Libro di don Giussani «Il Rischio Educativo» – Temi trattati

«La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale».
Don Luigi Giussani – Senso religioso – pag. 119 capitolo ottavo – terzo paragrafo
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Lettera «A»
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ADOLESCENZA
Adolescenza / adolescente
[61] La giovinezza è caratterizzata dal senso di uno scopo, anche non precisato, ma almeno sentito come futuro fortunato di ciò che si sta vivendo.
E’ questo che impedisce la rigidezza che elimina la duttilità, la flessibilità, una certa freschezza nell’uso delle proprie forme.
Più precisamente: il residuo senso di mistero, che definisce senza definirlo l’orizzonte e la prospettiva del vivere, che genera una disponibilità – per così dire delle proprie membra – ad adattarsi a spazi nuovi, e lo stupore sempre inerente al senso del mistero fanno scaturire una inesausta sorgente di affettività in grado di muovere tutte le energie secondo una emozione ben nota all’adolescenza e alla prima giovinezza.
[67s] Un significato per la realtà totale sottende allora il processo di educazione: di esso si imbeve la coscienza dell’individuo nel primo stadio della sua introduzione al reale; di esso si rende conto, sperimentandone la consistenza, la coscienza dell’adolescente; esso instancabilmente persegue, o abbandona per una più radicale significanza, la coscienza matura dell’uomo adulto.
E se, nell’arco evolutivo dell’individuo, l’infanzia e la fanciullezza sono i momenti dell’assorbimento primitivo, nella adolescenza, dopo i 13-14 anni, si assiste al momento più decisivo per la determinazione della fisionomia personale di ognuno: l’adolescente prende coscienza di sé e del significato totale della realtà che lo circonda.
[68] Se chiamiamo “tradizione” quel dato originario con tutta la struttura di valori e di significati in cui il ragazzo è nato, si deve dire che la prima direttiva per una educazione dell’adolescenza, è la leale adesione a questa tradizione.
[70] L’educazione consiste nell’introdurre il ragazzo alla conoscenza del reale precisando e svolgendo questa originale visione. Essa ha così l’inestimabile pregio di condurre l’adolescente alla certezza dell’esistenza e di un significato delle cose.
[81s] Anche sul rapporto educativo adolescente e famiglia occorre fare osservazioni.
Non è giusto che i genitori temano, quasi più facilmente oltre i 14/15, ma ormai sempre più anche prima, di proporre con decisione ai figli le idee fondamentali.
Il “qualunquismo” in famiglia è spessissimo, nell’anima del giovane, radice di uno scetticismo ancor più tenace a strapparsi che l’influenza deleteria della scuola neutra.
La lealtà con l’origine occorre sia innanzitutto dei genitori.
[82] Genera alquanto stupore lo spettacolo, oggi quasi generale, di famiglie che, dopo aver dato per anni ai loro ragazzi precise idee di fondo, non si preoccupano che essi le possano verificare nel tempo dell’adolescenza. …..si tratta della salvezza di una integrità psichica, della valorizzazione di una energia vitale nei giovani, a qualsiasi concezione della vita la famiglia li abbia educati.
[107] Si potrebbe dire, riepilogando, che nel momento educativo dell’adolescenza, “età di verifica”, le grandi linee metodologiche da tenere siano le seguenti:
Linee metodologiche per l’educazione dell’adolescente
- La posizione precisa di una ipotesi di senso totale della realtà (è l’offerta della tradizione), unica condizione di certezza per l’adolescente.
- La presenza di una ben precisa e reale autorità, “luogo di tale ipotesi“, unica condizione di coerenza nel fenomeno educativo.
- La sollecitazione del giovane a un impegno personale di verifica dell’ipotesi in tutta la sua esperienza, unica condizione di una reale convinzione.
- L’accettazione del crescente, equilibrato rischio del confronto autonomo tra l’ipotesi e la realtà nella coscienza dell’adolescente, unica condizione per la maturità della sua libertà.
Al termine del processo educativo l’adolescente si avvia alla fase matura della gioventù.
Amare /amore
[53s] La pietà di cui si è così oggetto da esserne costituiti, deve diventare soggetto: parlo della pietà e dell’affezione che il mistero di Dio ha per ognuno.
