Temi di «Un avvenimento di vita nell’uomo»

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Lettera «D»


Desiderio/desiderare

136 – «C’è un gemito segreto del cuore che non è avvertito da alcuno. Ma se il tormento di un desiderio afferra il cuore in modo che la sofferenza intima venga espressa e udita, allora ci si domanda quale ne sia la causa.[…] Se il tuo desiderio è davanti a Lui, il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà

Sant’AgostinoEsposizione sui Salmi – Salmo 86

137 – «Ma v’è un’altra preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri Dio, non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce», la tua domanda.

Sant’Agostino, Commento sui Salmi, Salmo 37

215-216 – «Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato (che è il riposo in Dio), non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare».

Sant’Agostino, Commento sui salmi, Salmo 37

216 – Il tuo desiderio, amico, è la tua preghiera. Se continuo è il desiderio, continua è la preghiera. qualunque cosa tu faccia, se desideri il sabato della perfezione, allora ili tuo desiderio si avvererà.

«L’anima è colpita e ferita dalla disperazione di non ottenere mai quello che desidera. Ma questo velo di tristezza le viene tolto quando impara che il vero possesso di colui che essa ama sta nel non cessare mai di desiderarlo»

Gregorio di NissaOmelie sul Cantico dei Cantici

Non cessare mai di desiderarlo: questo è l’avvenimento del rapporto tra l’uomo e Cristo, un desiderio che non cessa mai.

L’incontro che abbiamo fatto nella nostra amicizia lo ridesta, ridesta la capacità di desiderarlo sempre.

A che cosa tende, infatti, l’incontro provvidenziale che dio ci ha fatto compiere, se non per farci desiderare Dio continuamente?

La potenza di Dio, raccogliendoci nel luogo della sua amicizia, ci rende continuamente capaci di soverchiare la nostra debolezza e la nostra falsità in un desiderio vero di Lui, nel desiderio vero, nella mendicanza.

Desideriamo scoprire questo e, scoperto questo, aderiamo allo stimolo che ci viene, allo spunto che non cessa mai, lo stimolo e lo spunto a desiderare Cristo.

Destino

46-47 – L’uomo appartiene non a suo padre e a sua madre, ma al suo destino: suo padre e sua madre sono strumenti per introdurlo sul lungo cammino verso il suo destino, e il suo destino è il mistero di Dio e questo Mistero è diventato uomo.

«Non si è cristiani perché si è giunti a un certo livello morale, intellettuale, magari spirituale. Si è cristiani perché si appartiene a una certa razza ascendente» – cioè tesa al destino – «A una certa razza spirituale e carnale», fatta di carne. «temporale ed eterna, a un certo sangue».

Ch. PéguyCahiers de la Quinzaine

67-68 – Ogni cosa che noi pensiamo e facciamo, se non è in rapporto esplicito, o almeno implicito, comunque in con certo modo voluto, col destino, con la totalità delle cose, col significato totale del mondo e delle cose, è isolata.

Se mi converto a Te, se vivo di penitenza, io sono strappato dall’isolamento, la mia azione è strappata all’isolamento, riappare in me l’immagine della totalità, dell’ultimo, dell’ideale, del destino, che è la stessa cosa che appare in te: per questo io esco dall’isolamento anche nel rapporto con te.

90 – Quello che facciamo insieme in questo giorno e mezzo non è che un aspetto del grande gesto amoroso con cui il Signore, comunque tu te ne accorga, spinge la tua vita verso quel destino che è Lui.

L’altro a cui dare la propria vita non può essere che Lui, il grande Mistero originale, l’enigmatico destino verso cui tutto fluisce: Padre, generatore e giudice e oggetto dell’eterna felicità.

92-93 – Per accostarci al Mistero ricordiamo quanto siamo peccatori.

Il secondo termine è dunque il peccato, che cosa esso sia nella nostra vita e quindi nel rapporto con l’inizio e con il destino della nostra vita.

