Temi di »Un Avvenimento nella vita dell’uomo» 2a parte

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Lettera «P»


Peccato/peccatore

24-30 – La prima parola che (la Chiesa) ci fa pronunciare davanti al mistero della Trinità è: «confesso», «Sono peccatore».

Dentro ogni nostra azione c’è qualcosa che manca, perché il peccato è una sproporzione allo scopo, alla meta, non è come dovrebbe essere.

25 – È questo l’inizio della verità: «Sono peccatore», l’inizio della verità esistenziale, dell’esistenza, non della verità astratta dei discorsi filosofici o teologici, dei discorsi intellettuali.

26 – Guardiamo il bene che è in noi: ci accorgeremmo subito di quello che è il peccato in noi.

27 – In che cosa consiste veramente questo nostro essere peccatori? Il peccato – spero che sia chiaro che non sto parlando del peccato come ci è rimasto in testa quando ci preparavamo alla prima Confessione o dopo la prima Confessione e che abbiamo dimenticato volentieri a dodici, tredici anni – stabilisce nella vita la prevalenza del sogno: la Bibbia lo chiama «idolo».

Noi poniamo la speranza in un nostro progetto: questo è il peccato, porre la speranza in un nostro progetto.

28 – Porre la speranza in un proprio progetto di fronte al futuro, diciamo così, questo è il peccato, vale a dire: rendere la vita pretesa di un sogno. È l’idolo.

Ecco che cosa è il peccato: porre la speranza in un proprio progetto, porre la speranza della propria vita in un proprio progetto.

29 – Mi permetto di ricordarvi che il peccato così inteso è senza futuro per noi.

Non solo il peccato è senza futuro, e perciò è senza affermazione reale, stabile e irriducibile di sé, ma non crea il suo volto per l’eternità, non stabilisce un merito: anche la fatica enorme che fai per il tuo progetto di lavoro non ti stabilisce un merito, non ha rapporto col permanente, con l’eterno.

Il peccato è senza popolo. Il peccato è il tentativo di affermare il proprio progetto, cioè se stessi.

Il peccato è senza futuro e senza storia, perché il soggetto della storia è un popolo.

32-36 – Voglio arrivare al punto, a un punto di spiegazione cruciale, dove l’antitesi tra la verità e il peccato viene esaltata.

33 – Appropriazione o appartenenza: questa è l'antitesi tra il peccato e la verità.

Invece di «appropriazione» prima ho parlato di «sogno».

E invece di appartenenza? Invece di «appartenenza» possiamo usare la parola «memoria».

Il peccato è contro la memoria.

34 – Questo mondo moderno è un mondo senza Cristo, scristianizzato. «Ciò che è precisamente il disastro è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane.»: non guardiamo più il nostro essere peccatori come l’ha visto Cristo.

35 – Allora i nostri errori, i nostri difetti, sono giudicati secondo la mentalità di tutti, e non secondo quel che dice Cristo.

«Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo.» (Péguy). Così che «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore»- come se tutti i peccati del mondo il mistero del Padre li avesse concentrati su di Lui: «Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?» (Mc 15,34)-«Perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,21).

36 – Un aspetto importante di questo impegno di Dio è dato dal fatto, evidente dal contesto biblico, che esso – l’impegno di Dio- è posto dopo il peccato, a favore di una umanità che ritornerà a peccare. Dio garantisce la vita del mondo peccatore, di me peccatore.

Un secondo aspetto, pure importante, è costituito dall’universalità di questo impegno: esso riguarda tutti gli uomini nessuno escluso, e tutto l’ambiente umano, la terra e gli animali: è il sì di Dio al mondo, a tutto il mondo, nonostante il peccato.

Nonostante il peccato, la positività dell’Essere trionferà.

41-42 – Voglio terminare con la più bella cosa che intendevo stamattina: penitenza. Il rapporto tra il peccato e penitenza.

«Penitenza» è una brutta parola, se viene identificata con certe forme di cose; perciò la parola più conveniente e più chiara è la parola «conversione»: dal peccato alla conversione.

Che cosa è questa conversione che io, denso di peccato e di male, posso vivere ora?

La conversione è riconoscerLo.

46 – Che l’uomo sia peccatore vuol dire che non è capace di essere se stesso, in nulla.

54-56 – «Figlioli miei», dice san Giovanni in 1Gv 2,1-2 «Vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima [..] per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.»

Che povertà di spirito si esige per riconoscere che la salvezza, il valore della vita, sta nella croce di Cristo!

«Chi rimane in lui non pecca»

1 Gv 3,6

Starei per dire, paradossalmente: anche se pecca, Iddio permette questo continuamente riprendendolo, perché non pecchi più.

55 – Il peccato non ci definisce più. Questa è la memoria, questo è vivere la memoria: rimanere.

60 – Il sintomo grande che il peccato non domina più in noi è quello che è data da san Paolo nella Lettera ai Colossesi, capitolo terzo, versetto 14 e seguente: «La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate pieni di gratitudine»

66-68 – […] dopo la creazione non esiste uomo – ricordate almeno l’idea di peccato originale, del fatto del peccato originale – che non sia peccatore.

E se uno parte dalla coscienza di essere peccatore – esplicita o implicita – non si comporta bene con se stesso e con gli altri, ma da “cafone” direbbero a Napoli.

Se io vengo ripulito dal peccato, sono strappato dall’isolamento e riappare in me l’immagine di Cristo, che è la stessa che appare in te.

67 – Il peccato è ciò che stacca, che rompe il nesso tra quello che sono e faccio e il mio destino, il mio significato vero, il Tu che mi costituisce, perché è l’amore per cui sono fatto (Il peccato è anche chiamato giogo dalla Bibbia: uno cosa sotto il giogo non è più libera, ed è tale perché manca del nesso col suo destino, con la totalità, manca la organicità, dell’organicità ultima).

Se io vengo purificato dal peccato, sono strappato dall’isolamento.

68 – La liberazione dal peccato costruisce il futuro, rende l’azione che compio adesso creatrice di futuro, piena di rapporto con il futuro: con l’azione che compio ora, costruisco il rapporto con te, cioè l’azione che compio ora è sorgente di popolo, sia che esso si esprima come amicizia, come famiglia, come compagnia, o come popolo nel senso letterale del termine.

Che Cristo sia espiazione e perdono vuol dire che Cristo è tutto per me peccatore, per me altrimenti fallito, grano di sabbia nel vortice, nel turbine del vento del mondo.

73 – Il nostro delitto, il peccato per eccellenza è non comunicare – non esiste peccato più grave che il non comunicare: Redemptoris missio -, è abbandonare Cristo, lasciarLo da solo a gridare al mondo, a dire silenziosamente; «Eccomi», a proporsi nel segreto del cuore o a gridare: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»

92-93 – Per accostarci al Mistero ricordiamo quanto siamo peccatori. Il secondo termine è dunque il peccato, che cosa esso sia nella nostra vita e quindi nel rapporto con l’inizio e con il destino della nostra vita.

93 – Richiameremo (in questi esercizi): il grande mistero del Padre, dell’origine e del destino; il peccato che è in noi; la Presenza che ci libera; la compagnia in cui Egli ci fa camminare, così come siamo, ci fa camminare e perciò ci cambia.

