Temi di »Un Avvenimento nella vita dell’uomo» 2a parte

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Lettera «S»


Sacrificio

111-112 – Nella misura della serietà della nostra coscienza e della nostra ragione, il sacrificio è una modalità continua.

Non esiste, non può esistere un gesto, se è cosciente, senza sacrificio.

Il sacrificio non è un saltare la ragione, non è un disprezzare un sentimento, ma è come lo strappo a una chiusura – il limite nostro -, uno strappo in cui la ragione, la coscienza della realtà, la coscienza del Mistero, del destino, esplode.

Non solo il sacrificio non è saltare la ragione, ma è uno strappo in cui la ragione esplode: come una donna che partorisce: ogni gesto è come una donna che partorisce – lo dice il Vangelo-. Solo attraverso diventa vero quello che facciamo.

Non esiste uomo che possa dire: «ti voglio bene» a una donna senza che questo passi e si realizzi nel sacrificio, cioè rinunciando, tagliando, mortificandosi in qualche cosa.

Ritornando al racconto della mela di Adamo ed Eva. Era un piccolissimo sacrificio. […] Bene, Adamo ed Eva non lo hanno fatto: hanno perso tutto. perché era attraverso quel sacrificio che diventava vero il loro riconoscimento di Dio, del Mistero, cioè che diventava vero che la misura non era la loro.

112 – Era attraverso quel sacrificio piccolissimo, invisibile quasi, infinitesimale, che dovevano dimostrare che riconoscevano il Mistero, che la ragione è nel Mistero, che la giustizia è nel Mistero, che la misura è del Mistero: «Le mie vie non sono le vostre vie» (Is 55,8).

Era attraverso quel sacrificio che si sarebbe dimostrato il loro vero possesso; vero, cioè rispettoso dell’ordine supremo.

Non hanno fatto quel sacrificio e hanno perso tutto, perché, dopo aver mangiato quella mela, si è corrotto anche lo sguardo che portavano al sole e alle stelle, si è corrotto anche lo sguardo che l’uno portava all’altra; la cosa più bella e più grande che Dio aveva fatto, l’ultima, la suprema: corrotta.

Quello che vale la pena nella vita è ciò che rimane dopo il sacrificio: il valore di un rapporto con uomini e cose è ciò che rimane dopo il sacrificio,

117 – Senza il punto di fuga, senza capire che tutto è segno d’Altro, senza l’obbedienza di cui abbiamo parlato, senza soggezione al Destino, senza sacrificio liberante verso il tutto, il particolare, il particolare provvisoriamente potente – prima c’era Stalin e adesso non c’è più -, conia le sue leggi.

Tutto il presente dovremmo viverlo in funzione dell’opera di un Altro, del Destino, del Mistero, di Dio, in una obbedienza senza fondo, accettando il sacrificio di ogni momento – ogni momento! Non fare questo è la vera ingiustizia.

249 – L’autorevolezza riscalda i passi, rende bella la strada, rende persuaso il cammino, rende più capaci di sacrificio quando è da fare.

Salvezza

22 – Cristo è stato mandato per salvare; dunque dobbiamo essere salvati, dunque c’è qualchecosa che non avviene come dovrebbe, c’è un incompiuto che deve essere completato, c’è qualcosa che non va. Cristo è stato mandato per questo.

Noi, perché partecipassimo di questa missione. Lo scopo del vivere mio è perciò quello di comunicare a me stesso, in tutte le mie espressioni, e agli amici, se voglio loro bene, e agli uomini, se ne ho pietà, questa «salvezza», è collaborare con Cristo a comunicare la necessità di questa «salvezza», parola che rimane astratta se non diventa concreta fino a quando non è guardata, fissata in connessione con le nostre opere quotidiane, col nostro operare umano.

26-27 – «La verità non è separabile dalla ossessione che dalle figure della apparenza emerga, senza apparenza, la salvezza»

Traduco: la verità non è separabile dall’ossessione che abbiamo chiamato «senso religioso», dalla esigenza insopprimibile che alla fine, senza nessun velo, appaia la salvezza.

32 – Di recente mi hanno fatto leggere un articolo in cui si diceva che la salvezza è data dalla legge.

