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Lettera « S »
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SANTITA’
Ricordiamo le parole del profeta
«Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te; praticare la giustizia, amare la pietà camminare umilmente con il tuo Dio»”.
MICHEA (mi 6,8)
Ecco la trasformazione, l’arte suprema che è la santità! La santità è abbracciare gli uomini e le cose trasformando questo in cammino e in grido, un grido che proclama come la sostanza di tutto sia Cristo, come quell’abbraccio sia suo e non nostro.
SCETTICISMO/SCETTICITA’
(42) ……[1° – L’immotivazione della fede. (2° – Scontata in incidenza della fede sul comportamento]
….3°- Infine, un clima decisamente generativo di scetticità che lascia libero campo all’attacco della religione da parte di determinati professori.
Tale atteggiamento quando si verificava, otteneva facilmente una certa attenta stima e custodiva un disinteresse di fondo il cui primo riverbero pratico si identificava con una perdita di eticità.
(77) Lo scetticismo, più o meno larvato o clamoroso, diviene l’atmosfera dell’anima dello studente, aura sottile e rabbrividente, o nei più sensitivi bufera dispersiva o tempesta che schianta, comunque sempre ne svuota ogni capacità di slancio, e lo studente diventa simile a un uomo che cammina sulla sabbia: buona parte dello sforzo compiuto è assorbito dall’instabilità del terreno.
(79) Lo scetticismo poi non è certo un momento di passaggio.
Esso lavora uno stato d’animo profondo che rimane determinante nello sguardo che l’individuo porterà sull’esistenza, e nelle motivazioni delle sue decisioni nei confronti di essa.
La vita impone giudizi e scelte: il giovane ne sente l’urgenza, e darà i suoi giudizi e farà le sue scelte.
Ma perduta la sanità di una naturale adesione a criterio oggettivo, come emerge dalle origini, esso darà i suoi giudizi e farà le sue scelte abbandonandosi a rigidi preconcetti dettati da idiosincrasie o simpatie istintive, o in base a criteri popolati da visioni anguste o insorti da documentazioni particolari.
Lo scetticismo è un fondo d’animo che permane e che praticamente si supera nel fanatismo: nell’affermazione cioè dell’unilaterale.
80 – ……Sembrerà assurdo, ma la scuola “neutra” pare che tragga queste sole conclusioni dallo scetticismo che tende a generare: il fanatismo o il bigottismo, fanatismi pro, bigottismi contro; oppure indifferenza e qualunquismo.
SCUOLA
(75) Nella scuola l’influsso della mentalità laicistica è visibilissimo. Innanzitutto l’insegnamento non si cura di offrire aiuto per l’effettiva presa di coscienza di una ipotesi esplicativa unitaria.
La predominante analiticità dei programmi abbandona lo studente di fronte ad una eterogeneità di cose e a una contraddittorietà di soluzioni che lo lasciano, nella misura della sua sensibilità, sconcertato e avvilito di incertezza.
(95) famiglia e scuola hanno, a questo proposito, responsabilità formativa talmente gravide di conseguenze per le convinzioni del giovane, che a malapena concepibile la loro massiccia e spesso inconsapevole faciloneria.
Mai come oggi l’ambiente inteso come clima mentale e modo di vita, ha avuto a disposizione strumenti di così dispotica invasione delle coscienze.
Scuola neutra o agnostica
Sembrerà assurdo, ma la scuola neutra pare che tragga solo queste conclusioni dallo scetticismo che tende a generare: il fanatismo e il bigottismo, fanatismi pro, bigottismi contro: oppure indifferenza e qualunquismo.
(82) Genera alquanto stupore lo spettacolo, oggi quasi generale, di famiglie che, dopo aver dato per anni ai ragazzi precise idee di fondo, non si preoccupano che essi le possano verificare nel tempo dell’adolescenza.
Si permette così – con una inconsapevolezza – che per non essere colpevole non è tuttavia meno rovinosa – che la scuola neutra e laicista compia indisturbata il suo capolavoro di distruzione e di squilibrio nella coscienza di figli.
Occorre sottolineare ancora che non si tratta soltanto della difesa di certi valori che una scuola laicista minaccia: ma si tratta ancor prima, della salvezza di una integrità psichica, della valorizzazione di una energia vitale nei giovani, a qualsiasi concezione della vita la famiglia li abbia educati.
(86) In una scuola agnostica o neutra la mancata offerta di un significato fa sì che l’insegnante non sia più maestro, e porta l’alunno a erigersi maestro di sé stesso e a codificare le impressioni e le reazioni contingenti, con quella diffusa presuntuosità colma di impertinenza e di chiusi pregiudizi che sì spesso oggi sviliscono la schiettezza e l’apertura propria della giovinezza.
(97) Anche la scuola neutra nella sua assenza di preoccupazione ideologica unitaria, è incapace di generare vere comunità: col che priva il giovane di una struttura capitale per la sua stessa ricerca (tanto è vera la legge per cui negare un lato dell’umano è contraddirlo nella sua totalità.
Scuola ideologicamente qualificata
(80s) Forse non c’è punto che chiarisca meglio di questo la genialità naturale di una scuola ideologicamente qualificata.
Essa sola, di norma, può creare coscienze veramente aperte, e spiriti veramente liberi.
E’ proprio perché educa all’affermazione di un criterio unico, che essa può creare nel giovane un interesse intenso al paragone con le altre ideologie e una apertura sincerissima e simpatetica verso di esse.
