale direzione (la civiltà dell’amore) ci conduce anche il concilio Vaticano II quando, parlando ripetutamente della necessità di rendere il mondo più umano, individua la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo appunto nella realizzazione di tale compito.

La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo è quella di rendere il mondo più umano: «Il mondo degli uomini può diventare sempre più umano se introdurremo nel multiforme ambito dei rapporto interumani e sociali quell’amore “misericordioso” che costituisce il messaggio messianico del Vangelo (Dives in misericordia

79-80 – Lettera: «Se Dio è venuto nel mondo, tutto deve polarizzarsi su questa Presenza»: tutto, ma proprio tutto! Sì, anche in politica, anche nell’economia, anche nella vita sociale, «tutto deve polarizzarsi su questa Presenza»: è chiaro, nella misura in cui essa sta nel tuo cuore.

Nella prima lettera ai Corinti, san Paolo oppone questa visione nuova del mondo alla visione che tutti hanno e di cui, se non stiamo più che attenti, anche noi partecipiamo.

80 – «Nessuno si illuda se qualcuno tra di voi si crede sapiente in questo mondo, si faccia stolto per essere sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio.»

Sta scritto, infatti: «Dio prende nel laccio i sapienti proprio attraverso quello che loro credono scaltro. […] Il Signore conosce i disegni dei sapienti e sa quanto siano vani» (1 Cor 3,18-20).

82 – La nostra pietra di sostegno è la nostra compagnia, innanzitutto come esempio di giudizio sulla vita e sul mondo, perciò come direttive, come direttive che ci vengono date, che sono gli esempi di un giudizio, che sono aiuto per un giudizio, per sapere come fare.

114-115 – Per che cosa siamo eletti, per che cosa Dio ha fatto l’uomo e il mondo, per che cosa Dio fa la storia e nella storia sceglie i Suoi e forma il Suo popolo (che adesso è esploso, da una piccola razza è esploso fino a diventare proposta a tutto il mondo, invito a tutto il mondo)?

È per Cristo, Dio fatto uomo, il Verbo fatto carne, che siamo stati fatti: Colui di cui tutte le cose sono state fatte.

115 – Come aveva ragione sant’Agostino a dire, e dovrebbe essere ripetuta in tutte le parrocchie del mondo:

«Questa è l'orrenda radice del vostro errore: voi pretendete di far consistere il dono di Cristo nel suo esempio mentre quel dono è la Sua persona stessa»»

C’è una realtà dentro il mondo, c’è una realtà che ha toccato la nostra carne e le nostra ossa con il Battesimo, c’è una realtà che si rende udibile, visibile attraverso la nostra compagnia […] c’è una realtà che è Dio fatto uomo.

146 – Questa scelta quasi inconsapevole – «quasi» inconsapevole – ognuno di noi è chiamato a compierla, a dire «sì» o «no» a Cristo, all’evidenza di Dio nel mondo, all’evidenza del Dio morto e risorto per l’uomo.

Qui si gioca la libertà dell’uomo.

«Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio unigenito perché chiunque creda in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. […] non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi crede in Lui non è condannato; ma chi non lo riconosce è già condannato, perché non crede nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque, infatti, fa il male, odiala luce, e non viene alla luce, perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte da Dio»

Gv 3, 16-21

158 – […] Noi siamo i «suoi». Così, anche tutti i nomi geograficamente individuabili che sono stati letti non sono un pleonasmo per la nostra meditazione: sono un indizio di questo disegno che si espande nel mondo.

Pur nella piccolezza del suo agire quotidiano, ognuno di noi abbraccia – perché gli strugge il cuore l’amore di Cristo – tutto il mondo, così che sentiamo pesare sul nostro piccolo atto la responsabilità di tutta quanta la storia, secondo il mistero di Dio.

180-181 – Investiti, stupefatti dalla grazia di Dio, grati a Dio, condividiamo la passione di Cristo per il mondo, una passione fattiva e operosa.

181 – Che abbiamo a diventare spalancati al dono della grazia, che abbiamo a diventare sempre più adeguati a servire il mondo affinché diventi più umano, cioè più vero!

[…] Questo gesto che compiamo insieme nel suo complesso, è questo gesto che grida quell’augurio al cuore di ognuno di noi, un gesto che viviamo tutti insieme, pregando, mendicando Dio e guardando con una acutezza maggiore, come di padri, come di figli, come di amici, tutti gli uomini che ci passano vicini per le strade di questo mondo.

