TEMI di «Attraverso la compagnia dei credenti»

ABCDE/FGILMNOPRSTUV


14-15 – «Padre nostro», che sei nel profondo di tutte le cose, «venga il tuo regno», che tu sia riconosciuto!

E questo mondo sarà più umano, e l’attesa dell’altro mondo infervorerà il tempo che passa di consolazione e di pace, di pace tra noi e di pace per tutti gli uomini, in questo mondo che non ha un brandello di terra in cui pace sia.

14 – Che in noi, nei nostri rapporti, tra le nostre braccia che si stringono, tra le nostre mani che si danno l’una all’altra, nelle nostre famiglie, tra le nostre famiglie, nella nostra comunità, pace sia! E la pace è data dall’incombenza di questo volto buono del mistero.

137-138 – Letizia, perché uno, con la coscienza di tutta la sua pochezza, è lieto di fronte all’annuncio di questa misericordia: che Tu, Gesù, sei misericordia.

È da questa letizia che sorge la pace, la possibilità della pace.

Anche in tutte le nostre sfortune, anche in tutte le nostre cattiverie, anche in tutte le nostre intemperanze, in tutta la nostra debolezza, in questa debolezza mortale che è lìuomo, sospirare la pace, generare pace.

138 – Generare pace e rispetto dell’altro.

È nel rispetto dell’altro che si genera la pace con l’altro, perché rispettare l’altro vuol dire, come l’etimologia della parola suggerisce, guardare l’altro con l’occhio a un’altra Presenza.

169 – «Renderò evidente la Mia presenza dalla letizia del loro cuore» (liturgia Ambrosiana).

Che immensa semplicità occorre, solo una immensa semplicità può cacciar via l’accusa di presunzione di una simile pace! E infatti la letizia è proprio un lascito di Gesù: «Vi ho detto tutto quello che vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).


30-31 – «La mente cristiana è piena di attesa/e il passato è il seme del futuro.» (Mario Luzi “Il libro di Ipazia?)

Questo è ragionevole: il passato è il seme del futuro, altrimenti, perché c’è stato?Il passato è niente? […] il passato è il grande pilone, la grande colonna su cui sta la tua casa ora, è la grande storia per cui c’è, si erige la bellezza del Monte Bianco o si adagiano le valli splendide delle Dolomiti.

Il passato è Beethoven, è il Concerto per violino e orchestra che abbiamo sentito prima, è Mozart.

Ma il passato è niente? No! Non possiamo neanche immaginarlo.

31 – «La mente cristiana è piena di attesa / e il passato è un seme del futuro o niente».


31-32 – […] affermare il volto buono del Mistero che fa tutte le cose, il volto di questa paternità, di questa maternità, di queste viscere («almo» è laparola che la liturgia attribuisce a Dio: generatore, fertile).

Una paternità, una maternità che sta all’origine del nostro progetto del nostro vivere e al termine della faticosa corsa, del faticoso cammino della nostra esistenza. «Aeterne Pater», una paternità che è tale per sempre: sei mio padre per sempre, sei la maternità di mia madre per sempre.

48 – «[…] il mio IO SONO che è il Tuo fuoco divorante in me, non sia più il segno di Caino sulla mia fronte, bensì il sigillo della Tua paternità»

V.Ivanov “Lettera ad Alessandro Pellegrini sopra la «Docta pietas»”

195 – Dio è come un padre e una madre, che è lo stesso, perché la paternità di Dio è la maternità di Dio.


65 – Almeno una volta ogni tanto, purificatevi al lavacro della croce e della risurrezione di Cristo, nella confessione. Meno di così si muore: peccato mortale.

[…] Se non esprimete questo neanche nel tempo pasquale, nei giorni del Venerdì Santo e della Pasqua, se non lo esprimete neanche allora, come farete a vivere? Meno di così si muore: peccato mortale.

149 – In san Giovanni la parola «peccato» è usata in modo equivalente, anzi proprio identico alla parola «menzogna»: peccato o menzogna.

181 – Uno dei più grandi peccati che l’uomo può commettere, diabolico per motivo dei suoi peccati, per motivo della impossibilità a fare il bene che desidera, a riparare le brecce fatte nelle mura delle sue costruzioni dal tempo e dalle circostanze, è perdere la fiducia in Dio.

194 – Il nostro peccato,la coscienza del nostro peccato ci mette iin rapporto diretto col Mistero infinito. Come si comporta il Mistero infinito con noi? comprendendo e perdonando tutto!


107 – L’odio a Cristo qualifica la storia, la storia umana: è come il risultato o il documento permanente che la misteriosa ferita del peccato originale lascia nel tempo umano.