93 – Questi sono i temi dunque che richiameremo: il grande mistero del Padre, dell’origine e del destino; il peccato che è in noi; la Presenza che ci libera; la compagnia in cui Egli ci fa camminare, così come siamo, ci fa camminare e perciò ci cambia.

98-112 – Non c’è uomo che non senta l’incombenza, l’inevitabilità ultima del destino; ancora di più che il problema della nostra origine, noi sentiamo il problema del destino. Usiamo questa parola giustamente perché essa percuote l’animo di tutti,

99 – Qualunque idea abbia, l’uomo inesorabilmente tende a concepire il destino secondo i suoi pensieri, le sue parole, le sue speranze – irragionevoli o fondate -, i suoi stati d’animo.

Ma il nostro pensiero, il nostro ragionare e riflettere, il nostro stato d’animo, in nostri sentimenti in genere non possono essere l’interpretazione del destino: c’è una sproporzione assoluta.

Noi, tu ed io, siamo di fronte a un destino di cui non possiamo brandire neanche un pezzetto.

Così, questo destino giace in un fondo ultimo, anonimo e ultimamente oscuro per chiunque.

Nell’Occidente questo destino, così sentito e temuto, si pretende sia organizzato come azione; questo sottofondo ultimo delle cose, questo destino agirebbe attraverso l’azione dell’uomo, in modo tale che sia l’azione dell’uomo a decidere del significato, del valore del cammino e del destino.

L’uomo, dunque, pur ammettendo questo ultimo destino, in fondo lo interpreta e lo traduce in modo tale da identificarlo con se stesso.

Nella misura in cui uno è ricco potente e favorito, fortunato, direbbero gli umanisti, tende ad identificare il destino con la propria energia di vita, con la propria creatività e con la propria fortuna.

100 – Nel mondo occidentale il destino tende ad essere concepito come l’attività dell’uomo e quindi come dominabile dall’uomo o determinabile dall’uomo e dal suo fare; mentre in quello orientale l’uomo è come annullato dentro questo “ultimo”, perde la sua faccia, perde la sua personalità. Si perde nel grande mare dell’Essere.

O il destino è quello che faccio io o il destino è quello a cui mi lascio andare, perdendo le mie responsabilità.

Ma sia l’una che l’altra posizione sono insane, perché non corrispondono alla realtà così come alla ragione.

Ammettiamo perciò che tutti sentano questo destino, ma di fatto non ci pensano o ci pensano il meno possibile.

101 – Il destino non sta in silenzio; quell’oscurità anonima, che impaurisce, non sta in silenzio.

Che cosa dice il nostro destino, il destino di tutto e di tutti, che sta in fondo a tutto, da cui tutto nasce, istante per istante?

[…] L’evidenza più grande che noi, da adulti, possiamo raggiungere, se viviamo la coscienza di noi stessi in questo istante, […] è che

io non mi faccio da me

Ecco che cosa è il destino, questo abisso da cui esci.

Questo abisso non si nasconde e non tace, non sta in silenzio: parla.

102 – «E l’infinita vanità del tutto» (G. Leopardi – A se stesso)

A questa immagine del destino l’uomo è costretto ad arrivare, se non attende o non intende risposta che il destino stesso ha dato parlando di sé.

103 – Leopardi perisce nella sua miseria: lo dico solo per come si esprime, perché, grazie a Dio, l’uomo appartiene al suo destino, che vuole l’esistenza e non la morte.

Siamo fatti per la gioia.

Il cuore non può udire, come corrispondente a sé, se non questa parola. Nessuno può rinnegare completamente questa parola che esprime la natura del cuore: gioia, felicità.

Il destino si rivela, il destino – cioè il Dio misterioso, il mistero che chiamiamo Dio – parla propriamente, cioè si fa conoscere nella sua definitività attraverso un popolo.

