1994 – Esercizi spirituali – «IL TEMPO SI FA BREVE»

Esercizi spirituali di don Luigi Giussani (1994)


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Indice linkato dei vari momenti

  1. Urgenza di una decisione
  2. Omelia
  3. TRA IL NULLA E IL SEME DEL FUTURO
  4. QUELLO CHE IL CUORE DESIDERA GIÀ ESISTE
  5. LA GRAZIA DI UN CARISMA
  6. Lettura e commento del Direttorio dei gruppi di Fraternità

Urgenza di una decisione (11)

Questo non è un «raduno» […]; per coglierne la natura bisogna riutilizzare la parola che, in altro contesto, abbiamo adottato: è un gesto.

La parola «gesto», come sempre ricordiamo, indica un atteggiamento che porta il mondo, porta il significato del mondo, porta il mondo e il suo significato: porta il mondo nel suo nascere presente, nel suo sviluppo futuro, nella sua storia e nel suo destino.

È la coscienza di tutta la realtà, del suo esistere, che provoca e definisce la fatica che abbiamo fatto a venire fino a qui, la fatica che facciamo nello stare insieme ora e la serietà con cui pensiamo a Cristo e preghiamo Cristo.

Perché non possiamo chiamare «raduno» tutto questo, con tutta questa umanità che ci coinvolge, che è fatta per fluire dentro questo spazio umano? Perché dobbiamo chiamarlo «gesto»?

(Lettera di una persona ammalata di tumore) «Se in questi anni non avessi incontrato te e gli amici del movimento e, tramite voi, il volto buono del Mistero che fa tutte le cose, che cosa sarebbe ora della mia vita?»

Noi siamo insieme qui riuniti, per affermare che la vita “sta” davanti al volto buono del Mistero che fa tutte le cose, davanti al volto buono del Padre, generatore di ogni cosa: « Padre nostro», che sei nel profondo delle cose, «venga il Tuo regno», che tu sia riconosciuto!

La vita è risposta, è un Tu “dato” – riconosciuto – al volto buono del Mistero.

Per questo è una grande decisione la nostra, è una grande decisione quella di essere insieme per costruire la fraternità, la fraternità di uomini che riconoscono come scopo della vita il volto buono del Mistero.

È un dialogo la vita, non è tragedia.

La tragedia è ciò che fa finire tutto nel niente.

La vita, sì, è dramma, è drammatica, perché è rapporto tra il nostro io e il Tu di Dio, il nostro io che deve seguire i passi che Dio segna.

Per questo, è grande questo momento.

E Dio ce lo fa sentire, assaporare, qualunque sia lo stato d’animo con cui siamo venuti qui.

Chiediamo a Dio che la nostra attenzione non si svaghi, che la nostra tenerezza non si perda nell’inutile, nella sentimentalità, ma diventi sorgente e suggerimento di dedizione, di dono di sé, cioè di carità.

E qui ci sentiamo dentro lo stesso cuore di Dio: carità.


Omelia (16)

«Il tempo si fa breve».

Non c’è nessuna verità che più di questa punga il nostro orgoglio, ma anche la nostra sete di vita.

E, se un altro orizzonte si aprisse sull’orizzonte nostro di tutti i giorni, grave sarebbe la pesantezza, il peso della vita stessa.

Chiunque si illudesse: «Non ho peccato», sarebbe mentitore, anzi, farebbe mentitore Dio, perché Dio ha rivelato l’essenza ultima della sua natura come misericordia, esprime la sua onnipotenza nel perdono.

Non capisce questo Mistero chi fosse facilmente distratto o non attento a ciò che Gesù ci ha fatto e ci fa pervenire attraverso quell’angelo che ci annunzia tutti i giorni la sua presenza, che si chiama Chiesa, si chiama compagnia nostra – perché la Chiesa è fatta anche della nostra compagnia.-

In tale compagnia, nella vita della Chiesa, davanti al Mistero ultimo di misericordia e di perdono che ci conforta, che ci rassicura, che ci dà di riprendere mille volte al giorno, tutti i giorni, stiamo attenti alla parola più nota del Vangelo, forse: «Vigilate, state all’erta!».


