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- Ecumenismo/ecumenico
- Educabilità
- Educatore (vedi Maestro)
- Educazione
- Esperienza
- Evento
ECUMENISMO / ECUMENICO
(36ss) Il cristianesimo è un evento: bisogna sottoporgli la vita, la vita intera nell’istante.
Come nell’esperienza di un grande amore tutto diventa avvenimento nel suo ambito
Romano Guardini
Così all’evento cristiano occorre sottoporre l’intera storia della nostra vita.
Per sua natura un atteggiamento di questo genere è ecumenico.
Un concetto come quello descritto, di fede nel suo rapporto con la ragione – la fede è la risposta finale a ciò che l’uomo vive come esigenza suprema per cui è fatto, a cui la ragione non può e non sa trovare la risposta; tuttavia se seguita, la ragione porta a quel punto in cui uno dice: «Ma qui rimanda ad altro. Dunque è un segno. Tutto è segno di qualcosa d’altro» e, in secondo luogo, l’idea di cristianesimo come avvenimento – perciò la grande legge per capire la fede è l’accusa di un evento, di un avvenimento, non una parola o un pensiero, è partecipare all’evento stesso, adeguatamente per quanto si è capaci e domandando a Dio di rendercene capaci – entrambe queste cose favoriscono quello che adesso sembra essere la parola più ponderosa e grave del problema religioso: l’ecumenismo.
Per sua natura il cristianesimo è ecumenico e la fede cristiana è ecumenica; pretendendosi verità, non solo non ha paura di accostamenti, ma ad ogni incontro innanzitutto estrae quello che è vero, ciò che è già suo, costruendo il proprio volto nella storia con questa magnanimità per cui di tutto ciò che incontra guarda l’aspetto vero, lo esalta, dice se è giusto, se è buono, se è vero.
E si costruisce con tutto ciò che incontra, non esclude nulla, non giudica nulla: afferma ciò che le è stato dato, afferma ciò che è.
(37) Noi siamo abituati a cercare ogni cosa, per quel poco di bene che possa avere dentro ed esaltarla, sentirla fraterna, compagna di viaggio.
Perciò è un abbraccio universale. Per questo si incomincia a mettersi insieme.
L’essere insieme, quello che dei giovani iniziano facendo famiglia, è un abbraccio che si dilata, non si stringe, ma si dilata a tutto il mondo, per sua natura soffre per il mondo, pena per il mondo, partecipa alla pena di Cristo che ebbe per il mondo, e sente la risurrezione, il palpito della Resurrezione in quel che di buono c’è dovunque e in chiunque.
Ecumenismo è il nostro concetto di cultura
(38) Questo è il nostro concetto di ecumenismo, e in questo ci sentiamo profondamente discepoli del card. Martini, perché è a questa magnanimità che ci richiama in tutto quel che dice.
Ma anche perchè “ecumenismo” è il nostro vero concetto di cultura.
I primi cristiani non usavano il termine “cultura”; hanno incominciato usando questo altro termine: “oikuméne” cioè Ecumenismo.
La cultura è un principio da cui si cerca di spiegare tutto il resto, così come si può, costruendo come si può.
Il principio per cui abbracciamo tutto, l’origine di questa magnanimità è Cristo presente tra di noi, Cristo sperimentato tra di noi: la fede.
Così comprendiamo come la fede cristiana è entrata nel mondo di allora, dove imperava la pax romana, ma dove l’uno era lontanissimo dall’altro e dove la legge dei rapporti era la violenza – poco o tanto era la violenza.
Il cristianesimo è entrato portando la eirene, la pace.
Perché Cristo è la nostra pace, e questo è ciò cui aspiriamo di più, come promessa e anticipo. Promessa dell’eterno: la pace là dove conviviamo.
EDUCABILITA’
(61) Educabilità: una continuità di giovinezza.
In un recente dibattito mi è stata rivolta la domanda: “Come continuare ad essere giovani?“.
La risposta ha attinenza con quello che – trattando del tempo maturo in cui educatore ed educando vivono una stessa esperienza del mondo lavorando insieme, fianco a fianco, per un destino che tutti riunisce – ho chiamato
«una vita che passando avanza in giovinezza ed “educabilità”, in “stupore” e commozione di fronte alle cose».
Dovendo indicare la formula di questa continuità di giovinezza mi balzano alla mente ancora oggi questi stessi elementi.