104 – Il Benedictus segna la traiettoria dell’azione del destino nella storia nostra.

Dio sceglie un popolo nato da Abramo […] perché attraverso di esso e attraverso la sua storia Egli ci fa capire meglio che cosa vuole.

Il fatto che il destino scelga un uomo e la sua discendenza, che ingrandendosi diventa un popolo, come dice il Benedictus, vuol dire che il destino ha un disegno nel tempo.

Questo vuol dire che il Mistero realizza un disegno, ha un disegno: nella realtà c’è un disegno che si rivela attraverso una storia.

105 – Il singolo uomo appartiene a questa storia e, attraverso di lui, gli altri sono chiamati ad appartenere a questa storia.

Appartenere a questo popolo è il valore del singolo. Il valore del singolo, il valore, è il rapporto con il destino.

Il valore di un singolo, di me, di te, sta nell’appartenere a questa storia che il destino lancia, ha lanciato nel mondo.

Dunque, se appena appena ci pensiamo, ci troviamo di fronte al Mistero, a un destino che è Mistero, ma parla, e ci dice una parola: tutto è positivo.

106 – È una affermazione amorosa dell'Essere, della realtà, di ciò che c'è: tutto vale la pena.

Tale destino dice questo attraverso la testimonianza di una persona scelta, a cui fa capire questo così bene che essa rischia tutto: «E Abramo se ne partì dalla sua terra», diventando un popolo.

107 – Il metodo e la misura di questo disegno che funzionalizza il mondo al cammino di quel popolo non “c’entrano” con noi, nel senso che non possono essere commisurati, proporzionati a noi, a quello che possiamo pensare.

C’è una vicenda più contraddittoria, più ripugnante, più sconcertante e sconvolgente la nostra idea di giustizia, della richiesta che il destino fa ad Abramo, che uccida per il destino, per Dio – sia pure per Dio – il suo unico figlio?

108 – E l’esilio in Babilonia? Loro che dovevano dominare il mondo, fulcro del mondo, resi schiavi dei pagani più plateali, del mondo più pesante, deportati: tutto il popolo deportato e schiavi in Babilonia.

Nonostante il destino abbia detto: «io voglio la positività e la gioia, tutto ho fatto per la gioia»; nonostante il destino dica: «Io vi assisterò creando una storia di un popolo cui apparterrete e così sarete sostenuti e illuminati, incoraggiati e ripresi, perdonati e portati fino alla fine».

109 – Nonostante questo, dobbiamo ben guardare in faccia questa grande e suprema legge della nostra vita, che il criterio, il metodo, la misura di tutto quanto avviene è secondo una giustizia che con la nostra sembra non avere alcun rapporto.

Che cosa dobbiamo fare noi? Una disponibilità totale: una disponibilità totale di fronte al Destino, al Mistero, a Dio, alla giustizia che non è la nostra giustizia. La nostra giustizia annida se stessa in un particolare e non libera nulla. Ci occorre una disponibilità totale.

110 – Innanzitutto, la disponibilità totale è una affermazione amorosa dell’essere, della realtà che accade; amorosa perché è l’affermazione di una presenza. La realtà rivela una presenza, la presenza del Destino, del Mistero.

La disponibilità totale è una affermazione amorosa della realtà, in cui si cela la grande Presenza

Se la disponibilità è una affermazione amorosa dell’essere e della realtà presente, in cui è la grande presenza del Mistero, del Destino, la grandezza della vita è dare la vita per l’opera di un Altro, del Destino.

La nostra vita è l’opera di una Altro, del Destino, del Mistero.

«Dare la vita per l’opera di un Altro» significa che il supremo valore della nostra esistenza è obbedire: si chiama obbedienza ciò per cui la nostra azione, che dovrebbe affermare noi stessi, realizza noi stesi affermando un Altro.

Dare la vita per l'opera di una altro è la vita come obbedienza.