Ciò mi ha fatto pensare a come, oggi, sia facile credere che la salvezza venga dalle leggi.

Così, coloro che pretendono di salvarsi attraverso le leggi o la Legge sono poi quelli che si appropriano della legge.

È qui l’antitesi: l’uomo tenta di appropriarsi di ciò che gli è stato dato, invece che riconoscere d’appartenere a Colui che gli ha dato tutto.

Allora, se tenta di appropriarsi di ciò che gli è stato dato, pretende: la salvezza viene dalle leggi!

41 – «Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo, sia che dormiamo, viviamo insieme con Lui. Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni e gli altri, come già fate»

1Ts 5,9-11

54-55 – Che povertà di spirito si esige per riconoscere che la salvezza, il valore della vita, sta nella croce di Cristo!

55 – La salvezza viene dalla grazia, cioè dallo stare vicini a Cristo.

122 – «Dobbiamo riconoscere che il cammino della conoscenza e la liberazione dipende da fattori che sfuggono al nostro controllo e che nel linguaggio religioso portano sempre il nome di “grazia“» (W. Pauli)

Questa osservazione di valore universale vale ancor più per quanto concerne la salvezza ultima dell’uomo, l’avverarsi del suo significato, la sua felicità, la sua vita eterna, la liberazione dal male, l’adesione al destino e la proporzione acquisita – si chiama «merito» – con il Mistero.

162 – «La salvezza non c’è ancora, ma io voglio vivere ogni istante in modo da essere degno di riceverla se essa viene»

F. Kafka in G. Janouch, Colloqui con Kafka.

192 – Ma affermare che Dio si è fatto uomo, che un uomo è Dio, che perciò il significato, il senso e la salvezza dell’esistenza, della vita del singolo, del mio io, e il significato, il senso e la salvezza del grande tramestio, della grande confusione, dei grandi movimenti di popolo, di tutta l’orgogliosa e anche ingegnosa e costruttiva creatività umana, di tutto il dolore e di tutta la tragedia umana, sia un uomo, quell’uomo crocifisso – Dio morto in croce – no, questo non si può dire.

194-195 – Sotto le stelle, sulla terra, nel mare, nei tempi e negli spazi di tutti, non c’è niente di più grande di quella donna, di quell’essere piccolo e ignorato, di quella quindicenne da cui il Signore è nato, in cui Dio è nato per la nostra salvezza.

195 – Ma quello cui vorrei guidare, se possibile, la vostra riflessione e la vostra attenzione, è il valore della modalità che Egli ha seguito per realizzare questa Sua presenza di salvezza, il metodo che Egli ha seguito, ha scelto e seguito, per salvare l’uomo, per salvare me.

Capire e seguire questo metodo significa essere aiutati a impostare il nostro rapporto con Lui quotidianamente.

199-200 – Per indicare il cristianesimo come salvezza, la categoria da usare è «avvenimento». Dio è diventato avvenimento nella nostra esistenza quotidiana.

199 – Il cristianesimo come salvezza entra nel mondo, Dio entra nel mondo, per salvarci, come avvenimento, come avvenimento nella nostra esistenza umana.

200 – Da che cosa si capisce che l’avvenimento in cui Dio entra nella nostra vita, nella nostra esistenza quotidiana, è una verità di salvezza, è un avvenimento di salvezza? Dalla eccezionalità di una presenza.

220 – Ma ogni sua (di Paolo) convinzione è sconvolta, annientata: Gesù il Nazareno, si rivela a lui identificandosi con i fratelli che egli perseguita. E si produce un altro evento, anche esso paradossale: Gesù, pur avendogli parlato direttamente, da quell’istante, vuole comunicargli la salvezza mediante il suo rappresentante, Anania. È nella Chiesa e per mezzo della Chiesa che Cristo agisce e vuole salvare l’umanità. È così che opera anche in ciascuno di noi.

Scelta

154 – È qui lo sconcerto, il paradosso, la suprema libertà, il segno supremo della potenza divina, che sceglie le cose deboli per confondere le forti – dice san Paolo -, sceglie le cose deboli del mondo – noi – per dire a quelle grandi, ai potenti: «Non ho bisogno di voi, perché sono Io che faccio» (1Cor 1,26-29).