La giovinezza è caratterizzata dal sentimento di uno scopo, anche non precisato, ma almeno sentito come futuro fortunato di ciò che si sta vivendo.
E’ questo ad impedire la rigidezza che elimina la duttilità, la flessibilità, una certa freschezza nell’uso delle proprie forme.
Più precisamente: il residuo senso del mistero, che definisce senza definire l’orizzonte e la prospettiva del vivere, che genera una disponibilità – per così dire delle proprie membra – ad adattarsi a spazi nuovi, e lo stupore sempre inerente al senso del mistero fanno scaturire una inesausta sorgente di affettività in grado di muovere tutte le energie secondo una emozione ben nota all’adolescenza e alla prima giovinezza.
(62) Soltanto che tale emotività nella vita che passa acquista una densità e una lucidità inimmaginabili prima, le quali
rivelano alla personalità la dignità di affinità col divino (mistero) che la connota sostanzialmente.
A patto, è naturale, che diventi esercizio – o ascesi – la “memoria” di questo senso ultimo del mistero: prospettiva adeguata in cui va collocato uno scopo degno della vita.
EDUCATORE (vedi Maestro)
EDUCAZIONE
(15) L’idea fondamentale di una educazione rivolta ai giovani è il fatto che attraverso di essi si ricostruisce una società; perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani (il contrario di quel che avviene adesso).
Il tema principale, per noi, in tutti i nostri discorsi è l’educazione: come educarci, in che cosa consiste e come si svolge una educazione che sia vera cioè corrispondente all’umano.
Educazione, quindi, dell’umano, dell’originale che è in noi, che in ognuno si flette in modo diverso, anche se, sostanzialmente e fondamentalmente, il cuore è sempre lo stesso.
Infatti, nella varietà delle espressioni, delle culture, e delle consuetudini, il cuore dell’uomo è uno: il cuore mio è il cuore tuo, ed è il medesimo cuore di chi vive lontano da noi, in altri Paesi o continenti.
La prima preoccupazione di un’educazione vera e adeguata è quella di educare il cuore dell’uomo così come Dio l’ha fatto.
(16)La morale non è nient’altro che continuare nell’atteggiamento in cui Dio crea l’uomo di fronte a tutte le cose e nel rapporto con essere originalmente
(1 ) – Per educare occorre proporre adeguatamente il passato
(2) – Il passato può essere proposto a giovani solo se è presentato dentro un vissuto presente che ne sottolinei la corrispondenza con le esigenze ultime del cuore.
(3) – La vera educazione deve essere una educazione alla critica.
(65ss) Prima PREMESSA . Introduzione alla realtà totale, ecco cosa è l’educazione.
La parola “realtà” sta alla parola “educazione” come la meta sta al cammino.
La meta è tutto il significato dell’andare umano: essa è non solo nel momento in cui l’impresa si compie e termina, ma anche in ogni passo della strada.
Così la realtà determina integralmente il movimento educativo passo passo e ne è il compimento.
E’ introduzione alla realtà totale.
(66) E’ interessante notare il duplice valore di quel “totale”: educazione di tutte le strutture di un individuo fino alla loro realizzazione integrale, e nello stesso tempo l’affermazione di tutte le possibilità di connessione attiva di quelle strutture con tutta la realtà.
Lo stesso identico fenomeno cioè, attuerà sia una totalità di dimensioni costitutive sia una totalità di rapporti ambientali.
La linea educativa è così innegabilmente segnata in tutto il suo dinamismo esistenziale: nelle sue prospettive, nelle sue modalità, nella sua trama di connessioni.
La realtà la condiziona e la domina e la condiziona dalle origini la domina come fine.
Qualunque pedagogia, che conservi un minimo di lealtà con l’evidenza, deve riconoscere e in qualche modo attendere a questa “realtà”.
Possiamo senz’altro dire che un’educazione ha tanto più valore quanto più obbedisce a questa realtà, quanto più cioè suggerisce attenzione ad essa, ne rispetta le pur minime indicazioni, in primo luogo l’originale necessità di dipendenza e la pazienza evolutrice.
(66) Seconda PREMESSA [2]
codesto realismo pedagogico si specifica subito nel seguente modo:
la realtà non è mai realmente affermata se non è affermata l’esistenza del suo significato.