(l’obbedienza) Implica come modalità profonda e continua il sacrificio.

111 – Nella misura della serietà della nostra coscienza e della nostra ragione, il sacrifico è una modalità continua.

Il sacrificio non è un saltare la ragione, ma è come uno strappo a una chiusura, uno strappo in cui la ragione, la coscienza della realtà, la coscienza del Mistero, del destino, esplode.

112 – (Adamo ed Eva) avrebbero posseduto il mondo nel suo vero disegno, che è stabilito dal destino, dal mistero di Dio.

Non hanno fatto quel sacrificio e hanno perso tutto.

114 – «Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto». Stiamo parlando del Destino, del Verbo, il significato di tutto, il padrone del disegno, l’originatore del disegno,

117 – Senza il punto di fuga, senza capire che tutto è segno d’Altro, senza l’obbedienza di cui abbiamo parlato, senza soggezione al Destino, senza sacrificio liberante verso il tutto, il particolare, il particolare provvisoriamente potente, conia le sue leggi.

Tutto il presente dovremmo viverlo in funzione dell’opera di un Altro, del Destino, del Mistero di Dio, in una obbedienza senza fondo, accettando il sacrificio di ogni momento.

129-131 – È nella Sua resurrezione che questa novità nel mondo si è accesa, che questa novità di purità nel mondo si è riaccesa, che la somiglianza a Dio, la proporzione perfetta al Mistero, e il legame netto e sicuro col Destino si riaccende.

130 – La novità della conoscenza e della liberazione avviene per grazia. E la grazia con cui Dio opera il compimento della nostra vita è un uomo, nato da donna: Gesù Cristo, il Verbo stesso fatto Dio, il destino nostro, il significato del mondo fatto carne.

131 – Che esista tra noi qualcosa che è inarrivabile come potenza, come grandezza, come bellezza, e cioè che la bellezza fatta carne, la giustizia fatta carne, la bontà fatta carne, la verità fatta carne, il destino fatto carne in un uomo presente tra noi: quest’uomo, il più grande “attore” della storia, è tra noi. …. Ad ogni potente questo ripugna, e il potente crea una scuola di pensiero, alimenta una cultura in cui questo sia sentito come assurdo: «Non è possibile».

138 – La trascuratezza dell’io: la trascuratezza nella vera tenerezza verso se stessi, la trascuratezza del vero amore a sé, la dimenticanza del destino, del destino come qualcosa cui sono destinato. La trascuratezza dell’io non ti fa impegnare con ciò che tocchi, con ciò che vedi, con ciò che senti, con ciò che devi.

143 – Domandiamo che confluiscano le nostre volontà umane perché il vero si affermi, vale a dire il destino si realizzi nel suo disegno, subito, da subito, poco o tanto, cadendo e riprendendosi.

145 – Sentite l’osservazione profonda del filosofo danese Kierkegaard: «L’unico rapporto etico». cioè morale, «che si può avere con la grandezza», Cioè col Mistero, col destino, e perciò con Cristo, il destino fatto carne. «è la contemporaneità».

Non si può essere in rapporto con il Destino, col Mistero, con Cristo, se non ora.

147-153 – Cristo risorto percepisce e vede la nostra esperienza, capisce la nostra esperienza più di noi stessi, in quanto è sceso al profondo di essa, laddove essa si origina e laddove essa dice il rapporto al suo fine, al suo destino.

148 – La risurrezione di Cristo inizia l’opera dell’Altro, inizia l’opera del Mistero, l’opera di Dio, l’opera del Destino.

150 – Cosa è la fede? È il riconoscimento, dentro una presenza, di qualcosa di ben più grande, di grande; è il riconoscimento in una presenza, del “grande”, cioè di Dio, del divino, del Mistero, del destino.

