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- Pace
- Paragone
- Passato/proposta del passato
- Paura
- Peccato
- Perfezione
- Personalità
- Pietà
- Politicizzazione giovanile
- Problema
- Punto di fuga
PACE
(38) Ecumenismo è il nostro concetto di cultura.
I primi cristiani non usavano il termine “cultura”; hanno incominciato usando questo altro termine: “oikumene”, “ecumenismo.
La cultura è un principio da cui si cerca di spiegare tutto il resto, così come si può, costruendo come si può.
Il principio per cui abbracciamo tutto, l’origine di questa magnanimità è Cristo presente tra di noi, Cristo sperimentato tra di noi: la fede.
Così comprendiamo come la fede cristiana è entrata nel mondo di allora, dove imperava la pax romana, ma dove l’uno era lontanissimo dall’altro e dove la legge dei rapporti era la violenza – poco o tanto era violenza -; il cristianesimo è entrato portando la eirene, la pace.
Perché Cristo è la nostra pace, e questo è ciò cui aspiriamo di più, come promessa ed anticipo.
Promessa dell'eterno: la pace là dove conviviamo.
PARAGONE / PARAGONARE
(88) Proprio perché è decisiva nel proporre una visione delle cose, l’educazione vera ha un supremo interesse che il giovane si educhi a un paragone continuo non solo con le posizioni altrui, ma anche e soprattutto fra tutto ciò che gli capita e quell’idea offertagli (“tràdita”).
(113) Q uanto più uno vive, quanto più uno è acuto e vivace, quanto più uno ha intelligenza e sensibilità, tanto più la sua vita è trama di incontri e ogni incontro è una proposta di affermazioni, o cose, o persone o avvenimenti.
In questo immenso coro di proposte, che costituisce la trama della nostra esistenza, l’uomo, per natura, è spinto a paragonare ogni singola proposta con quel complesso di evidenze, di esigenze, di strutture originali che costituiscono il suo essere.
PASSATO/proposta del passato
(16) Primo: per educare occorre proporre adeguatamente il passato.
Senza questa proposta del passato, della conoscenza del passato, della tradizione, il giovane cresce cervellotico o scettico.
Se niente propone di privilegiare una ipotesi di lavoro, il giovane se la inventa, in modo cervellotico, oppure diviene scettico, molto più comodamente, perché non fa neanche la fatica di essere coerente all’ipotesi che si è presa.
La tradizione è come una ipotesi di lavoro con cui la natura butta l’uomo nel paragone con tutte le cose.
Seconda urgenza: il passato può essere proposto ai giovani solo se è presentato dentro un vissuto presente che ne sottolinei la corrispondenza con le esigenze ultime del cuore. Vale a dire: dentro un vissuto presente che dia le ragioni di sé.
Solo questo vissuto può proporre e ha il diritto e il dovere di proporre la tradizione, il passato.
Ma se il passato non appare, se non è proposto dentro un vissuto presente che cerchi di dare le proprie ragioni, non si può neanche ottenere la terza cosa necessaria alla educazione: la critica.
(18) Terza urgenza: La nostra urgenza è sull’educazione critica: il ragazzo riceve dal passato attraverso un vissuto presente in cui si imbatte, che gli propone quel passato e gliene dà le ragioni; ma egli deve prendere questo passato e queste ragioni, mettersele davanti agli occhi, paragonarle con il proprio cuore e dire: “E’ vero”, “Non è vero”, “Dubito”.
(113) La tradizione deve “entrare in crisi”, la tradizione deve diventare problema: crisi significa presa di coscienza della realtà di cui ci sentiamo formulati.
Si tratta innanzitutto, dunque, di una serietà di fronte al passato, dove la parola “passato” indica ciò di cui siamo stati fatti per affrontare il reale in cui ci inseriamo.
Questa è la prima condizione per conoscere sé stessi, e prima condizione per un attacco critico al mondo e alla realtà, proprio perchè la condizione per un attacco critico è la presa di coscienza degli strumenti, delle strutture in cui faremo via via gli incontri della vita.
