Temi di «Un avvenimento di vita nell’uomo»

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ABCDEFGILMOPRSTUV

Lettera «C»


Cambiamento

58 – Kierkegaard, elogiando l’atteggiamento di Abramo, «è una cosa grande il rinunciare al proprio desiderio», al proprio gusto, «ma è più grande il mantenerlo dopo averlo abbandonato»: non ci si priva della nostra umanità, è proprio un cambiamento nell’affezione e nell’amore, è un cambiamento nel modo di usare i soldi, è un cambiamento nel dire «io», come soggetto cosciente di sé; «è una cosa grande afferrare l’eternità», dire «Tu», «ma è più grande mantenere la realtà temporale dopo averla abbandonata»: è più grande mantenere, vivere i rapporti ogni giorno, dopo averli abbandonati, cioè dopo aver affermato che il loro significato è Cristo.

167 – Egli è veramente quello che appare nel cambiamento di noi stessi che provoca. «Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie passano, ecco sono nate le cose nuove». (2Cor 5,14-21)

211 – L’avvenimento che porta all’appartenenza produce necessariamente, o meglio, tende a produrre un cambiamento.

L’appartenenza produce cambiamento, senza cambiamento non c’è produttività nell’appartenenza, non c’è vera appartenenza.

La morale che nasce dall’appartenenza ha un suo metodo proprio, che nasce dalla appartenenza stessa. Questo cambiamento avviene cioè secondo un metodo molto semplice: è come per i bambini, che crescono non per una analisi che fanno loro, non per delle scelte che fanno loro, ma perché seguono.

243 – L’avvenimento con cui Cristo ci prende e ci fa appartenere a sé non può non cambiarci e il cambiamento che avviene è proprio qui: Egli ci rende desiderosi di seguirLo, di imitarLo e questo porta a una purità: «Chiunque ha questa speranza si purifica come egli è puro.

conversione

213 – La carità è amore all’altro in tutto quello che facciamo, è abbraccio del diverso, perdono a tutti e a tutto, in quello che facciamo. Ed è attraverso la carità che il cambiamento in noi diventa correzione della vita, cioè conversione.

desiderio di cambiamento

244-245 – Sì la moralità sembra coincidere con il cambiamento. Ma non è tanto con il cambiamento che essa coincide. La moralità coincide col riconoscimento di Cristo.

Perciò si può essere morali senza cambiare, se almeno il rapporto con Cristo accende il desiderio di cambiare. Il primo cambiamento di fatto sta nel desiderio di cambiare.

«Ma vi è un’altra preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato, non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce».

Sant’AgostinoCommento sui salmi

Quando la domanda non è una pretesa? Quando il desiderio, che diventa domanda («Cambiami, Signore!), non è una pretesa? La domanda non è una pretesa quando non pone condizioni.

250 – La «cara gioia/sopra la quale ogni virtù si fonda» è la fede, è la gioia dell’incontro che abbiamo fatto, è la gioia dell’avvenimento che ci è accaduto, è la gioia dell’incontro fatto che ci fa desiderare di cambiare.

Carisma

218 – Il carisma, una grazia che muove. […] Dio non si disaffeziona alla sua impresa, a quell’impresa che è l’impresa umana.

222-224 – Ratzinger: « La fede è una obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati». È questa l’idea di «carisma».

Lo Spirito di Dio, nella sua immaginazione infinita, nella sua libertà infinita, nella sua mobilità infinita, può realizzare mille carismi, mille modi di parteciparsi all’uomo.

Il carisma rappresenta proprio la modalità di tempo, di spazio, di carattere, di temperamento, la modalità concreta, psicologica, affettiva, intellettuale, con cui il Signore diventa avvenimento per me e, allo stesso modo, diventa avvenimento anche per gli altri.

223 – Non posso più abbandonare le caratteristiche della modalità con cui il Signore mi ha raggiunto, non posso più abbandonare la singolarità, l’originalità del mio carisma.

È attraverso la moltitudine di queste forme che il regno di Dio si presenta nella sua ricchezza grande, nella sua doviziosa varietà, nella sua capacità di adattamento a tutti e a tutto.

Non dimentichiamolo: popolo e carisma. Noi viviamo il popolo intero del corpo di Cristo, il popolo intero della Chiesa, tanto meglio quanto più siamo fedeli al nostro carisma, alla nostra – per così dire – personalità, alla fisionomia personale.

224 – Sottrarci a questa forma è il primo passo verso la stanchezza, la noia, la confusione, la distrazione e anche la disperazione.

245 – L’appartenenza a Dio è una dimensione dell’io, strutturale. Eravamo niente, ci siamo, siamo di un Altro. Ma il capire questo dipende da un avvenimento provvidenziale, pietoso, amoroso. Questo avvenimento si chiama «carisma».

È una modalità con cui Dio ti fa capire che gli appartieni e perciò non puoi più allontanarti da quell’avvenimento, cioè da quel carisma, dalla forma in cui Dio ti ha consegnato questa verità, non puoi più allontanarti senza tradire la verità stessa.

248-250 – Il carisma è l'energia con cui lo Spirito di Cristo crea un movimento dentro la Chiesa.

Perciò il movimento è un frutto diretto del carisma. Carisma è una grazia che muove che genera un movimento.

Perciò è seguendo il movimento che si vive il carisma, altrimenti vivi il carisma secondo la tua interpretazione, introducendo così un equivoco, una presunzione e un equivoco.

Seguire il movimento vuol dire seguire chi guida il movimento, che il Signore mette come guida al movimento, e non altro.

Il Signore è ricco, fertile, immaginoso, ma se ti ha preso dentro l’avvenimento di questo carisma, è nella obbedienza a questo carisma che la tua vita trarrà ricchezza, felicità, gioia, unità, e alla fine si salverà nella pienezza della felicità di Dio.

249 – Seguendo chi guida il movimento, e non altro, si impara sempre di più a conoscere il carisma da cui si è partiti.

Si parte da un carisma presente e, seguendo chi guida, si entra sempre di più nel passato del carisma, che è il mistero di Cristo stesso.

Intervento: «Qual è il rapporto tra autorità del carisma e autorevolezza personale

L’autorità del carisma, per essere molto semplici, è quella che la Chiesa riconosce. La Chiesa riconosce la responsabilità di un carisma. L’autorevolezza personale è data dalla partecipazione che uno vive a chi ha autorità.

Io posso avere un’autorità nel carisma che interessa il movimento e ci può essere la persona più piccola tra di voi che vive questo carisma con una tale vivacità, con una tale umiltà che mi supera da tutte le parti e io stesso lo guardo cercando di imparare il significato del carisma di cui sono vindice e guida.

Il significato di questo carisma è rivelato da coloro che nella semplicità del cuore vivono il dono fatto dallo Spirito e così restano autorità di fatto.

L’autorevolezza è quella che sollecita ed edifica. L’autorità è quella che assicura la strada. L’autorità assicura la strada giusta; l’autorità in quanto riconosciuta dalla Chiesa.

L’autorevolezza riscalda i passi, rende persuaso il cammino, rende più capaci di sacrificio quando è da fare.

L’autorevolezza è una santità, l’autorità è un compito.

250 – Pochi giorni fa mi è arrivata da una monaca di clausura una lettera che avrei voluto leggere, perché è un esempio mirabile di fede applicata e di fedeltà a un carisma; fedeltà al loro carisma, fedeltà al carisma che hanno in comune con noi, perché un carisma non si perde più: qualunque strada si faccia non si può più perdere, aiuta a vivere bene qualunque strada si faccia.

252 – Chi è stato fedele al carisma che gli è stato dato non se ne parte più, e investe di quel carisma tutto quello che fa, rendendo più vivo tutto quello che Dio gli fa compiere.