Un significato per la realtà totale sottende allora il processo di educazione
Di esso si imbeve la coscienza dell’individuo nel primo stadio della sua introduzione al reale; di esso si rende conto, sperimentandone la consistenza, la coscienza dell’adolescente; esso instancabilmente persegue, o abbandona per una più radicale significanza, la coscienza matura dell’uomo adulto.
E se, nell’arco evolutivo dell’individuo, l’infanzia e la fanciullezza sono i momenti dell’assorbimento primitivo, nella adolescenza, dopo i 13-14 anni, si assiste al momento più decisivo per la determinazione della fisionomia personale di ognuno: l’adolescente prende coscienza di sé e del significato totale della realtà che lo circonda.
Educazione alla critica
(17 ss) La vera educazione deve essere una educazione alla critica.
Per natura, chi ama il bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita, quello che di meglio ha scelta nella vita.
Ma ad un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino, l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi (in greco si dice pro-ballo, da cui deriva problema).
Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto!
Se non diventa problema, non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà irrazionalmente.
(18) Portato il sacco davanti agli occhi, ci si rovista dentro. Sempre in greco, questo “rovistarci dentro” di dice Krinein, da cui deriva la parola critica.
La critica, perciò, consiste nel rendersi ragione delle cose, non ha un senso necessariamente negativo.
Dunque il giovane rovista dentro il sacco e con questa critica paragona quel che vede dentro, cioè quello che gli ha messo sulle spalle la tradizione, con i desideri del suo cuore: il criterio ultimo del giudizio, infatti, è dentro di noi, altrimenti siamo alienati.
E il criterio ultimo, che è in ciascuno di noi, è identico: è esigenza di vero, di bello, di buono.
Al di qua o attraverso tutte le differenze possibili e immaginabili con cui la fantasia può giocare su queste esigenze, fondamentalmente rimangono identiche nelle mosse, anche se diverse per i connotati vari delle circostanze dell’esperienza.
La nostra insistenza è sulla educazione critica: il ragazzo riceve dal passato attraverso un vissuto presente in cui si imbatte, che gli propone quel passato e gliene dà le ragioni; ma egli deve prendere questo passato e queste ragioni, mettersele davanti agli occhi, paragonarle con il proprio cuore e dire: “E’ vero” “non è vero”, “dubito”.
E così, con l’aiuto di una compagnia (senza questa compagnia l’uomo è troppo alla mercé delle tempeste del suo cuore, nel senso non buono, istintivo del termine), può dire “si” oppure “no”.
Così facendo prende la sua fisionomia di uomo.
(19) Abbiamo avuto troppa paura di questa critica, veramente.
Oppure, chi non ne ha avuto la paura, l’ha applicata senza sapere che cosa fosse, non l’ha applicata bene.
La critica è stata ridotta a negatività, per ciò stesso che uno fa problema di una cosa che gli è stata detta.
Io ti dico una cosa: porre un interrogativo su questa cosa, domandarsi: “E’ vero?” è diventato uguale a dubitarne.
L’identità tra problema e dubbio è il disastro della coscienza della gioventù.
Il dubbio è il termine di una indagine (provvisorio o no) ma il problema è l’invito a capire ciò che ho davanti, a scoprire un bene nuovo, una verità nuova, cioè ad averne una soddisfazione più carica e più matura.
Senza uno di questi fattori: tradizione, vissuto presente, che dà le ragioni, critica, il giovane è povera foglia frale lungi dal proprio ramo, vittima del vento dominante, della sua mutevolezza, vittima di una opinione pubblica generale creata dal potere reale.
Noi vogliamo, e questo è il nostro scopo, liberare i giovani:
liberare i giovani dalla schiavitù mentale, dalla omologazione che rende schiavi mentalmente degli altri.
L’educazione è introdurre alla realtà
(69) Non può avvenire quel mirabile erompere di scoperte, quel mirabile seguito di passi e quella catena di contatti che definiscono lo sviluppo, l’educazione di un essere, cioè la sua “introduzione alla realtà totale“, senza una idea di significato che all’individuo in formazione si presenti adeguatamente solida, intensa e sicura.
E’ la natura che esige questo, con una analogia perfetta in tutti i campi.
L’accendersi di questa ipotesi è segno del genio;
l’offrirla ai discepoli è l’umanità del maestro;
l’aderirvi come a luce del proprio cammino è la prima intelligenza del discepolo.
Il genio è testimonianza di una visione del mondo, e quindi è sempre offerta di una ipotesi di vita.