Non esistono apertura viva e vera simpatia se non derivano da una, magari inconscia, sicurezza universale.
“Se il criterio che tu mi proponi è vero, in che cosa e perché altre ideologie non vi consentono? Se l’atteggiamento che tu mi suggerisci è giusto, in che cosa e perché gli altri si comportano diversamente?”
Sono domande che si smarrirebbero nella coscienza dello scettico, o sarebbero troncate nella coscienza del fanatico, ma che diventano appassionata e attenta apertura di ricerca in chi è educato a sapere che c’è la loro soluzione.
SEGNO
(29) Non ci sono appena la ragione debole e il nichilismo: c’è questo misterioso, ma reale, sperimentabile fenomeno di una realtà che è segno di un altro.
La fede è l’esaltazione del segno, del valore del segno.
Così la razionalità diventò tra di noi la ricerca di un modo autentico di cogliere la realtà giudicando gli avvenimenti, cogliendone la corrispondenza alle esigenze costitutive del nostro animo o del nostro cuore, come dice la Bibbia.
Pretendavamo, così, tradurre l’antico adagio scolastico: la verità è una adeguatio rei et intellectus, una corrispondenza dell’oggetto all’autocoscienza, alla coscienza di sé stessi, cioè alla coscienza di quelle esigenze che custodiscono il cuore, che costituiscono la persona, senza delle quali essa sarebbe niente.
La fede, perciò, viene proposta come la suprema razionalità.
La frase così espressa può essere criticabile, ma occorre intendere quel che si vuole dire.
La fede viene proposta come appoggiata al supremo vertice di una razionalità: quando giunge al suo vertice nell’esame di una cosa, nel sentimento di una cosa, la nostra natura umana sente che c’è qualcos’altro.
Questo definisce l’idea di segno:
la nostra natura sente che quello che vive, che quello che ha tra mano, rimanda ad altro.
L’abbiamo chiamato “punto di fuga”: è il punto di fuga che c’è in ogni esperienza umana, cioè un punto che non chiude, ma rimanda.
SICUREZZA
In nulla la nostra sicurezza se non nel mistero.
Tutta quanta dunque la religiosità dell’uomo si gioca nel riconoscere che il significato totale ed unico della vita è il mistero di Dio.
Perciò il senso della nostra vita eccede noi, è a noi enigmatico: la religiosità dell’uomo si gioca sul fatto che la nostra sicurezza, il valore, il “ciò per cui vale la pena vivere” è il Mistero.
In null’altro, neppure nell’osservanza di regole morali, perché il valore è il mistero cui partecipiamo rispondendo alla vocazione cristiana.
Neppure negli strumenti o strutture che incarnano la nostra risposta dobbiamo arrestarci, riponendo in esse la nostra certezza e fiducia:
la sicurezza è esclusivamente il fatto di seguirLo, perché la consistenza della nostra vita è Lui.
Noi tendiamo a identificare perfino Cristo con una forma mentale immaginativa, e in ultima analisi sentimentale, mentre Cristo è quest’uomo che è mistero.
Un mistero che non resta lontano, che non è confinato nei cieli ma che si para di fronte al nostro quotidiano nell’infimo particolare: al mangiare, al bere, al riposarsi, all’incappare in contrattempi fastidiosi.
E’ il mistero che si coinvolge nei rapporti con la gente, in casa, che ci affronta faccia a faccia nel momento preciso che ci piacerebbe fare qualcosa mentre dobbiamo fare qualcosa d’altro, che ci interpella e cii provoca nelle cose che più ci premono, negli interessi più chiari.
E in tale provocazione ci viene ancora ricordato: “Le mie vie non sono le vostre vie”.
Ed è il mistero che, nonostante noi viviamo continuamente l’idolatria delle nostre certezze, continuamente ci si offre fino a morire.
Si dice nel vangelo di Giovanni: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino a morire”.
SIGNIFICATO DELLA REALTA’
(67) Un significato per la realtà totale sottende allora il processo dell’educazione: di esso si imbeve la coscienza dell’individuo nel primo stadio della sua introduzione al reale; di esso si rende conto, sperimentandone la consistenza, la coscienza dell’adolescente; esso instancabilmente persegue, o abbandona per una più radicale significanza, la coscienza matura dell’uomo adulto.
E se, nell’arco evolutivo dell’individuo, l’infanzia e la fanciullezza sono il momento dell’assorbimento primitivo, nella adolescenza, dopo i 13-14 anni, si assiste al momento più decisivo per la determinazione della fisionomia personale di ognuno: l’adolescente prende coscienza di sé e del significato totale della realtà che lo circonda.
SODDISFAZIONE TOTALE DI SE’
La fede risponde alle esigenze originali del cuore dell’uomo, uguale in tutti: esigenza di vero, di bello, di bene, di giusto (del giusto), di amore, di soddisfazione totale di sé che – come spesso sottolineo ai ragazzi – identifica lo stesso contenuto indicato dalla parola “perfezione” (satisfacere o satisfieri, in latino è analogo al termine perficere, perfezione: perfezione e soddisfazione sono la stessa cosa, come lo sono la felicità ed eternità).
Quindi intendiamo per razionalità il fatto di corrispondere alle esigenze fondamentali del cuore umano, quelle esigenze fondamentali con cui un uomo – volente o nolente, lo sappia o non lo sappia – giudica tutto, ultimamente giudica tutto, in modo imperfetto o in modo perfetto.
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