Tra il nulla e il seme del futuro (18)

Punto 1° (19)

L’io, il nostro io, è crocevia tra l’essere e il nulla, tra il bene e il male, dove la misericordia e l’onnipotenza del Mistero si attuano in tutta la loro evidenza.

Sono come sconfinate le due ipotesi: il nulla assoluto, il nulla del nulla, oppure la responsabilità dell’eterno, di fronte all’eterno.

Fra le due posizioni noi dobbiamo scegliere.

Empio, per la Bibbia, è chi non riconosce l’esistenza d’un significato; ma anche come uomo sarebbe empio uno che non riconoscesse l’esistenza di un significato: perché allora, madre mia, mi hai dato la vita…?

Tutti i salmi tendono a ricordare all’uomo l’inanità di ogni apparenza.

«I miei giorni sono come ombra che declina, io come erba inaridisco»

Salmo 102 (101), 12

«Dicono gli amanti della morte, fra loro sragionando: “La nostra vita è breve e triste; / non c’è rimedio, quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. / Siamo nati per caso / e dopo saremo come se non fossimo stati. / È un fumo il soffio delle nostre narici, / il pensiero è una scintilla / nel palpito del nostro cuore. / Una volta spentasi questa, il corpo diventerà cenere, / lo spirito si dissiperà come aria leggera. / Il nostro nome sarà dimenticato con il tempo / e nessuno si ricorderà delle nostre opere. / La nostra vita passerà come le tracce di una nube, / si disperderà come nebbia / scacciata dai raggi del sole / e disciolta dal calore. / La nostra esistenza è il passare di un’ombra, / non c’è ritorno dalla nostra morte, / poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro”»

Sapienza 2,1-5

Le cose, per l’uomo, hanno questa apparenza. La consistenza delle cose, realmente, all’uomo appare così: tutto è niente.

La ragione stessa è trascinata in questa polvere.

La ragione, che è coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori, questa ragione, se si proclama indipendente, è come un soffio di vento che corre di qua e di là, non lega nulla, non decide di nulla veramente, non costruisce nulla, non genera nulla.

La frase di Chesterton vale la pena di tenerla presente:

«Il pazzo non è già l’uomo che ha perduto la ragione, ma l’uomo che ha perduto tutto (e il nesso con tutto, il nesso con l’ultimo: se l’uomo perde il nesso con l’ultimo, perde il nesso con il tutto) fuor che la ragione»

Chesterton, Ortodossia

La ragione se l’è tenuta, ma isolata dal resto, come strumento di divagazioni infinite.

Dappertutto la bibbia è colma di questa tristezza, di questa malinconia sull’uomo. Che cosa è l’uomo?

«Quanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già troppi. come una goccia d’acqua nel mare, come un grano di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità. Per questo il Signore è paziente con gli uomini e riversa su di essi la sua compassione. Vede e conosce come la loro sorte sia misera, per questo moltiplica i segni della sua misericordia. La misericordia dell’uomo, infatti, riguarda il prossimo, la misericordia del Signore riguarda ogni essere vivente»

Siracide 18,8-12

Ma questo fattore della mentalità comune – un fattore che sta al fondo della mentalità comune che sfogo ha?

«Su gustiamoci i beni presenti / facciamo uso delle creature con ardore giovanile! / inebriamoci di vino squisito e di profumi, / non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, / coroniamoci i boccioli di rose prima che avvizziscano; / nessuno di noi manchi alla sua intemperanza. / Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia / perché questo ci spetta, questa è la nostra pace. […] Tendiamo insidie al giusto perché ci è di imbarazzo, è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera la trasgressione della legge e ci rinfaccia le mancanze / contro l’educazione da noi ricevuta»

Sapienza 2,6-17

La mentalità che parte dall‘aspetto immediato delle cose, e su questo ha una mossa di dolore e di pianto che condividiamo tutti, sfocia, come risoluzione, nel godimento ad ogni istante di tempo che passa.