Cinque anni fa non ero come sono adesso: so di più, sento di più, aderisco di più, amo di più e capisco di più che sono peccatore, ma questo non mi arresta, non mi insabbia in un rimorso inutile e non mi fa essere impostore e dire: «Sono cose che non c’entrano», oppure: «Tutto è giusto», in un atteggiamento riduttivo e nichilista di fronte al valore, vale a dire al riverbero nella nostra persona dell’Essere Eterno, del mistero dell’Essere.

117 – Dobbiamo ammettere che il peccato, il peccato in noi, è veramente una ingiustizia, è lotta contro la giustizia.

119-120 – Sorprendere la debolezza mortale e riconoscere il peccato in noi, questa è la prima saggezza; e, insieme, sorprendere la debolezza mortale e riconoscere il peccato negli altri.

Ma c’è una caratteristica fondamentale che fa capire se riconosciamo il peccato negli altri oppure se prendiamo pretesto da quello che crediamo o vediamo essere un errore negli altri per sfogare la nostra ira o per “sopravvantarci” su di loro, per schiavizzarli, per usarli, come si fa adesso: noi sorprendiamo la debolezza mortale negli altri se lo facciamo con dolore. Non si può riconoscere il male dell’altro se non con dolore.

Riconoscere il male nell’altro senza dolore si chiama “fariseismo”, la parola che opprima l’umanità oggi, l’umanità civile, che si dice civile.

(Gesù) Non fece discorsi moralistici, fece discorsi contro chi negava, rinnegava la moralità nella sua radice più profonda: La coscienza del proprio peccato, la sorpresa della propria debolezza mortale, nella quale sentire e riconoscere conniventi, compagni nello strano cammino, gli altri, con dolore, con dolore per loro, tanto è pesante per noi.

Chi può avere tanta verità, tanta severità e tanta compassione verso l’universale peccato? Per averle, queste cose, bisognerebbe essere grandi di cuore, grandi di sguardo, come Dio. Ci vuole Dio.

127-129 – «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente peer la Sua grazia, in forza della redenzione realizzata da Gesù Cristo. Dio lo h a prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia» (Rm 3,21-26).

128 – Egli ci salva in quanto assume su di sé tutti i peccati.

«Colui che non aveva conosciuto peccato Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio»

ECor 5,21

Egli che non aveva peccato è stato reso peccato per noi.

Ora, questo vuol dire che tutti i peccati, di tutti gli uomini, sono stati concentrati nel suo cuore che muore. nel suo spirito che dice: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

[…] Tutti i peccati, di tutti gli uomini, come concentrati in quell’uomo, lo hanno reso “il” peccato e perciò noi siamo già tutti salvi, gli uomini hanno già tutti i loro peccati perdonati.

Egli ha crocefisso nella sua morte tutti i peccati di tutti gli uomini; tutti i miei peccati sono già perdonati.

Che cosa vuol dire che tutti i nostri peccati sono già perdonati?

129 – Significa che tutta l’ascesi, la dinamica della purificazione, è un lasciar venire a galla, è un lasciar manifestarsi in noi quella forza purificante che ha sostituito il male del mondo sulla croce.

Egli ha vinto i nostri peccati, tutti i nostri peccati sono già perdonati in Lui, in quanto morti in Lui, perché Egli è risorto.

130 – Tra di noi è presente la cosa più grande che si possa concepire sulla terra, sotto i cieli, nella storia.

Questa realtà opera per noi, salvatrice dai nostri mali, purificatrice dai nostri peccati, perché con la Sua morte e con la Sua resurrezione ha vinto il peccato in noi.

Quello perciò che è impossibile a noi, quello che sarebbe impossibile a noi – come ha detto san Paolo, tutti sono nella stessa condizione, tutti siamo peccatori -, a Lui non è impossibile, per Lui diventa possibile, anzi è già accaduto, già avvenuto.

Noi siamo purificati dalla sua morte e dalla Sua risurrezione. Sono esattamente queste le cose insopportabili alla cultura razionalista moderna, alla cultura umana che domina e determina il mondo oggi.

139-141 – Un terzo ostacolo alla decisione della libertà è non riconoscersi come peccatori. Riconoscersi peccatori spalanca alla domanda.

Le persone “oneste” «non presentano quell’apertura alla grazia (domanda), alla verità che compie, che è essenzialmente il peccato». Il moralismo «ci fa proprietari delle nostre povere virtù. La grazia ci dà una famiglia e una razza. La grazia ci fa figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo».

Ch. Péguy, “Nota congiunta su Cartesio e la filosofia cartesiana”

Il terzo ostacolo è la presunzione dell’onestà, l’insensibilità al peccato, il non riconoscersi peccatori.

140 – Ancora una volta questa osservazione ritorna come uno degli inizi dell’essere nuovo, uno dei motivi cristiani più decisivi: il riconoscersi peccatori.

Inversamente, il vero amore a se stessi, la vera dimensione di se stessi, il riconoscersi peccatori sono le cose che producono la libertà a decidere, cioè a spalancarsi, nell’affermazione amorosa di ciò che le viene proposto, della realtà che le si propone e, sopra ogni cosa, della grazia.

La decisione autentica della libertà, la vera libertà, la vera decisione della libertà è una domanda, è una mendicanza.

Io mi chiedo di pensare se ci possa essere una qualsiasi esperienza umana che sappia esprimersi così […] in domanda: una domanda compiuta. dove niente sfugge, dove tutto è abbracciato: una la può fare dal letto su cui si trova, ammalato, o dal profondo del suo peccato, la può fare nella pena e nella gioia, grande, piccolo, giovane, adolescente, vecchio che sia: la può fare l’uomo.

166 – In questo luogo niente è contro di noi, neanche noi stessi. Noi siamo contro noi stessi soprattutto quando commettiamo il peccato, che è proprio il disfacimento: ma c’è il perdono. La compagnia è il luogo del perdono.

187-188 – «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).

Siamo qui perché riconosciamo innanzitutto questa verità: siamo peccatori. Se vi sentite onesti, non è questo il luogo dove dovevate venire.

La coscienza dell’essere peccatori è, infatti, la prima verità dell’uomo che agisce nella vita e nella storia.

Se agire vuol dire stabilire rapporti con gli altri, con le cose – giudicare, organizzare, reagire -, non si può essere al proprio posto, cioè non si può partire dal punto di vista giusto in tutti questi rapporti, se non riconoscendo di essere peccatori, sproporzionati al fine, in qualche modo fuori luogo, dimentichi inesorabilmente di tante cose, con una connivenza sottile che sfugge tante volte alla clamorosità di un proposito.

Noi siamo peccatori e per questo non è mai compiuto l’atto che svolgiamo e realizziamo con chiunque.

Che cosa sta all’origine dell’esser peccatori? Sta una affermazione di sé. Invece che affermare l’essere, la realtà nella sua verità integra, intera, nel suo destino totale, esauriente, noi siamo determinati dalla preoccupazione di affermare noi stessi.

Per questo san Giovanni scriveva ai primi cristiani: «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1Gv 1,8)

188 – La prima verità in noi è riconoscere di essere peccatori. Io posso darti la mano e parlarti da fratello perché riconosco di essere peccatore; posso portarti l’onore che ti devo e mantenere la parola che ti ho data e insieme costruire qualcosa – per questo il tempo ci è donato – solo perché riconosco di essere fragile peccatore.