La fede è un dono, è una grazia, è uno spaccarsi del limite dell’intelligenza, arriva a riconoscere nel presente una realtà più grande, Dio. Si chiama fede perché riconosce nell’apparenza, nell’apparenza determinata naturalmente, una Persona grande, un Presenza grande: la presenza del Mistero di Dio, del Verbo d Dio, del destino di tutti e di tutto.

153 – Il Mistero, il destino si comunica all’uomo attraverso una carne, attraverso una realtà di tempo e spazio.

Lo ripeto perché è come se volessi farvelo imparare a memoria: il Mistero, il destino si comunica all’uomo attraverso una carne, attraverso una realtà di tempo e spazio, secondo una modalità fisica, delle persone e delle cose, secondo circostanze precise, che delle circostanze naturali mantengono la fragilità e l’apparente futilità: eppure lì dentro c’è Cristo. Questo è la nostra compagnia.

161 – L’offerta non è il pietismo di gesti rituali, ma è una offerta di sé, che sgorga da una concezione affettiva nuova del proprio destino e del proprio rapporto con il destino e perciò del valore della propria persona.

164-165 – Il soggetto da cui nasce un popolo è creatore di una compagnia umana nuova, stabilisce, fa sorgere attorno a sé, «nel paese dove sta», un’amicizia nuova, un’amicizia vera, cioè, una amicizia per cui la compagnia diventa guida al destino e l’amore, la passione per il destino dell’altro, trascina tutto, decide di tutto, pardon, tende a decidere di tutto, tende a trascinare tutto.

165 – L’amore al destino dell’altro: c’è gratuità immaginabile se non questa? No, non c’è gratuità se non questa: l’amore al tuo destino. Ogni altro motivo di rapporto si riconduce a un tornaconto, auna sensazione […]. L’amore al destino no.

Si chiama carità la legge di questa compagnia, di questa amicizia che è guidata al destino.

L’amore al destino dell’altro, la carità, è la legge di quella compagnia guidata al destino, di quell’amicizia unica, vera, che si chiama con termine soltanto cristiano, soltanto cattolico, «comunione».

214 – Per l’appartenenza giusta a Dio, cioè al nostro destino, non basta la nostra giustizia.

73-77 – Il punto è il dialogo tra Cristo e l’uomo del nostro tempo, sia esso singolo o collettivo.

74 – Questo che si dice tra noi è un piccolo riverbero del grande dialogo che è cominciato duemila anni fa tra Cristo e l’uomo che è nel mondo, e che continua tra Cristo oggi e l’uomo del nostro tempo, perché solo in Cristo l’uomo del nostro tempo può vivere.

Bene, questo dialogo col mondo, con l’uomo del nostro tempo, è la vita del movimento.

Questo dialogo con il mondo, con l’uomo del nostro tempo, è la vita del movimento.

Non si può fare una Scuola di comunità senza che essa sprigioni una volontà missionaria, una capacità e una volontà di dialogo. Non si può fare! Questo dialogo è la vita del movimento.

La vita del movimento, dunque, è dialogo con l’uomo del nostro tempo.

75 – Perché il dialogo con l’uomo del nostro tempo attraversi, tagli, la densità della confusione, penetri attraverso il grido e il frastuono della violenza, deve essere una parola chiara, deve essere un dialogo chiaro. La chiarezza del nostro dialogo coincide con la fedeltà alla nostra storia.

76 – In quel dialogo tra Cristo e l’uomo del nostro tempo che è il movimento, oltre al coraggio di fronte alla confusione e alla violenza, oltre alla chiarezza come fedeltà alla storia, occorre una strada all’amore altrui: amore alla strada di tutti quelli che incontriamo e che cercano.

Amiamo non solo la strada di coloro che cercano, […] ma anche la strada di coloro che ci rinnegano, che ci perseguitano, che ci calunniano […] ci uccidono.