Abbiamo solo da seguire, non da inventare; inventeremo sempre, seguendo!

Perché in una parrocchia dove c’è un certo prete c’è un movimento vivo di gente […] e altrove no? Perché quel prete, in quella parrocchia, rappresenta una grazia, una grazia attiva.

È un uomo di fede che vive un carisma, che ha un carisma: il carisma crea un movimento, un movimento cambia la vita della gente per sempre.

Carità

165 – L’amore al destino dell’altro: c’è gratuità immaginabile come questa? No, non c’è gratuità se non questa: l’amore al tuo destino. Ogni altro motivo di rapporto si riconduce a un tornaconto, a una sensazione, a un riverbero desiderato, a un possesso previsto, a una proprietà stabilita, a un gusto da sentire. L’amore al destino no. Questo è netto. Oh, può essere invaso dal gusto, ma è il gusto della carità.

Si chiama carità la legge di questa compagnia, di questa amicizia che è guida al destino.

«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità» – carità, caris, vuol dire gratuità -; se non amassi il destino dell’uomo, se non amassi cioè Cristo, Signore dell’uomo, «sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna […]».

1Cor 13,1-3

L’amore al destino dell’altro, la carità, è la legge di quella compagnia guidata al destino, di quell’amicizia unica, vera, che si chiama con termine soltanto cristiano, soltanto cattolico, «comunione».

174 – La prima carità tra di noi è quella di illuminare la coscienza, di fare il cammino per spiegarci insieme; spiegarci tra di noi, e se non ci riusciamo, andiamo insieme da un altro a farci spiegare.

213 – Il seguire, l’etica, la moralità come sequela, è di tutt’altro genere di qualsiasi altra moralità. Ogni altra moralità creata dall’uomo è moralistica. Per questo si chiama «carità».

La forma del metodo del seguire si chiama carità.

La carità che la prima Lettera ai Corinti, al capitolo tredicesimo, descrive in un modo così sublime, è amore all’altro in tutto quello che facciamo, è abbraccio del diverso, perdono a tutti e a tutto, in quel che facciamo.

Ed è attraverso la carità che il cambiamento in noi diventa correzione della vita, cioè conversione.

231 – Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità.

242-243 – Intervento: «Perché la giustizia non basta e ci vuole la carità

243 – La giustizia non basta perché l’uomo, per il peccato originale, non è capace di mantenere la giustizia nella sua completezza, nella completezza delle sue esigenze.

Siamo peccatori. allora occorre la presenza di una misericordia, occorre una carità, una pietà più grande che, come il papà e la mamma prendono il bambino caduto e lo fanno rialzare e così la nuova moralità che si instaura è come più grata, più pura, più umile più sorpresa e in questa umiltà e in questa sorpresa acquista una generosità, un semplicità di dedizione che prima non aveva, e quello che prima non era possibile diventa possibile.

Ci sono virtù che sono nell’ambito cristiano diventano possibili: al di sopra di tutto, la gratuità.

Carne

53-55 – «Ascolta, Dio di misericordia, la nostra umile preghiera e custodisci con amore paterno il tuo popolo; nessuna falsità del demonio arrivi a corrompere quelli che credono e professano che il tuo figlio unigenito è nato nella verità della nostra carne mortale»(«Antifona», I settimana per annum, rito ambrosiano).

Noi siamo quelli che credono e professano che il suo Figlio unigenito è nato nella verità della nostra carne mortale.

55 – È proprio nella carne della vita quotidiana che tutto questo, cioè Cristo, diventa carne nostra, coscienza nostra, cuore nostro, generosità nostra, iniziativa nostra.

68 – Egli è venuto, il Verbo si è fatto carne, il Mistero si è fatto uno come me, grumo dentro il ventre di una donna, bambino, giovane, ucciso perle nostre colpe.

91-92 – «Perché cercate tra parole morte«, fra pensieri astratti, «il Verbo», il senso della vita e del mondo, il Dio? «Perché cercate tra parole astratte il Verbo, se Lui fattosi carne, si è reso visibile?» (san Bernardo di Chiaravalle).

Ma proprio visibile? visibile! Non solo duemila anni fa, non solo nella casetta di Maria: Egli si è reso visibile lungo tutto il corso della storia nella compagnia di coloro che, chiamati da Lui, si mettono insieme, si riconoscono insieme proprio per Lui. La nostra compagnia: nella nostra compagnia Egli diventa visibile.

92 – L’opera di Dio nel mondo, visibilmente, è la nostra unità, dentro la più grande unità della Chiesa, che vive e sussiste però nella nostra unità, altrimenti sarebbe un messaggio estraneo, fuori dalla nostra porta.

95 – «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue…» (Gv 6, 52-59): in questo corpo e in questo sangue di Cristo sta tutta la carnalità della nostra vita, il tempo dei nostri giorni, il suo contenuto.

Vivere tutto, il più possibile determinati dalla coscienza della Sua presenza, determinati dalla volontà di collaborare e contribuire al mistero della Sua croce e resurrezione, della Sua redenzione nel mondo; vivere sempre più determinati da questa suprema verità delle cose è proprio l’essere una creatura nuova […].

123 – «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio […] E il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,1-15)

Il senso del mondo, il destino del mondo, il Mistero che sostiene e penetra ogni angolo del mondo si è fatto uomo, nato in una razza, nato nel seno di una donna.

Questa è la prima cosa orribile per la ragione umana, o meglio, per quello sviluppo della umana ragione che si chiama cultura dominante.

130-131 – La novità nella conoscenza e nella liberazione avviene per grazia. E la grazia con cui Dio opera il compimento della nostra vita è un uomo, nato da donna: Gesù Cristo, il Verbo stesso di Dio, il destino nostro, il significato del mondo fatto carne.

L’assurdo supremo, per una ragione che voglia essere criterio definitivo delle cose, misura della realtà – ciò che la ragione misura è vero, ciò che la ragione non può misurare non c’è -, è, prima di tutto, che Iddio si sia fatto uomo, bambino; in secondo luogo, che esista tra di noi qualcosa che è inarrivabile come potenza, come grandezza, come bellezza, e cioè che la bellezza fatta carne, la giustizia fatta carne, la bontà fatta carne, la verità fatta carne, il destino fatto carne in un uomo presente tra noi: quest’uomo, il più grande “attore” della storia è tra noi.

210-211 – La parola «carne» non è usata da san Paolo nel senso letterale del termine: «carne» indica la percezione della realtà non nella sua totalità, vale a dire non nella sua verità. Questa è la tristezza del peccato.

224 – «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre al nulla tutte le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Gesù Cristo, il quale opera per Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore»

1Cor 1,26-31

Cristo fatto carne

19 – Cristo si è fatto carne nella nostra carne. […] Egli ha iniziato quest’opera buona che sono io, che siamo noi, per portarla a compimento.

35-36 – Nonostante il peccato, la positività dell’Essere trionferà. Cristo, Dio fatto uomo, è questo trionfo. Cristo, Verbo fatto carne nella nostra carne.

Egli è la verità della vita. Cristo si è fatto carne; il Verbo si è fatto carne nella nostra carne: Perciò si è fatto parte della nostra concezione, si è fatto carne nel nostro modo di concepire, nel nostro modo di lavorare, nella vita come vocazione, nel matrimonio, nel rapporto tra uomo e donna, nella morte, nella verità ultima, profonda e già presente – che la morte porterà definitivamente a galla -, della vita, nella vita vera: Egli è la verità della vita. Cristo si è fatto carne; il Verbo si è fatto carne nella nostra carne. Perciò facendosi carne investe la totalità della nostra umanità: concezione, lavoro, vocazione, matrimonio, morte, vita vera.

Non si può più pensarla come gli altri.