Ma non è solo questo, come abbiamo sentito: sfocia nell’odio al giusto, nell’odio a chi richiama qualcosa d’altro, a chi richiama un’altra evidenza dell’esperienza.

La futilità delle cose è chiara esperienza. Ma è pure esperienza il peso d’una responsabilità che sentiamo, l’alternativa di un sì e di un no che dobbiamo dire, la responsabilità dell’uso del tempo, la dignità del lavoro.

La mentalità mondana vive e incute un’ira contro chi parla di responsabilità, contro chi insiste sul fatto che la vita è un’attesa: non è solo tesa al compimento, ma è un’attesa di qualche cosa d’altro.

Ma non sono solo gli indotti o gli incivili a proclamare questa mentalità.

Il professor Bobbio ha affermato: «Sono il primo a riconoscere che il destino delle tavole della legge, a cominciare da quelle date da Dio a Mosè sul Sinai, è quello di essere violate. Ma guai a noi se le avessimo dimenticate».

È una tensione vuota, potete colorarla di nobiltà quanto volete, ma è vuota. Infatti, che cosa crea? Lo si vede benissimo ciò che tutta questa mentalità crea – la mentalità del mondo in quanto afferma, riconosce, vuole che alla fine non ci sia più nulla eccetto che la tomba, una prigionia, questa sì eterna, in un cimitero eterno-: i risultati che essa può dare ben si vedono nel come sono concepiti e trattati i bambini, negli ideali che si fantasticano per loro.

Quando un Marcello Bernardi, per l’anno Nazionale del Bambino, promosso dall’ONU nel 1979, scrive la Preghiera per un bambino, allora l’augurio al bambino dell’incongruenza, dell’incoerenza, della fatuità, della parola ridotta a flatus vocis, puro suono, del male e della menzogna eretti a principio, diventa un atto colpevole. (Giussani legge questa lettera a pag. 27).

Ho letto questa Preghiera per un bambino perché è certamente un documento significativo dell’esito ultimo della mentalità mondana che, da allora, da dieci anni a questa parte, si è infittita nella sua documentazione necrofora, “assassina”, per indicare certo atteggiamento verso la vita anche da parte di madri e padri.

Punto 2° (28)

L’uomo non sopporta che ci sia un bene finale, è ribelle a tutto ciò che abbia consistenza indipendente da lui – indipendente da lui nella brevità del suo vivere.

È un odio all’essere, un odio alla consistenza ultima delle cose, all’esistenza di un valore, di un significato finale: questo odio a Dio, questa bestemmia incarnata è l’uomo mondano, figlio del padre di cui è immagine, del diavolo, cioè della menzogna.

La posizione mondana è una gande menzogna, contro cui i sentimenti appena accennati della nostra natura si ribellano, sentendosi estranei a essa: sentimenti che soltanto una maleducazione accanita costruita e un tornaconto insano possono oscurare.

«Così dice il Signore: quale ingiustizia trovarono in me i vostri padre per allontanarsi da me? Essi seguirono ciò che è vano (cioè il niente, il vuoto, il nulla) e diventarono loro stessi vanità».

Ger 2,5

Come scriveva : «La grande, tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente». « Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria». «Il compenso di aver tanto sofferto è che poi si muore come cani».

La risposta di Dio nella Bibbia, l’annuncio che egli ripete: «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; a immagine della sua natura lo fece».

Il capovolgimento totale della posizione mondana è lo scopo della nostra battaglia umana, il prezzo della nostra vita, il valore del nostro muoverci umano.

«La mente cristiana è piena di attesa»

M. Luzi, Libro di ipazia

Questo è veramente rivelatore: il mondo è teso, ma non attende nulla; è teso, ma non attende; il cristiano è tutta attesa, che brucia via anche la ferita dolorosa, faticosa, laboriosa di ogni giorno, la ferita del dolore e del male.

Ma il brano di Luzi non termina qui:

« La mente cristiana è piena di attesa / e il passato è un seme del futuro o niente».