116-117 – Meno possibilità della Tua presenza, o Cristo, e meno possibilità di umanità per quell’enorme gregge estraneo, che è tutta la gente che si stipa attorno a te per andare al lavoro […]

Questo atteggiamento da che cosa è provocato? Anche in me, anche in te, è provocato dalla stessa fonte avvelenata della menzogna che costituisce il mistero del peccato originale.

L’origine di questo nostro atteggiamento, dunque, è la stessa origine che ha la cattiveria del mondo: il peccato originale. Ma c’è un altro motivo: nessuno ci educa.


17 – Chiunque si illudesse: «Non ho peccato», sarebbe un mentitore, anzi, farebbe mentitore Dio, perché Dio ha rivelato l’essenza ultima della sua natura come misericordia, esprime la sua onnipotenza nel perdono.

[…] la Chiesa è fatta anche dalla nostra compagnia. In tale compagnia nella vita della Chiesa, davanti al mistero ultimo di misericordia e di perdono che ci conforta, che ci rassicura, che ci dà di riprendere mille volte al giorno, tutti i giorni, stiamo attenti alla parola più nota del Vangelo, forse: «Vigilate, state all’erta!» (Mc 3,35).


155-157 – Accettare il perdono è forse la cosa più difficile, anche se rimane semplicissima: è semplice ma dura.

Perché «semplice» non vuol dire «senza difficoltà».

Il «sì» di san Pietro crea sul perdono: è detto, pronunciato per la coscienza che è piena di perdono la faccia che gli chiede: «Simone, mi ami tu?».

156 – All’origine del popolo nuovo c’è il perdono, su cui si costruisce il «sì», e che viene ottenuto da quel «sì» per tutti.

Il «sì» di san Pietro è costruito su questo perdono e ottiene che questo perdono sia per tutti.

Il perdono è innanzitutto una riduzione a nulla di tutto quello che ho fatto. Ma anche di quello che farò.

Allora diventa abituale, nello svegliarsi del mattino, dicendo l’Angelus, offrendo la giornata, avere presente la propria debolezza, negli errori che commetterà quel giorno, è già perdonato.

157 – Perciò si offre la giornata, comunque sia, perché, da una parte, Tu l’abbia a perdonare, abbia ad azzerare il ricordo dei miei mali, e, dall’altra, Tu abbia a tenerla tesa, tesa a Te, in tensione verso di Te, come la figura di san Pietro, di san Giovanni che corrono per vedere il sepolcro dove Gesù è risorto.

Il popolo nuovo, dunque, nasce dal perdono e da una attività inesausta, attività non pagata dalla sua costruzione, perché “riesce”: non c’entra nessuna misura, non c’entra riuscire o non riuscire.

Dentro il perdono, appoggiati al perdono, si riprende da capo mille volte al giorno.

Esattamente come un padre e una madre di fronte al bambino piccolo: gli perdonano continuamente, debbono perdonarlo continuamente perché cresca.

E non ci sarà mai fine a questo perdono, anzi dovrà aumentare con il tempo che passa!

174 – È la parola che Cristo ha riportato nel mondo come possibile realtà, che in Lui è vissuta come dedizione della vita e come sacrificio mortale, che il Padre ha richiesto come condizione per la salvezza di tutti gli uomini, perché la Sua pietà per l’uomo si realizzasse in un universale perdono e in qualche cosa di più.

Più del perdono? Sì, qualcosa di più che il perdono: la parola che usa il vocabolario cristiano è «misericordia».

178 – È l’interrogativo strano che la parola «misericordia» fa entrare dentro l’ambito della parola «perdono», come risposta che a noi pare irrazionale, ingiusta o irrazionale, perché non ha ragioni – anoi sembra – sufficienti, non può avere ragioni sufficienti. E invece il Mistero supera questo.

186 – Il domandare lo scopriremo come l’inizio della vera moralità. Qui sta il segreto per cui la misericordia può perdonare anche senza sembrare di rispettare ragioni e ingiustizie.

194-196 – Il concetto di perdono, con una certa proporzione fra sbagli, castighi e pagamenti, è concepibile anche dalla ragione, cioè è più concepibile dalla ragione: ma non questo perdono senza limite. […] Tanto che appare come una ingiustizia, appare quasi come una ingiustizia, o come una irrazionalità: non c’è ragione, appunto.

Come si comporta il mistero infinito con noi? Comprendendo e perdonando – procedendo in una volontà di bene assoluto – tutto. Tutto!

