Temi di La «verità nasce dalla carne» – 2a parte

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ACDEFGILMOPQRSTUV

Lettera «O»


Obbedienza

128-129 – Perché nel sacrificio la verità nasca dalla carne, perché Cristo entri nel mondo di oggi attraverso di noi, il nostro tempo e il nostro spazio, la nostra vita, noi, membri suoi, occorre chela dinamica della vita sia obbedienza.

129 – Se c’è un bambino piccolo, che sta andando con mamma e papà, per andare con loro che cosa deve fare? Deve seguirli, cioè obbedire. Obbedire. Se c’è una cosa più grande, per poterci adeguare ad essa dobbiamo obbedire.

È esattamente questa la grande regola: «Fatto obbediente fino a morire», alla morte del proprio modo di pensare, di sentire; il contrario del “ciò che pare e piace”, grande regola del mondo. Obbedire, obbedire! Dicevo una volta agli universitari che il sacrificio si identifica con l‘obbedienza.

L’obbedienza è infatti quel principio di conoscenza e di azione che supera – nel senso di distaccare – la propria misura e la propria volontà, cioè il proprio criterio e la propria affettività; è un criterio di conoscenza, di affezione e azione che supera, cioè distacca, stacca dal proprio criterio e dalla propria affezione, dalla misura e dalla propria volontà.

Stacca, perciò è uno strappo; per questo si chiama «contrizione». Ma il punto è l’obbedienza, altrimenti si ricade nel moralismo.

L’obbedienza non può essere che una persona presente e viva: «Ti obbedisco». Da questo, amici miei, nasce qualcosa di grande.

165-166 – Certo la strada per andare a Cristo si chiama «Chiesa»; anzi, il luogo dove Cristo è riconosciuto, vissuto e amato è la Chiesa; ma la Chiesa vive dove tu vivi, tocca quello che tu pensi, senti.

La Chiesa mantiene l’oggettività della sua proposta, ottiene da te la verità di una obbedienza, che è il supremo atteggiamento di virtù, come abbiamo detto ieri, attraverso una compagnia più stretta, come per il bambino: per me, quando ero piccolo, il mio povero papà e la mia povera mamma.

Ci sono due regole fondamentali (unità e libertà) perché il carisma sia vissuto come una obbedienza che lo renda movimento capace di comunicare la memoria di Cristo e di testimoniarlo.

Innanzitutto l’unità come riferimento, reale e determinante, al punto originale. Senza questo riferimento, reale e determinante, al punto dove si origina il carisma e, attraverso il carisma, il movimento, senza questa unità di riferimento, reale e determinante, non è più obbedienza, viene evacuata l’obbedienza, e si riconduce tutta la questione al grande principio mondano e non cristiano dell’interpretazione.

Non c’è l’una o l’altra di queste vie: o l’obbedienza o l’interpretazione.

Nell’obbedienza affermi qualcosa che hai incontrato, più grande di te, da cui speri la salvezza tua e da cui speri una verità e una capacità di amore sempre più grandi di te. Nell’interpretazione non hai da fare altro che affermare te stesso […]

169-170 – Lettera: «Ci sono persone che riducono l’esperienza del movimento a un discorso dal quale, da una parte si prende liberamente quello che interessa e, dall’altra, che si contesta anche apertamente per ciò su cui non si è d’accordo». No! Non è obbedienza e non è edificazione: se il Signore ci mette insieme e ci mette insieme in tanti, è perché tutti abbiamo ad aiutarci.

Per quanto riguarda l’obbedienza, non ci può essere ultimamente eccezione altrimenti tutto si disfa, non c’è più «una» cosa.

170 – L’obbedienza è al centro della questione, è all’origine, è là dove il Signore mette la fonte di quello che ci unisce.

L’obbedienza è la salvezza, è la salvaguardia di tutto.