M. luzi, Libro di ipazia

Niente! Mia madre…. niente? No! Mio papà…niente? No! No! sarebbe veramente diabolico uno che dicesse così, vale a dire sarebbe veramente il luogo della menzogna come contraddittorio al luogo dell’umano.

Il passato niente?

Ma il passato è il grande pilone, la grande colonna su cui sta la sua casa ora, è la grande storia per cui c’è.

Il passato è niente? No! Non possiamo neanche immaginarlo. È una cosa inimmaginabile. Eppure è detta, eppure diventa principio, criterio per giudicare l’umanità e il proprio modo di essere nell’umano: si resta nell’umano, ma abolendo l’umano.

Comunque, amici miei, noi ci siamo messi insieme, coscientemente, con un coscienza di spessore più o meno grande, perché ci siamo sentiti costretti a scegliere tra queste due posizioni:

  • quella mondana che porta al niente
  • questa cristiana, che porta al seme che diventa albero, al passato che diventa eternità, alla vita che vince la morte, che attraversa la morte e la vince.

E siamo costretti a scegliere tutte le mattine, per accettare la moglie o il marito, i figli, o accettare la condizione di disoccupazione in cui si è […].

Tutte le mattine siamo costretti a scegliere fra un tutto che finisce nel niente e la vita che ha uno scopo.

Mi alzo al mattino e la vita ha uno scopo.

Allora ragione e affetto hanno spiegazione del loro essere, del loro esistere, della loro natura, perché la vita che comincia questa mattina ha uno scopo: affermare il volto del Mistero che fa tutte le cose, il volto di quella paternità, di questa maternità.

«La vita quotidiana è la più romantica delle avventure e soltanto l'avventuriero la scopre»

Chesterton

È quest’uomo avventuriero che scopre, che può scoprire, nella vita quotidiana, che le minuzie – le minuzie della vita quotidiana – sono come il luogo generatore delle cose più grandi, che si affermano in modo pacato, profondo, persuasivo, convincente, comprensivo, facilitante il perdono, capace di bruciare l’ira prima che il sole tramonti al nostro orizzonte ogni giorno.

Bene, tutto questo sembra non persuasivo, ma è persuasivo, perché l’unica modalità con cui la ragione e l’affetto possono trovare spazio per fare capolino dalla terra informe e prendere i loro colori, assumere le loro forme, destare e diffondere bellezza, profumo e gioia nella vita.

Punto 3° (34)

Gesù è l’unico uomo che, nella storia di tuta l’umanità, abbia potuto dire: «Io sono la via,la verità e la vita». Allora ha ragione san Bernardo da Chiaravalle quando scrive ai suoi monaci:

«Perché cerchi tra parole morte il Verbo, se Egli fattosi carne, si è reso visibile»

Nel Libro di Ipazia, nel dialogo tra i due personaggi, Sinesio e Irene, Luzi fa dire al primo:

«Questa è la pienezza cristiana del destino: essere pronti all’evento, lasciare che la sua forza ci traversi, finché possa riplasmarci e rifonderci»

M.Luzi, Libro di Ipazia

Cambiarci, perché: è se opera è se cambia! È un cambiamento mio, ora, nel tempo.

Cambia: questo è il miracolo. Si chiama «miracolo» il Suo rendersi presente, il rendersi presente nella carne della via al nostro destino.

Alle parole di Sinesio, Irene risponde: «Credo sia questo, se il cuore è libero e la mente non si esalta». «Non una visione, Sinesio, ma una realtà presente»

Perché la visione la costruisci tu, ma la realtà presente ti si impone e dice: «Vieni qui!», e tu devi andare di lì.

L’alternativa è che io sia padrone di me stesso, creando bambini alla luce di quella preghiera blasfema o dicendo “parole”, accennando a parole sagge, dentro un’ultima, non detta, disperazione, come prima diceva Bobbio.

« Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via. Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina!»