Il movimento è la modalità con cui noi siamo resi veicolo di questo dialogo tra Cristo e il mondo

77 – Il dialogo tra Cristo e l’uomo del nostro tempo, che sono in Cristo può vivere, solo questo dialogo è la vita del movimento, vissuta con coraggio, per il momento di confusione e di violenza, con chiarezza, sostenuta dalla fedeltà alla storia, nella unità e nella libertà creativa, e con amore alla strada altrui, alla strada di chiunque incontriamo, senza contraddizione, ma valorizzando e collaborando, fino all’ultima stilla di sangue.

Dimenticanza

26 – Guardiamo bene il bene che è in noi; ci accorgeremmo subito di quello che è il peccato in noi.

È una inconsistenza, è una inconsistenza ultima che si traduce in dimenticanza, che avvalla una dimenticanza insopportabile di fronte al compito della vita e alle evidenze della Sua presenza.

Ma questa inconsistenza ha talmente una radice di malizia che non solo dimentica facilmente, non solo facilmente cede allo scetticismo e all’incredulità, ma contraddice l’evidente.

138-140 – La trascuratezza dell’io: sì, la trascuratezza della vera tenerezza verso se stessi, la trascuratezza nel vero amore a sé, la dimenticanza del destino, del destino come qualcosa a cui io sono destinato.

140 – Il vero amore a se stessi, la vera dimenticanza di se stessi, il riconoscersi peccatori sono le cose che producono libertà, che persuadono la libertà a decidere, cioè a spalancarsi, nell’affermazione amorosa di ciò che le viene proposto, nella realtà che le si propone e, sopra ogni cosa, della grazia.

Disegno

104-107 – Il fatto che il destino scelga un uomo e la sua discendenza, che ingrandendosi diventa popolo, come dice il Benedictus, vuol dire che il destino ha un disegno nel tempo.

Questo vuol dire che il Mistero realizza un disegno, ha un disegno: nella realtà c’è un disegno che si rivela attraverso la storia.

112-114 – (Adamo ed Eva) Avrebbero posseduto il mondo nel suo vero disegno, che è stabilito dal destino, dal mistero di Dio. Non hanno fatto quel sacrificio e hanno perso tutto.

113 – Noi ci ribelliamo. È la ribellione alla non coincidenza del Suo col nostro disegno. Questa è la situazione umana. Dopo il grande antefatto, la situazione umana è definita da una parola più adeguatamente che da ogni altra: l’esistenza umana è «peccatrice».

114 – Questa ribellione alla non coincidenza del Suo e nostro disegno è generale, quotidiana, di ogni ora, per tutti.

Stiamo parlando del Destino, del Verbo, il significato di tutto, il padrone del disegno, l’originatore del disegno, “il” disegno.

218-219 – Dio non si disaffeziona alla sua impresa, a quell'impresa che è l'impresa umana.

Così, il rapporto singolare che ha con ognuno di noi Egli lo rende fattore di quel disegno grande che, attraverso i tempi della storia umana, si attua nel mondo.

L’impresa grande che è il disegno di Dio nel mondo avviene attraverso una compagnia, una comunità o un popolo, che può essere piccolo, impotente di fronte alle forze del mondo, eppure alla fine esso determinerà il volto di tutto, determinerà l’orizzonte totale.

Il Papa traccia il nesso tra l’avvenimento personale di Dio con la nostra persona e il diventare comunità, questo generarsi di società nuova, questa fraternità nuova, questa realtà grande che diventa protagonista del disegno di Dio nel mondo.

231-232 – Per questo il Signore ha creato il suo disegno, quel disegno che parte dalla sua venuta nel mondo – Cristo -, dal suo impatto con l’uomo che Egli sceglie – avvenimento, incontro -, Che Egli possiede, di cui prende possesso, e che cambia – una moralità nuova -: converte a sé l’uomo che Lo guarda, che Lo fissa ogni giorno, per sapere che cosa fare.