Si è talmente oggetto di questa affezione che si è fatti, creati, salvati, conservati alla vita.
Fatti di questa affezione essa deve diventare il nostro soggetto: non si può agire se non in questa misericordia, a meno di tradire la propria natura più profonda.
Agendo nella misericordia si riconosce il valore dell’altro: fosse solo un punto luminoso in milioni di punti oscuri, si valorizza il punto luminoso.
Non in quanto luminoso, ma in quanto spia del mistero che l’altro ha dentro.
Questo è l’amore: che la propria pienezza, la propria realizzazione è fatta coincidere con l’affermare l’altro.
[102] L’esigenza di una radicalità assoluta nell‘amore, (dimensione della carità nel suo senso più genuino).
Amare è innanzitutto un modo di concepire sé; concepire sé come “convivenza”, come ontologicamente legato al tutto.
Lo stesso gesto che crea me crea tutto: per cui tutto é parte della mia esistenza.
Il cristianesimo rende misterioso conto di questo fatto: l’origine dell’essere, il Dio, è convivenza (Trinità).
Amore non è innanzitutto un “sentimento“, non è un “gusto” né è un “dare” che non sia il dare sé: è concepirsi e accettarsi come unione; ciò sia ben chiaro nel richiamo che si lancia.
L’adolescente va richiamato a una purezza totale di motivi. Specialmente certo sentimentalismo, molto in voga nel sollecitare il giovane, è sentito da lui come artificiosità.
[127] Ma il senso di una cosa non lo creiamo noi: la connessione che la lega a tutte le cose è oggettiva.
La vera esperienza perciò è un dire sì a una situazione che richiama, è un far nostro ciò che ci viene detto.
E’ dunque sì far nostre le cose, ma in modo di camminare dentro il loro significato oggettivo, che è la Parola di un Altro.
L’esperienza vera mobilita ed incrementa la nostra capacità di aderire, la nostra capacità di amare.
La vera esperienza immerge nel ritmo del reale e fa tendere irresistibilmente a una unificazione fino all’ultimo aspetto delle cose, cioè fino al significato vero ed esaureinte di una cosa.
AMBIENTE
[94ss] (A) La prima condizione perché l’adolescente possa verificare la sua ipotesi, è che sia aiutato a impegnarsi secondo un ideale nel suo ambiente, perché è nell’ambiente che attinge spunti, sollecitazioni e alimentazione la trama di esperienze intime ed esteriori del ragazzo stesso, e quindi è soprattutto nell’impegno con l’ambiente che diverrà chiara la validità dell’educazione data.
(95)Mai come oggi l’ambiente inteso come clima mentale e modo di vita, ha avuto a disposizione strumenti di così dispotica invasione delle coscienze.
Oggi più che mai l’educatore o il diseducatore sovrano è l’ambiente con tutte le sue forme espressive.
Perciò la crisi si profila in primo luogo come inconsapevolezza che rende gli educatori stessi collaboratori magari incoscienti delle deficienze dell’ambiente, e in secondo luogo come mancata vitalità nell’atteggiamento educativo che non fa combattere con sufficiente energia la negatività dell’ambiente, in quanto attesta tali educatori su posizioni schematicamente tradizionali, formalistiche invece che portarli a rinnovare l’eterno Verbo redentore nello spirito della nuova lotta.
La cosa ha una importanza particolare nel mondo studentesco, perchè la figura dell’educatore – nel senso più stretto della parole “insegnante” – vi permane in una trama di presenze insinuatrici e sollecitatrici senza paragone più efficace che altri tipi di vita.
Ogni incertezza di fronte all’ambiente si traduce in un cedimento interiore del giovane, in una non verificazione dell’ideale.
(B) La reale dipendenza da un senso totale delle cose (96) esige psicologicamente che la verifica dell’ambiente non sia compiuta in modo solitario (e perciò indipendente ed astratto) dal giovane.
Occorre che il suo modo di affrontare tutte le realtà sia affrontato comunitariamente.
Scontro con l’ambiente
(79s) E’ amaro sentir dire che tale disorientamento è provocato in senso puramente metodologico, come istante di passaggio critico, perchè non ci si avvede (o non ci si vuole avvedere) che l’essere buttato allo sbaraglio provoca inesorabilmente nel giovane lo scetticismo.