Sant’Agostino, Trattati su Giovanni

Oltre all’avvenimento cristiano non esiste in tutta la storia qualcosa che sia vero e totale nuovo inizio.

«La fede cristiana è un nuovo inizio, e non semplicemente una nuova variante culturale di una struttura religiosa sempre in via di sviluppo (come pretenderebbero pensatori, filosofi e teologi di oggi). Per questo motivo i Padri sottolineavano con enfasi la novità del cristianesimo»

J.Ratzinger, La fede e la sfida delle culture

Ed è una novità perenne, fra mille anni sarà nuovo come oggi. Oggi è nuovo come duemila anni fa.

Abbiamo trovato la risposta a Kafka, cioè al meglio di noi stessi, perché la questione che egli pone manifesta la nostra suprema urgenza, espressa in una frase di un tristezza infinita: perché uno che dice, in prigione, senza fede: « Lo scopo esiste, ma non c’è la via» è la cosa più triste, più umanamente triste che ci sia, è peggio che vedere il proprio bambino ammalato gravemente.

Dove andiamo non lo sappiamo, è oscuro, e donde veniamo è ancora più oscuro.

Ma ecco: fra queste due oscurità un lampo, per cui diventano lucenti tutti e due.

«E là, nell’improvviso chiarore, un gesto, un unico gesto, una smorfia, anzi, illuminata da una luce di rantolo.»

Cristo in croce, questo è il lampo! « Manon inganniamoci, non insuperbiamoci.

Con umiltà, con tristezza, con accettazione, con tenero affetto, accogliamo ciò che a noi viene. La repentina coscienza di una compagnia, là nel deserto.

Un compagnia: il lampo di questo uomo che rantola l’ultimo rantolo della morte.


Se il Signore vi ha fatto la grazia di venire fin qui, qualche parola vi è stata detta, in qualche modo, vi tocca. Se è stata detta male il Signore vi tocca lo stesso con essa: non c’è bene e male, se non c’è Dio tutto il resto è niente.

Lasciate "ritoccare" l'animo da una parola o l'altra.



Quello che il cuore desidera già esiste (42)

Punto 1°

Richiamiamo l’ultimo passaggio della logica di questa mattina: «Lo scopo esiste, ma non c’è la via»; «Io sono la via, la verità e la vita.» Improvvisamente, all’uomo che si lamenta, doloroso, come Kafka – nella sua prigionia, tra l’altro, perché quella frase l’ha letta in prigionia -, Cristo viene incontro.

Cristo entra nella vita.

L’incontro con il destino si svela secondo termini per cui la nostra libertà e il nostro amore sono capaci di spalancare le porte alla Sua libertà e al Suo amore, a ciò che costituisce la fonte della luce nella vita.

Questa è, dunque, la domanda: come riconoscere questa Presenza che ti dice: «Io sono la vita». «Io sono il destino», anzi – come abbiamo sentito da sant’Agostino – «Io sono innanzitutto la via al destino».

Il card. Ratzinger osserva in un suo discorso. «In realtà noi possiamo riconoscere solo ciò per cui si dà in noi una corrispondenza».

Avviene un incontro, l’incontro con uno, con una presenza che corrisponde al tuo cuore.

Il «cuore» indica la natura originale dell’uomo, quel luogo dove le esigenze ideali della verità, della bellezza, della giustizia, dell’amore, costituiscono la stoffa dello stesso esistere.

È l'incontro con una presenza che corrisponde a questa tua natura originale, a questa esigenza di felicità e di verità.

E vi corrisponde in modo sorprendente, talmente sorprendente che qualsiasi cosa accada non può togliere tale sorpresa e non c’è niente che regga il paragone con essa.

Come è stato così bene reso noto dai nostri amici di «30 Giorni» il Vangelo usa più di quattrocento volte il verbo «vedere» e meno di duecento il verbi «credere», e meno di cento volte «amare» e «seguire».

È attraverso un guardare che taluni uomini si sono accorti che c’era tra di loro qualcosa di inenarrabile: una Presenza non solo inconfondibile, ma incomprensibile, eppure così invadente.