185 – Così come ha conquistato Gerico, la grande città di Gerico, con un pugno di ebrei, così Dio conquisterà il mondo, prenderà il mondo, si farà noto al mondo, si manifesterà al mondo attraverso un pugno di uomini, noi.

Ai nostri occhi le cose e gli uomini appaiono come era al principio del mondo, svelando, sotto il sottile velo dell’apparenza, il Mistero da cui nascono, da cui tu nasci, amico mio: come faccio a non dirti: «mio cuore»?

Nella notte del mondo, nella distrazione che penetra fino al midollo delle ossa tutta la gente, nella grande distrazione noi vegliamo, abbiamo coscienza dell’origine, della natura e del destino delle cose, siamo attenti alla fede nel mondo, perché tutto il mondo grida al Mistero.

192 – Mario Luzi: «Ciò che noi sappiamo è che abbiamo bisogno e questo bisogno, già di per sé, collabora al mondo. È un segno già per se stesso. Quello che noi crediamo sia l’Altro da noi, cui appuntiamo il desiderio» – quello che noi crediamo il Mistero, l’Altro da noi, l’inimmaginabile da noi, cui appuntiamo il desiderio, perché il cuore, il senso religioso, è fatto per qualcosa di più grande, che da tutte le parti ci supera, che non può essere immaginato o afferrato da noi -, «agisce già, è già qui», adesso.

201-202 – Tutto, proprio tutto – l’istante, le circostanze, la nostra disponibilità, la nostra obbedienza, fino all’incomprensibile sacrificio – è per una costruzione: non una costruzione al di là dell’orizzonte ultimo, dove l’Eterno apparirà come il volto di nostra madre, dove l’Eterno sarà posseduto come possediamo la persona amata, ma una costruzione di questo mondo.

202 – La passione più grande non è la nostra soddisfazione, ma creare al dimora al Potente di Giacobbe, creare la dimora all’Eterno nel mondo, creare la dimora al Mistero nel mondo, una dimora dove Egli sia riconosciuto, dove possa investire gli uomini che sono il suo cuore, dove possa rendere più umana la vita, dove possa rendere il cammino dell’uomo cammino al destino: nel dolore, nel sacrificio, attraverso la morte, pa pieno di abbandono e di sicurezza, di luce e di silenzio.

212 – Cristo è il senso del mondo fin dall’eternità: il mondo come organismo, la storia come disegno implicavano già questo fin dall’inizio.

221 – La personalità, la persona, il soggetto è consapevolezza di un avvenimento che è diventato storia, l’avvenimento di Cristo nel suo comunicarsi al mondo: Chiesa, corpo suo.

230 – In questa umanità nuova che sa accogliere, attraversando tutte le difficoltà e i disagi, il segno più cospicuo, più acuto, è la preghiera; non pietistica, non sentimentale, ma la preghiera che è domanda del regno visibile in questo mondo, del regno di Dio come visibilità di Cristo in questo mondo, cioè come felicità reale per gli uomini, come maggiore umanità reale per gli uomini.

Lettera: « Con tutta me stessa chiedo al Signore di volere per me e per tutto il mondo, in modo particolare per il popolo dei credenti, il suo amore. Che accada secondo quanto Lui ha detto di me – come è stato della Madonna -, che io accolga di essere totalmente amata».

cambiamento del mondo

40 – È nel rapporto con Cristo la sorgente del cambiamento vero anche del mondo.

Senza la vostra presenza nel mondo, senza la presenza di Cristo e della Chiesa nel mondo, il mondo andrebbe in rovina, in un soffio.

È proprio a questa nostra passione per Cristo, a questa missione che abbiamo, così come siamo, lì dove siamo, che il cambiamento del mondo è legato.

52 – […] Non si può creare una realtà nuova, che può cambiare, e di fatto cambia, l’uomo e il mondo, senza la coscienza d’appartenenza, se non partendo dalla coscienza dell’appartenenza a Cristo.

75 – Se siete in Gesù Cristo, siete eredi di Abramo, cioè coerenti con Cristo della promessa, della grande promessa, del cambiamento del mondo che si chiama, nel suo termine, Paradiso, ma che si chiama, durante il cammino, «conversione», che si chiama, durante il cammino, «sequela».