Ciò avviene sopratutto quando il ragazzo si sente contraddetto, senza esservi preparato, nelle idee fondamentali e sicure che aveva ricevute dall’educazione precedente.
Nel senso più vero della parola, gli vien fatta violenza, e si sa per lunga memoria dell’umanità che la violenza lascia ruderi, e non costruzioni.
Lo scetticismo poi non è un punto di passaggio.
Esso lavora uno stato d’animo di fondo che rimane determinante nello sguardo che l’individuo porterà sull’esistenza, e nelle motivazioni delle sue decisioni nei confronti di essa.
La vita impone giudizi e scelte: il giovane ne sente l’urgenza, e darà i suoi giudizi e farà le tue scelte.
Ma perduta la sanità di una naturale adesione a criterio oggettivo, come emerge dalle origini, esso darà i suoi giudizi e farà le sue scelte abbandonandosi a rigidi preconcetti dettati da idiosincrasia o simpatie istintive, o in base a criteri popolati di visioni anguste o insorti da documentazioni particolari.
Lo scetticismo è un fondo d’animo che permane e che nella pratica si supera nel fanatismo: nell’affermazione cioè intransigente dell’unilaterale.
In tale situazione ci sono anche giovani che, nel contrasto impreparato e violento, restano nella concezione religiosa e morale da cui sono partiti: ma per non abbandonarlo , essi vi si devono abbarbicare, quasi si ritirano in un arroccamento prudente o impaurito, non si sa, ma certamente senza apertura e respiro verso quell’ambiente da cui sono stati aggrediti.
Così come ci sono giovani che, altrettanto impreparati a questo scontro, voltano le spalle, in un rifiuto acritico, ad ogni insegnamento religioso precedentemente accolto, pur senza approfondirlo, e si abbandonano a una accanita volontà di scrollarselo di dosso.
AUTOFORMAZIONE
(78) Qui sovviene la tanto declamata affermazione, da parte dei fautori della scuola laica, che per la libertà del singolo ragazzo occorra che esso da solo si formuli la sua unitaria concezione delle cose; e che ciò può benissimo avvenire nell’indiscriminato spontaneo scontro con tutte le teorie.
La diversa impostazione ideologica dei vari insegnanti sarebbe proprio la condizione per questa “autoformazione” a unitaria coscienza.
Invece qui più che mai l’esperienza della vita conferma quello che la natura suggerisce agli inizi.
L’esperienza infatti insegna che il risultato del prematuro confronto con contrastanti idee su problemi fondamentali dell’interpretazione della vita disorienta il giovane, non lo orienta: il che non è confortante risultato per una educazione.
AUTORITA’
Autorità ed esperienza dell’autorità
(83ss) I punti in cui la tradizione è più cosciente sono i responsabili ultimi dell’educazione dell’adolescente, il luogo” dell’ipotesi per lui.
E’ questo il concetto autentico di autorità (“auctoritas” ciò che fa crescere).
L’esperienza dell’autorità sorge in noi come incontro con una persona ricca di coscienza della realtà, così che essa si impone a noi come rivelatrice , ci genera novità, stupore, rispetto.
Ma se nell’adulto questa autorità è riconosciuta e scelta della matura responsabilità di un confronto, nelle età precedenti essa è fissata dalla natura stessa nella realtà “originatrice” dell’individuo. …..l’autorità è l’espressione concreta della ipotesi di lavoro, è quel criterio di sperimentazione dei valori che la tradizione mi dà; l’autorità è l’espressione della convivenza in cui si origina la mia esistenza.
L'autorità, in un certo modo, è il mio "io" più vero.
(84) La funzione educatrice di una vera autorità si configura precisamente come “funzione di coerenza”: una continuità di richiamo ai valori ultimi e all’impegno della coscienza con essi; un permanente criterio di giudizio su tutta la realtà; una salvaguardia stabile del nesso sempre nuovo tra i mutevoli atteggiamenti del giovane e il senso ultimo e totale della realtà.
Dall’esperienza dell’autorità nasce quella della coerenza.
Coerenza e stabilità efficiente nel tempo, continuità di vita.