211 – Questa è la tristezza del peccato. Essa è dovuta al fatto, amici miei, che il rapporto, in quanto contiene il peccato, non è vero: il rapporto con la moglie o con il marito, il rapporto con l’amico, il rapporto con la madre, col fratello.

Il rapporto con chiunque e con qualunque cosa, se è peccato, nella misura in cui è peccato, non è vero, perché non è secondo la totalità dei fattori che entrano in gioco, è una impostura.

Per questo Giovanni chiamava il peccato «impostura», «menzogna».

216 – Un’azione non completa è un’azione che cade, non vera. Il peccato è un’azione non vera. Non c’è niente di più triste nella vita,

239 – Intervento: «Perché, pur riconoscendone l’ovvietà, abbiamo una percezione così generica e senza dolore del peccato? La coscienza del peccato deriva da una educazione o da una grazia?».

La coscienza del peccato – proprio perché è offesa a Dio che si è rivelato ed è nella sua rivelazione che la gravità della questione si è palesata – è frutto di una grazia. Una educazione può rendere più disponibile l’animo alla sensibilità in questo senso.

È la coscienza della Sua presenza che ci fa sentire dolore per ognuna delle nostre azioni incompiute.

243 – La giustizia non basta perché l’uomo, per il peccato originale, non è capace di mantenere la giustizia nella sua completezza, nella completezza delle sue esigenze.

Siamo peccatori, allora occorre la presenza di una misericordia, occorre una carità, una pietà più grande che, come il papà e la mamma prendono il bambino caduto e lo fanno rialzare, ci facciano rialzare.

254 – Ma che bello poter dire: «Dio ti offro questo!». Vale più di tutte le parole che si possono dire, eccetto una: «Cristo, Dio fatto uomo, salvezza dell’uomo, liberaci dal peccato, o Signore!», perché il peccato non è solo handicap per la vita eterna, è un handicap quaggiù perché impedisce che i nostri rapporti siano veri.

coscienza di essere peccatore

Non possiamo prendere rapporto vero, non possiamo salvare un accento di verità nel rapporto con chicchessia, con noi stessi, con gli altri, vicini e lontani, e neanche con le cose, se non avendo – non dico attimo per attimo, ma almeno sullo sfondo – la coscienza dell’esser peccatori.

66 – […] Non esiste creatura umana, dopo la creazione non esiste uomo – ricordate almeno l’idea di peccato originale, il fatto del peccato originale – che non sia peccatore. E se uno parte dalla coscienza di essere peccatore – esplicita o implicita – non si comporta bene con se stesso e con gli altri.

79 – Il popolo cristiano cosciente del suo essere peccatore, non è un popolo triste, è un popolo pieno di gioia: la gioia del Signore, la gioia di Cristo, non di me, la gioia di Cristo che mi investe e, investendomi, butta fuori di me il rimorso, il ricordo, la coda amara del mio peccato.

113 – Se tutte le volte che ci troviamo insieme, per qualsiasi motivo, in famiglia o nella comunità, noi partissimo con la coscienza del nostro essere peccatori, provate a pensare come tratteremmo diversamente la moglie, il marito, i figli, gli amici, i partner della comunità, p gli estranei, pensate come li tratteremmo diversamente, saremmo costretti a farlo in modo più buono.

119 – Sorprendere la debolezza mortale e riconoscere il peccato in noi, questa è la prima saggezza; e, insieme, sorprendere la debolezza mortale e riconoscere il peccato negli altri.

187 – La coscienza dell’esser peccatori è, infatti, la prima verità dell’uomo che agisce nella vita e nella storia.

239-240 – La coscienza del peccato, è frutto di una grazia. È la coscienza della Sua presenza che ci fa sentire il dolore per ognuna delle nostre azioni incompiute.

240 – Comunque, la sostanza è che la coscienza del peccato, se è resa più sensibile da una educazione, non può essere, nella sua verità, se non frutto di una grazia.

essere peccatore

23 – Il primo punto di questa verità, la partenza di ogni sanità della vita – è paradossale – è la coscienza dell’essere peccatori, la coscienza del peccato.

27 – In che cosa consiste veramente questo nostro essere peccatori? Il peccato – spero che sia chiaro che non sto parlando del peccato come ci è rimasto in testa quando ci preparavamo alla prima Confessione o dopo la prima Confessione e che abbiamo dimenticato volentieri a dodici, tredici anni – stabilisce nella vita la prevalenza del sogno: la Bibbia lo chiama «idolo».

34 – Le nostre miserie non sono più cristiane: non guardiamo più il nostro essere peccatori come l’ha visto Cristo.

80 – Ma a questo punto è quasi bello esser peccatori, tanto Cristo è Cristo!

115 – Il mio essere peccatore incomincia come giudizio di valore sbagliato: «Io giudico», qui incomincia l’errore; «Io giudico», non: «Tu giudichi», «un Altro giudica», cioè i l Mistero, che ti comunica ciò che vuole attraverso le circostanze inevitabili.

187-188 – Siamo qui perché riconosciamo innanzitutto questa verità: siamo peccatori.

La coscienza dell’essere peccatori è, infatti, la prima verità dell’uomo che agisce nella vita e nella storia. .

[…]Non si può partire dal punto di vista giusto in tutti i rapporti, se non riconoscendo di essere peccatori, sproporzionati al fine, in qualche modo fuori luogo, dimentichi inesorabilmente di tante cose, con una convivenza sottile che sfugge tante alla clamorosità di un proposito.

Che cosa sta all’origine dell’esser peccatori? Sta una affermazione di sé. Invece che affermare l’essere, la realtà nella sua verità integra, intera, nel suo destino totale, esauriente, noi siamo determinati dalla preoccupazione di affermare noi stessi.

Penitenza

41-42 – Voglio terminare con la più bella cosa che intendevo stamattina: penitenza. Il rapporto tra il peccato e penitenza.

42 – «Penitenza» è una brutta parola, se viene identificata con certe forme di cose; perciò la parola più conveniente e più chiara è la parola «conversione»: dal peccato alla conversione.

Che cosa è questa conversione che io, denso di peccato e di male, posso vivere ora? La conversione è riconoscerLo.

66-67 – «Il perdono» dice Ratzinger «e la sua realizzazione in me, attraverso la via della penitenza e della sequela, è in primo luogo il centro del tutto personale di ogni rinnovamento».

Il perdono, attraverso la «penitenza» e la «sequela», è il cuore che rende nuove tutte le cose, è il cuore del «rinnovamento».

67 – Uno diventa nuovo. Uno diventa nuovo: fra un minuto sbaglia, ma nell’istante in cui riconosce Cristo diventa nuovo, attraverso la penitenza cioè la conversione che è il riconoscimento.

Io sono strappato all’isolamento, se ti riconosco o Signore. Se mi converto a Te, se vivo la penitenza, io sono strappato all’isolamento, la mia azione è strappata all’isolamento, riappare in me l’immagine della totalità, dell’ultimo, dell’ideale, del destino, che è la stessa cosa che appare in te: per questo io esco dall’isolamento anche nel rapporto con te.

penitenza come conversione

42 – «Penitenza» è una brutta parola, se viene identificata con certe forme di cose; perciò la parola più conveniente e più chiara è la parola «conversione»: dal peccato alla conversione.