55 – Queste cose che stiamo dicendo possono sembrare astratte, non pertinenti alla vita quotidiana; mentre è proprio nella carne della vita quotidiana che tutto questo, cioè Cristo, diventa carne nostra, coscienza nostra, cuore nostro, generosità nostra, iniziativa nostra.

145 – «L’unico rapporto etico che si può avere con la grandezza» cioè col Mistero, col destino, e perciò con Cristo, il destino fatto carne, «è la contemporaneità»

Kierkegaard

Dio fatto carne

86 – Siamo parte di un avvenimento reale, così come è reale il convogliarci in unità di questa sera, un avvenimento che è iniziato nel nascondimento, nel segreto del seno di una giovane donna, in cui Dio si è fatto carne.

Noi portiamo nel nostro cuore, nella nostra intelligenza e nel nostro affetto, in qualsiasi proporzione o modalità, questa eredità per il mondo intero, per la storia intera.

123-124 – Questo è l’annuncio che da duemila anni penetra il tempo e lo spazio del cuore dell’uomo, della mente dell’uomo, della cultura umana: Dio si è fatto carne.

«Dio tra noi» è la grandezza suprema della storia. Non esiste, n ella storia, una realtà più grande di questo uomo.

126-125 – I loro (degli apostoli) occhi l’hanno visto, il loro pensiero fu investito dalla tenerezza di quella Presenza: Dio è diventato carne e perciò la grandezza suprema della storia è questa Presenza.

È la cosa più grande che si possa concepire: Iddio tra noi. […] è tra noi come salvatore.

149 – (Gli apostoli) lo scoprono definitivamente nella sua identità: è il Signore del tempo e dello spazio, cioè il Verbo di Dio fatto carne, fatto uno di noi, e aderiscono a Lui senza più ondeggiamenti, dopo il turbamento e la prova inquietante della croce.

185-186 – La verità infatti è solo quella che incide sulla vita e sulla storia: Dio si è fatto carne.

194 – Sotto le stelle, sulla terra, nel mare, nei tempi e negli spazi tutti, non c’è niente di più grande di quella donna, di quell’essere piccolo e ignorato, di quella quindicenne da cui il Signore è nato, in cui Dio è diventato carne per la nostra salvezza.

203 – Non c’è una dialettica che mi può unire a Cristo, al Dio fatto carne, che «spunta dalla terra», è un avvenimento, è un fatto, è qualcosa che accade.

Chiesa

23-24 – Tant’è vero che il luogo dove Cristo è presente dentro la storia, nella sua realtà piena, la Chiesa, Corpo suo misterioso, la prima parola che ci fa pronunciare davanti alla coscienza della Trinità è: «Confesso», «Sono peccatore».

49 – La forma del suo essere qui è la nostra compagnia; in essa diventa viva, non è più in «frigorifero», la grande verità del Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa.

60 – L’unica cosa per cui siamo chiamati a vivere è costruire la Sua casa: l’inizio della Sua casa è la nostra persona che gli dice «Tu», è la mia umanità che -tremando- gli dice «Tu», e l’amicizia e la compagnia di coloro che condividono questo «Tu», e la famiglia che creano, sono per quello, nel Tuo nome. È la grande compagnia del movimento, parte esigua, ma vera e autentica della grande Sua Chiesa, tempio della Sua gloria.

62-63 – Adesso, stiamo seduti, cantiamo insieme, aspettando l’arrivo del cardinal Pironio, capo del Consilium pro laicis, che ha riconosciuto ufficialmente, come valore per la Chiesa tutta, la Fraternità di Comunione e Liberazione…. dobbiamo quindi a lui se la sicurezza del nostro cammino è piena di tranquillità e di speranza, perché solo ciò che la Chiesa riconosce ci lascia tranquilli: non abbiamo fiducia nei nostri pensieri, abbiamo fiducia nel grande pensiero del mistero di Cristo che è la Chiesa.

92 – L’opera di Dio nel mondo, visibilmente, è la nostra unità, dentro la più grande unità della Chiesa, che vive e sussiste però nella nostra unità, altrimenti sarebbe un messaggio estraneo, fuori dalla nostra porta.

119 – «Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere»

Gb 41,1-6

Dove ti vedono? Nel Mistero che diventa Chiesa, nel Mistero che diventa amicizia tra di noi.

151-153 – Questa realtà integralmente umana – fatta di uomini e di tutto ciò che agli uomini interessa -, che Cristo ha creato per proseguire il metodo scelto dal Padre, si chiama Chiesa.

La Chiesa è una grande compagnia di uomini, precisa nei suoi confini.

E come Cristo precisa i confini della sua compagnia?

[…] Vi siete immedesimati in Cristo. Egli vi ha presi e assimilati alla sua personalità divina. Non solo il tempo e lo spazio non sono un limite per Lui, ma il nostro essere non è un limite per Lui.

«Non c’è più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna[…] siete una persona sola»

155-156 – I criteri vanno assunti da altro non da noi stessi e l’altro non può essere immaginato: l’altro, che è sorgente di criterio, è fissato dal grande Altro che è in esso, da Cristo risorto che domina sul tempo attraverso la sua presenza totale nella Chiesa.

L’obbedienza è dunque alla compagnia oggetto dell’incontro, perché la Chiesa diventa anche essa una cosa astratta se non si identifica con qualcosa che mi stringe ai fianchi, se non si identifica con qualcosa di presente alla mia vita, se non diventa esperienza mia.

Perciò, la grande compagnia della Chiesa, analogicamente, ripete il suo valore e la sua nobiltà di strumento di Cristo nella compagnia in cui ci troviamo, nella compagnia che ce la fa conoscere, nella compagnia che ce la fa capire.

156 – Anche la Chiesa nella sua totalità è interpretabile – come hanno fatto alcuni teologi del post-concilio -, può essere oggetto di interpretazione nostra. Non è oggetto di interpretazione nostra, la Chiesa, quando diventa compagnia presente: allora ci scontriamo muso a muso con essa.

La persona obbedisce quindi alla compagnia e all’autorità, in quanto propongono questa regola, non certo in quanto propongono un particolare tornaconto o un particolare punto di vista della persona stessa dell’autorità.

Non è il tornaconto di te, che sei autorità di un gruppo, il punto di riferimento per il gruppo.

L’obbedienza quindi è a ciò che viene tramandato, spiegato, reso esempio nella propria vita; l’obbedienza è a ciò che sale dai secoli di vita della Chiesa, fin dal fiato di Cristo, dentro la compagnia presente.

È il fiato di Cristo, infatti, come parola e come affettività del cuore, che attraverso tutta la storia della Chiesa, attraverso la Chiesa, giunge alla mia persona dentro la comunità, dentro la compagnia che incontro.

158 – La Chiesa, alla società civile, chiede solo quella pace che le permetta la libertà di esistere e di comunicarsi.

169 – Almeno confusamente, la domanda esistenziale e religiosa dell’uomo cerca Cristo. È della struttura stessa del suo essere che ogni uomo cerchi Cristo, il Mistero, il Destino che parla dentro un uomo, che si prolunga nella storia dentro una umanità, che ha la forma di una compagnia, la Chiesa.

E la Chiesa si stringe attorno a ognuno e diventa compagnia che l’uomo può incontrare.

La compagnia che si incontra: questa diventa la questione fondamentale.

220 – È nella Chiesa e per mezzo della Chiesa che Cristo agisce e vuole salvare l’umanità. È così che Egli opera in ciascuno di noi. Con il battesimo amministrato dalla Chiesa, gli occhi degli uomini si schiudono, viene rimosso “il velo che copre loro la faccia” (Is 25,7) ed ha inizio una vita nuova.