In un fenomeno pazientemente evolutivo come quello della “introduzione alla realtà totale” la coerenza è fattore indispensabile.
Una certezza originaria che non potesse continuare a riproporsi nella coerenza di una evoluzione, finirebbe con l’essere sentita astratta, un dato fatalmente subito, ma non vitalmente sviluppato.
Senza la compagnia di una vera autorità ogni “ipotesi” rimarrebbe tale, ci sarebbe solo una cristallizzazione-oppure ogni iniziativa successiva rinvierebbe in nulla l’ipotesi originaria.
D’altro canto, la coerenza, se è la presenza continua di un senso totale della realtà, al di là di ogni gusto momentaneo e parere capriccioso dell’individuo, è potente educazione alla dipendenza dal reale.
(85) Autorità innanzitutto, ne siano coscienti o non lo siano, sono i genitori. La loro autorevolezza, inevitabile, è un fatto, una responsabilità.
Essi rappresentano nella vita dell’adolescente la permanente coerenza dell’origine con sè stessa, la dipendenza continua da un senso totale della realtà, che precede ed eccede da ogni parte il beneplacito dell’individuo.
(97) Questa struttura ontologica (la comunità) della ricerca del vero è dal cattolicesimo fatta addirittura condizione di salvezza, presenza inesauribile del significato tra gli uomini. L‘autorità stessa ha come funzione tipica la genesi della comunità.
Autorità sono innanzitutto i genitori
(85) Autorità innanzitutto, ne siano coscienti o non lo siano, sono i genitori.
La loro funzione è originatrice; per il fatto stesso di essere tale, essa è di immissione in un modo di concepire la realtà, in un flusso di pensiero e di civiltà.
La loro autorevolezza, è inevitabile, è una responsabilità.
Tale fatto può venire da loro stessi misconosciuto, ma rimane.
Essi rappresentano nella vita dell’adolescentela permanente coerenza dell’origine con sè stessa, la dipendenza continua di un senso totale della realtà, che precede ed eccede da ogni parte il beneplacito dell’individuo.
Autorità è la Chiesa
(85) Questa naturale funzione di richiamo continuo e coerente al senso ultimo di ogni cosa è nel cristianesimo valorizzata al massimo dalla Chiesa (“madre” di tutti i credenti).
Essa rappresenta nel suo ambito più vasto e comprensivo la continua sorgente dell’ipotesi in cui i genitori cristiani generano i figli.
Genitori e Chiesa sono per il cristianesimo la garanzia ultima della coerenza necessaria a ogni educazione.
Autorità è la scuola
(86s) Autorità è chiaramente anche la scuola in quanto pone come prosecuzione e sviluppo dell’educazione data dalla famiglia.
E’ strano che si sia pretesa scuola ideale quella in cui la funzione dell’insegnamento sarebbe quasi attuabile da un magnetofono: si strappa al rapporto insegnante/discepolo ciò che di più caratteristicamente umano vi si trova, l’apporto propriamente umano, la genialità del maestro.
In una scuola agnostica o “neutra” la mancata offerta di un significato fa sì che l’insegnante non sia più “maestro”, e porta l’alunno a erigersi maestro si sè stesso e a codificare le impressioni e le reazioni contingenti, con quella diffusa presuntuosità colma di impertinenza e di chiusi pregiudizi che sì spesso sviliscono la schiettezza e l’apertura propria della giovinezza.
Qualora poi consti l’impossibilità e l’assurdità di un tale sistema, si ripiega sulla proposta all’adolescente della gamma la più varia possibile di autorità divergenti: il paragone fra tutte genererebbe nell’alunno una spontanea scelta del meglio, e una maturità di giudizio.
Non ripeto qui le ragioni per cui mi sembra che questo sia il metodo diseducativo per eccellenza.
Aggiungo solamente che esso elimina la coerenza dell’educazione; e con ciò rende inutile l‘autorità, cioè la natura (lo sviluppo del giovane è letteralmente “snaturato”); esso travolge dall’intimo la necessaria evoluzione e omogeneità che il fenomeno educativo comporta, in profonda analogia con ogni altro fenomeno di vita.
Esso genera solo irrazionalità e anarchismo.
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