195 – […] Dio ci supera sulla sinistra e sulla destra, su tutti e due i lati, perché proprio attraverso questo stupore che ci riempie di fronte alla Sua misericordia, ci fa venire un dolore di noi stessi mai sperimentato prima.

196 – E incomincio realmente a perdonare i miei nemici, quelli che mi hanno fatto del male.

Quando ci alziamo la mattina sentendo il perdono che ci rinnova la vita, viene anche a noi da dire: «Signore, aiutami ad essere come Te!».


53-54 – […] Quel Gesù, quell’Andrea, quel Giovanni, quel Pietro e quel Simone, quel Giacomo, quei dodici, con quelle poche donne che li seguivano, «che è oggi un popolo guidato – una “entità etnica sui generis” come diceva Paolo VI – l’uomo si costruisce, diventa una creatura diversa», fa diventare diverso il mondo in cui opera.

54 – «In verità, se uno non nasce da un popolo, cioè, se non fiorisce da una realtà sociale naturalmente fondata e organicamente identificata, avrà molta difficoltà per raggiungere una completezza dei fattori».

60-63 – Così si formò il popolo di Israele, che per tanti secoli fu lo strumento evocativo dell’attenzione dell’uomo, di qualsiasi uomo lo avesse accostato, di un’attesa misteriosa per una promessa enigmatica e misteriosa di verità e di felicità per cui il cuore dell’uomo naturalmente si è sentito fatto.

61 – Ecco perché è importantissimo per capire quello che Cristo ha continuato, rendendolo definitivo, conoscere la storia di questa profezia, che è l’Antico Testamento, che è la storia del popolo ebraico.

La struttura concepita del rapporto tra l’uomo e Dio propria del cristianesimo, del cristianesimo ortodosso, autentico, era la continuità di quello che Dio aveva fatto con il popolo ebraico.

Ne abbiamo un documento mirabile nell’ottavo capitolo del Libro di Neemia, che descrive la prima “raccolta” del popolo ebraico, disperso per tanti decenni nell’esilio, avvenuta per miracolo di Dio, per grazia di Dio.

Il popolo disperso si trova raccolto fra le rovine di Gerusalemme, che subito, febbrilmente, si dedica a riparare.

«Allora tutto il popolo si radunò come un sol uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque,e disse ad Esdra lo scriba di portare il libro della legge di Mosè che il Signore aveva dato a Israele.

62 – […] Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo; poiché stava più in alto di tutto il popolo; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi.

Giosuè, Bani, Serebia [ecc…] spiegavano la legge al popolo e il popolo stava in piedi al suo posto.

[…] Neemia, che era il governatore, Esdra il sacerdote e scriba e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: “Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!”.

Perché tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge»

Ne 8,1-12

63 – La storia del popolo ebreo è la grande profezia. Questo popolo è stato come l’angelo che portava l’annuncio di qualcosa che sarebbe accaduto: Dio è diventato uomo, è accaduto, la via è segnata.

187 – Senza amicizia, con tutto l’amore che volete, non si crea un popolo, non si assicura una storia, non si crea neanche una famiglia completa.

199 – […] andare insieme verso il Destino: insieme, da amici. […]L’amicizia non è proprio tra noi: possiamo essere compagni, e compagni “feroci”, nel senso di attaccatissimi, ma non amici.


155-159 – La condizione perché il «sì» di Pietro produca una nuova umanità, un popolo nuovo, quindi un flusso umano diverso, desto, vigile, con una mentalità, con uno sguardo che vede le cose, giudica le cose, tratta le cose in modo diverso da quello del mondo, perché questo «sì»diventi così fecondo, così evidente nella sua fecondità, così decisivo per la storia dell’umanità, così protagonista degli eventi umani, occorre che esso si esalti, si appoggi, costruisca, accetti – accetti! – il perdono.

156 – All’origine del popolo nuovo c’è il perdono, su cui si costruisce il «sì»,, e che viene ottenuto da quel «sì» per tutti.

157 – Il popolo nuovo, dunque, nasce, nasce dal perdono e da una attività inesausta, attività non pagata dalla sua costruzione, perché “riesce”.

Ultima osservazione: il popolo che ne nasce è uno, uno! «tutti voi […] che siete battezzati vi siete rivestiti di Cristo: non esiste più né giudeo né greco, né schiavo, né libero, né uomo, né donna, ma tuttti voi siete una persona sola in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28).

Questa unità non è una omologazione o una identità di volti senza senso, senza significato: sono volti precisi, ogni gruppo, ogni realtà di questo popolo, essendo dato da una grazia particolare dello Spirito, grazia particolare dello Spirito che si chiama «carisma».