223-225 – Non possiamo dimenticare queste due valenze, questi due poli del rapporto di incontro che, nell’avvenimento da Dio creato, avviene tra me e Lui, tra noi e Lui: da una parte, un popolo in cui ci fa entrare, il grande popolo del corpo misterioso della Chiesa, il grande popolo di Dio, l’erede del suo popolo prediletto, e, dall’altra parte, questa puntualizzazione, questa originalità, questa particolarità, la particolarità e l’originalità di un carisma, di una certa modalità, di una certa forma.

Non dimentichiamolo: popolo e carisma.

224 – Noi viviamo il popolo intero del corpo di Cristo, il popolo intero della Chiesa, tanto più quanto siamo fedeli al nostro carisma, alla nostra – per così dire – personalità, alla fisionomia personale che Dio ha dato a noi, o, meglio, in cui Dio ci ha chiamati.

La fede è una obbedienza di cuore alla forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati.

225 – Come mai, noi, che non siamo migliori degli altri, noi che siamo disprezzabili, siamo cooptati, abbracciati e portati come bambini ignari da braccia paterne e materne dentro il grande corpo di Cristo che è la Chiesa? Perché siamo stati scelti, siamo stati eletti.

229 – (La Fraternità) è un ordine in cui la supremazia del Padre, la magisterialità di Cristo, la signoria di Cristo hanno un segno; senza questo segno on ci sarebbe compagnia tra noi, non ci sarebbe mistero della Chiesa, non ci sarebbe il popolo nuovo che sta camminando nel mondo, per il bene del mondo; senza autorità non ci sarebbe la novità che Cristo ci ha chiamati a vivere insieme.

232 – Ha avuto questo disegno affinché la nostra compagnia, intesa nei suoi confini totali (la Chiesa di Dio) o nei piccoli confini della compagnia quotidiana – dell’amicizia quotidiana, della famiglia rinnovata da questi valori e da queste parole, da questo annuncio divino -, nei suoi confini estremi o nel suo particolare quotidiano, con tutta la responsabilità di cui è capace, agendo influisca sul mondo.

245 – Lo dice anche la liturgia nella Messa, dopo il Padre nostro, quando chiede per la Chiesa «unità e pace secondo la tua volontà». Perfino l’unità e la pace della Chiesa è domandata «secondo la sua volontà». Veramente davanti a Dio non si può essere che bambini piccoli nelle braccia della madre e del padre.

247-249 – In una pagina del suo libro Gli Ariani del IV secolo, il card. Newman dimostra che un uomo afferrato da Cristo, e perciò posseduto dalla vita della Chiesa, in tutta la sua vita, le ragioni, i motivi e le immagini per quello che deve fare, in tutti i campi, anche quello politico, li deve trarre da lì.

Altrimenti si introduce un’altra sorgente, si divide, ed è una divisione atroce, perché è una divisione che non si ricompone più.

«Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito. Può essere un partito trionfante, o perseguitato, ma deve avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano […]. I cristiani non osservano il proprio dovere, o divengono politici in senso offensivo […] non quando si comportano come partito, ma quando si dividono in molti partiti. […] Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove. È vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, alle corti dei re o tra le varie moltitudini»

J.H. Newman – Gli Ariani del IV secolo

248 – Un carisma è l’energia con cui lo Spirito di Cristo crea un movimento dentro la Chiesa. Perciò il movimento è il frutto diretto del carisma.

249 – L’autorità del carisma, per essere molto semplici, è quella che la Chiesa riconosce. La Chiesa riconosce la responsabilità di un carisma.

L’autorevolezza è quella che sollecita ed edifica. L’autorità assicura la strada giusta; l’autorità in quanto riconosciuta dalla Chiesa.

Coerenza

131-132 -È una grazia essere salvati. La coerenza non è una costruzione di forza di volontà umana, la coerenza è il miracolo compiuto dal Mistero in noi.

132 – Ogni coerenza è grazia; ogni coerenza è la forza di Cristo che investe la nostra debolezza e crea unità, ricrea l’unità in noi.

136 – «Ma chi lo può capire se non colui ai cui occhi, alle cui orecchie si leva il gemito? […] Se il tuo desiderio è davanti a lui», al Destino, «il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà», la tua coerenza avverrà. «Il tuo desiderio è la tua preghiera: se continuo è il tuo desiderio, continua è pure la tua preghiera

Sant’Agostino, «sul salmo 86», in Esposizioni sui Salmi

214-216 – Non basta la giustizia, non basta la buona volontà dell’uomo, la coerenza. Chi è capace di essere coerente? Nessuno. La perfezione non è l’esito di una coerenza.

La coerenza non è una capacità dell’uomo, ma è una grazia dello Spirito.

215 – La coerenza è grazia, è il rinnovarsi della sorpresa dell'incontro con qualcosa che è più me di me, senza di cui io non sarei me stesso.

Allora che cosa dobbiamo fare? C’è una cosa semplice, che è l’arma del bambino […]: è la domanda chela grazia ci renda coerenti. La domanda è il limite ultimo, il confine misterioso della nostra libertà.

La domanda è domanda se veramente si desidera che accada quello che si domanda.

216 – A che cosa tende, infatti, l’incontro provvidenziale che Dio ci ha fatto compiere, se non a farci desiderare – nella umiltà chiara e realistica della nostra debolezza, che non sarebbe capace di alcuna coerenza, perché mai il nostro gesto compirebbe la realtà secondo la totalità dei fattori di cui è costituita, mai sarebbe completo – Dio continuamente.

Compagnia

34 – Questo fatto (la resurrezione) ha avuto luogo! E ha anche un segno – si può toccare, superficialmente, come la pelle, come un segno carico di una densità insondabile -: è la nostra compagnia.

47-49 – È qui dove? Questo amici miei, lo sappiamo, è il valore misterioso della nostra compagnia. Questo siamo noi: un popolo che grida a Dio e che per questo è salvato.

«Non si è cristiani perché si è giunti ad un certo livello morale, intellettuale, magari spirituale. Si è cristiani perché si “appartiene” a una certa razza ascendente» – cioè tesa al destino -, «ad una certa razza spirituale e carnale», fatta carne, «temporale ed eterna, ad un certo sangue.» C’è sangue tra di noi: è il sangue di Cristo.

Ch. Péguy

49 – La forma del Suo essere qui è la nostra compagnia.

La compagnia è una caparra; la nostra compagnia di te e di me che non conosciamo neanche, è una caparra, che vuol dire già possesso reale e definitivo: la nostra compagnia è già possesso reale e definitivo di quello che ci aspetta alla fine.

55-57 – Il metodo per noi è questo: far sentire sempre più una persona immersa in un avvenimento la cui forma è quella di una compagnia, un avvenimento che diventi stupore, riconoscimento continuo, “riaffezione”, attaccamento, adesione.

56 – Chiunque sa dire questo «Tu», chiunque giunge a dire questo «Tu», «si purifica come egli è puro».

E, per accettare la compagnia in cui sei, non puoi non dire questo «Tu», altrimenti come fai ad accettarla?

57 – Nella compagnia fedelmente accettata, nella compagnia così oggettiva come quella in cui sei, tu nutri una speranza che «ti purifica come Egli è puro».

Occorre il tempo: la consegna totale è totale, la consegna di sé a Cristo, o alla compagnia come Suo corpo provvisoriamente vicino a noi, è totale, ma non è mai definitiva, cioè non è ancora compiuta.

60 – L’unica cosa per cui siamo chiamati a vivere è costruire la Sua casa: l’inizio della Sua casa è la nostra persona che gli dice «Tu», è la mia umanità che -tremando- gli dice «Tu», e l’amicizia e la compagnia di coloro che condividono questo «Tu», e la famiglia che creano, sono per quello, nel Tuo nome. È la grande compagnia del movimento, parte esigua, ma vera e autentica della grande Sua Chiesa, tempio della Sua gloria.