E’ nell’educazione così concepita che l’avvenimento del genio trova giustificata la sua espressione, e il genio diventa maestro.
(74) Solo una educazione come introduzione alla realtà umana e cosmica, alla luce di una ipotesi offerta da una “storia” o “tradizione”, può impedire sistematicamente nel giovane una partenza sconcertata o dissociata proprio per l’incoerenza o la manchevolezza con cui gli si propone la “verità” – cioè la corrispondenza tra la realtà e lui, il senso dell’esistenza.
E, impedendo questo, solo tale educazione può lanciare normalmente la coscienza di un giovane nel confronto del reale con serenità e solidità.
(109) L‘introduzione alla realtà totale rivela qui la sua ultima valenza: quella di educazione operata dagli uomini più generosi e geniali per introdurre a un’altra, più perfetta e dilatante educazione.
In questa nuova fase unus est Magister vester, il mistero stesso dell’essere, di cui l’adolescenza ci ha resi meravigliosamente e consapevolmente devoti.
Si avrà allora il miracolo altrimenti inattingibile di una vita che, passando, avanza in giovinezza, in “educabilità”, in “stupore” e commozione di fronte alle cose;
di una energia creatrice che cresce su di sé senza disperdersi o logorarsi, ma aderendo cordialissimamente a tutte le possibilità che l’esistenza produce; un tempo, insomma, che si lascia invadere dalla potenza dell’eterno, e ne viene instancabilmente fecondato.
Educazione responsabile
(82) La lealtà con il dato, con la tradizione da cui si origina la coscienza dell’adolescente è il nerbo centrale di ogni educazione responsabile.
In primo luogo essa fonda quel senso della dipendenza senza del quale la realtà viene violentata e manipolata dalla presunzione, o alterata dalla fantasia o svuotata dalla illusione.
In secondo luogo essa abitua ad affrontare la realtà con quella certezza della esistenza della soluzione senza cui inaridiscono le capacità di scoperta e la stessa energia creatrice di rapporti con le cose.
Educazione alla dipendenza del reale
(85) Senza la compagnia di una vera autorità, ogni “ipotesi” rimarrebbe tale, ci sarebbe solo una cristallizzazione, oppure ogni iniziativa successiva rinvierebbe in nulla l’ipotesi originaria.
D’altro canto, la coerenza, se è la presenza continua di un senso totale della realtà, al di là di ogni “gusto” momentaneo e “parere” capriccioso dell’individuo, è potente educazione alla dipendenza dal reale.
Manchevolezze di una educazione religiosa
(93) Possiamo elencare in breve le manchevolezze che spesso si trovano nel cuore stesso della nostra educazione religiosa:
- Innanzitutto l’assenza di Cristo dall’incontro di tutte le cose; con tutte le cose: e forse la Sua pertinenza profonda con tutte le cose non viene neppure proposta! Il discepolo preferisce allora arzigogolare con il proprio intelletto anzichè accettare il mistero.
- In secondo luogo il voler comprendere prima di impegnarsi. Purtroppo è un errore diffusissimo e alimentato. Per fortuna c’è il tempo che fa diventare vecchi, c’è la bontà di Dio che getta negli incontri, c’è la natura che spezza il disinteresse e riporta su posizioni più profonde, perché altrimenti il volersi impegnare solo dopo aver capito vorrebbe dire non volersi impegnare mai.
- In terzo luogo, l‘incuria con cui si segue il cambiamento di una certa età, in cui le idee ricevute, i gesti devotamente ripetuti, la discrezione obbediente, tutto deve diventare come una ipotesi provata nelle esperienze nuove cui l’individuo va incontro da solo. Se dai 14 anni in poi, per 4 o 5 anni, insistentemente e sistematicamente il ragazzo non è aiutato a vedere la connessione tra il dato (la “tradizione”) e la vita, le sue nuove esperienze creano le premesse perché egli assuma uno dei tre atteggiamenti nemici del cristianesimo:
- L’indifferenza, per cui si sente come astratto tutto ciò che non entra in contatto diretto con l’esperienza;
- il tradizionalismo, nel quale la gente più buona e meno vivace si arrocca rigidamente per non guardare ciò che sta fuori e per non sentirsi turbare la propria fede;
- l’ostilità, perché un Dio astratto è certamente un nemico, del quale, come minimo, si può dire che ci fa perdere tempo.