(115) Può sembrare un paradosso, ma occorre per costruire davvero la società nuova, innanzitutto prendere sul serio la vecchia, cioè la propria tradizione, ma prendere sul serio la tradizione, prendere sul serio il proprio passato significa impegnarsi con esso secondo la modalità che quello implica, per poterne risentire i valori e abbandonare quello che valore non è, per poterne scoprire la corrispondenza con ciò che si è e potersi liberare da ciò che poteva corrispondere alla situazione solo di altri tempi, e non a quella dei nostri.
PAURA
Paura di affermare l’essere
(90) La paura di affermare l’essere sorge proprio da un mancato impegno con l’essere, sia che quella paura si traduca nel disinteresse in cui vivono i più, sia che si esprima nel “terrore d’ubriaco” di Montale.
Educazione dominata dalla paura
(106) Una educazione autonomistica, lascia il giovane in preda ai suoi gusti, alla sua istintività, affettivamente privo di criterio evolutivo, ma una educazione dominata dalla paura di un confronto dell’adolescente con il mondo, e mirando solo a preservarlo dall’urto, ne fa un essere a sua volta incapace di personalità nei rapporti col reale, o ribelle e squilibrato in potenza.
PECCATO
(103) Limitare l’ambito del condividere, così come l’esistenza ce ne dà la possibilità, è rinnegare sé stessi – è peccato (cioè “difetto” che nella sua origine latina vuol dire “venir meno, mancare” di qualcosa)-.
Struttura del peccato
(45) Secondo la tradizione cristiana proprio qui si delinea la struttura del peccato: nel fatto di identificare la propria definitività con un idolo, cioè con una forma, con qualcosa di dominabile, di totalmente comprensibile, con qualcosa di costruito in modo tale da darci sicurezza.
Per questo il moralismo è idolatria: esso è in realtà un’impostura della vita morale ridotta a cercare certezza in ciò che si fa o non si fa.
PERFEZIONE
(21) La Bibbia invece della parola “razionalità” usa la parola”cuore”.
La fede, dunque, risponde alle esigenze originali del cuore dell’uomo, uguale in tutti: esigenza di vero, di bello, di bene, di giusto (del giusto), di amore, e di soddisfazione totale di sé che – come spesso sottolineo ai ragazzi – identifica lo stesso contenuto indicato dalla parola “perfezione” (satisfacere o satisfieri, in latino è analogo al termine perficere, perfezione: perfezione e soddisfazione sono la stessa cosa, come lo sono la felicità e l’eternità).
Quindi, intendiamo per razionalità il fatto di corrispondere alle esigenze fondamentali del cuore umano, quelle esigenze fondamentali con cui un uomo – volente o nolente, lo sappia o non lo sappia – giudica tutto, ultimamente giudica tutto, in modo imperfetto o in modo perfetto.
Per questo dare ragione della fede significa descrivere sempre più, sempre più ampiamente, sempre più densamente, gli effetti della presenza di Cristo nella vita della chiesa nella sua autenticità, quella la cui “sentinella” è il Papa di Roma.
E' il cambiamento della vita che, dunque, la fede propone.
PERSONALITA’ / PERSONA
(71) La negazione diffusa nella concezione razionalista e laicista moderna per la quale la responsabilità sarebbe il termine di una spontaneità evolutiva, senza che occorra alcuna regola o guida oltre sé stessi – senza cioè che ci sia qualcosa da cui veramente dipendere -: tutto ciò che sta fuori del proprio io non sarebbe che pura occasione per reazioni totalmente autonome.
In generale. Una simile posizione inceppa e sfasa la personalità in formazione. Una personalità infatti aumenta nella misura in cui si approfondisce una vera libertà di giudizio e una vera libertà di scelta.
Ora per giudicare e scegliere occorre un metro, un criterio, se esso non è l’affermazione di quella realtà originaria in cui la natura ci forma, allora l’individuo si illude di crearselo da sé e il più delle volte sarà abbandono a una reazione, o il soggiacere a una forza esterna sopraggiunta, un essere trainati.
(126) L’esperienza come sviluppo della persona.
La persona prima non esisteva: perciò quello che la costituisce è un dato, un prodotto d’altro.
Questa situazione originale si ripette ad ogni livello dello sviluppo della persona.
Ciò che provoca la mia crescita non coincide con me, è altro da me
Concretamente esperienza è vivere ciò che fa crescere.