Invadente perché perché corrispondeva a quello che il loro cuore aspettava in un modo senza paragone con nulla.

Un corrispondenza profonda. Stettero, dunque, tutto quel pomeriggio con la bocca aperta a guardarlo parlare.

Man mano che le parole arrivavano loro e che il loro sguardo intontito e ammirato, era penetrato, si sentivano cambiare, sentivano che le cose cambiavano: il significato delle cose cambiava, l’eco delle cose cambiava, il cammino delle cose cambiava.

«Come vivere – annota Camus nei suoi Taccuini – senza grazia?» Qui «Grazia» corrisponde a bellezza e verità, non è un termine teologico, è un termine di verità umana.

«Quando si è visto si è visto una sola volta lo splendore della felicità sul viso di una persona che si ama, si sa che per un uomo non può esserci altra vocazione che suscitare questa luce suo visi che lo circondano».

Camus, Taccuini

Nasce una volontà che tutto il mondo sia così.

Questo riempì quella sera il cuore di Andrea e di Giovanni; questo riempì il greve cuore del vecchio usuraio; di questo non godette il giovane ricco.

C’era una intimità con quell’uomo così estraneo, che aveva dovuto percorrere una strada infinita per raggiungerci, una intimità come non c’è con la propria donna e col proprio uomo, come non c’è con sé stessi.

«TU SEI, e perciò io sono; non posso essere senza di Te, né fuori di Te, ma io non ne avrei più neanche voglia, perché il mio distacco da Te mi confonde, né sono pago di questa parvenza di essere che è il retaggio della mia vuota libertà dopo che in qualche modo io Ti rifiuto; siccome però Tu vuoi che io sia, né mi è dato di spegnere in me il Tuo Nome che mi strugge, fa’ così che io sia in verità, cioè unito a Te, fa’ così che codesto nome mio che è il Tuo Nome, il mio IO SONO che è il tuo fuoco divorante in me, non sia più il segno di Caino sulla mia fronte, bensì il sigillo della Tua paternità

V. Ivannov, Lettera ad alessandro Pellegrini sopra la «Docta pietas»

Mai l’uomo s’è collocato di fronte al suo destino osando così.

Punto 2° (49)

Sono rimasti tali e quali, ma l’incontro ha cambiato tutto. Anche il loro «tale e quale» è cambiato.

La figura di Giovanni e Andrea con Gesù è il quadro più impressionante di questa novità, perché è il quadro più normale, più ovvio, più spontaneo.

O fratelli miei, che ci conosciamo e non ci conosciamo, ma che siamo insieme più di quanto possiamo conoscerci proprio per richiamarci a questo, per richiamarci all’incontro con questa Presenza che ci cambia, non abbiamo paura di tale cambiamento!

Posso non capire che cosa significhi: «Figlio di Dio», ma posso capire una cosa: io non sono più come prima, vedo cose che altri non vedono, percepisco la realtà come altri non la percepiscono, sono capace di affezione come altri non ne sono capaci, vorrei essere generoso come altri non vorrebbero esserlo.

È un incontro che porta l’uomo a essere diverso da se stesso, a essere un altro. Quante centinaia, quante migliaia tra di noi lo possono testimoniare! Nel senso che, prima, una certa percezione, una certa affezione, e una certa apertura, e un certo desiderio, e una certa supplica, e una certa vergogna non c’erano: ora ci sono.

È più umano il tuo cuore.

Il cristianesimo porta nel mondo un uomo nuovo, una conoscenza e un sentimento della realtà, un rapporto con la realtà diverso da quello degli altri.

L’ira di chi ha scelto il niente s’avventa contro di te: dai giornali, dagli schermi televisivi, dalle istintività con cui tutti convivono, dai giudizi che tutti danno.

Questa esperienza nuova della realtà, sviluppandosi organicamente, criticamente, seriamente, si può veramente chiamare «cultura nuova».

È una cultura nuova, che ha una caratteristica: è più corrispondente a tutti i fattori della nostra esistenza, a tutti i fattori del mio io.