Il metodo decisivo, per impedire a una certa età tali atteggiamenti, sta nell’aiutare la sperimentazione di ciò che è stato dato, che deve essere posto a confronto con ogni cosa (questo “ogni” è importante nel confronto, ché altrimenti si cresce unilaterali e schematisti)
Scopo dell’educazione religiosa
(103) Scopo dell’educazione è quello di formare un uomo nuovo: perciò i fattori attivi dell’educazione debbono far sì che l’educando agisca sempre più da sé, e sempre di più affronti l’ambiente.
Occorrerà quindi da un lato metterlo sempre più a contatto con tutti i fattori dell’ambiente, dall’altro lasciargli sempre più la respondabilità della scelta, seguendo una linea evolutiva determinata dalla coscienza che il ragazzo dovrà essere capace di “far da sé”.
Educazione autonomistica
(106) Educazione totalmente autonomistica lascia il giovane in preda ai suoi gusti, alla sua istintività, effettivamente privo di criterio evolutivo, ma una educazione dominata dalla paura di un confronto dell’adolescente con il mondo, e mirante solo a preservarlo dall’urto, ne fa un essere a volta a volta incapace di personalità nei rapporti con il reale, o ribelle e squilibrato in potenza.
Qui emerge penosamente chiaro il caso di molti educatori (famiglie e scuole) il cui supremo ideale pare sia non rischiare nulla.
Il metodo invece educativamente più capace di bene, non è quello che vive di fuga dalla realtà per affermare separatamente il bene, ma quello che vive della promozione della vittoria del bene nel mondo.
“Nel mondo” significa nel confronto con la realtà intera, confronto “rischioso” se così lo si vuol chiamare; ma meglio si direbbe “impegnativo”.
Il separare l’adolescente dal mondo, o anche non aiutarlo a guidarlo nel confronto con il mondo, è causare per la coscienza viva di certi giovani, la scoperta della inesistenza di una adeguata direttiva per la vittoria del bene sul male.
Educazione dominata dalla paura
(106) Una educazione totalmente «autonomistica» lascia il giovane in preda ai suoi gusti, alla sua istintività, effettivamente privo di un criterio evolutivo, ma una educazione dominata dalla paura di un confronto con l’adolescente con il mondo, e mirante solo a preservarlo dall’urto, ne fa un essere a volta a volta incapace di personalità nei rapporti col reale, o ribelle e squilibrato in potenza.
Educazione degli adolescenti
(83) I punti in cui la tradizione è più cosciente sono i responsabili ultimi dell’educazione dell’adolescente, il “luogo” dell’ipotesi per lui.
L’esperienza dell’autorità richiama infatti l’esperienza, più o meno chiara, della nostra indigenza e del nostro limite.
(107s) Si potrebbe dire, riepilogando, che nel mondo educativo dell’adolescenza, “età di verifica“, le grandi linee metodologiche da tenere siano le seguenti:
- la posizione precisa di una ipotesi i senso totale della realtà (è l’offerta della tradizione) unica condizione di certezza per il giovane;
- la presenza di una ben precisa e reale autorità “luogo” di tale ipotesi, unica condizione di coerenza nel fenomeno educativo;
- la sollecitazione del giovane a un impegno personale di verifica dell’ipotesi in tutta la sua esperienza, unica condizione di una reale convinzione;
- l’accettazione del crescente equilibrato rischio del confronto autonomo tra l’ipotesi e la realtà nella coscienza dell’adolescente, unica condizione per la maturità della sua libertà.
ESPERIENZA
(126) L’esperienza come sviluppo della persona.
La persona prima non esisteva: perciò quello che la costituiva è un dato, un prodotto di altro.
Questa situazione originale si ripete a ogni livello dello sviluppo della persona.
Ciò che provoca la mia crescita non coincide con me, è altro da me.
Concretamente esperienza è ciò che mi fa crescere.
L’esperienza realizza quindi l’incremento della persona attraverso la valorizzazione di un rapporto obiettivo.
NB: l’esperienza connota il fatto dell’accorgersi di crescere.
E ciò nei due aspetti fondamentali: la capacità di capire e la capacità di amare.
- (a) La persona è innanzitutto la consapevolezza. Perciò quello che caratterizza l’esperienza non è tanto il fare, lo stabilire rapporti con la realtà come fatto meccanico: è l’errore implicito nella solita frase “fare esperienza” ove “esperienza” diventa sinonimo di “provare”. Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire una cosa, lo scoprirne il senso. L’esperienza quindi implica intelligenza del senso delle cose. E il senso di una cosa si scopre nella sua connessione con il resto, perciò esperienza significa scoprire a che cosa una determinata cosa serva al mondo.