225 – Come mai noi, che non siamo migliori degli altri, noi che siamo disprezzabili, siamo stati cooptati, abbracciati e portati come bambini ignari – che non sapevamo quello che accadeva – da braccia paterne e materne dentro il grande corpo di Cristo che è la Chiesa? Perché siamo stati scelti, siamo stati eletti. Questa categoria così usuale nel linguaggio cristiano, è un’altra categoria che il mondo non può tollerare.

Infatti, se Dio può scegliere chi vuole, non per meriti morali, non per le capacità di coloro che sceglie, ma perché li vuole scegliere – «Io ho misericordia di chi voglio aver misericordia» (Rm 9,14-18), vuol dire che è proprio Dio.

E la stessa insofferenza che il mondo ha per l’assolutezza di Dio ce l’ha verso la categoria degli uomini che Dio sceglie.

226 – Siamo nel popolo di Dio perché siamo stati scelti, perché siamo stati eletti.

Perché è stato scelto il popolo ebraico? Perché era più bravo degli altri popoli? No! Perché Dio l’ha voluto scegliere.

Non c’è un’altra ragione per la sua scelta: la ragione delle sue scelte è la sua volontà, è infinito l’abisso della sua libertà.

227 – Mi ha scelto, infatti lo conosco, conosco il Signore: Dio in parte io ti conosco, tu ti sei fatto conoscere da me. Cristo, io ti conosco, in parte già ti conosco, tu ti sei fatto conoscere da me. Cristo, io ti conosco, in parte già ti conosco. E perché io sì e mille altri no? Perché mi hai amato, perché mi ami.

Ma perché mi ami? Mi ami perché mi ami.

Segno

20 – Quando noi viviamo questa intensità di rapporto con Colui che è più che padre e madre (perché padre e madre sono il segno, tremante ma estremo, di ciò che Lui è per noi)?

34 –

34 – «Per la mia risurrezione […] alla vita eterna, non la dottrina della risurrezione di Cristo mi è indispensabile, bensì il fatto che questo avvenimento abbia avuto luogo»

N.A. Berdjaev in A, Asnaghi, Storia ed escatologia del pensiero russo

Lo sto ripetendo: questo fatto ha avuto luogo! E ha anche un segno – si può toccare, superficialmente, come la pelle, come un segno carico d’una densità insondabile -; è la nostra compagnia.

94 – Come fa Dio, il mistero di Dio, che fa tutte le cose, a entrare nella vita di ogni giorno, nella nostra vita quotidiana? Il pane e il vino dell’Eucarestia sono il segno di tutto quello che noi viviamo: quando il sacerdote, all’offertorio, offre il pane e il vino, in quel pane e in quel vino la Chiesa intende offrire tutta la carnalità della nostra vita.

103 – «Egli ha creato tutto per l’esistenza»: il contrario della conclusione di Leopardi («E l’infinita vanità del tutto»). Questa contraddizione sta, gigantesco segno, a separare – come un giorno la giustizia di Dio giudicherà e separerà i buoni dai cattivi – chi si abbandona al proprio modo di sentire come ultima misura e chi è tutto in ascolto di quella parola che il destino gli può fare arrivare.

110 – Dare la vita per l’opera di un Altro è la vita come obbedienza. Dolore, croce, morte non sono obiezione, ma costituiscono l’oggetto di uno sguardo positivo e amoroso alla realtà che accade, segno della grande Presenza, del Mistero.

116-117 – Quando la ragione guarda la realtà tutta, si apre un punto di fuga verso l’infinito. Il senso religioso dice questo usando il termine «segno»: la realtà è segno di qualcosa d’altro e non c’è niente che possa sopprimere questa dinamica, perché la realtà come appare non appaga.

117 – Senza il punto di fuga, senza capire che tutto è segno d’Altro, […] senza soggezione al Destino, senza sacrificio liberante verso il tutto, il particolare, il particolare provvisoriamente potente, conia le sue leggi.

154 – È qui lo sconcerto, il paradosso, la suprema libertà, il segno supremo della potenza divina, che sceglie le cose deboli per confondere le forti – dice san Paolo -, sceglie le cose deboli del mondo – noi – per dire a quelle grandi, ai potenti: «Non ho bisogno di voi, perché sono Io che faccio» (1Cor 1,26-29).