La Fraternità è l’espressione suprema dell’esperienza del movimento e la Fraternità è governata dall’obbedienza.

È nell’obbedienza che uno diventa sempre più se stesso, e l’obbedienza è riferimento al punto originale, anche «letteralmente», tenendo ben presenti le lettere che vi si scrivono,, gli Esercizi spirituali, le pagine su cui fate il Raduno regionale o ili Ritiro mensile.

195-197 –

«Essere è obbedienza, è una risposta: “Tu sei” viene prima di “Io sono”. Io sono perché sono chiamato a essere.»

A.J. Hescel, Chi è l’uomo?

Qual è il mio valore? Amici miei, qual è il nostro valore? L’obbedienza, accettare di essere: ora e così.

196 – (Ci ribelliamo alle circostanze) mentre nella obbedienza al Mistero, dentro la circostanza, cresce il nostro io.

197 – Dentro l’inevitabile sgretolamento dell’immagine di me che quotidianamente avviene, qualcuno mi ama, qualcuno mi vuole: il Dio dell’istante, che sembra insensibile alla nostra reazione, il Mistero che ci chiede l’obbedienza nella circostanza veloce per cui , questo Mistero, la sostanza di questo Mistero, la sostanza dell’Essere è misericordia, ricco di misericordia, ascolta il nostro de profundis, ascolta il nostro grido dal fondo!

199 – L’obbedienza all’assoluto non toglie a noi, cavalieri della fede, persone che hanno rapporto consapevole con l’infinito, che guardano all’infinito, il nostro impeto umano, non ci fa smettere di amare: Abramo ( che «tosto si alzò») non ha smesso di amare Isacco dicendo sì a Dio.

Offerta

37/38 – Voi che state lavando i piatti con fatica, o soffrite con fatica una parola amara detta dal figlio o dal marito, non potete neanche immaginare la misericordia infinita – più infinita ancora dell’infinita sapienza, se così si può dire – che rende organica quella vostra sofferenza e umiltà, specialmente se ha la sublimità dell’offerta, facendola collaborare alla salvezza di tutto: anche il cosmo sarebbe infatti una bellezza umana amara e provvisoria, se non fosse dentro la salvezza, l’amore, cioè Cristo.

123 – Dalla banalità apparente delle cose quotidiane, alla apparente dignità delle cose importanti, cambiare significa che la banalità apparente non è banalità, e l’apparente dignità non è dignità, le cose solite non sono solite, e le cose importanti non sono importanti.

Si chiama offerta questo gesto che deriva dalla coscienza della Sua presenza, della Tua presenza, o Cristo, di cui mi scordo tante volte ma che tante volte ricordo.

Allora ti offro questa mia vita di famiglia e Ti offre questa mia apparente grandezza in economia o in politica o all’università,

e l'OFFERTA genera una insublimazione, genera il sentimento del sublime come una cosa abituale.

125 – Innanzitutto l'offerta, che rende sublime la vita

127-128 – In tutte le cose, si stabilisce una incidenza dell’offerta come gratuità, come amore al regno di Cristo che è la Chiesa, che tu faccia la tua impresa, la tua cooperativa, la tua famiglia.

128 – Quindi, ricapitolando, innanzitutto l’offerta, che rende sublime l’azione; poi la moralità, cioè la lealtà con gli scopi immanenti l’azione; in terzo luogo, la gratuità come affezione al regno di cristo, che è la Chiesa e che è il movimento, in tutto quello che fa.

Opera/opere

28 – In una discussione, nel sesto capitolo del Vangelo di san Giovanni, i giudei chiesero a Gesù: «“Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”. Gesù rispose: «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».

Questa è l’opera per cui ogni uomo si sveglia, si risvegli al mattino, in qualunque posizione sia, in qualunque stato d’animo sia, in qualunque condizione sia, per cui ogni uomo si risveglia al mondo, alla vita: «Credere in colui che egli ha mandato, credere in Cristo!».