- (b) Ma il senso di una cosa non lo creiamo noi: la connessione che lo lega a tutte le cose è oggettiva. La vera esperienza perciò è un dire sì ad una situazione che richiama, è un far nostro ciò che ci vien detto. E’ dunque sì far nostre le cose, ma in modo da camminare dentro il loro significato oggettivo, che è la Parola di un Altro. L’esperienza vera mobilita e incrementa la nostra capacità di aderire, la nostra capacità di amare. La vera esperienza immerge nel ritmo del reale, e fa tendere irresistibilmente a una unificazione fino all’ultimo aspetto delle cose, cioè fino al significato vero ed esauriente di una cosa.
(129s) Il mistero di Dio rivelato nel campo dell’esperienza umana.
L‘esperienza cristiana ed ecclesiale emerge come unità d’atto vitale risultante da un triplice fattore:
- L’incontro con un fatto obiettivo originalmente indipendente dalla persona che l’esperienza compie; fatto la cui realtà esistenziale è quella di una comunità sensibilmente documentata così come è di ogni realtà integralmente umana; comunità la cui voce umana dell’autorità nei suoi giudizi e nelle sue direttive costituisce criterio e forma. Non esiste versione dell’esperienza cristiana, per quanto interiore, che non implichi almeno ultimamente questo incontro con la comunità e questo riferimento all’autorità.
- Il poter percepire adeguatamente il significato di quell’incontro. Il valore del fatto in cui ci si imbatte trascende la forza di penetrazione dell’umana coscienza, richiede pure un gesto di Dio per la sua comprensione adeguata….si dice grazia di fede.
- La coscienza della corrispondenza tra il significato del Fatto in cui ci si imbatte e il significato della propria esistenza – fra la realtà cristiana ed ecclesiale e la propria persona -, fra l’Incontro e il proprio destino. E’ la coscienza di tale corrispondenza che verifica quella crescita di sé essenziale al fenomeno dell’esperienza. Anche nell’esperienza cristiana, anzi massimamente in essa, appare chiaro come in una autentica esperienza siano impegnate l’autocoscienza e la capacità critica dell’uomo, e come una autentica esperienza sia ben lontana dall’identificarsi con una impressione avuta o dal ridursi a una ripercussione sentimentale. E’ in questa “verifica” che nell’esperienza cristiana il mistero della iniziativa divina valorizza essenzialmente la ragione dell’uomo. Ed è in questa verifica che si dimostra l’umana libertà: perché la registrazione e il riconoscimento della corrispondenza esaltante tra il mistero presente e il proprio dinamismo di uomo non possono avvenire se non nella misura i cui è presente e viva quella accettazione della propria fondamentale dipendenza, del proprio essenziale “essere fatti” nella quale consiste la semplicità, la “purità di cuore”e la l”povertà di spirito”. Tutto il dramma della libertà è in questa “povertà di spirito”: ed è un dramma tanto profondo da apparire furtivo.
Esperienza dell’autorità
(83) L’esperienza dell’autorità sorge in noi come incontro con una persona ricca di coscienza della realtà; così che essa si impone a noi come rivelatrice, ci genera novità, stupore, rispetto.
C’è in essa una attrattiva inevitabile, e in noi una inevitabile soggezione.
L’esperienza dell’autorità richiama infatti l’esperienza, più o meno chiara, della nostra indigenza e del nostro limite. Ciò porta a seguirla e a farci suoi discepoli.
L’autorità è l’espressione concreta dell’ipotesi di lavoro, è quel criterio di sperimentazione dei valori che la tradizione mi dà; l‘autorità è l’espressione della convivenza in cui si origina la mia esistenza.
L'autorità in un certo modo è il mio io più vero.
(84) Dall’esperienza dell’autorità nasce quella della coerenza che è stabilità efficiente nel tempo, e continuità di vita.
Luogo dell’esperienza
(129) Non c’è esauriente esperienza umana se non è valorizzazione – consapevole o no – del rapporto con questo fatto che è l’uomo-Cristo.