203 – Dalla terra è spuntata fuori la verità. La corrispondenza – che è il sintomo, il segno, l’esperienza della verità – è un avvenimento, non in un pensiero, cioè non in un nostro possesso, in qualcosa che fissiamo noi e possediamo noi, come frutto di una nostra ricerca.

228-229 – (La nostra Fraternità) è un ordine in cui la supremazia del Padre, la magisterialità di Cristo, la signoria di Cristo hanno un segno; senza questo segno non ci sarebbe compagnia tra di noi, non ci sarebbe mistero della Chiesa, non ci sarebbe il popolo nuovo che sta camminando nel mondo, per il bene del mondo: senza autorità non ci sarebbe la novità che Cristo ci ha chiamati a vivere insieme.

Seguire/sequela

66 – Il perdono, attraverso la «penitenza» e la «sequela», è il cuore che rende nuove tutte le cose, è il cuore del «rinnovamento».

212-213 – Il metodo della morale cristiana è quello di seguire Dio che sia è rivelato in un avvenimento, quel Dio cui apparteniamo, perché nell’avvenimento si capisce che gli apparteniamo.

Seguiamo, “pro-seguiamo” quella diversità che ci ha colpiti, secondo la forma in cui Dio ci ha colpiti, come diceva il cardinal Ratzinger.

213 – Il seguire, l’etica, la moralità come sequela, è di tutt’altro genere che qualsiasi altra moralità. Ogni altra moralità creata dall’uomo è moralistica.

Seguire è aderire alla presenza di Cristo. Per questo si chiama «carità». La forma del metodo del seguire si chiama carità.

238 – Dio non lo si può capire se non gli si obbedisce. Un bambino non capisce ciò che lui è, se non seguendo.

Bisogna seguire per capire. Chi, perché non capisce, lascia, non capirà mai.

248 – Carisma è una grazia che muove, che genera un movimento. Perciò è seguendo il movimento che si vive il carisma, altrimenti vivi il carisma secondo la tua interpretazione, introducendo così un equivoco, una presunzione e un equivoco.

E seguire il movimento significa seguire chi guida il movimento, che il Signore mette come guida al movimento, e non altro.

251-252 – L’unica pulizia che possiamo fare è dentro gli occhi e il cuore e applicarci alla sequela di Cristo come perdonati, con tutto ciò che siamo.

252 – Abbiamo solo da seguire, non da inventare.

Inventeremo sempre seguendo.

Perché è chi segue che veramente inventa; chi inventasse senza seguire, divide, si divide, si distrugge, inaridisce.

Senso religioso

15 – […] che un significato ultimo debba rivelarsi. Fino a questo punto, gli uomini si troverebbero anche vicini e amici, perché non è possibile – lo dice il senso religioso che costituisce la natura del cuore – che non ci sia senso al vivere. Ma dove è l’urto , l’inaccettabile? È che Cristo diceva di sapere Lui anzi, di essere Lui questo senso.

27 – La verità non è separabile – qualunque cosa diciamo della vita, del presente, del futuro – dall’ossessione che abbiamo chiamato «senso religioso», dall’esigenza insopprimibile che alla fine, senza nessun velo, appaia la salvezza.

49-50 -Il senso religioso di cui il nostro cuore è fatto è la prima alleanza – direbbe la Bibbia -, il primo rapporto irriducibile tra noi e il Mistero. Questa alleanza che è data dal senso religioso, si è espressa fisicamente nella storia e ha avuto il suo inizio col popolo ebraico, con Abramo.

50 – Perciò questa alleanza con Dio che c’è tra di noi è l’oggettivarsi, è come l’incarnarsi del senso religioso di cui il cuore è fatto.

56 – Il senso religioso, l’esigenza di felicità che è nel tuo cuore, che è il tuo cuore, che è la natura tua, la natura che ti ha dato tua madre, solo se termina in questo «Tu» si precisa.

Silenzio

88-89 – E ritrovandosi insieme, ognuno, personalmente, in che modo può contribuire a questa azione che tutti insieme compiamo su di lui? Con una sola cosa, il silenzio.