232 – Il Padre ha voluto questo disegno mirabile perché, attraverso l’impegno della responsabilità di ognuno di noi, perciò attraverso l’impegno della faccia che ognuno di noi ha, delle capacità che ognuno di noi ha, perché attraverso questo popolo si cambi il mondo secondo la Sua volontà.

Disponibilità

109-110 – La giustizia è Dio, la giustizia è il Destino, la giustizia è il Mistero. Che cosa dobbiamo fare noi?

Un disponibilità totale; una disponibilità totale di fronte al Destino, al Mistero, a Dio, alla giustizia che non è la nostra giustizia. La nostra giustizia annida se stessa in un particolare e non libera nulla.

Ci occorre una disponibilità totale. In che cosa consiste questa disponibilità totale?

Innanzitutto in una nostra affermazione, in una mia affermazione dell’essere e della realtà che accade, vita o morte che sia, gioia o dolore che sia, riuscita o non riuscita che sia. L’amore è una affermazione di una presenza che si rivela attraverso l’istante, nell’istante; una presenza è presenza se è nell’istante.

Nell'istante dobbiamo essere disponibili,

cioè abbandonati come un bambino tra le braccia della madre, come poveri che non hanno nulla da difendere di fronte a ciò che il destino fa accadere.

110 – Innanzitutto la disponibilità totale è una affermazione amorosa dell'essere, della realtà che accade;

amorosa perché è affermazione di una presenza.

Se la disponibilità è una affermazione amorosa dell’essere e della realtà presente, in cui è la grande presenza del Mistero, del Destino,

la grandezza della vita è dare la vita per l'opera di un Altro.

Dare la vita per la vita per l’opera di un Altro significa che il supremo valore dell’esistenza nostra è obbedire.

Certo questa disponibilità, questa affermazione amorosa della realtà, questa obbedienza anche quando c’è il dolore, la croce, implica come modalità profonda e continua il sacrificio.

190 – E poi il silenzio quando si è dentro l’aula, un silenzio che la musica speriamo renda più facile, nella sua possibilità di commozione, che ci faccia guardare le immagini proposte con acume di cuore, dettato dalla disponibilità, segno di una disponibilità grande.

194 – Noi siamo peccatori, ma una protezione profonda ci adombra e ci segue per riscattarci e redimerci, sorprendendo l’attimo di bontà in noi, l’attimo di disponibilità, il punto di debolezza della nostra libertà – nel senso buono del termine -, il punto di arrendevolezza della nostra libertà.

222 – (Il carisma) Con me ha assunto una determinata forma, che implica una certa modalità di temperamento, un certo tipo di carattere ultimo, la sottolineatura di certi aspetti, la facilità di certe intuizioni, la disponibilità a un certo tipo di affezione, una gerarchia diversa dei vari valori.

Domanda/domandare

135-137 – La decisione della libertà si identifica con il desiderio, che è proprio la ricchezza del povero, la ricchezza del bambino.[…] La decisione si traduce in desiderio, ma il desiderio vero è ciò che si chiama domanda.

L’uomo è assolutamente incompiuto, perciò la sua espressione più propria è la domanda, la domanda di essere.

136 – È nella domanda che si rende sconfinato, si rende rapporto con l’infinito, tutto ciò che facciamo, anche il moto più segreto e l’atto più imprigionato.

La domanda è la nostra libertà. Il desiderio reale, accettato, diventa esistenzialmente domanda, si traduce in domanda.

Non abbiamo altra capacità che quella di domandare, desiderare e domandare.

137 – Qualunque cosa tu faccia, se desideri Dio, non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare.

Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce.

La freddezza dell'amore è l'assenza di domanda, l'ardore dell'amore è il grido della domanda.

«Se resta sempre vivo l’amore, tu gridi sempre […] “E davanti a te sta ogni mio desiderio”», o Dio, davanti a te sta la mia domanda, il mio gemito, o Dio. «” E il mio gemito a te non è nascosto”», la mia domanda sarà esaudita.

