TEMI di «Attraverso la compagnia dei credenti»

ABCDE/FGILMNOPRSTUV


116-117 – Meno possibilità della Tua presenza, o Cristo, e meno possibilità di umanità per quell’enorme gregge estraneo, che è tutta la gente che si stipa intorno a te per andare al lavoro o per lavorare insieme, per essere aiutata a camminare, per essere confortata nel dolore, per aver compagnia nella gioia-perché una gioia senza compagnia, che gioia è?-.

117 – «Gloria dei vivens homo» e si potrebbe anche dire: la vita dell’uomo è la gioia di Dio, come la vita del bambino è la gioia di sua madre, anche se il bambino mille volte al giorno disubbidisse.

169-171 – «Vi ho detto tutto quello che vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»

Gv 15,11

Gesù parla di gioia poche ore prima di essere fatto prigioniero e ammazzato.

170 – La certezza del futuro può essere “razionalizzata”, può trovare ragione solo in qualcosa che è presente, visto, sperimentato, trovato e presentito nel presente.

È un presente che pone la questione della possibile speranza: letizia e gioia sono solo nella speranza.

170-171 – Comunque, oggi stesso, mi hanno fatto pervenire tre lettere. Queste tre lettere, che leggo fra le tante, mi hanno reso ancor più pensoso su questa impossibilità per il mondo, per la mia situazione di uomo – qualunque essa sia -, d’essere lieto veramente o addirittura gioioso, che è una parola sovrumana: la parola «gioia» non esiste nel vocabolario, nel lessico dell’uomo.


139 – Pensate che giudizio forte ci deve essere, che atto di coraggio occorre compiere, che cuore bisogna avere, per poter dire: «Tibi vivo, tibi morior, tuus sum»!

Per Te vivo, per Te muoio, sono Tuo!

Non per esclusione di qualsiasi altra cosa, fosse anche un solo capello del capo di un’altra persona-, ma per un coinvolgimento stretto, potente, di tutte le cose che sono, di tutte le persone che esistono. Che giudizio, che coraggio, che cuore!

Questo è l’atto di amore: non un sentimento, ma la fonte inesauribile di un sentimento che sfida l’eternità.

L’amore è un giudizio commosso, mosso da una Presenza che si presénte connessa con il destino: è il «presentimento del vero».

144-145 – Il soggetto dell’atto morale è la persona e la legge di una persona è l’amare: affermare un altro.

La legge della mia azione è affermare un Altro: io sono, esisto, “gestisco”, per affermare qualchecosa d’altro: «Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà». L’amore, infatti, è un giudizio morale commosso per una presenza connessa – che noi almeno presèntiamo connessa – con il nostro destino. (È il valore del sì di Pietro)

145 – Il “mio atto”, di ripetervi quelle parole sacrosante, questi richiami appassionati di gratuita affezione alla vita di ognuno, di chiunque sia qui presente, dipende da me: è quel famoso giudizio commosso per una presenza connessa con il mio destino; ché la presenza di ognuno di voi è connessa con il mio destino.

La strada morale, il «sì» di san Pietro, apre la connessione della mia vita chiamata, la vocazione della mia vita, col disegno universale di Dio.


109 – Il mondo non può non odiare Cristo – odiarLo!-. Per questo anche uomini di Chiesa, l’abbiamo visto nel nostro secolo, subiscono e cedono tante volte essi stessi alla grande tentazione: per essere benvoluti, confortati, accettati dal mondo e dal suo potere, si adattano ad assumere come ideale della vita – da insegnare al popolo – i «valori comuni», cioè i valori stabiliti dagli Stati, valori stabiliti dalla “giustizia“, dalla cosiddetta giustizia, i valori stabiliti dagli interessi superbi ed effimeri di un potere che genera solo violenza, che non può generare che violenze, che non può generare altro che violenza!


70 – Che cosa è la Fraternità di Comunione e Liberazione, se non un piccolo esempio che lo Spirito ha creato di questa oggettività di strada guidata da una compagnia, nella quale ci si sorregge condividendo le debolezze e i bisogni di ciascuno, correggendosi con pazienza e fraternità? E il segno di tutto questo è che il cuore trabocca sempre di più in modo convincente della passione per il mondo, della passione che Cristo sia conosciuto, e capisce con chiarezza che l’unico scopo del vivere – l’unico! -, per cui una donna diventa madre e un uomo diventa padre, per cui tutti diventano quello che devono diventare, è la gloria di Cristo nel mondo.

Per noi di Comunione e Liberazione, investiti dalla grazia dello Spirito, questa è la festa della vita: è venuta l’ora in cui Cristo è glorificato, è conosciuto; attraverso di noi è più conosciuto, è più stimato, più ascoltato.

93 – Fa’ che arda tutta la mia persona nell’amare Cristo Dio, perché io Gli piaccia, Gli dia lode, collabori alla Sua gloria.

E la gloria di Cristo è nella storia, come san Paolo presume e prevede: «Cristo tutto in tutti», la grande legge della storia, del tempo e dello spazio; non dell’eternità, perché nell’eternità Dio ottiene tutto quello che vuole per forza, l’eternità è fatta della Sua volontà.

Ma per noi che «Cristo sia tutto in tutti» è termine di una invocazione, perché noi non siamo capaci di corrispondervi; è termine di una invocazione, di una domanda, di un proposito. Il proposito, se non è domanda, è una illusione: non abbiamo forza.

146 – «Pasci i miei agnelli»: dunque è un insieme vivente, un insieme vivente nuovo, questo gregge è un insieme vivente nuovo che diventa protagonista della storia, diventa lo strumento di Cristo, della vittoria di Cristo nella storia, della gloria di Cristo nella storia.