Che almeno un giorno e mezzo durante tutto l’anno noi sappiamo scoprire o lasciarci affondare dentro questa cosa che è il silenzio, dove pensiero e cuore, percezione di ciò che ci circonda e perciò abbraccio fraterno, amichevole, con le persone e con le cose, dove tutto ciò si attua in questa compagnia si esalta.

Che un giorno e mezzo durante tutto l’anno ci lasciamo andare allo sforzo, alla fatica di questo silenzio!

Il silenzio non è il non parlare, il silenzio è essere riempiti nel cuore e nella mente dalle cose più importanti, quelle a cui normalmente non pensiamo mai, pur essendo il segreto motore per cui facciamo tutto.

89 – Il silenzio, dunque, coincide con quello che noi chiamiamo «memoria» e può essere condotto nella riflessione che personalmente favoriamo, o nell’ascolto, o nel guardare gli altri che ci sono intorno, nel guardare questi amici e questi fratelli o questi uomini, che, in vario atteggiamento, sono qui, come noi, per qualcosa di ultimamente comune, portandosi dentro una diversa storia, che confluisce nello stesso punto.

Per questo insistiamo perché il silenzio sia rispettato nella sua natura, cui adesso ho accennato, ma anche nel contesto in cui siamo, salvando il contesto per cui questa memoria può essere utile, e perciò anche non parlando inutilmente.

Raccomandiamo il silenzio innanzitutto nei movimenti che facciamo, nei tragitti in pullman: che siano fatti in assoluto silenzio; e l’assoluto silenzio sia conservato mentre si entra in salone: del resto, la memoria sarà favorita dalla musica che sentiremo o dai quadri che vedremo […]

190 – E oltre all’ascoltare, il silenzio, che è come il grande riparo dell’ascolto vero. Un silenzio almeno là dove vi sarà chiesto: il silenzio nei momenti di trasferimento sui pullman o in auto, un silenzio assoluto, totale.

È nulla, ma obbedite! E poi il silenzio quando si è dentro l’aula, un silenzio che la musica speriamo renda più facile nella sua possibilità di commozione[…].

Ascoltare e fare silenzio sono i due momenti più importanti che vi voglio indicare. Il silenzio nei tempi in cui ci sarà richiesto, ma anche la sera ci sia in ogni albergo un momento oltre al quale non si disturbi più nessuno.

Sogno

27-28 – Il peccato stabilisce nella vita la prevalenza del sogno: la Bibbia lo chiama «idolo».

Il sogno è l'esito progettuale, il progetto che nasce dal porre la propria speranza in un nostro progetto: questo è il peccato, porre la speranza in un nostro progetto.

28 – Porre la speranza in un proprio progetto di fronte al futuro, diciamo così, questo è il peccato, vale a dire: rendere la vita la pretesa di un sogno.. È l’idolo.

33 – Appropriazione o appartenenza: questa è l’antitesi tra il peccato e la verità. Invece di «appropriazione» prima ho parlato di «sogno». Con una parola antica si chiamerebbe «gnosi», lo sforzo di una gnosi, di una analisi delle cose per poterle possedere, quindi per poter costruire un disegno secondo la propria mens, il proprio gusto o la propria volontà di lavoro.

Ora, invece di sogno, ho usato la parola appropriazione.

Diceva Péguy: «Il modernismo» – quello che abbiamo chiamato «gnosi» o «pretesa di appropriazione» o «sogno» – é la virtù della gente del mondo. La libertà è la virtù del povero», cioè di chi riconosce che non era niente e ha ricevuto tutto.

36 – Non si può più pensarla come gli altri. Non possiamo più pensarla come il sogno ci farebbe pensare, come l’appropriazione ci farebbe pensare.

40 – Il sogno pretende di essere totalizzante come l’idolo,

Il sogno e l’idolatria sono totalizzanti.

59 – «Abramo credette, perciò egli è giovane»: ha fatto tutto quello che doveva fare, ha preso perfino suo figlio per ammazzarlo, ma tutto quello che faceva, compreso questo, era per affermare l’Altro, il mistero di Dio, «poiché colui che spera sempre la cosa migliore» – ciò che abbiamo chiamato sogno -, «costui invecchia precocemente; ma colui che crede», che fa per qualcosa di più grande, che fa per il «Tu», «conserva un’eterna giovinezza» (Kierkegaard, «Timore e tremore»).