68 – La liberazione dal peccato costruisce il futuro, rende l’azione che compio adesso creatrice di futuro, piena di rapporto con il futuro: con l’azione che compio ora, costruisco il rapporto con te, cioè l’azione che compio ora, è sorgente di popolo, sia che esso si esprima come amicizia, come famiglia, come compagnia, o come popolo nel senso letterale del termine.

86 – Per che cosa ci siamo ritrovati o per che cosa siamo venuti e siamo presente come una cosa sola? Perché di questa compagnia presente ciò che veramente importa è qualcosa che ci è inesorabilmente comune.

Anche coloro che non ho mai visti hanno in comune con me la vita come compito da realizzare, da svolgere: un compito assegnato.

91-93 – Egli si è reso visibile lungo tutto il corso della storia nella compagnia di coloro che, chiamati da Lui, si mettono insieme, si riconoscono insieme proprio per Lui. La nostra compagnia: nella nostra compagnia Egli diventa visibile.

92 – Siamo peccatori. Infatti, all’inizio del suo gesto più rilevante, la grande compagnia della Chiesa, la nostra grande compagnia nella sua totalità, come ci fa incominciare? «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»: ci fa affermare il Mistero, Dio come Mistero, Dio irriducibile a una nostra immagine, a una nostra definizione. Ma subito dopo ci fa dire: per accostarci al Mistero ricordiamo quanto siamo peccatori.

119 – Dove ti vedono? Nel Mistero che diventa compagnia in Suo nome, nel Mistero che diventa chiesa, nel Mistero che diventa amicizia tra di noi.

126 – Egli è tra noi nel mistero dell’Eucarestia, nel Mistero della nostra compagnia e della Chiesa.

151-156 – Questa realtà integralmente umana – fatta di uomini e di tutto ciò che agli uomini interessa -, che Cristo ha creato per proseguire il metodo scelto dal Padre, si chiama Chiesa: una piccola (duemila anni fa) o grande (oggi) compagnia di uomini – non di uomini che scelgono loro di entrarvi, ma di uomini chiamati -.

La Chiesa è una grande compagnia di uomini precisa nei suoi confini. Cosa vuol dire «precisa nei suoi confini?» Questa grande compagnia di uomini, che Cristo si è scelta per compiere l’opera che testimonia il divino, cioè Lui, presente nel mondo, questa compagnia di uomini, piccola o grande che sia, è precisa nei suoi confini nel senso che è Cristo stesso che la convoca, che prende gli uomini che il Padre gli ha dato nelle mani.

153 – Il Mistero, il destino si comunica all’uomo attraverso una carne, attraverso una realtà di tempo e di spazio.

Lo ripeto perché è come se volessi farvelo imparare a memoria: il Mistero, il destino si comunica all’uomo attraverso una carne, attraverso una realtà di tempo e di spazio secondo una modalità fisica, delle persone e delle cose, secondo le circostanze precise, che delle circostanze naturali mantengono la fragilità e l’apparente futilità: eppure lì dentro c’è Cristo. Questo è la nostra compagnia.

L’obiezione a questo miracolo, al miracolo che la nostra compagnia è, nell’incoscienza stessa nostra, sono i difetti e gli errori che si trovano nell’aspetto umano dello strumento con cui Cristo si identifica per la sua proposta al mondo: perché si identifica con noi per la sua proposta al mondo.

154 – L’obbedienza evita che il singolo introduca come ultimo criterio interpretativo del divino, cioè del senso delle cose, la propria intelligenza, la propria fantasia, il proprio stato d’animo, la propria voglia, il proprio tornaconto, invece che la coscienza della grande Presenza, che è dentro la pur fragile, ma insostituibile nostra compagnia.

155 – L’obbedienza pone il criterio ultimo del rapporto con la realtà di tutti i giorni fuori di noi, in un Altro. I criteri vanno assunti da qualcosa d’altro, non da noi stessi. Questo qualcosa d’altro si documenta visibilmente nella compagnia, diventa la dimensione nuova della coscienza.

L’obbedienza è quindi alla compagnia oggetto dell’incontro, perché la Chiesa diventa anche essa una cosa astratta se non si identifica con qualcosa che mi stringe ai fianchi, se non si identifica con qualcosa di presente alla mia vita, se non diventa esperienza mia.

Perciò, la grande compagnia della Chiesa, analogicamente, ripete il suo valore e la sua nobiltà di strumento di Cristo nella compagnia in cui la troviamo, nella compagnia che ce la fa conoscere, nella compagnia che ce la fa capire.

L’obbedienza è dunque a questa compagnia oggetto dell’incontro, altrimenti non è obbedienza se non a una nostra interpretazione.

156 – Non è oggetto di interpretazione nostra, la Chiesa, quando diventa compagnia presente: allora ci scontriamo muso a muso con essa.

Ancora più precisamente, l’obbedienza è alla compagnia presente e a chi la esprime nella nella sua coscienza ideale, cioè la sua autorità.

L’autorevolezza nella compagnia, l’autorità nella compagnia è data da chi la esprime nella sua coscienza ideale.

Il contenuto della coscienza dell’autorità, il contenuto della coscienza di chi guida la compagnia, o di chi rappresenta la compagnia, o di colui guardando il quale si trova la nobiltà della compagnia vissuta, di chi ci si accorge che vive veramente quello che dice, è il paragone ultimo, la sorgente dell’ultimo criterio, tanto che si chiama «regola».

Il contenuto della coscienza dell’autorità si chiama regola.

La persona obbedisce dunque alla compagnia e all’autorità, in quanto propongono questa regola, non certo in quanto propongono un tornaconto o un particolare punto di vista della persona stessa dell’autorità.

L’obbedienza è a ciò che sale dai secoli di vita della Chiesa, fin dal fiato di Cristo dentro la compagnia presente.

È il fiato di Cristo, infatti, come parola e come affettività del cuore, che attraverso tutta la storia della Chiesa, attraverso la Chiesa, giunge alla mia persona dentro la comunità, dentro la compagnia che incontro.

L’alternativa all’obbedienza è la propria istintività, la propria reattività, il proprio parere.

163 – Bisogna che questa memoria sia resa continua e questo è il prezioso contributo della compagnia che non ti permette di stare troppo tempo senza questa memoria.

166 – Che spettacolo! Questa comunione tra noi, quest’amicizia tra noi, questa compagnia, è «il luogo ove tutto è complice», dove tutto converge al tuo bene. In questo luogo niente è contro di noi, neanche noi stessi.

La compagnia è il luogo del perdono; in questo luogo niente è contro di noi, neanche noi stessi, è «il solo luogo ove tutto è complice», dove tutto è positività, diventa positivo per te.

Per questo ieri ho detto che uno degli ostacoli a capire Cristo risorto è la trascuratezza del proprio io.

169 – È della struttura stessa del suo essere che ogni uomo cerchi Cristo, il Mistero, il Destino che parla dentro un uomo, che si prolunga nella storia dentro una umanità, che ha la forma di una compagnia, la Chiesa.

La compagnia si incontra: questo diventa questione fondamentale.

171 – Lettera: «Appartenere a Lui attraverso chi ha avuto la grazia di capire molto prima di me come è difficile diventare piccoli discepoli coscienti di aver bisogno di un maestro» – qui maestro non è maiuscolo: è la compagnia autorevole – «e cercare di pronunciare con rispetto e affetto quelle parole, quei pensieri sorti da una esperienza. Dico queste cose adesso, dopo avere capito la vostra grande intuizione di Cristo presente qui e ora nella concretezza di una amicizia di fede».

