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Lettera «O»
Obbedienza
75 – La fedeltà alla nostra storia ha due caratteristiche, l’una stretta e avvinghiata all’altra. La prima, è l’unità, in cui l’obbedienza di Cristo al Padre viene analogicamente vissuta, in cui si traduce l’obbedienza di Cristo al Padre («Fatto obbediente fino alla morte»): l’unità tra di noi. è l’unità con chi guida il movimento, con chi ha questo compito immane, l’unità che rispetta la gerarchia del movimento. (La seconda è una libertà creativa).
110-111 – «Dare la vita per l’opera di un Altro» significa che il supremo valore della nostra esistenza è obbedire: si chiama obbedienza ciò per cui la nostra azione, che dovrebbe affermare noi stessi, che essere preoccupati di noi stessi, realizza noi stessi affermando un Altro.
Invece che affermare noi stessi, che essere preoccupati di noi stessi, nell’obbedienza siamo preoccupati di un Altro, affermiamo un Altro.
Questa diponibilità, questa affermazione amorosa della realtà, questa obbedienza anche quando c’è il dolore, la croce, la morte, implica come modalità profonda e continua il sacrificio. […] Uno strappo in cui la ragione, la coscienza della realtà, la coscienza del Mistero, del destino, esplode.
117 – Senza capire che tutto è segno di un Altro, senza l’obbedienza di cui abbiamo parlato, senza soggezione al Destino, senza sacrificio liberante verso il tutto, il particolare, il particolare, provvisoriamente potente, conia le sue leggi.
Tutto il presente dovremmo viverlo in funzione dell’opera di un Altro, del Destino, del Mistero, di Dio, in una obbedienza senza fondo, accettando il sacrificio di ogni momento – ogni momento!-. Non fare questo è la vera ingiustizia. C’è un’unica vera ingiustizia nel mondo: il peccato.
154-157 – La fede ha una legge. La legge è la descrizione della dinamica con cui un essere va verso il suo destino.
La legge della fede si chiama obbedienza.
Se la compagine delle nostre vita, la nostra compagnia, trae il suo valore da ciò che ha dentro, è l’obbedienza alla compagnia ciò che salva nel nostre vite, le fa procedere e le rende utili al mondo.
L’obbedienza evita che il singolo introduca come ultimo criterio interpretativo del divino, cioè del senso delle cose, la propria intelligenza, la propria fantasia, il proprio stato d’animo, la propria voglia, il proprio tornaconto, invece che la coscienza della grande Presenza, che è dentro la pur fragile, ma insostituibile nostra compagnia.
155 – L’obbedienza pone il criterio ultimo del rapporto con la realtà di tutti i giorni fuori di noi, in un Altro.
Questo qualcosa d’altro, che si documenta visibilmente nella compagnia, diventa dimensione nuova della coscienza.
L’obbedienza è dunque alla compagnia oggetto dell’incontro, perché la Chiesa diventa anche essa una cosa astratta se non si identifica con qualcosa che ti stringe ai fianchi, se non si identifica non qualcosa di presente alla mia vita, se non diventa esperienza mia. .
L’obbedienza è dunque a questa compagnia oggetto dell’incontro, altrimenti non è obbedienza se non a una nostra interpretazione.
156 – Ancor più precisamente, l’obbedienza è alla compagnia presente e a chi la esprime nella sua coscienza totale, cioè la sua autorità.
Il contenuto della coscienza dell’autorità si chiama regola.
La persona obbedisce quindi alla compagnia e all’autorità, in quanto propongono questa regola, non certo in quanto propongono un particolare tornaconto o un particolare punto di vista della persona stessa e dell’autorità.
L’obbedienza quindi è a ciò che viene tramandato, spiegato, reso esempio nella propria vita; l’obbedienza è a ciò che sale dai secoli di vita della Chiesa, fin dal fiato di Cristo, dentro la compagnia presente.
L’alternativa all’obbedienza è la propria istintività, la propria reattività, il proprio parere.
157 – L’obbedienza invece compie quotidianamente il seguito di passi che Cristo ha stabilito con le persone nel cammino verso di Lui, dentro le circostanze che ci dà da vivere, perché noi camminiamo attraverso di esse, verso di Lui.
210 – All’avvenimento l’uomo appartiene e vi appartiene dentro la modalità attraverso cui l’avvenimento lo raggiunge.
È una frase del card. Ratzinger:
«La fede è una obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati»
La fede è una obbedienza di cuore alla forma di insegnamento, cioè all’incontro di annuncio, cui siamo stati consegnati. L’avvenimento per eccellenza, infatti, è lo svelarsi dell’appartenenza totale dell’uomo a Dio.
222-224 – «La fede è una obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento», cioè di rivelazione, «alla quale siamo stati consegnati».
È questa l’idea di «carisma».
223 – L’intensità della mia fede, la produttività e l’efficacia del mio amore al Signore, la posizione della mia libertà verso il Signore si intensificano in base alla mia obbedienza alla modalità con cui il Signore mi ha raggiunto.