Che cosa è questa conversione che io, denso di peccato e di male, posso vivere ora? La conversione è riconoscerLo.

67 – Uno diventa nuovo. Uno diventa nuovo: fra un minuto sbaglia, ma nell’istante in cui riconosce Cristo diventa nuovo, attraverso la penitenza cioè la conversione che è il riconoscimento.

Io sono strappato all’isolamento, se ti riconosco o Signore. Se mi converto a Te, se vivo la penitenza, io sono strappato all’isolamento, la mia azione è strappata all’isolamento, riappare in me l’immagine della totalità, dell’ultimo, dell’ideale, del destino, che è la stessa cosa che appare in te: per questo io esco dall’isolamento anche nel rapporto con te.

riconoscere

67 – Uno diventa nuovo. Uno diventa nuovo: fra un minuto sbaglia, ma nell’istante in cui riconosce Cristo diventa nuovo, attraverso la penitenza cioè la conversione che è il riconoscimento.

Il riconoscimento stupefatto della Samaritana al pozzo, di Zaccheo su quell’albero.

Io sono strappato all’isolamento, se ti riconosco o Signore. Se mi converto a Te, se vivo la penitenza, io sono strappato all’isolamento, la mia azione è strappata all’isolamento, riappare in me l’immagine della totalità, dell’ultimo, dell’ideale, del destino, che è la stessa cosa che appare in te: per questo io esco dall’isolamento anche nel rapporto con te.

Perdonare/perdono

43 – Non è detto che il pubblicano, uscito dal tempo, abbia distribuito le sue sostanze ai poveri: non è detto. È detto che è uscito perdonato.

56 – «Da morti che eravamo, Dio ci ha fatto rivivere in Cristo», ci ha dato uno slancio nuovo, ci ha dato il perdono per un ripresa continua. come dice la Liturgia: «Liberaci dal male».

61 – Pensare continuamente agli errori del passato è equivoco, perché cela una nostalgia e dimentica la cosa più grande che esista nel cosmo: il perdono di Dio alla sua creatura.

66-68 – Cristo -dice Ratzinger – è «espiazione e perdono». Perché non esiste creatura umana, dopo la creazione non esiste uomo che non sia peccatore. E se uno non parte dalla coscienza dell’esser peccatore – implicita o esplicita – non si comporta bene con se stesso e con gli altri, ma da “cafone” come dicono a Napoli.

Il perdono, attraverso la “penitenza” (conversione) e la “sequela”, è il cuore che rende nuove tutte le cose, è il cuore del rinnovamento.

67 – Cristo è il perdono: perdono vuol dire che si ricostruisce da capo, tutto diventa nuovo; il perdono è il cuore del rinnovamento.

Cristo, ricordiamoci, ci rende nuovi, perdona, è perdono, perché ha portato su di sé tutto il nostro male.

68 – Che Cristo sia «espiazione e perdono» vuol dire che Cristo è tutto per me peccatore, per me altrimenti fallito, grano di sabbia nel vortice, ne turbine del vento del mondo.

77 – Quello che ci è stato dato, ci è stato dato per partecipare alla missione del Redentore, Cristo «Espiazione e perdono».

79 – Questo giorno – che sorge per noi ogni mattina: l’angelo di Dio ce ne porta l’annuncio – è consacrato al Signore nostro Dio: non ci rattristiamo neanche per il nostro male, perché la gioia del Signore è la nostra forza, la vittoria di Cristo risorto, «espiazione e perdono», è la nostra forza.

166 – Noi siamo contro noi stessi soprattutto quando commettiamo il peccato, che è proprio il disfacimento: ma c’è il perdono. La compagnia è il luogo del perdono; in questo luogo niente è contro di noi, neanche noi stessi, è «il solo luogo dove tutto è complice», dove tutto è positività, diventa positivo per te.

essere perdonati

54 – Che povertà di spirito si esige perché noi abbiamo ad accettare di essere “i perdonati”, perché questa è la vera luce, l’ultimo traguardo della luce, il primo e l’ultimo: l’esser perdonati!

128-129 – Tutti i peccati, di tutti gli uomini, come concentrati in quell’uomo, lo hanno reso “il” peccato e perciò noi siamo già tutti salvi, Gli uomini hanno già i loro peccati perdonati. egli ha crocefisso nella sua morte tutti i peccati di tutti gli uomini; tutti i miei peccati sono già stati perdonati.

Cosa vuol dire che tutti i nostri peccati sono già perdonati?

129 – Significa che tutta l’ascesi, la dinamica della purificazione, è un lasciar venire a galla, è un lasciar manifestarsi in noi quella forza purificante che ha sostituito il male del mondo sulla croce:

164 – Amare Dio con tutta l’anima e con tutte le forze è una posizione di fedeltà: l’incoerenza può penetrare in ogni istante, e siamo perdonati.

Popolo

29-30 – Il peccato è senza popolo. Il peccato è il tentativo di affermare il proprio progetto, cioè se stessi.

E il popolo che ci circonda, nel migliore dei casi, è il grande pretesto per la nostra emozione, per una emozione che ci faccia muovere per un nostro progetto, oppure è un impedimento, una realtà da rendere schiava, funzionale al proprio potere.

30 – Il peccato è senza futuro e senza storia, perché il soggetto della storia è un popolo.

32 – Certo non siamo sotto i bombardamenti della Guerra del Golfo noi; siamo sotto bombardamenti molto peggiori, che intaccano l’anima nostra e la nostra dignità nel suo rapporto col destino: scempio di città, scempio di popolo.

Certo anche adesso si raduna il popolo, anche adesso ci raduniamo, ma non è la vita che si raduna.

Ciò mi ha fatto pensare a come, oggi, sia facile credere che la salvezza venga dalle leggi. Ma le leggi non sono altro che la speranza posta nei propri progetti, che non hanno futuro e non creano popolo.

38-41 – Come dice Péguy (riferendosi a certi momenti del Medioevo):

«Noi abbiamo conosciuto un popolo, questo meraviglioso popolo era fatto di dedizione al lavoro e di letizia di esso. Andavano e cantavano. vi era un onore incredibile nel lavoro. Il più bello di tutti gli onori, il più cristiano, Ho veduto durante tutta la mia infanzia impagliare seggiole con lo stesso identico spirito e con il medesimo cuore con i quali quel popolo aveva scolpito le proprie cattedrali […]. Dicevano per ridere che lavorare è pregare, e non sapevano di dire così bene. A tal punto il lavoro era una preghiera. e la fabbrica un oratorio […]. Tutto era un elevarsi interiore e pregare tutto il giorno. Il sonno e la veglia, il lavoro e il misurato riposo, il letto, la tavola».

Péguy, L’Argent

47 – Questo siamo noi: un popolo che grida a Dio e che per questo è salvato.

49-51 – Questa alleanza, che è data dal senso religioso, si è espressa fisicamente nella storia e ha avuto il suo inizio con il popolo ebraico, con Abramo.

50 – Fra tutta la gente che c’è nel mondo noi comprendiamo che Egli si è gettato dietro le spalle tutti i nostri peccati; per cui, se ci ritroviamo con altri che hanno capito questo, che sono stati chiamati a questo, si forma una compagnia che è un popolo nuovo, l’inizio di un popolo nuovo.