192 – Da una parte, allora, l’amicizia tra noi, la compagnia tra noi è già una cosa divina: non esiste dono più grande, da questo dono dipendono tutti gli altri doni; dall’altra parte, anche tra noi è facile vivere una superficialità che lascia in ultima analisi, all’ultimo limite del rapporto, l’altro solo, estraneo, se questi dice veramente: «Gesù, sei Dio, il Salvatore mio e di tutti».

218 – Non c’è possibilità di parlare del rapporto tra l’uomo e Dio, cristianamente, senza che l’individuo sia visto, colto, dentro una compagnia. L’impresa grande che è il disegno di Dio nel mondo avviene attraverso una compagnia.

221 – L’avvenimento cristiano fa di me l’articolazione di un popolo più grande, di una compagnia grande, del corpo mistico, misterioso di Cristo, come lo definisce san Paolo con una immagine organica vivissima: «corpo misterioso di Cristo».

224 – In questa compagnia, nella grande compagnia del popolo di Dio, in questa grande compagnia in cui ci ha immessi col suo avvenimento, ricordiamoci, non ci sono i migliori tra gli uomini.

228-232 – Questa Fraternità, in cui Egli ci ha scelti, questa compagnia, questo Suo corpo misterioso, in cui ci ha fatto penetrare con libertà assoluta Sua, per pura misericordia Sua, non è un amalgama omogeneo, nel senso “democratico” del termine, dove ognuno, in fondo, ha il valore che pretende.

229 – Senza questo segno non ci sarebbe compagnia tra di noi, non ci sarebbe mistero della Chiesa, non ci sarebbe il popolo nuovo che sta camminando nel mondo, per il bene del mondo: senza autorità non ci sarebbe ,a novità che Cristo ci ha chiamati a vivere insieme.

Ma la nostra compagnia – ed è esperienza grande e ricca – ili Signore non la anima solo con la presenza dell’autorità, che custodisce la strada esatta per cui il popolo tutto deve passare, per cui la nostra anima deve lavorare; la nostra compagnia è carica di ricchezza, ognuno di noi, se guardato con gli occhi della fede, ha una autorevolezza sull’altro data da una capacità di esempio, di pazienza, di affezione, di perdono, da una capacità di parola buona, da una saggezza, da una capacità di discrezione.

230 – Così anche se tuo madre e tuo padre ti abbandonasse, questa compagnia non ti abbandonerà.

231 – Mirabile figura della autorevolezza che la compagnia tra noi, dignitosamente vissuta, veramente possiede: «un corpo ben compaginato».

Nulla, neanche una briciola della nostra compagnia cade per terra inutilmente, non c’è nessuno che sia inutile ai nostri occhi, tutti lo riconosciamo.

Per questo il Signore ha creato il suo disegno, quel disegno che parte dalla sua venuta nel mondo […]: converte a sé l’uomo che Lo guarda, che Lo fissa ogni giorno, per sapere che cosa fare.

Egli parte da qui per creare una compagnia vasta, grande, corpo misterioso di Cristo, per cui ognuno di noi è legato all’altro, non può concepirsi separato, solo: nessuno di noi può concepirsi solo.

232 – Il Padre ha avuto questo mirabile disegno perché, attraverso l’impegno della responsabilità di ognuno di noi, perciò attraverso l’impegno della faccia che ognuno di noi ha, delle capacità che ognuno di noi ha – come diceva la lettera agli Efesini 7,1-16 -, Perché attraverso questo popolo si cambi l mondo secondo la Sua volontà.

Ha avuto questo disegno affinché la nostra compagnia, intesa nei suoi confini totali (la Chiesa di Dio) o nei piccoli confini della compagnia quotidiana – dell’amicizia quotidiana, della famiglia rinnovata da questi valori e da queste parole, da questo annuncio divino -, nei suoi confini estremi o nel suo particolare quotidiano, con tutta la responsabilità di cui è capace, agendo, influisca sul mondo.

235 – Ogni mattina di che cosa ci interessiamo innanzitutto, se non di ricominciare a costruire in nome di «Colui che è tra noi», in nome della nostra Fraternità, della nostra compagnia, in nome della novità del cuore che è fatto risorgere in noi?

Ma se si ha coscienza di Colui che è tra noi e se si ha coscienza della nostra compagnia e se si ha coscienza della missione che abbiamo per il mondo, allora diventa vero: non è la fatica che ci spaventa – come la madre quando il bambino piange e la sveglia di notte -, ma la fede che ci entusiasma.

Entusiasmo è una parola che significa in qualche modo rendere tutto divino.

240-241 – La chiave di volta sta nel fatto che ciò che ci ha colpito una volta è che il signore è diventato presente in un certo modo: attraverso una voce, attraverso una persona, attraverso una compagnia, attraverso un fatto.

compagnia nuova

51 – Fra tutta la gente che c’è nel mondo – quanta gente conosciamo, sola in mezzo a una folla – noi comprendiamo che Egli si è gettato alle spalle tutti i nostri peccati; per cui, se ci troviamo con altri che hanno capito questo, che sono stati chiamati a questo, si forma una compagnia che è un popolo nuovo, l’inizio di un popolo nuovo.

164-166 – Il soggetto da cui nasce un popolo è creatore di una compagnia umana nuova, stabilisce, fa sorgere attorno a sé, «nel paese dove sta», un’amicizia nuova, un’amicizia vera, cioè, un’amicizia per cui la compagnia diventa guida al destino e l’amore, la passione per il destino l’un dell’altro, trascina tutto, decide tutto, pardon, tende a decidere di tutto, tende a trascinare tutto.

165 – L’amore al destino dell’altro, la carità, è la legge di quella compagnia guidata al destino, di quell’amicizia unica, vera, che si chiama, con termine soltanto cristiano, soltanto cattolico, «comunione».

166 – La compagnia è il luogo del perdono; in questo luogo niente è contro di noi, neanche noi stessi, è «il solo luogo ove tutto è complice», dove tutto è positività, diventa positivo per te.

207-208 – È questo il concetto di memoria. Faccio un incontro adesso – prima non ci pensavo assolutamente, non pensavo assolutamente a niente -, faccio un incontro con il mio compagno di lavoro, con un gruppo di gente, con una compagnia che è diversa, ed è diversa perché corrisponde di più al mio cuore, e mi dicono: «Noi siamo nati da Lui, che è venuto, che è nato dalla Madonna duemila anni fa».

Qualcosa di presente trova dunque la sua spiegazione, la sua motivazione, in qualcosa che è passato, così che il passato è l’inizio di una memoria che si rende sperimentabile nel presente.

208 – Un avvenimento presente, che pretende un significato definitivo per la tua vita – perché quello a cui ti chiamano è una compagnia definitiva per la tua vita, totalizzante, una appartenenza profonda e totale – sii può spiegare solo per un avvenimento del passato in cui tale pretesa inizia e al quale si arriva per una memoria che, nata ora, si compie nel contenuto di allora.

Compito

86-87 – Anche le persone che non ho mai viste […] hanno in comune con me la vita come un compito da realizzare, da svolgere; un compito non indiziato o voluto da me e da loro, un compito comune, identico, per me e per l’ultimo, il più lontano geograficamente, tra voi: un compito assegnato.

87 – Quello che c’è di comune è che di questo compito vogliamo sapere, desideriamo sapere, esigiamo con tutto il cuore di sapere il «perché»; E vogliamo sapere dove tutta la nostra vitalità, tutta la nostra espressività, tutta la nostra dedizione, tutto il nostro vivere vada a finire, quale sia lo scopo del vivere, con la fatica da portare, le contraddizioni da subire, la vergogna di sé da sopportare.

Comunione

11 – (Introduzione agli esercizi del 1991 – Redemptoris missio)Non è un convegno nel senso normale del termine , non è un riunione, non è un congresso quello che iniziamo in questo momento[…]. È il gesto della memoria, quasi come una comunione vissuta, come il sacramento della comunione dilatato.