Ci sono tre obiezioni, tre blocchi , che cercano di fermare la libertà nella sua apertura carica di desiderio, che cercano di bloccare la decisione della libertà che si traduce in domanda, che cercano di impedire la domanda, che impediscono il rendersi sconfinato in noi, anche il moto segreto, anche l’atto più imprigionato:

  • la trascuratezza dell’io
  • centratura su di sé
  • non riconoscersi peccatori.

139-141 – Riconoscersi peccatori spalanca la domanda.

140 – La decisione autentica della libertà – se quei tre ostacoli vengono tolti e capovolti -, la vera libertà, la vera decisione della libertà è una domanda, è una mendicanza: mendicanti dell’Essere, mendicanti del Destino, mendicanti del Mistero, mendicanti del Padre, mendicanti di Te o Cristo, nostro fratello, che vivi con noi.

Io vi chiedo di pensare se ci possa essere una qualsiasi esperienza umana che sappia esprimersi così, non in presunzione e pretesa, ma in domanda.

141 – Una domanda compiuta, dove niente sfugge, dove tutto è abbracciato. È il desiderio espresso dall’uomo, è la domanda dell’uomo: «O Dio, creatore dell’universo, concedimi prima di tutto che ti preghi bene, poi che m i renda degno di essere esaudito, e infine che tu mi liberi[…]»(Sant’Agostino, Soliloqui).

190 – Ascoltare, dunque, da cui deriva il giudicarsi.

Non dobbiamo sentire una parola senza cercare che essa ci giudichi, senza cercare dove essa ci giudica, perché “sprema” da noi il grido a Dio, la domanda a dio, la mendicanza a Dio. È un ascoltare, perciò, che non può essere che giudizio e domanda, meditazione e preghiera.

215 – In noi non c’è il piangere del bambino, non ci dovrebbe essere il piangere “di fuori” del bambino, ma ci dovrebbe essere il pianto “di dentro” dell’uomo: è la domanda, la domanda che la grazia ci renda coerenti. La domanda è il limite ultimo, il confine misterioso della nostra libertà.

Nella domanda la nostra libertà si gioca.

La vera e fondamentale pratica ascetica è domandarLo.

E non si può a lungo domandare senza veramente desiderare che accada ciò che si domanda.

La domanda è domanda se veramente si desidera che accada quello che si domanda.

242 – Viene da fare una domanda: perché è così diversa (l’umanità cristiana), a che cosa si deve questa diversità? Perché Dio è diventato uomo […] e da allora egli diventa presente attraverso coloro che Egli sceglie e che Lo riconoscono.

Quando la domanda non è pretesa?

244-245 – Quando il desiderio che diventa domanda non è pretesa? La domanda non è pretesa quando non pone condizioni: «Signore, cambiami entro domani, entro un anno, entro cinque anni, cambiami qui, cambiami là»; qualsiasi condizione si ponga diventa pretesa, cioè presunzione espressa, imposizione tentata a Dio.

245 – Perfino l’unità e la pace della Chiesa è domandata «secondo la tua volontà».

250 – E il desiderio di cambiamento – che non è vero se non è domanda a Dio – è già la mossa, il movimento del bene nella nostra vita.

mendicare

140 – La decisione autentica della libertà – se quei tre ostacoli vengono tolti e capovolti -, la vera libertà, la vera decisione della libertà è una domanda, è una mendicanza: mendicanti dell’Essere, mendicanti del Destino, mendicanti del Mistero, mendicanti del Padre, mendicanti di Te o Cristo, nostro fratello, che vivi con noi.

190 – Ascoltare, dunque, da cui deriva il giudicarsi.

Non dobbiamo sentire una parola senza cercare che essa ci giudichi, senza cercare dove essa ci giudica, perché “sprema” da noi il grido a Dio, la domanda a dio, la mendicanza a Dio. È un ascoltare, perciò, che non può essere giudizio e domanda, meditazione e preghiera.


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