68-69 – La liberazione dal peccato costruisce il futuro, rende l’azione che compio adesso creatrice di futuro, piena di rapporto con il futuro: con l’azione che compio ora, costruisco ili rapporto con te, cioè l’azione che compio ora è sorgente di popolo, sia che esso si esprima come amicizia, come famiglia, come compagnia, o come popolo nel senso letterale del termine.

69 – La conversione è questo: «Sì» Poi tutto il resto è compiuto dalla forza di Cristo, dallo Spirito che genera e guida l’avvenimento, dallo Spirito che genera e guida l’ordine dell’io, del popolo umano tutto e del cosmo intero.

78-79 – «Neemia che era il capo, Esdra sacerdote e scriba e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: “Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!”. Perché tutto il popolo piangeva mentre ascoltava le parole della legge[…]». (Ne 8,1-10)

103-109 – Il destino si rivela, il destino parla propriamente, cioè si fa conoscere nella sua definitività attraverso la scelta di un popolo.

104 – Si sceglie un popolo nato da Abramo e il suo seme, i suoi discendenti; sceglie un popolo, perché attraverso esso e la sua storia Egli ci fa capire meglio che cosa vuole.

Il brano del libro della Sapienza nasce da questo popolo; è questo popolo che può esprimere una pagina come quella che abbiamo letto (Sap 1,12-15), cioè una tale affermazione grandiosa di positività.

Il fatto che il destino scelga un uomo e la sua discendenza, che ingrandendosi diventa un popolo, come dice il Benedictus, vuol dire che il destino ha un disegno nel tempo. Di tutto l’universo sceglie questo popolo per dire: «Io voglio la positività del tutto».

È per farci capire meglio questo, per farcelo realizzare più concretamente, che sceglie un uomo da cui nasce una discendenza che diventa popolo.

105 – Il singolo uomo vale in quanto è destinato a essere dentro questo popolo e in funzione di esso: vale a dire, il singolo uomo appartiene a questa storia.

Appartenere a questo popolo è il valore del singolo.

Il valore del singolo è il rapporto con il destino.[…] Valgo se appartengo a questo popolo, a questa storia.

«E Abramo se ne partì dalla sua terra», diventando un popolo, una discendenza e un popolo grande, «numeroso come le stelle che stanno nel cielo»(Gen 12,4)

La nostra vita, la nostra storia appartiene a una storia più grande, la storia del popolo che Dio ha fatto nascere da un «eletto». Attraverso le circostanze la storia si svolge.

Il metodo e la misura di questo disegno, il criterio di questo disegno che funzionalizza il mondo al cammino di questo popolo, il metodo e la misura del disegno che il destino ha in mente e realizza non “c’entrano” con noi, nel senso che non possono essere commisurati, proporzionati a noi, a quello che possiamo pensare.

108- Da vecchio (Abramo), (Dio)lo rende padre di “un figlio”, Isacco, da cui sarebbe dovuta nascere tutta la discendenza e il grande popolo. E poi gli dice: «Uccidimelo!». È un controsenso. È contraddittorio. Oltre che ripugnante, contro-natura, è anche contraddittorio alla promessa: Dio si contraddice.

E l’esilio in Babilonia? Questo popolo che doveva dominare la terra, che aveva ricevuto la grande promessa di diventare il fulcro del mondo, portatore del significato di tutto, veicolo del senso di tutto e di tutti, è disperso.

[…] Tutto il popolo deportato e schiavo in Babilonia.

Immaginiamoci un ebreo che amasse il suo popolo, con la coscienza della sua storia, tutto affidato alla grande promessa di Dio «fatta ad Abramo nostro padre», là in Babilonia, mentre vede tutti i suoi fratelli dispersi, resi schiavi e uccisi, perseguitati continuamente, considerati la feccia della società.

Il contrario di quello che aveva promesso loro.

Nonostante il destino dica: «Io vi assisterò creando una storia di popolo cui voi apparterrete e così sarete sostenuti e illuminati, incoraggiati e ripresi, perdonati e portati fino alla fine»; nonostante questo, dobbiamo ben guardare in faccia questa grande e suprema legge della nostra vita, che il criterio, il metodo, la misura di tutto quanto avviene è secondo una giustizia che con la nostra sembra non avere alcun rapporto.

109 – Che cosa dobbiamo fare noi? Ci occorre una disponibilità totale.

Che cosa è, in che cosa consiste questa disponibilità totale?

Innanzitutto una nostra affermazione amorosa dell’essere e della realtà che accade, vita o morte che sia, gioia o dolore che sia, riuscita o non riuscita che sia.

L’amore è l’affermazione di una presenza che si rivela attraverso l’istante, nell’istante: una presenza è presenza se è nell’istante.

157-159 – È da un soggetto nuovo che può nascere un popolo.

Non può nascere un popolo dal tipo di uomo prodotto dalla società di oggi o di ieri, perché un popolo nasce, è fatto, è generato dalla dignità della persona come rapporto con l’infinito.

Solo un io può dire «tu» all’infinito che genera – genera! – qualcosa di simile a sé, rende sé tradizione, porta ancora sé, ripete sé, rivive sé e così si comunica e nasce un popolo. È questo il soggetto nuovo da cui nasce un popolo nuovo.

158 – Questa realtà sociale nuova, questo popolo nuovo pone l’unica sua speranza, l’unica sua sorgente di progetto del Signore.

159 – Questo soggetto nuovo, che crea un popolo nuovo, una realtà sociale nuova, che ha come unica speranza il Mistero, il Signore, «il Signore, pastore di Israele», cioè Cristo dopo la sua resurrezione, dando uno sguardo al mondo a ciò che lo circonda da vicino, incominciando dallo sguardo che porta sul singolo, svolge una cultura nuova, un modo di pensare totalmente e profondamente diverso, nei gangli della vicenda, nei punti centrali, nei modi della questione dell’essere, della vita e del destino.

163-164 – Tutto questo, nel soggetto che crea un popolo nuovo, può esserci soltanto se è sotteso da una memoria continua di ciò che è accaduto, dalla memoria di Cristo: Memores Domini, ricordando il Signore ci ergiamo la mattina.

164 – Il soggetto da cui nasce un popolo è creatore di una compagnia umana nuova, stabilisce, fa sorgere attorno a sé, «nel paese dove sta». una amicizia nuova, un’amicizia vera, cioè, un’amicizia per cui la compagnia diventa guida al destino e l’amore, la passione per il destino l’uno dell’altro, trascina tutto, decide tutto, pardon, tende a decidere di tutto, tende a trascinare tutto.

214 – «I programmi che prendono avvio dall’idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, […] in pratica subiscono deformazioni» – così oggi può avvenire che per punire i colpevoli si distrugge un popolo nella sua unità di coscienza e nel suo stesso raggiunto benessere -. «È stata appunto l’esperienza storica che, fra l’altro, ha portato a formulare l’asserzione sommo diritto, somma ingiustizia», l’estrema forma della giustizia coincide con l’estrema ingiustizia. «Tale affermazione non svaluta la giustizia», non svaluta il tentativo dell’uomo, «non attenua il significato dell’ordine che su di esso si instaura», o si cerca di instaurare, «ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde», alle forze di Cristo, «che condizionano l’ordine stesso della giustizia (umana)»(Dives in misericordia– Giovanni Paolo II)

218 – L’impresa grande che è il disegno di Dio nel mondo avviene attraverso una compagnia, una comunità o un popolo, che può essere piccolo, impotente di fronte alle forze del mondo, eppure alla fine esso determinerà il volto di tutto, determinerà l’orizzonte totale.