41 – La cosa pubblica, la società, la convivenza umana, nel suo bene autentico, è opera di Cristo, attraverso noi.

«Ne farete di più grandi; farete le opere che io ho compiuto e ne farete di più grandi»

gv 14,12

46 – Se per civiltà si intende la trama stabile e continuamente dinamica di tutti i rapporti che una persona crea, vie, utilizza per un’opera che sia la sua collaborazione alla grande opera di Dio. Allora è un metodo di civiltà quello che le parole dello starets implicano: «Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui»

60-61 – «Non sapete che siete membra l’uno dell’altro?» (Rm 12,5: Ef 4,25). Non esiste una concezione di socializzazione o di universalizzazione più grande di questa, perché è dentro di me quell’energia che mi fa abbracciare te, chiunque tu sia.

Bene, oltre a questa legge generale della vita, ecco un esito visibile, un esito sulla realtà delle cose, diciamo un esito operoso: è l’apologia dell’opera. L’amore a Cristo ci rende creatori di opere.

Uno di voi mi ha dato questa definizione di opera che leggo, perché mi pare proprio giusta.

«Le opere sono la costruzione di un pezzo di realtà che ha al suo interno un criterio che nessun altro ha

121 – «È dalla terra, dalla solidità che deriva necessariamente un parto pieno di gioia e il sentimento paziente dell’opera che cresce».

Ecco allora il parto con il suo grido, veicolo pur di letizia; l’opera che cresce, ma nella pazienza; le tappe che si susseguono, con la fatica di una calma; e la generosità, la semplicità di una sicurezza.

168-169 – Lettera: «Non si fa il movimento avendo in mano sempre più cose ma andando al fondo dell’opera. Una tale esperienza diventa diventa esemplare per tutti e tutti la guardano con libertà».

Ma andare al fondo di un’opera vuol dire andare a fondo della propria famiglia, anche, vuol dire andare a fondo della propria comunità di ambiente, anche, vuol dire andare al fondo della propria piccola o grossa azienda.

Sentite cosa dice san Giacomo ai primi cristiani: «Chi è saggio e accorto tra di voi? Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza. […] La sapienza che viene dall’alto è anzitutto pura: poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza faziosità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per colore che fanno opera di pace»

223 – «La ricchezza di un'opera [...] è sempre data dalla quantità di passato che contiene»

Cesare Pavese.

Traduciamolo in termini cristiani: la ricchezza di un momento operoso è la memoria che si vive in esso: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19)

232-233 – Se nella nuova umanità, il segno è la preghiera e la condizione è la passione per la verità, l’efficacia di questa nuova umanità in azione, che vive, che si muove, sono le opere: alla mercé della volontà di Dio, secondo quello che Dio permette, dà, lascia, impedisce, mortifica, vivifica. Sempre alla mercé della volontà di Dio, ma questa nuova umanità diventa efficace fino all’opera.

«Attraverso il lavoro l’uomo costruisce costantemente su ciò che è già stato creato. L’opera del Creatore è sempre al principio. […] bisogna realizzare nuove cose, intraprendere nuove opere, nuove iniziativi, nuove forme di solidarietà ed organizzazione basate su questa nuova cultura [nuova, che nasce da Crisio]. L’impulso per intraprendere tali opere può nascere soltanto dal senso di gratuità che deriva […] dalla consapevolezza di far parte di un comune destino di liberazione iscritto nell’economia della creazione e della Redenzione».

Giovanni Paolo II – GMC – 20 agosto 1989 – Santiago di Compostela.

233 – Tu, io siamo responsabili di questa umanità nuova, che sappia accogliere tutto, al di là dell’obiezione della nostra sensibilità, perdonando nel segno della preghiera, nella passione della verità, efficace fino a creare opere. Così daremo gloria a Cristo.


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Temi degli ESERCIZI – Collana “Cristianesimo alla prova”


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