La fede è una obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati. Sottrarci a questa forma è il primo passo verso la stanchezza, la noia, la confusione, la distrazione e anche la disperazione.
Opera/opere
54 – «Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.»
Gv 3,16-21
90-92 – Quello che ci diremo avrà come tema Dare la vita per l‘opera di un Altro.
91 – Che cosa è l’opera di Dio? L’opera di Dio ha una nome: il cielo e la terra, tutto ciò che sta nel cielo e che sta sulla terra, tutto ciò che vige nel tempo, che riempie lo spazio, così come ogni gesto materno, ogni partorire, ogni concepire, è per questo nome.
Che salto che devono fare i nostri occhi e la nostra concezione, il nostro modo di concepire e anche il nostro modo di essere affezionati, che cammino deve fare il nostro povero soggetto umano per poter entrare dentro questo Mistero un po’ di più, camminarci dentro, per cui veramente avvenga che ognuno di noi dia la vita per l’opera di Dio, per l’opera di un Altro!
92 – Ma l‘opus Dei, l‘opera di Dio nel mondo, visibilmente, è la nostra unità, dentro la più grande unità della Chiesa, che vive e sussiste però nella nostra unità, altrimenti sarebbe un messaggio estraneo, fuori dalla nostra porta.
94 – Se lo scopo per cui il Signore ha fatto il mondo e si muove nel mondo, se l’opera di Dio è Gesù Cristo, è la gloria di Gesù, è che gli uomini conoscano Gesù Cristo, allora occorre che il Signore, che Gesù, c’entri con quello che mangiamo e beviamo, con il mangiare e con il bere.
110 – Se la disponibilità è una affermazione amorosa dell’essere e della realtà presente, in cui è la grande presenza del Mistero, del Destino, la grandezza della vita è dare la vita per l’opera di un Altro.
Dare la vita per l’opera di un Altro è la vita come obbedienza.
117 – Tutto il presente dovremmo viverlo in funzione dell’opera di un Altro, del Destino, del Mistero, di Dio, in una obbedienza senza fondo, accettando il sacrificio di ogni momento.
127 – Un drammatico e tragico compito ha questo soggetto nuovo, questo Tu che ci provoca: Egli compie l’opera del Padre e perciò si salva.
133 – Per noi Gesù Cristo è questa grazia, è questa Presenza. Ma accettare tutto quanto abbiamo detto circa questa grazia, che noi dobbiamo servire con tutta la vita, accettare questo è l’opera di Dio: «L’opera che piace a Dio è la nostra fede in colui che egli ha mandato» (Gv 6,29).
L’opera di Dio è che noi accettiamo e riconosciamo Cristo fatto uomo, Verbo fatto uomo, Dio fatto uomo, morto e risorto per la nostra salvezza.
L’opera di Dio è che questa grazia ci penetri, cioè che questa grazia si manifesti in noi, che questa purità totale, gratuitamente data dalla sua croce, si manifesti, si riveli in noi.
146 – L’opera dell’Altro incomincia nel tempo della storia, incomincia con la resurrezione di Cristo, con la resurrezione dell’uomo Cristo.
148-149 – La risurrezione di Cristo inizia l’opera dell’Altro, inizia l’opera del Mistero, l’opera di Dio, l’opera del Destino.
La inizia perché l’opera di Dio, l’opera del Mistero, è il dilatarsi nel mondo di questo anticipo della fine del mondo.
151- Per compiere la Sua opera, l’opera che è venuta ad iniziare, l’opera dell’Altro – Cristo infatti è il primo obbediente: «Fatto obbediente fino alla morte» dice san Paolo; è vero prima di tutto per Lui che ha dato la vita per l’opera di un altro, per l‘opera del Padre-, per compiere quello che ha iniziato, Cristo utilizza lo stesso metodo che il mistero del Padre ha scelto per comunicarsi all’uomo e al mondo.
Questa realtà integralmente umana, che Cristo ha creato per proseguire il metodo scelto dal Padre, si chiama Chiesa.
Questa grande compagnia di uomini, che Cristo si è scelto per compiere l‘opera che testimonia il divino, cioè Lui, presente nel mondo, questa compagnia di uomini, piccola o grande che sia, è precisa nei suoi confini nel senso che è Cristo stesso che convoca, che prende gli uomini che il Padre gli ha dato nelle mani.
160-161 – «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia con cui Dio vi ha chiamati, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio».
Rm 12,1
Che cosa vuol dire «offrire i vostri corpi»? Vuol dire riconoscere che tutto è per l’opera di Dio, che il senso di tutto – dal mangiare al bere, del vegliare e del dormire, del vivere e del morire […]-, è di essere in funzione dell’opera di un altro; vuol dire riconoscere e accettare questo.
161 – «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che a lui è gradito e perfetto.»
Rm 12,2
Per poter così far accadere la volontà di un Altro, per convogliare tutto in funzione dell’opera di un Altro.
176-177 – Buttare il proprio corpo al fuoco può non valere niente se non è fatto per amore dell’opera di un Altro.
177 – Aiutiamoci a dare noi stessi per l’opera di un Altro.
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