100 – Non ci sarà più nulla di piccolo, di meschino, giudicato secondario, perché tutto deve incrementare questa vita che è rapporto con il Mistero fatto uomo, morto per noi, e che attraverso noi vuole cambiare il mondo vuole comunicarsi a tutti e cambiare il mondo, renderlo più umano.

Morale/moralità

49-51- «E se anche distribuissi tutte le mie sostanze ai poveri e dessi il mio corpo per essere bruciato e non avessi la carità, non mi gioverebbe niente» (1 Cor 13,1-3). Che pugno nello stomaco del moralismo!

Improvvisamente uno sente che la moralità non si può ricondurre ad una legge applicata, a una quantità, sia pure a una quantità di generosità realizzata.

50 – Uno può mettersi a descrivere questa dinamica, cioè queste mosse diverse nel comportamento, nel sentimento, nel pensiero, che derivano dalla coscienza di questa Presenza cui appartengo; uno può descrivere questo, allora farà il tentativo di una morale cristiana, e lo farà con verità nella misura in cui sarà discreto e senta pretese, e soprattutto cercherà di descrivere qualcosa che lui vive.

51 – I valori cristiani rappresentano una moralità che deriva, quasi senza accorgersene, nasce, quasi senza che uno se ne accorga, dal guardare Cristo presente, dalla fede. «Questa è la vittoria che vince il nostro male, la fede», cioè il riconoscimento della Sua presenza.

Inversamente, per il cristiano, una moralità che non nasca da questa appartenenza non è concepibile o è concepibile in modo astratto.

56 – La giustizia umana misura; invece la morale cristiana non misura mai, guarda se stai tendendo, guarda in che posizione di tensione e di direzione sei, se stai tendendo a mettere tutto in comune, sia le risorse spirituali sia quelle materiali.

126 – Si chiama moralità. Questa è la moralità: se viene la grazia, cioè la Sua presenza, la legge non è tolta, ma è resa finalmente possibile, godibile.

128 – Ricapitolando: innanzitutto l’offerta, che rende sublime l’azione; poi la moralità, cioè la lealtà con gli scopi immanenti all’azione; in terzo luogo, la gratuità come affezione al regno di Cristo, che è la Chiesa e che è il movimento, in tutto quello che fa.

149 – Innanzitutto l’amore è personale, nel senso che il suo oggetto proprio è la persona; non una ideologia sulla povertà, ma il povero, questo povero; non una ideologia sulla giustizia, ma che sia resa giustizia a questo uomo, questa giustizia; non un discorso sulla moralità e sui valori etici, ma che questa gente, che questo, questo e quest’altro possa vivere in un modo più umano.

231 – «La fedeltà alla verità è condizione imprescindibile perché i cristiani tutti possano svolgere la loro missione profetica nel mondo. La verità è misura della moralità: scelte e motivazioni non possono dirsi […] buone e, quindi, meritevoli di approvazione se non sono conformi al bene oggettivo [alla verità]. La comprensione e il rispetto per l’errante esigono anche chiarezza e valutazione».

Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno della Chiesa italiana , 11 aprile 1985

Moralismo

49- «E se anche distribuissi tutte le mie sostanze ai poveri e dessi il mio corpo per essere bruciato e non avessi la carità, non mi gioverebbe niente» (1 Cor 13,1-3). Che pugno nello stomaco del moralismo!

54 – […]«E ciò che viene da Lui.» Ogni altra origine è moralistica, è moralismo: sono delle formulazioni, o delle leggi, delle norme generate da una convenienza da noi stabilità, anche quando è una schiavitù stabilita dal potere.

129 – L’obbedienza è quel principio di conoscenza e di azione che supera la propria misura e la propria volontà, cioè il proprio criterio e la propria affettività; è un criterio di conoscenza, di affezione e di azione che supera, cioè distacca, stacca dal proprio criterio e dalla propria affezione, dalla propria misura e dalla propria volontà. Stacca, perciò è uno strappo; per questo si chiama «contrizione». Ma il punto è l’obbedienza, altrimenti si ricade nel moralismo.

134 – […] Dalla situazione della nostra incapacità, per il fatto che Dio vi si imbatte, vi penetra dentro, la investe e la traduce in positività, in una possibilità di positività senza fine – vince il male con il bene, che è ancor più grande che vincere il nulla -, nasce una strana posizione, una posizione sconvolgente la logica di una giustizia fatta con le nostre mani, di una giustizia naturale. È una posizione sconvolgente ogni moralismo.