221-224 – L’avvenimento cristiano fa di me l’articolazione di un popolo più grande, di una compagnia grande, del corpo mistico, misterioso di Cristo.

222 – Io sono reso parte del corpo misterioso di Cristo, di questo popolo nuovo, di questa umanità, di questa fraternità.

223 – Non possiamo dimenticare le due valenze, i due poli del rapporto di incontro che, nell’avvenimento da Dio creato, avviene tra me e Lui, tra noi e Lui: da una parte, un popolo in cui ci fa entrare, il grande popolo del corpo misterioso della Chiesa, il grande popolo di Dio, l’erede del suo popolo prediletto, e, dall’altra parte, questa puntualizzazione, questa originalità, questa particolarità, la particolarità e l’originalità di un carisma, di una certa modalità, di una certa forma.

Non dimentichiamolo: popolo e carisma.

224 – Noi viviamo il popolo intero del corpo di Cristo, il popolo intero della Chiesa, tanto meglio quanto più siamo fedeli al nostro carisma, alla nostra personalità, alla fisionomia personale che Dio ha dato a noi, o, meglio, in cui Dio ci ha chiamati.

226 – Siamo nel popolo di Dio perché siamo stati scelti, perché siamo stati eletti. Tutto l’Antico Testamento, la storia del popolo ebraico, è dominato da questo valore.

Il popolo ebraico è stato “indiziato”, scelto da Dio come il luogo dove sarebbe venuto al mondo, dentro il mondo, Colui che avrebbe salvato il mondo, il Re dell’universo.

Perché è stato scelto il popolo ebraico? Perché era più bravo degli altri popoli? No! Perché Dio l’ha voluto scegliere.

«Tu in fatti sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo privilegiato fra tutti i popoli che sono sulla terra

Dt 7,6-15

228-229 – Questa nostra Fraternità […] è un ordine in cui la supremazia del Padre, la magisterialità di Cristo, la signoria di Cristo hanno un segno.

229 – Senza questo segno non ci sarebbe compagnia tra di noi, non ci sarebbe il Mistero della Chiesa, non ci sarebbe il popolo nuovo che sta camminando nel mondo: senza autorità non ci sarebbe la novità che Cristo ci ha chiamati a vivere insieme.

Ma la nostra compagnia il Signore non la anima solo con la presenza dell’autorità, che custodisce la strada esatta per cui il popolo tutto deve passare, per cui la nostra anima deve lavorare; la nostra compagnia è carica di ricchezza, ognuno di noi, se guardato con gli occhi della fede, ha una autorevolezza sull’altro data da una capacità di esempio, di pazienza, di affezione, di perdono, da una capacità di parola buona, da una saggezza, da una capacità di discrezione.

232 – Il Padre ha avuto questo disegno mirabile perché, attraverso l’impegno della responsabilità di ognuno di noi, perciò attraverso l’impegno della faccia che ognuno di noi ha, delle capacità che ognuno di noi ha, perché attraverso questo popolo si cambi il mondo secondo la sua volontà.

Positività

19 – Ma che attendiamo la salvezza, questo è secondo la natura del nostro cuore, secondo come Dio ci ha fatti, perché Egli ha iniziato quest’opera buona, per portarla a compimento.

Non esiste nessun punto nel mondo dove questa positività ultima, dove questo ottimismo umile, povero, profondo e sicuro venga rispettato e riecheggiato, «secondo i Suoi disegni benevoli» (“Invocazioni“, Lodi del sabato, in Il libro delle ore).

103-104 – La vita è positiva, la realtà è positività, quello che il destino vuole dalla esistenza di tutti e di tutto è una positività, è – come dice il salmo – una gioia: siamo fatti per la gioia.

104 – Il brano del libro della Sapienza nasce da questo popolo; è questo popolo che può esprimere una pagina come quella che abbiamo letto (Sap 1,12-15), cioè una tale affermazione grandiosa di positività.

Di tutto l’universo sceglie questo popolo per dire: «Io voglio la positività di tutto».

107-108 – In una parola sola: la giustizia, che è la positività di questo disegno – si chiama giustizia la positività definitiva e totale di questo disegno, la positività di tutto ciò che esiste, perché tutto ciò che esiste fluisce in questo disegno -, non si identifica con metodi e misure nostre.

108 – Questa è la questione fondamentale. Nonostante il destino abbia detto: «Io voglio la positività e la gioia, tutto ho fatto per la gioia» […] nonostante questo, dobbiamo ben guardare in faccia a questa grande e suprema legge della nostra vita, che il criterio, il metodo, la misura di quanto avviene è secondo una giustizia che con la nostra sembra non avere alcun rapporto.

166 – La compagnia è il luogo del perdono; in questo luogo niente è contro di noi, neanche noi stessi, è «il solo luogo dove tutto è complice», dove tutto è positività, diventa positivo per te.

Pregare/preghiera

39 – «Dicevano per ridere che lavorare è pregare, e non sapevano di dire così bene. Al tal punto il lavoro era una preghiera. E la fabbrica un oratorio[…]. Tutto era un elevarsi interiore e pregare tutto il giorno. Il sonno e la veglia, il lavoro e il misurato riposo, il letto, la tavola».

Ch. Péguy, L’Argent

94-95 – […] Che Gesù c’entri con quello che mangiamo e beviamo, con il mangiare e con il bere. Per questo si dicono le preghiere prima e dopo il pranzo e la cena; per questo si dice al mattino e alla sera la preghiera.

136-137 – «Il tuo desiderio è la tua preghiera: se continuo è il tuo desiderio, continua è pure la tua preghiera. L’Apostolo infatti non a caso afferma: “Pregate incessantemente”. S’intende forse che dobbiamo stare continuamente in ginocchio o prostrati o con le mani levate per obbedire al comando di pregare incessantemente? Se intendiamo così il pregare, ritengo che non possiamo farlo senza interruzione. Ma vi è un’altra preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri Dio, non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce»

Sant’Agostino, Commento sui salmi.

216 – Il tuo desiderio, amico, è la tua preghiera. Se continuo è il desiderio, continua è la preghiera.

domanda

140-141 – La decisione autentica della libertà, la vera libertà, la vera decisione della libertà è una domanda, è una mendicanza: mendicanti dell’Essere.

Io vo chiedo di pensare se ci possa essere una qualsiasi esperienza umana che sappia esprimersi così, non in presunzione e pretesa, ma in domanda; una domanda compiuta, dove niente sfugge, dove tutto è abbracciato: uno la può fare dal letto su cui si trova ammalato, o dal profondo del suo peccato, la può fare nella pena e nella gioia, grande, piccolo, giovane, adolescente, vecchio che sia: la può fare l’uomo.