70-71 – È più grande la memoria del sogno. La vita ordinaria o è governata dal sogno, cioè da una proiezione dei nostri desideri, secondo la fattura con cui si presentano alla nostra immaginazione, o è governata da qualcosa che è accaduto, che veicola e porta il significato di tutta la mia vita; non c’è soluzione di mezzo.

È più grande la memoria del sogno: il sogno è uno sforzo tuo, che alla fine ti esaurisce; la memoria sono fatti di Dio, che si organizzano e creano la struttura o la figura del presente.

Storia

16 – Sei Tu che mi fai nascere questa parola sulla bocca: voglio seguirTi, perché da Te dipende il volere, così come l’essere capace di fare, secondo il Tuo tempo, cioè secondo la storia della mia vita, secondo la storia della vita di questo popolo, secondo la grande storia della umanità della Chiesa.

36-40 – « Il Mistero ha scelto di entrare nella storia dell’uomo con una storia identica a quella di qualsiasi uomo. Vi è entrato perciò in modo impercettibile, senza nessuno che lo potesse osservare e registrare. A un certo punto si è posto e per chi lo ha incontrato quello è stato il grande istante della sua vita e della storia tutta

L.Giussani – All’origine della pretesa cristiana

38 – «L’umanità ha creduto che, professando la divinità di Cristo, fosse dispensata dal prendere sul serio le sue parole» – evitando così che le sue parole invadessero la vita e la storia -, «Si sono rielaborati certi testi evangelici in moda da far loro dire quello che si voleva, e certi altri, che non si prestavano a simili rielaborazioni, sono stati pervicacemente passati sotto silenzio […]»

V. Solov’ev

39 – E il tempo ci è dato perché questa storia diventi storia di giustizia, secondo la volontà di Dio, che è paziente e misericordioso.

40 – Sono questi i due termini umani: «io» e «popolo», «esistenza» e «storia», del cammino all’eterno, l’eterno che è già presente, del cammino “dentro” l’eterno (la densità della memoria è già nell’azione).

49-50 – Questa alleanza, che è data dal senso religioso, si è espressa fisicamente nella storia e ha avuto il suo inizio col popolo ebraico, con Abramo.

70 – No, non c’è nessun granello di sabbia isolato in questa storia. La memoria sono fatti di Dio che si organizzano, che crescono, una cosa ne desta un’altra, un incontro desta un altro, un colpo ridesta un altro colpo.

75-76 – Perché il dialogo con l’uomo del nostro tempo attraversi, tagli, la densità di questa confusione, penetri attraverso il grido e il frastuono della violenza, deve essere una parola chiara, deve essere un dialogo chiaro. La chiarezza del nostro dialogo coincide con la fedeltà alla nostra storia.

La fedeltà alla nostra storia ha due caratteristiche, l’una stretta e avvinghiata all’altra.

La prima è l’unità[…], l’unità tra di noi, e l’unità con chi guida il movimento. Ma, seconda caratteristica, questa unità deve essere avvinghiata, stretta, abbracciata a una libertà creativa.

76 – Unità e libertà creativa rappresentano il contenuto della fedeltà alla nostra storia.

77-78 – Il dialogo tra Cristo e l’uomo del nostro tempo, che solo in Cristo può vivere, solo questo dialogo è la vita del movimento, vissuta con coraggio, per il momento di confusione e di violenza, con chiarezza, sostenuta dalla fedeltà alla storia, nella unità e nella libertà creativa, e con amore alla strada altrui, alla strada di chiunque incontriamo, senza contraddizione, ma valorizzando e collaborando, fino all’ultima stilla di sangue.

104-109 – Il Benedictus segna la traiettoria dell’azione del destino nella storia nostra.

Dio sceglie un popolo nato da Abramo e i suoi discendenti; sceglie un popolo, perché attraverso esso e attraverso la sua storia Egli ci fa capire meglio che cosa vuole.

Questo vuol dire che il Mistero realizza un disegno, ha un disegno: nella realtà c’è un disegno che si rivela attraverso una storia.

105 – Il Mistero rivela la propria natura, il proprio scopo, attraverso una storia umana.

È tutta la storia della Bibbia che ce lo dice.