51 – «Egli è qui», nella nostra compagnia. Tutte le contrapposizioni che ci sono tra noi non sono nulla di fronte alla profonda convinzione – alla profonda comunione – di essere uomini della medesima razza.

55 – I primi cristiani della Palestina avevano «un sol cuore e un’anima sola», perché avevano i medesimi desideri: e questa è la nostra comunione.

178 – Io voglio ringraziare con tutto il cuore il coro e chi lo dirige, perché rappresenta nella nostra comunione il punto espressivamente più alto della nostra intelligenza e della nostra emozione.

219-220 – Il Papa ha descritto in modo magistrale, mirabile, questo passaggio dall’avvenimento in cui il Signore diventa incontro personale, in cui l’appartenenza della nostra persona a Lui viene affermata in modo irriducibile – così che ne sgorga il fiume della nostra moralità -, alla comunione.

220 – «Il battesimo crea quindi una nuova comunione e, come afferma il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, “costituisce il vincolo sacramentale dell’unità, che vige fra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati”. Il battesimo è per il cristiano l’inizio della incorporazione a Cristo; è, al contempo, l’avvio della nuova vita secondo lo Spirito, donato a tutti i battezzati».

koinonìa

165-166 – L’amore al destino dell’altro, la carità, è la legge di quella compagnia guidata al destino, di quell’amicizia unica, vera, che si chiama, con termine soltanto cristiano, soltanto cattolico, «comunione», koinonìa.

Correzione

213 – È attraverso la carità che il cambiamento in noi diventa correzione della vita, cioè conversione.

230 – Il Signore ci ha chiamati, ed è proprio attraverso la meraviglia delle vostre capacità, della vostra bontà, secondo tutta la flessione di questa parola, che io sarò corretto, sorretto.

Non più vergogna, ma correzione, mano che sorregge, cuore che sorregge, familiarità che sorregge, molto più che quella di un padre e di una madre. Così che anche se tua madre e tuo padre ti abbandonasse, questa compagnia non ti abbandonerà.

Cultura

123-124 – «E il Verbo si è fatto carne.» Questa è la prima cosa orribile per l’umana ragione, o meglio, per quello sviluppo dell’umana ragione che si chiama cultura dominante, in qualsiasi epoca. Bestemmia per i giudei, assurdo per tutte le filosofie; scandalo per l’autentico religioso, assurdo per l’autentico filosofo.

Questo è l’annuncio che da duemila anni penetra il tempo e lo spazio del cuore dell’uomo, della mente dell’uomo, della cultura umana: Dio si è fatto carne.

130-131 – Sono esattamente queste le cose insopportabili alla cultura razionalista moderna, alla cultura umana che domina e determina il mondo oggi.

131 – Ad ogni potente questo ripugna, e il potente crea una scuola di pensiero, alimenta una cultura in cui questo sia sentito come assurdo: «Non è possibile».

Il Destino è tra noi, e noi siamo così travolti dalla cultura dominante, dai modi comuni di vivere, di pensare, di sentire, di fare, che non ci pensiamo mai: perfino quando preghiamo e non ci pensiamo.

Questa presenza grande bella e buona, questo uomo così buono che è morto e risorto per noi, è salvatore della nostra vita: è il Salvatore.

Anche questo è insopportabile per la ragione moderna, per la cultura umana in genere, in tutti i tempi ma soprattutto oggi.

cultura nuova

159-160 – Questo soggetto nuovo, che crea un popolo nuovo, una realtà sociale nuova, […] svolge una cultura nuova, in modo di pensare totalmente e profondamente diverso, nei gangli della vicenda, nei punti centrali, nei nodi della questione dell’essere, della vita e del destino.

È una cultura profondamente opposta, diversa e opposta a quella che domina il mondo.

È una cultura nuova, diversa da quella del mondo.

La parola «cultura» investe la totalità della persona, dentro e fuori; non è identificabile con un ragionamento o con un discorso astratto.

Cuore

49-50 – Il senso religioso di cui il nostro cuore è fatto è la prima alleanza, il primo rapporto irriducibile tra noi e il Mistero.

50 – Questa alleanza con Dio che c’è tra di noi è l’oggettivarsi, è come l’incarnarsi del senso religioso, di cui il cuore è fatto.

55-56 – «Chi ha deciso di vivere in Cristo deve stare attaccato a quel cuore e a quel capo, poiché non da altro ci viene la vita; ma ciò non è possibile senza volere le medesime cose che vuole il Cristo. È necessario, dunque, per quanto possibile all’uomo, esercitare la propria volontà nell’affezione a Cristo e disporsi ad avere gli stessi desideri e godere con lui delle stesse gioie.»

N. Cabasillas, La vita in Cristo

Queste cose che stiamo dicendo possono sembrare astratte, non pertinenti alla vita quotidiana; mentre è proprio nella carne della vita quotidiana che tutto questo, cioè Cristo, diventa carne nostra, coscienza nostra, cuore nostro, generosità nostra, iniziativa nostra.

56 – Il senso religioso, l’esigenza di felicità che è nel tuo cuore, che è il tuo cuore, che è la natura tua, la natura che ti ha dato tua madre, solo se termina in questo «Tu» si precisa.

86-89 – Siamo parte di un avvenimento reale […] in cui Dio si è reso carne. Noi portiamo nel nostro cuore, nella nostra intelligenza e nel nostro affetto, in qualsiasi proporzione o modalità, questa eredità per il mondo intero, per la storia intera. Un questo istante della storia, questa eredità coincide con la nostra mente, col nostro cuore, con la nostra carne, con la nostra compagnia, con la nostra amicizia. Niente lo può rendere più chiaro che recitare l’Angelus. Ma pesiamo le parole a cui il nostro cuore si deve legare.

Ognuno di noi ha una sua personalità, una sua faccia, un suo cuore, un suo temperamento, un suo carattere, e relativamente in pochi ci si conosce in questi dettagli; ma […] anche coloro che non ho mai visti hanno in comune con me la vita come un compito da realizzare, da svolgere.

87 – Quello che c’è di comune è che di questo compito vogliamo sapere, desideriamo sapere, esigiamo con tutto il cuore di sapere il «perché.

E ci siamo ritrovati tutti insieme perché non c’è niente di più di questo, normalmente, che possa aiutare le emozioni del cuore o la vivezza della percezione della nostra mente, che possa influire come un urto tenero e materno, o fraterno, o amicale, sulla nostra volontà, che altrimenti di impigrerebbe troppo.

88 – Che almeno per un giorno e mezzo durante tutto un anno noi – grandi, non bambini – sappiamo scoprire o lasciarci affondare dentro questa cosa che è il silenzio, dove pensiero e cuore, percezione di ciò che ci circonda e perciò abbraccio fraterno, amichevole con le persone e con le cose, dove tutto ciò che si attua in questa compagnia si esalta.

Il silenzio non è il non parlare, il silenzio è essere riempiti nel cuore e nella mente dalle cose più importanti, quelle a cui normalmente non pensiamo mai, pur essendo esse il segreto motore per cui facciamo tutto.

90-91 – Se si è data la vita per Dio lungo il passare dei giorni, allora appare o può apparire più buono anche quel momento, può essere più facile comprenderne il significato positivo e “definitivo” del grande desiderio che si chiama cuore.

101-103 – Vi leggo una brevissima poesia di Giacomo Leopardi, in cui questa parola fondamentale è detta secondo l’interpretazione che ne fornisce il cuore dell’uomo, che il cuore dell’uomo è tentato di dare.