È il desiderio espresso dall’uomo, è la domanda dell’uomo: «O Dio, creatore dell’universo, concedimi prima di tutto che ti preghi bene, poi che mi renda degno di essere esaudito, e infine che tu mi liberi. Dio, che ai pochi che eludono il bene manifesti non avere il male valida essenza».

Pochi ti domandano tutto, o Dio, perché a te, Dio, si domanda tutto.

190 – Non dobbiamo sentire una parola senza cercare che essa ci giudichi, senza cercare che essa ci giudica, perché “sprema” da noi il grido a Dio, la domanda a Dio, la mendicanza a Dio.

È un ascoltare, che non può che essere giudizio e domanda, meditazione e preghiera.

215 – In noi non c’è il piangere del bambino, non ci dovrebbe essere il piangere “di fuori” del bambino, ma ci dovrebbe essere il pianto “di dentro” dell’uomo: è la domanda è il limite ultimo, il confine misterioso della nostra libertà.

Nella domanda la nostra libertà si gioca. L’uomo cristiano non è indifferente al bene o al male morale, ma nella percezione del proprio niente chiede, mendica.

La vera e fondamentale pratica ascetica è domandarLo.

E non si può a lungo domandare senza veramente desiderare che accada ciò che si domanda. La domanda è domanda se veramente si desidera che accada quello che si domanda.

Presente/presenza

12-13 – Non siamo ai lavori forzati – la vita non è essere ai lavori forzati -, ma siamo di fronte a una Presenza che reclama il nostro cuore.

Fossi tu, amico mio, arido come pietra e Dio fosse per te una semplice parola, come un’eco senza significato, quello che dico è vero anche per te: non sei condannato ai lavori forzati, ma sei di fronte a una Presenza che reclama il tuo cuore.

15 – «Custodisci la tua famiglia, o Dio, con la fedeltà del tuo amore; e sostieni […] la fragilità della nostra esistenza con la tua grazia», con la tua Presenza reale, «unico fondamento della nostra speranza».

Il gioco della presenza nostra nel mondo, della presenza della Chiesa nel mondo, il gioco della presenza della fede in Cristo nel mondo è tutto raggrumato in questa osservazione del Vangelo: che qualcuno debba venire – «il Cristo quando verrà…»-, che un significato ultimo debba rivelarsi.

37 – «Il Mistero ha scelto di entrare nella storia dell’uomo con una storia identica a quella di qualsiasi uomo, vi è entrato perciò in modo impercettibile, senza che nessuno lo potesse osservare e registrare. A un certo punto si è posto e per chi lo ha incontrato quello è stato il grande istante della sua vita e della storia tutta».

L. Giussani, All’origine della pretesa cristiana

Incontro: Cristo è diventato una Presenza.

Questa Presenza, il Verbo fatto presenza investe, penetra, domina tutto.

40-41 – «Al mattino» dice il Salmo 142, « fammi sentire la tua grazia» cioè la tua presenza, «perché in Te confido».

41 – La prima caratteristica della memoria è la totalità. Ed è questa la novità, questo è il verme dell’antitesi o il punto cruciale dell’antitesi: se la totalità è l’insieme delle leggi fatte dall’uomo o se la totalità è una Presenza.

64 – Penso spesso alla Madonna – mi è diventata abbastanza abituale; quando sarete vecchi come me, spero che anche per voi lo sarà, perché quando si è vecchi si diventa molto più giovani, come coscienza, se non come nervi e come sangue -: con che trasparenza doveva vedere tutto quello che faceva, con che trasparenza dello scopo ultimo, di quell’ultima Presenza e di quel riferimento ad essa di ciò che aveva tra le mani. Che la Madonna ci renda suoi figli.

92-93 – Quella presenza che ci ha liberati e ci libera dalla conseguenze della nostra meschinità, del nostro tradimento, della nostra negligenza, del nostro peccare, quella presenza che è proprio Gesù, Gesù diventato carne, che si è reso visibile, permanente.

93 – «Sarò con voi tutti i giorni» (Mt 28,20).

Questi sono i temi che richiameremo: il grande mistero del Padre, dell’origine e del destino; il peccato che è in noi; la Presenza che ci libera; la compagnia in cui Egli ci fa camminare, così come siam, ci fa camminare e perciò ci cambia.

95 – Vivere il più possibile determinati dalla coscienza della Sua presenza, determinati dalla volontà di collaborare e contribuire al mistero della Sua croce e risurrezione, della Sua redenzione del mondo.

109-110 – Ci occorre una disponibilità totale. Che cosa è, in che cosa consiste questa disponibilità totale? Innanzitutto in una nostra affermazione, in una mia affermazione amorosa dell’essere e della realtà che accade, vita o morte che sia, gioia o dolore che sia, riuscita o non riuscita che sia.

L’amore è l’affermazione di una presenza che si rivela attraverso l’istante, nell’istante; una presenza è presenza se è nell’istante.

110 – La realtà rivela una presenza, la presenza del destino, del Mistero.

La disponibilità totale è una affermazione amorosa della realtà, in cui si cela la grande Presenza.

126 – Andrea e Giovanni, Simone e Natanaele, Filippo, le tre o quattro donne che incominciarono a seguirLo, Lo videro.

I loro occhi l’hanno visto il loro pensiero fu investito dalla tenerezza di quella Presenza: Dio è diventato carne e perciò la grandezza suprema della storia è questa Presenza. Egli è tra noi nel mistero dell’Eucarestia, nel Mistero della nostra compagnia e della Chiesa.

130-131 – Tra di noi vive, tra di noi è presente la cosa più grande che si possa concepire sulla terra, sotto i cieli, nella storia. Questa realtà opera per noi, salvatrice dai nostri mali, purificatrice dai nostri peccati, perché con la Sua morte e con la Sua resurrezione ha vinto il peccato in noi.

131 – Questa presenza grande e bella e buona, questo uomo così buono che è morto e risorto per noi, è salvatore della nostra vita: è il Salvatore.

133 – Per tutti noi Gesù Cristo è questa grazia, è questa Presenza.

Ma accettare tutto quanto abbiamo detto circa questa grazia, che noi dobbiamo servire con tutta la vita, accettare questo è l’opera di Dio: «L’opera che piace a Dio è la nostra fede in colui che egli ha mandato» (Gv 6,29).

147-148 – Io l’ho capito quando ero giovane in seminario:

il «celeste» non è un'altra cosa del presente, è la profondità del presente. È allora che ho capito che Dio è la profondità del presente.

148 – La morte è il limite estremo. La vittoria sulla morte rende per Cristo il tempo e lo spazio puro strumento espressivo della Sua presenza. Essi non sono più un limite.

150-156 – Che cosa è la fede? È il riconoscimento, dentro una presenza, di qualcosa di ben più grande, di grande; è il riconoscimento, in una presenza, del “grande”, cioè di Dio, del divino, del Mistero, del destino.

I discepoli, contattandolo, prendendo rapporto con Lui dopo la risurrezione, incominciano a capire chi è, e in quella presenza riconoscono la grande Presenza, senza più tentennamenti. Così in questi discepoli incomincia quella che chiamiamo «fede».

La fede è un dono, è una grazia, è uno spaccarsi del limite dell’intelligenza, per cui essa arriva a riconoscere una realtà presente o -meglio – arriva a riconoscere nel presente una realtà più grande.