Il rapporto obiettivo che incrementa l’umana persona non ha più soltanto come luogo la natura, ma anche un luogo soprannaturale: la storia di questo luogo si chiama Chiesa (Corpo mistico di Cristo).
Esperienza cristiana
(130) L’esperienza cristiana ed ecclesiale emerge come unità d’atto vitale risultante da un triplice fattore:
- L’incontro con un fatto obiettivo originalmente indipendente dalla persona che l’esperienza compie; fatto la cui realtà esistenziale è quella di una comunità sensibilmente documentata così come è di ogni realtà integralmente umana; comunità di cui la voce umana dell’autorità nei suoi giudizi e nelle sue direttive costituisce criterio e forma. Non esiste versione dell’esperienza cristiana, per quanto interiore, che non implichi almeno ultimamente questo incontro con la comunità e questo riferimento all’autorità.
- Il potere di percepire adeguatamente il significato di quell’incontro. Il valore del fatto in cui ci si imbatte trascende la forza di penetrazione dell’umana coscienza, richiede pure un gesto di Dio per la sua comprensione adeguata. Infatti lo stesso gesto con cui Dio si rende presente all’uomo nell’avvenimento cristiano esalta capacità conoscitiva della coscienza, adegua l’acume dello sguardo umano alla realtà eccezionale cui lo provoca. di dice grazia di fede.
- La coscienza della corrispondenza tra il significato del Fatto in cui ci si imbatte e il significato della propria esistenza – fra la realtà cristiana ed ecclesiale e la propria persona -, fra l’Incontro e il proprio destino. E la coscienza di tale corrispondenza che verifica quella crescita di sé essenziale al fenomeno dell’esperienza. anche nell’esperienza cristiana, anzi massimamente in essa, appare chiaro come in un’autentica esperienza siano impegnate l’autocoscienza e la capacità critica dell’uomo, e come una autentica esperienza sia ben lontana dall’identificarsi con una impressione avuta o dal ridursi a una ripercussione sentimentale.
È in questa «verifica» che nell’esperienza cristiana il mistero della iniziativa divina valorizza essenzialmente la ragione dell’uomo.
Ed è in questa «verifica» che si dimostra l’umana libertà: perché la registrazione e il riconoscimento della corrispondenza esaltante tra il mistero presente e il proprio dinamismo di uomo non possono avvenire se non nella misura in cui è presente e viva quella accettazione della propria fondamentale dipendenza, del proprio essenziale «essere fatti», nella quale consiste la semplicità, la «purità di cuore», la «povertà di spirito».
Tutto il dramma della libertà è in questa «povertà di spirito»: ed è dramma tanto profondo da accadere quasi furtivo
EVENTO
Evento di cui tratta la fede
(35) L’evento di cui tratta la fede è un avvenimento che bisogna vivere, non leggere o discutere; un avvenimento si vive, altrimenti non è adeguato il nostro porci di fronte ad esso.
Il senso ultimo e peculiare di un evento, e quindi l’evento stesso nella sua verità, si apre [cioè si comunica] solo e sempre a una esperienza che si abbandoni ad esso e in questo abbandono cerchi di interpretarlo
Heinrich Schlier: “Linee fondamentali di teologia paolina”
“A una esperienza”: un evento si palesa a chi partecipa all’esperienza di esso; si palesa solo a una esperienza che è vera, se è adeguata alla esperienza in questione. L’evento in questione è che Dio si è fatto carne, uomo ed è presente: “Sarò con voi tutti i giorni“. E’ presente, è presente tutti i giorni!
Occorre abbandonarsi a questo messaggio e accostare l’esperienza secondo le connotazioni di questo messaggio.
Egli disse che sarebbe stato presente ogni giorno nelle comunità dei credenti che li raccoglie e che li fa essere il Suo corpo misterioso.
Bisogna che noi ci abbandoniamo a questa presenza e viviamo la nostra vita all’interno all’interno di questa presenza, la viviamo sotto l’influsso di questa presenza, giudicata da questa presenza, illuminata da questa presenza.
Il cristianesimo è un evento
(36) Il cristianesimo è un evento: bisogna sottoporgli la vita, la vita intera nell’istante. Come
…nell’esperienza di un grande tutto diventa un avvenimento nel suo ambito
Romano Guardini.
…così all’evento cristiano bisogna sottoporre l’intera storia della nostra vita.
Elenco cliccabile
A – B – C – D – E – F – G – I – L – M – N/O – P – Q – R – S – T – U –V