102- È intitolata A se stesso:

«Or poserai per sempre, / stanco mio cor. Perì l'inganno estremo / [...] Perì. Ben sento, / In noi di cari inganni, / Non che la speme, il desiderio è spento [di cari inganni in noi non solo la speranza, ma il desiderio stesso è spento.] /Posa per sempre. Assai / Palpitasti. Non val cosa nessuna / I moti tuoi, né di sospiri è degna / La terra. Amaro e noia / La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. / T'acqueta ormai. Dispera / L'ultima volta. Al gener nostro il fato [destino] Non donò che il morire. Ormai [ecco il punto] disprezza / Te, la natura [Leopardi chiama «natura» il destino» il brutto / Poter che, ascoso [nascosto] a comun danno impera, / E l'infinita vanità del tutto.»

A questa immagine del destino l'uomo è costretto ad arrivare, se non attende e non intende la risposta che il destino stesso ha dato parlando di sé. 

103 - La vita è positiva, la realtà è positività, quello che il destino vuole dall'esistenza di tutti e di tutto è una positività, è una gioia: siamo fatti per la gioia. 
Il cuore non può udire, come corrispondente a sé, se non questa parola.
Può esserci, prima, un esercito di scoraggiamenti, di «ma», di «se», di «però» e di «no», di negazioni, ma nessuno può rinnegare completamente questa parola che esprime la natura del cuore: gioia, felicità.

123-125 – Questo è l’annuncio che da duemila anni penetra il tempo e lo spazio del cuore dell’uomo, della mente dell’uomo, della cultura umana: dio è diventato carne.

125 – Già c’era da milleottocento anni, quello che il giovane (Leopardi) intelligente e ardente sognava, quando, al termine della poesia (Alla sua donna) si rivolgeva all’immagine palpitante nel suo cuore e nella sua mente, alla Bellezza con la «B» maiuscola, con queste parole:

«Se dell'eterne idee / L'una sei tu, cui di sensibil forma / sdegni l'eterno senno esser vestita, / E fra caduche spoglie / Provar gli affanni di funerea vita [ se tu sei una delle perfette idee di Platone che vivono chissà dove, in qualche mondo superiore, nell'iperuranio, e sdegni di rivestirti di forme fisiche materiali, carnali, e provare gli affanni di una vita destinata a morire] / O s'altra terra né superni giri / Fra mondi innumerabili t'accoglie [O se tu vivi chissà dove, nel firmamento] / E più vaga del Sol prossima stella / T'irraggia, e più benigno etere spiri [in un ambiente che tu rendi luminoso e felice] / Di qua dove son gli anni infausti e brevi, / Questo d'ignoto amante inno ricevi.»

Come ignoto a lei? Ignoto a te, o poeta! Perché non solo il termine ultimo del tuo sogno è così reale da essere stato incontrato com un uomo sulle strade di questo mondo, non solo non ha sdegnato di vestire «l'eterno senno» di «sensibil forma», di «provar gli affanni di funerea vita», «fra caduche spoglie», ma, fattosi bambino, giovane, giovane uomo, ha sopportato la sua via crucis e la sua croce.

136-137 – «Chi desidera, anche se tace con la lingua, canta con il cuore; chi invece non desidera, anche se ferisce con le sue grida le orecchie degli uomini, è muto davanti a Dio. C’è un gemito segreto del cuore che non è avvertito da nessuno. Ma se il tormento di un desiderio afferra il cuore in modo che la sofferenza intima venga espressa e udita, allor ci si domanda quale ne sia la causa»

«Sul salmo 86», in Esposizioni sui Salmi.

137 – «Se il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce [la tua domanda]. Tacerai se smetterai di amare. Tacquero coloro di cui fu detto: ” Per il dilagare della iniquità, l’amore di molti si raffredderà” [Si è raffreddato il loro cuore]. La freddezza dell’amore è il silenzio del cuore»[La freddezza dell’amore è l’assenza di domanda, l’ardore dell’amore è il grido della domanda.]

Sant’Agostino, Commento sui Salmi

189-190 – Chi dice: « sì, sì, no, no» e: «Pane al pane e vino al vino» è il bambino. Occorre un cuore da bambini.

È il cuore da bambino che dobbiamo avere.

O Signore, aiutami a vivere questi giorni come un bambino, con il cuore da bambino, perché io abbia a penetrare di più la verità della realtà, ad annunciare il Vangelo della realtà, il senso della realtà che sei Tu.

190 – E poi il silenzio quando si è dentro l’aula, un silenzio che speriamo la musica rende più facile nella sua possibilità di commozione, che ci faccia guardare le immagini che ci verranno proposte con acume di cuore, dettato dalla disponibilità, segno di una disponibilità grande.

200-201 – «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi?» (Lc 24,32). Cioè, non sentivamo, senza dircelo, che c’era qualcosa di strano in quell’uomo? L’hanno capito dalla eccezionalità di una presenza, dall’esperienza di una presenza che corrispondeva alle esigenze profonde del loro cuore.

È ragionevole qualcosa quando corrisponde alle esigenze costitutive del cuore – le esigenze di verità, di bellezza, di bontà, di giustizia, di amore, di felicità, di compimento -.

201 – «Noi possiamo riconoscere solo ciò per cui si dà in noi una corrispondenza»

Ratzinger – Intervento di presentazione del nuovo catechismo

La diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente nella maggior corrispondenza, nell’impensabile e impensata corrispondenza di questa umanità, in cui ci imbattiamo, alle esigenze del cuore, alle esigenze cioè della ragione.

205-207 – Ecco la ragione della corrispondenza: quello che Gesù diceva corrispondeva al loro CUORE perché già il loro cuore apparteneva a lui, l’avevano già incontrato.

È un rapporto umano quello che abbiamo con Dio, quello che Dio ha stabilito con noi.

211-212 – Se si incontra qualcosa che fa impressione, che è diverso, che corrisponde di più al cuore e viene voglia di seguirlo, allora bisogna “pro-seguirlo”. Il metodo della morale cristiana è quello di seguire Dio che si è rivelato in un avvenimento, quel Dio cui apparteniamo, perché nell’avvenimento si capisce che gli apparteniamo.

212 – La vera ragione del disagi e delle differenze che ci sono è che gli adulti spesso sono persi in una analisi dei fatti che prescinde da una appartenenza. Il luogo da cui nasce questa analisi è il loro cervello, è il loro cuore, non l’appartenenza che li definisce.

Noi non siamo definiti dal nostro cervello e dal nostro cuore, ma siamo definiti da Colui cui apparteniamo, secondo la modalità con cui Egli ci ha consegnati a se stesso.

240 – La forma e il metodo indicano la grande occasione di un avvenimento in cui una corrispondenza della parola di Dio col nostro cuore ci viene rivelata. Perciò, forma e metodo sono la modalità con cui il Signore si dimostra presente come Presenza corrispondente al nostro cuore.

cuore nuovo

159-160 – Essendo coscienza critica e sistematica dell’esperienza, una cultura nuova sorge non tanto da un lavoro della mente, ma dall’incontro con una realtà umana che muove anche la mente, genera un cuore diverso e un comportamento diverso verso se stessi e verso le cose.

162 – Nonostante io mi senta così incoerente, così peccatore, Signore io ti sono fedele, sto nell’alleanza che tu hai stabilito con me […] allora la nostra mentalità, il nostro pensare umano e l’affettività del nostro cuore umano assumeranno una posizione diversa da tutto ciò che ci circonda, una posizione critica del mondo.

171 – Il Battesimo è una «ri-nascita», è un nuovo essere e, perché l’essere si esprime con l’intelligenza e col cuore, è una nuova intelligenza e un nuovo cuore – anche se permane quello vecchio e perciò mille volte al minuto si sbaglia.

235 – Ogni mattina, di che cosa ci interessiamo innanzitutto, se non di ricominciare a costruire in nome di «Colui che è tra noi», in nome della nostra Fraternità, della nostra compagnia, in nome della novità del cuore che è fatto risorgere in noi?


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