Si chiama fede perché riconosce nell’apparenza, nell’apparenza determinata naturalmente, un Persona grande, una Presenza grande: la presenza del Mistero, di Dio, del Verbo di Dio, del destino di tutti e di tutto.

151 – Così Cristo si rende presente attraverso una realtà integralmente umana, fatta perciò di uomini e di tutto ciò che agli uomini interessa, cioè tutto.

200-201 – Da che cosa si capisce che l’avvenimento in cui Dio entra nella nostra vita, nella nostra esistenza quotidiana, è una verità di salvezza, è un avvenimento di salvezza? Dalla eccezionalità di una presenza.

201 – Gesù Cristo, quell’uomo di duemila anni fa, si cela, diventando presente, sotto la tenda, cioè sotto l’aspetto di una umanità diversa.

La diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente nella maggior corrispondenza, nell’impensabile e impensata maggior corrispondenza si questa sua umanità, in cui ci imbattiamo, alle esigenze del cuore, alle esigenze cioè della ragione.

204 – Questa persuasione ha la sua spiegazione in un passato, in un altro avvenimento passato, che ad un certo punto illumina lo stupore del presente: era la memoria di una presenza, la memoria di qualcosa che era già avvenuto.

Quando è lì che parla per la strada o quando spezza il pane con loro ritorna la memoria di una presenza da cui la loro vita si era sentita presa, posseduta, da cui tutta la loro vita era stata investita, a cui la loro vita sembrava oramai appartenere.

206-208 – Si può capire l’importanza di quel fatto passato solo attraverso l’esperienza presente, solo attraverso una esperienza presente ed eccezionale di quel fatto che è avvenuto prima, solo attraverso un avvenimento presente, così differente umanamente che può essere spiegato soltanto da quel fatto che è accaduto nel passato.

207 – Come si fa a capire che è vero? […] Che gente peccatrice come noi veicola, porta in sé e fuori di sé, comunica una certezza, una speranza, una pace, una chiarezza, una possibilità di ripresa, un perdono, una misericordia, che non esiste neanche nella miglior madre di questo mondo. Allora si capisce che è vero il fatto passato da cui deriva il fatto presente.

Un avvenimento del passato carico di pretesa e di significato per la nostra vita può essere scoperto solo in funzione di una esperienza presente.

Qualcosa di presente trova dunque la sua spiegazione, la sua motivazione, in qualcosa che è passato, così che il passato è l’inizio di una memoria che si rende sperimentabile nel presente.

Il presente mi rimanda ad un passato e quel passato mi fa ritornare al presente. Questo è il concetto di memoria. Un avvenimento del passato, carico di pretesa, di significato per la propria vita, può essere scoperto solo in funzione di una esperienza presente di tale avvenimento.

È decisivo per la nostra vita cristiana che sia qualche cosa di presente che si vive e non un pensiero che indaga, e non un possesso che si ricerca, una dialettica che si svolge, a farci scoprire quell’avvenimento passato.

208 – Un avvenimento del passato, che ha una pretesa di significato per la propria vita, è rinvenibile nell'esperienza di un avvenimento presente, che è l'inizio di una memoria il cui contenuto è spiegato completamente dal passato

È in un avvenimento presente che uno scopre un avvenimento del passato, che ha la stessa pretesa di significato per la vita: si stabilisce così una memoria che unisce il passato al presente e il presente al passato.

213-214 – Seguire è aderire alla presenza di Cristo.

214 – Lo scopo della vita è già presente tra noi, è un Tu, Cristo, il destino fatto uomo: la perfezione è il rapporto con questo Tu, e il rapporto con questo uomo vivente e presente è attraverso degli avvenimenti, cioè attraverso degli incontri vissuti.

236 – Fede è riconoscerTi dentro l’avvenimento della vita, dentro l’avvenimento della giornata, dentro l’avvenimento del presente, dell’istante.

Fede è riconoscere la Tua grande Presenza nella quale vivremo la felicità eterna e la luce immortale.

239-243 – Pur riconoscendone l’ovvietà, non abbiamo una percezione così generica e senza dolore del peccato perché non crediamo e non amiamo Dio come Presenza che ci accompagna di ora in ora.

È la coscienza della Sua presenza che ci fa sentire dolore per ognuna delle nostre azioni incompiute.

240 – Forma e metodo sono la modalità con cui il Signore si dimostra presente come Presenza corrispondente al nostro cuore.

O ciò che ci ha colpito una volta è un avvenimento di ogni giorno, è Presenza ricercata ogni giorno, oppure quello che ci ha colpito una volta diventa una regola interpretabile dalla nostra mente o un devoto ricordo in nome del quale in nome del quale si cerca di dare avvio a una iniziativa nuova.

La chiave di volta sta nel fatto che ciò che ci ha colpito una volta è che il Signore è diventato presente in un certo modo: attraverso una voce, attraverso una persona, attraverso una compagnia, attraverso un fatto.

241 – Se questa Presenza non viene rinnovata nella memoria di tutti i giorni, se tutti i giorni non cerchiamo di obbedire a quella Presenza graziosa, provvidenziale, che ci ha cambiati in quel momento, allora quel momento rimane un devoto ricordo interpretabile dalla nostra mente, poggiando su quale magari cerchiamo di riprendere iniziativa, ma secondo noi, secondo le nostre preoccupazioni: non è più una obbedienza che continua.

La dinamica presente/passato implica tutto il problema della apologetica, della apologia, vale a dire la dimostrazione della verità cristiana.

Da che cosa si dimostra che il fatto di Cristo è vero? È lontano duemila anni fa! È vero se esso, lontano duemila anni fa, è presente da cambiare il nostro presente, se esso è capace di diventare esperienza presente che influisce sulla nostra condotta presente.

Se esso diventa una Presenza che cambia il nostro presente, allora significa che è una cosa viva che è incominciata duemila anni prima e agisce ancora oggi, è presente ancora oggi, è contemporanea anche oggi an oi, è una cosa divina.

242 – Dio è diventato uomo, nato dalla Vergine Maria, è venuto nel mondo, è morto per noi, e da allora Egli diventa presente attraverso coloro che Egli sceglie, e che Lo riconoscono.

Chi Lo riconosce, anche duemila anni dopo, è reso così vero e vivo che cambia questo presente.

Il presente che tu incontri si spiega con quello che è accaduto nel passato e il passato dimostra la sua verità in quanto lo incontri nel presente. Il gioco presente/passato ha un valore apologetico e ha un valore pedagogico.

243 – Siamo peccatori. Allora occorre la presenza di una misericordia, occorre una carità, una pietà più grande che, come il papà e la mamma prendono il bambino caduto e lo fanno rialzare, ci facciano rialzare.

Questa presenza ci fa rialzare e così la nuova moralità che si instaura è come più grata, più pura, più umile, più sorpresa e in questa umiltà e in questa sorpresa acquista una generosità, una semplicità di dedizione che prima non aveva, e quello che prima non era possibile diventa possibile.

252-253 – Non è la fatica che ci spaventa, ma la fede che ci entusiasma, e la fede è il riconoscimento di una Presenza, riconoscimento che è incominciato in un certo momento, in un certo ambito, in una certa circostanza, di fronte a una certa presenza, che ha incominciato a cambiare la vita nostra.


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