Il singolo uomo vale in quanto è destinato a essere dentro questo popolo e in funzione di esso: vale a dire, il singolo uomo appartiene a questa storia, è chiamato ad appartenere a questa storia.

Il singolo uomo appartiene a questa storia e, attraverso di lui, gli altri sono chiamati ad appartenere a questa storia.

Appartenere a questo popolo è il valore del singolo. Il valore del singolo, il valore, è il rapporto con il destino.

La grandezza, il valore del singolo, di me, di te, sta nell’appartenere a questa storia che il destino lancia, ha lanciato nel mondo.

106 – Abbiamo detto che il destino ha un disegno nel mondo; attraverso la storia che crea, esso genera richiama a tutta la realtà perché si compia un disegno.

Tale disegno si forma attraverso le circostanze che formano una storia; la storia è fatta di circostanze, la vita è fatta tutta di circostanze, una che consegue all’altra.

La nostra vita, la nostra storia appartiene a una storia più grande, la storia del popolo che Dio ha fatto nascere da un «eletto». Attraverso le circostanze la nostra storia si svolge.

È un disegno, dunque, che passa attraverso le circostanze: attraverso esse il Mistero svolge la nostra vita e ci fa partecipare alla realizzazione di una grande storia.

107 – La nostra immagine di giustizia è sempre sproporzionata alla giustizia: la giustizia è il destino, la giustizia è Dio. Noi lo vediamo benissimo nella storia iniziale di quel popolo, in quella pagina terribile: «E Dio disse ad Abramo: “Prendi il tuo figlio Isacco e uccidimelo in sacrificio, dammelo in sacrificio”»

108 – E l’esilio in Babilonia?

Immaginiamoci un ebreo che amasse il suo popolo, con la coscienza della sua storia, tutta affidata alla promessa di Dio «fatta ad Abramo nostro padre», là in Babilonia, mentre vede tutti i suoi fratelli dispersi, resi schiavi e uccisi[…].

Questa è una questione fondamentale. Nonostante il destino abbia detto: «Io voglio la positività e la gioia, tutto ho fatto per la gioia»; nonostante il destino dica: «Io vi assisterò creando una storia di popolo cui voi apparterrete e così sarete sostenuti e illuminati, incoraggiati e ripresi, perdonati e portati fino alla fine» [Sap 1,12-15; Sal 119(118),92]; nonostante questo, dobbiamo ben guardare in faccia a questa grande e suprema legge della nostra vita, che il criterio, il metodo, la misura di tutto quanto avviene è secondo una giustizia che con la nostra sembra non avere alcun rapporto.

109 – La nostra giustizia annida se stessa in un particolare e non libera nulla.

Ci occorre una disponibilità totale. In che cosa consiste questa disponibilità totale? Innanzitutto in una nostra affermazione, in una mia affermazione amorosa dell’essere e della realtà che accade, vita o morte che sia, gioia o dolore che sia, riuscita o non riuscita che sia.

L'amore è l'affermazione di una presenza che si rivela attraverso l'istante, nell'istante; una presenza è presenza se è nell'istante.

124 – «Dio tra noi» è la grandezza suprema della storia. Non esiste, nella storia, una realtà più grande di questo uomo.

133 – «Cristo è un “momento di Grazia”», nel senso più vasto e più illuminato, perché Cristo non è soltanto un momento, ma è una vita ed è una storia che da quella vita procede.

146-147 – L’opera dell’Altro incomincia nel tempo della storia, incomincia con la resurrezione di Cristo, con la risurrezione dell’uomo Cristo.

147 – Un fatto storico (la resurrezione) stava avvenendo, è avvenuto, è realmente avvenuto, e d’altra parte questo fatto lo ha sottratto alla forma naturale dell’esperienza: lo lascia dentro l’esperienza, e perciò dentro il tempo e lo spazio, dentro la storia, ma la forma naturale, normale, nostra, dell’esperienza in Lui cambia, in Lui si esalta, lievita, per così dire.

Dio è la profondità del presente.

169 – È della struttura stessa del suo essere che ogni uomo cerchi Cristo, il Mistero, il Destino che parla dentro un uomo, che si prolunga nella storia dentro una umanità, che ha la forma di una compagnia, la Chiesa.


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