158 – Ogni pezzo di questo popolo nasce da una storia in cui un incontro ha messo insieme le persone e ha segnato la via.

159 – L’unità del popolo cristiano e l’unità dei singoli gruppi, quelli nati e investiti della stessa grazia particolare dello Spirito, o carisma, si costruisce così.

Innanzitutto, c’è un avvenimento iniziale che rivela un bisogno pertinente alla esistenza e alla sopravvivenza stessa del popolo, di tutti coloro che costituiscono il popolo, in tutti i loro interesse.

Poi questo inizio, questo avvenimento iniziale, che di colpo unisce quelli che vi si imbattono, mantiene il suo principio di unità innanzitutto come sussidiarietà realizzata. Ognuno aiuta l’altro, ognuno cerca di compiere quello che manca all’altro; è una sussidiarietà realizzata, concreta, di fatto, quotidiana.

Quindi, sussidiarietà come facilitazione alla via: la via è resa più facile come difesa dal nemico – il nemico è il mondo, la realtà, in particolare la realtà umana, concepita non dal punto di vista di Cristo, non come riferimento a Cristo – e ogni momento è un cosciente passo per raggiungere il Destino.

In tutto ciò, ultimamente si esaurisce il significato del popolo; si esaurisce per l’eternità, per vivere l’eterno che è dentro tutto quello che si fa.

Il nuovo popolo che Cristo ha portato nel mondo, questo fiume irresistibile – pur nelle vicende tragiche che deve passare -, questo popolo è fatto da gente che tutte queste cose, in qualche modo, accetta di viverle, ne sente il riverbero, e là dove non le capisce ancora bene, chiede a Dio la grazia di capire e ai propri fratelli la grazia di essere aiutata.

Insisto sul fatto che non esiste un gruppo di CL se in qualche modo non si cerca di scoprire e di penetrare tutto questo.


178-180 -La prima implicazione del nostro carisma è l’aver imparato che accostare qualsiasi cosa – e persona, ancor di più – deve partire da una ipotesi positiva.

Che Dio sia amore, che la natura di Dio sia amore, vuol dire che lo scopo di tutto ciò che c’è è assolutamente positivo, assolutamente poisitivo!

179 – «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano su questa terra, perché la giustizia di Dio è immmortale. Ma l’uomo cerca la morte» (Sap 1,13-16).

190 – Una positività totale nella vita deve guidare l’animo del cristiano, in qualsiasi situazione si trovi, qualsiasi rimorso abbia, qualsiasi ingiustizia senta pesare su di sé, qualunque oscurità lo circondi, qualunque inimicizia, qualunque morte lo assalga, perché Dio, che ha fatto tutti gli esseri, è per il bene, Dio è l’ipotesi positiva su tutto ciò l’uomo vive, anche se questa positività sembra talvolta essere vinta in noi dalle tempeste della vita e quasi lasciare il posto a una capacità che l’uomo ha di ostilità, di odio contro la fedeltà di Dio.


43 – Come riconoscere questa Presenza che ti dice: «Io sono la via», «Io sono il destino». anzi – «Io sono innanzitutto la via al destino»?

Come riconoscere la presenza della risposta, la presenza della strada, della via, di Colui che è la via? C’è il documento di una corrispondenza senza paragone.

Avviene un incontro, l’incontro con uno, con una presenzapresenza» perciò là dove tu sei, che tocca te come sei, in qualunque versione la tua vita si traduca il quel momento) che corrisponde al tuo cuore.

45 – È attraverso un guardare che taluni uomini si sono accorti che c’era tra di loro qualcosa di inenarrabile: una presenza non solo inconfondibile, ma incomprensibile, eppure così invadente.

49-50 – O fratelli miei, che ci conosciamo e che non ci conosciamo, ma che siamo insieme più di quanto possiamo conoscerci proprio per richiamarci a questo, per richiamarci all’incontro con questa Presenza che ci cambia, non abbiamo paura di tale cambiamento!

50 – Non è un progetto, non si tratta di propositi, è impossibile fare propositi: si tratta di guardare una Presenza, di rendersi conto, lentamente, col tempo che passa, con le testimonianze degli amici, con chi si vede morire, con chi si vede soffrire, con chi cammina con noi, di un cambiamento impensabile; si tratta, attraverso tutto questo, di sentire la propria vita cambiare.

103-104 – La presenza è un avvenimento semplice da constatare, da riconoscere.

104 – Si può dire: è un fatto – un fatto! semplice da constatare.

Più precisamente un fatto che ti mette davanti a una Presenza sorprendente, inimmaginata prima, inimmaginabile, che uno non può sognare, al di là di ogni parametro.