140 – Il moralismo è un calcolo, la morale abbandonata a se stessa è un calcolo.

Movimento

76-78 – Lettera: «La Fraternità è una compagnia che ci educa a servire, a seguire il movimento, domandando che l’incontro con Cristo diventi il contenuto di tutti.»

77 – Innanzitutto la nostra compagnia, la vita del nostro movimento ci sia punto di riferimento come criterio.

78 – Questa mattina segnalo un pericolo solo, che è quello di seguire una nostra idea di movimento, curvandoci sulla nostra opinione, invece che aprirci sempre di più a questa esperienza in cui Dio ci ha collocati.

82 – Prendere coscienza del mistero di Cristo tra noi non significa pretendere già di saperlo, ma riconoscere che questo Mistero ci è compagnia, per questo la certezza della vita è in questa sequela al movimento; non è il movimento, ma è in questa sequela al movimento: nella banalità dei nostri volti e nella goffaggine dei nostri metodi sta qualcosa che illumina e salva la vita.

98 – Il movimento è un gruppo di persone di buona volontà, non nel senso bonaccione del termine, ma di buona volontà nel senso evangelico del termine.

100 – Nel suo insieme grandioso, questo ordine di condizionamenti, per amare e seguire e imitare Cristo, si chiama «Chiesa», che tradotto nella nostra contingenza, nel nostro vivere quotidiano, negli impatti con cui Dio, Cristo, ha toccato la nostra vita, si chiama «movimento»

128 – Ricapitolando: innanzitutto l’offerta, che rende sublime l’azione; poi la moralità, cioè la lealtà con gli scopi immanenti all’azione; in terzo luogo, la gratuità come affezione al regno di Cristo, che è la Chiesa e che è il movimento, in tutto quello che fa.

162-170 – Lo scopo della Fraternità coincide con lo scopo del movimento. È il movimento che costituisce la novità di grazia che lo Spirito ha suscitato nella Chiesa di Dio.

Lo scopo della Fraternità è lo scopo del movimento: non si possono dividere.

163 – Nell’ultima lettera ho sottolineato lo scopo del movimento e quindi lo scopo della Fraternità: il movimento, la Fraternità ha come ideale la dedizione di tutta la vita a Cristo. È questo il cuore del messaggio cristiano.

164 – Concepire la fraternità come il luogo di una spiritualità che non si trova nel movimento [….] è un errore.

La Fraternità sarà il luogo dove sei aiutato a vivere la spiritualità del movimento, l’esperienza cristiana della fede come l’hai incontrata.

Il carisma è la modalità con cui lo Spirito ti raggiunge, usando un tempo e uno spazio precisi, un temperamento e una storia precisi, una persona precisa, in un incontro.

Mi riferisco con questa definizione, al discorso che il Papa ci fece, nel trentennale del movimento e ai preti del movimento a Castelgandolfo.

Si chiama carisma la modalità con cui lo Spirito mi raggiunge persuasivamente

Un movimento nasce da questa identificazione del Signore e della Sua presenza con una precarietà, in sé ridicola e fragile: eppure lo Spirito sceglie quella e passa attraverso quella. Il carisma per affinità, si comunica a chi lo incontra.

165 – Il movimento è la strada per incontrare Cristo e diventare uomini nuovi: è una frase del Papa, detta in un discorso a Strasburgo.

Per i vostri bambini la famiglia è il primo movimento, e i caratteri del papà e della mamma incidono sulla modalità con cui la fede viene comunicata.

Ma questo è come raccolto in un alveo più grande, che si chiama movimento.

Ci sono due regole fondamentali perché il carisma sia vissuto come obbedienza che lo renda movimento capace di comunicare la memoria di Cristo e di testimoniarLo.

Innanzitutto l‘unità come riferimento, reale e determinante, al punto originale. Senza questo riferimento, reale e determinante, al punto dove si origina il carisma e, attraverso il carisma, il movimento, senza questa unità di riferimento, reale e determinante, non è più obbedienza, viene evacuata l’obbedienza, e si riconduce tutta la questione al grande principio mondano e non cristiano della interpretazione.

166 – La seconda caratteristica del movimento che nasce da un carisma è la libertà, ma la libertà come l’abbiamo detta ieri: libertà che è responsabilità personale, piena di intelligenza e di cuore, nell’aderire al fatto che ci è stato offerto, nell’aderire alla grande Presenza.