L’esperienza realizza quindi l’incremento della persona attraverso la valorizzazione di un rapporto obiettivo:
NOTA BENE: l’esperienza connota perciò il fatto dell’accorgersi di crescere. E ciò nei due aspetti fondamentali: la capacità di capire e la capacità di amare
La persona è innanzitutto consapevolezza.
Perciò quello che caratterizza l’esperienza non è tanto il fare, lo stabilire rapporti con la realtà come fatto meccanico: è l’errore implicito nella solita frase: “fare esperienza” ove esperienza diventa sinonimo di “provare”.
Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso.
L'esperienza implica intelligenza del senso delle cose.
E il senso di una cosa si scopre nella sua connessione con il resto, perciò esperienza significa scoprire a che una determinata cosa serve per il mondo.
Ma il senso di una cosa non la creiamo noi: la connessione che la lega a tutte le cose è oggettiva.
PIETA’
La pietà di cui si è così oggetto da esserne costituiti deve diventare soggetto: parlo della pietà e dell’affezione che Dio ha per ognuno.
Si è talmente oggetto di questa affezione che si è fatti, creati, salvati, conservati alla vita.
Fatti di questa affezione essa deve diventare il nostro soggetto: non si può agire se non in questa misericordia, a meno di tradire la propria natura più profonda.
Agendo nella misericordia si riconosce il valore dell’altro: fosse solo un punto luminoso in milioni di punti oscuri, si valorizza il punto luminoso.
Non in quanto luminoso, ma in quanto spia del mistero che l’altro ha dentro di sé.
Questo è l’amore: che la propria pienezza, la propria realizzazione è fatta coincidere con l’affermare l’altro.
POLITICIZZAZIONE GIOVANILE
(73) L’esperienza di politizzazione giovanile ha dato la misura di un giusto bisogno, ma ha anche mostrato che l’ipotesi ideologica che si pretende esplicativa di tutta la realtà riduce gravemente l’esigenza del giovane, il quale si trova alla mercé della stessa indecisione e dello stesso scettico svuotamento che erano risultati da una impostazione educativa carente di chiara ipotesi interpretativa del reale.
PROBLEMA
(17s) In greco si dice pro-ballo (mettere davanti agli occhi). Deve diventare problema quello che ci hanno detto!
Se non diventa problema, non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà irrazionalmente.
(18) (Il ragazzo) deve prendere questo passato e queste ragioni, mettersele davanti agli occhi, paragonarle con il proprio cuore e dire: “E’ vero”, “Non è vero”.
(112s) La parola “crisi” è piuttosto legata ad un’altra parola, la parola “problema“: non “dubbio“, ma “problema” che nella sua etimologia greca ci indica l’atteggiamento fondamentale che deve assumere il giovane per costruire una società nuova: la parola problema indica infatti un porsi davanti agli occhi qualcosa.
….Ognuno di noi non esisteva: perciò ognuno di noi è formulato da un antefatto, un complesso che lo costituisce, che lo plasma.
La parola problema si riferisce a questo fenomeno fondamentale per una vera novità nell’esistenza di ognuno e nella vita del cosmo umano: la tradizione.
Problema religioso
(45) Dio è la nostra definitività nel senso pieno della parola, non soltanto finalistico, ma proprio come definizione di noi.
Si legge nella Genesi: «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza“».
Ora è esattamente questo che l’uomo non accetta.
Tutto il problema religioso è qui, tutto il problema della dignità del vivere è qui, il problema della verità e della menzogna nella vita è solo qui.
PUNTO DI FUGA
(29s) La fede viene proposta come la suprema razionalità.
La frase così espressa può essere criticabile, ma occorre intendere quel che si vuol dire.
La fede viene proposta come appoggiata al supremo vertice della razionalità: quando giunge al suo vertice nell’esame di una cosa, nel sentimento di una cosa, la nostra natura umana sente che c’è qualcosa d’altro.
Questo definisce l’idea di segno: la nostra natura sente che quello che vive, che quello che ha tra mano, rimanda ad altro!
L’abbiamo chiamato “punto di fuga“: è il punto di fuga che c’è in ogni esperienza umana, cioè un punto che non chiude, ma rimanda.
Questo è un altro concetto fondamentale del nostro insegnamento.
La fede, perciò, viene proposta come la suprema razionalità in quanto l’incontro con l’avvenimento che la veicola genera una esperienza e una corrispondenza all’umano impensabili.
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