È un avvenimento che ti fa compiere l’incontro con una Presenza, la cui sorpresa penetra il tuo essere.

115 – Tu ed io siamo chiamati, attraverso la vocazione cristiana, a rendere presente il mistero della Sua presenza, facendo della Sua volontà la forma delle nostre azioni.

Per essere non cristiani non è necessario ammazzare o andare contro tutti e dieci i comandamenti di botto: è l’assenza di Cristo che rende tali. L’assenza di Cristo è l’assenza della Sua vita.

È vedendo degli uomini che vivono la carità fra di loro e che realizzano gesti la cui forma si ispira alla parola, alla legge di Cristo, è vedendo queste cose che si capisce che è presente qualcheduno che è più che uomo, che c’è un’altra Presenza dentro questa mirabile presenza di ragazzi, dentro questa mirabile presenza di una giovane ammalata gravemente.

Meno possibilità della tua presenza, o Cristo, meno umanità per il mio cuore e il tuo cuore; meno possibilità della Tua presenza, o Cristo, meno umanità nel rapporto dell’uomo con sua moglie, della donna coi suoi figli, con quell’estendersi sostitutivo della pretesa all’affezione vera, all’amore reale, alla carità, alla gratuità del dono di sé, con quel lento e invadente sostituirsi della pretesa.

121-122 – Bruci tutto il movimento, si svaghi nell’aria tutta la realtà del movimento, muoia il movimento se la Scuola di Comunità non diventa parola mia, evidenza mia, ragione mia, cuore mio, affezione mia, suggerimento di parola, di preghiera mia, se essa non mi presenta la grande ipotesi del Tuo volto, o Cristo, la grande immagine della Tua presenza, o Cristo, che attraverso il tempo e lo spazio creando la storia, quella storia nella storia che alla storia tutta dà significato, e che è storia innanzitutto della mia vita, della mia esistenza.

La Scuola di Comunità è lo strumento che ci ridesta continuamente a questa Presenza e, lentamente, insieme, fa penetrare questa Presenza, la fa sentire, la fa capire, mi fa stupire e ci rende discepoli.

129 – La moralità affonda la sua radice, come il «sì» di Simone, in una Presenza.

Come può, infatti, il «sì» di Simone, affondare la radice nel fondo della terra dell’uomo dell’uomo, senza una Presenza, senza una Presenza dominante, compresa, accettata, abbracciata, servita con tutto lo slancio del proprio cuore, che soltanto in queste cose può ritornare bambino?

Forse c’è un paragone che possiamo fare per capire che senza Presenza non c’è gesto morale, non c’è moralità; vale a dire non c’è moralità senza che il gesto abbia come motivo una Presenza.

L’uomo, senza la grande Presenza, è un povero essere cui il cane detta legge.

131-133 – Non esiste moralità al di fuori di un dialogo con la «Presenza», con una presenza che è «la» Presenza.

132 – Come il cieco sussulta per una persona per qualsiasi percezione abbia della grande Presenza, reale, da cui tutto il nostro essere nasce.

133 – «Chiunque ha questa speranza in Lui, purifica se stesso, come egli è puro»(1Gv 3,3).

Chiunque ha questa speranza in Cristo: in quella Presenza che, per quanto distratti, per quanto smemorati, non riusciamo più a togliere – fino all’ultimo briciolo, almeno – dalla terra del nostro cuore[…]

138 – È nel rispetto dell’altro che si genera la pace con l’altro, perché rispettare l’altro vuol dire, come l’etimologia della parola suggerisce, guardare l’altro con un occhio a un’altra Presenza.

141 – L’amore è un giudizio commosso per una Presenza connessa col destino, che io scopro, intravedo, presènto connessa con il mio destino.

Lamore è un giudizio commosso,, mosso da una Presenza che si presènte connessa con il destino: è il presentimento del vero[…]

148 – Nella grande maggioranza degli uomini, questo riferimento alla Presenza misteriosa, questo sospiro alla Presenza misteriosa che faccia sapere dove si è e che cosa s’ha da fare, se non è ancora esplicito per il dono della fede, c’è, implicito, come mel cieco di Pascoli, quando parlava di una «sempre aspettata alba d’un sole».

182-183 – Nel mistero dell’amore, nella grande Presenza del mistero dell’amore, tutto è grande.


93 – Per noi che «Cristo sia tutto in tutti» è termine di invocazione, perché noi non siamo capaci di corrispondervi; è termine di un’invocazione, di una domanda, di un proposito.

Il proposito, se non è domanda, è una illusione: non abbiamo forza


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