167 – Tante volte uno si fa forte del gruppo o di quel che fa il movimento, per parlar male del movimento o di quel che fa il movimento, ma è una contraddizione: è una diseducazione, non una educazione; tutto è fragile e tutto è perfezionabile in una vita umana, ma se il movimento “tira” in un certo senso, ha una certa direzione, attraverso il dialogo con chi è responsabile, vale a dire attraverso un riferimento a chi guida il movimento, si può cercare di persuadere a correggere, a rendere più perfetto, aspettando però nella pazienza che le proprie cose siano comprese e nello stesso tempo continuando a seguire insieme.

Da ultimo ricordo che l’opera della Fraternità è il movimento. E così ritorno sulla prima osservazione: la Fraternità è l’espressione più matura di quella esperienza di vita di fede che si chiama movimento.

La Chiesa, riconoscendo la Fraternità, quindi riconoscendo l’aspetto più maturo dell’esperienza del movimento, ha implicitamente riconosciuto tutto l’iter del movimento, tutto il movimento del movimento.

168 – L’edificazione del movimento deve essere una passione profonda per noi. L’edificazione del movimento è, infatti, il dilatarsi della testimonianza a Cristo. E a noi interessa solo questo.

Perciò, mi scrive uno, «non si fa il movimento avendo in mano sempre più cose», vale a dire non si fa il movimento dilatando il proprio potere, «ma andando al fondo di un’opera. una tale esperienza diventa esemplare per tutti e tutti la guardano con libertà. Altrimenti c’è sempre il rischio di ridefinire i limiti del conveniente e del giusto, continuamente richiudendo il vecchio».

169 La lettera continua: «Ci sono persone che riducono l’esperienza del movimento a un discorso dal quale, da una parte si prende liberamente quello che interessa e, dall’altra, che si contesta anche apertamente per ciò su cui non si è d’accordo». No! Non è obbedienza e non è edificazione: se il Signore ci mette insieme e ci mette insieme in tanti, è perché tutti abbiano ad aiutarci.

170 – L’obbedienza è al centro della questione, è all’origine, è là dove il Signore mette la fonte di quello che ci unisce; e se vorrà che il nostro movimento continui – per settantotto e per settecentottanta anni -, segnerà sempre la fonte, la farà continuare sempre.

L’obbedienza è la salvezza, è la salvaguardia di tutto.

Come un gruppo di giovani mi ha scritto: «Pensieri come: “Il movimento è una circostanza in cui Cristo ti educa”, o “Solo nel rapporto con l’origine della compagnia si chiarifica la strada personale di ciascuno”, questo ci sta restituendo al nostro presente». «Il movimento è una circostanza in cui Cristo di educa»: è la circostanza, nel senso globale della vita, in cui Cristo ti educa.

«“Solo nel rapporto con l’origine della compagnia si chiarifica la strada personale di ciascuno”»”. Fuori dal rapporto con chi, in modo libero e cosciente, ha risposto alla iniziativa dello Spirito di Cristo in lui e fuori dal rapporto con tutto quello che si è generato, la memoria di ciò che è accaduto non reggerebbe l’urto del tempo».

245-248 – In un raduno della Diaconia centrale avevo detto che «il gruppo, correttamente concepito e vissuto, è in grado di assicurare l’esistenza del movimento». La Fraternità è il fatto che assicura l’esistenza del movimento, perché la Fraternità poggia totalmente sulla persona; non sulla organizzazione, ma sulla persona, su di te!

246 – Il movimento camminerà se ci sono della persone che vivono questa tensione e si sostengono in questa tensione.

In ogni caso «il gruppo dovrebbe mettere a tema del suo dialogo innanzitutto e soprattutto la parola che viene dalla direzione del movimento, e in particolare quella detta specificatamente alla Fraternità».

Il movimento ha una rete missionaria oramai veramente grande. È la cosa che più ci rallegra è come una benedizione di Dio.

247 – Una appartenenza o è totalizzante o non serve, non c’è «appartengo alla Fraternità o al movimento fino a qui, in politica no».

Perché una differenza eventuale di opinione o di atteggiamento deve nascere, può nascere esclusivamente da un amore al movimento, perché si giudica che sia più utile e meglio per il movimento fare così.

Mi permetto infine di dare anche qualche avvertimento: una presa di posizione pubblica di CL, in linea di massima, deve essere assunto dal movimento in quanto tale.

È inconcepibile che un gruppo di Fraternità si distingua o si separi dal movimento di CL.


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