171 - Ma cosa domina la mia umanità? È lo scopo, lo scopo che sento essere della vita e del tempo mio e del mondo: la gloria di Cristo.

193 – Se Gesù è il Signore della storia, vuol dire che in essa - in essa!- questo si deve dimostrare: la Sua gloria si dimostra per noi già nella storia.


87 – (Una infermiera racconta di una paziente):«Se Cristo ha mai avuto degli occhi per me sono quelli di questa ragazza che ama tutto di più di come faccio io, che suscita in me un senso di bene, di gioia, solo nel vederla.

È la prima volta per me che nasce una amicizia con una paziente; ci hanno sempre insegnato a rimanere staccati per non dover soffrire, ma con lei non è una sofferenza, è letizia.

Vedo in lei, e capisco che anche una malattia come un tumore è sì un mistero, ma dentro un progetto buono, come dice lei. La sua obbedienza, il suo lasciarsi abbracciare fino in fondo non sono segno di rassegnazione, ma di chi ha capito, come lei mi ha detto una volta, che nulla accade per caso, ma per la gloria di Dio, nulla è povero, nessuna condizione è condannata all’aridità, nessun tempo è privo di speranza

117 – «Gloria Dei vivens homo»

Ireneo di Lione – “Contro le eresie

E si potrebbe anche dire: la vita dell’uomo è la gioia di Dio, come la vita del bambino è la gioia di sua madre, anche se il bambino mille volte al giorno disubbidisse.


115 – Tocca a noi, infatti, formulare le nostre azioni secondo la forma della Sua parola e generare rapporti in cui la carità – questa suprema imitazione di Dio -, la gratuità, quindi, sia la legge.

133 – In Te ho questa speranza, chiunque io sia, per quanti errori abbia commesso e che adesso neanche più ricordo, ma, chiunque io sia, Tu sei la mia speranza.

[…] Allora scaturisce, scatta dal fondo, il fiore del desiderio della giustizia, del desiderio dell’amore vero, autentico, della capacità di gratuità: « Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro».

142 – Ho il presentimento e sono spalancato a questo presentimento: fede. Ho il presentimento di una cosa importante per il mio futuro e per il mio destino, per il significato di questo tempo che passa: speranza. E carità è una gratuità, la gratuità di Colui che si fa presente, che si fa presente in me; è una gratuità.

Giovanni e Andrea, di fronte a quell’uomo che parlava, sentivano la pioggia ricca di gratuità delle sue parole e il loro terreno ne era fertilizzato, ne era rincuorato e rinfrescato. Tutto era rinfrescato in loro, era come se tutto fiorisse.

176 – L’espressione della natura di Dio, l’attività di Dio è governata totalmente, esaustivamente, da quella parola, così radicalmente usata, «carità», che vuol dire immediatamente, amore senza nessun tipo di calcolo, senza nessun tornaconto, puro; amore pure, gratuito. Ecco perché si chiama caritas. Charis è parola greca che vuol dire gratuità, indica gratuità totale, assoluta, amore senza nessun calcolo: puro, nudo e crudo amore.

E questo già fa una differenza terribile nell’amicizia, se l’amicizia deve essere il darsi reciproco, totalmente gratuito amore.


47-48 – «Come vivere – annota Camus nei suoi Taccuini senza la grazia?» Qui «grazia» corrisponde a bellezza e verità, non è un termine teologico, è un termine di verità umana.

48 – «Come vivere senza la grazia

«Quando si è vista una volta sola lo splendore della felicità sul viso di una persona che si ama, si sa che per un uomo non ci può essere altra vocazione che suscitare questa luce sui visi che lo circondano».

A. Camus – Taccuini

Questo riempì il cuore di Giovanni e Andrea; e questo riempì il greve cuore del vecchio usuraio; di questo non godette il giovane ricco. 

Il cuore di Andrea, di Giovanni, del vecchio usuraio era pieno di desiderio che quella luce, quella grazia si dilatasse e si comunicasse a tutti i visi che li avessero circondati.

66-67 – Il carisma, diceva il Papa (Giovanni Paolo II), parte da una persona colpita dal dono, dalla grazia dello Spirito, in un nodo particolare, secondo le circostanze del carattere, del temperamento, dell’ambito e del momento storico in cui vive.

A contatto con questo privilegiato dallo Spirito, tante persone, non tutte (non è necessario che questo avvenga: è utile, è grazia, è facilitazione, è gioia, è bellezza, è festa, è più festosa la vita cristiana), restano commosse, toccate e dicono: «Anche noi vogliamo seguire questo», e si mettono insieme.

158-160 – […] sono volti precisi, ogni gruppo, ogni realtà di questo popolo, essendo nato da una grazia particolare dello Spirito, grazia particolare dello Spirito che si chiama «carisma».

Ogni pezzo di questo popolo nasce da una storia in cui un incontro ha messo insieme le persone e ha segnato la via.

159 – L’unità del popolo cristiano e l’unità dei singoli gruppi, quelli nati e investiti dalla stessa grazia particolare dello Spirito, o carisma, si costruisce così.

In tutto ciò si esaurisce il significato del popolo; si esaurisce per l’eternità, per vivere l’eterno che è dentro tutto quello che si fa.

Questo popolo è fatto da gente che tutte queste cose, in qualche modo, accetta di viverle; ne sente il riverbero, e là dove non le capisce ancora bene, chiede a Dio la grazia di capire e ai propri fratelli la grazia di essere aiutata.

173 – Péguy: «Per sperare[…] bisogna aver ricevuto una grande grazia». Se non c’è questo presente d’esperienza d’una grande grazia, di un grande dono, non si può sperare in un futuro: tutti avanzano senza speranza, senza reale speranza.

E la grande grazia che abbiamo ricevuto è che abbiamo saputo che Dio è diventato uno di noi ed è con noi.


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