Mi farà venire più vergogna e mi farà balzare davanti agli occhi in modo più impressionante i miei errori e le mie incoerenze, ma non posso negare che sia più corrispondente.

È una cultura più corrispondente a tutti i fattori del nostro io.

Punto 3°

Ma questo incontro come può diventare storia?

Come può rinnovarsi l’impeto pieno di soprassalto di questa corrispondenza inaudita, l’esperienza di quel cambiamento profondo, doloroso e dolce, di quel perdono continuamente decisivo su tutti i nostri difetti?

«Restando dentro quella organicità concreta di quell’evento che ha fatto irruzione nella storia che è oggi un popolo guidato – una “entità etnica sui generis”, diceva Paolo VI – l’uomo si costruisce, diventa una creatura diversa».

L.Giussani, La coscienza religiosa dell’uomo moderno.

Fa diventare diverso il mondo in cui opera.

Come l’incontro può continuare?

Giovani Paolo II ai giovani di Roma, lo scorso 24 marzo diceva:

«La classe intellettuale è molto scettica, hanno le loro riserve verso la religione, hanno le loro tradizioni illuministe, allora ci vuole per loro l’esperienza di Tommaso. Se una volta potessero toccare Gesù da vicino – vedere il volto, toccare il volto di Cristo…Se lo vedranno in voi, diranno: “Mio Signore e mio Dio»

Giovani Paolo II, Discorso ai giovani della diocesi di Roma in preparazione alla IX Giornata mondiale della gioventù, 24 marzo 1994.

Quel Fatto in cui si sono imbattuti Giovanni e Andrea su prolunga nella storia fino alla fine del mondo.

(Da una cartolina ricevuta da una ragazza) «L’avvenimento ricomincia con me. La sequela» – continuare questo – «mi cambia».

Questa è la storia del cristianesimo: potrebbe rimanere solo una persona e continuerebbe ricomincerebbe.

M. Luzi nel Libro di Ipazia: «Sinesio: È n uomo lodevole. […] Ma la sua fede rode se stessa e non gli dà letizia. / e teme troppo il mutamento. // Irene: Teme il mondo che non conosce / ha paura del nuovo che si affaccia» sul suo orizzonte, perché questo Tu sei o Cristo, tutti i giorni della vita; per me, più che settantenne e per i nostri ragazzi che cominciano il ginnasio o le medie superiori. «Cristo è tutto in tutti», diceva san Massimo il confessore, «Egli che tutto racchiude in sé secondo la potenza unica, infinita e sapientissima, della sua bontà – come centro in cui convergono le linee [di tutte le cose] – affinché le creature del Dio unico non restino estranee e nemiche le une delle altre, ma abbiano un luogo comune dove manifestare la loro amicizia e la loro pace».

Questo luogo è la Chiesa.

Ma è una parola astratta se non vive nella carne, nei gesti di lavoro e nella convivenza della nostra compagnia: questa è la modalità con cui quell’incontro resta fino alla fine della storia,

«Sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo».



LA GRAZIA DI UN CARISMA (60)

Punto 1°

Solo l’ideale del bambino abbandonato in braccio alla madre è la figura dell’uomo che Dio conduce, Lui, al suo destino: un oggettivo abbandono.

E tale oggettivo abbandono, come strumento per condurre l’uomo alla verità e al destino, Dio lo ha iniziato con la figura di Abramo.

Così si formò il popolo di Israele, che per tanti secoli fu lo strumento evocativo dell’attenzione dell’uomo, di qualsiasi uomo lo avesse accostato, di un’attesa misteriosa per una promessa enigmatica e misteriosa di verità e di felicità per cui il cuore dell’uomo naturalmente si è sentito fatto.

Ecco perché è importantissimo, per capire quello che Cristo ha poi continuato, rendendolo definitivo, conoscere la storia di questa profezia, che è l’Antico Testamento, che è la storia del popolo ebraico.

La struttura del rapporto tra l’uomo e Dio propria del cattolicesimo, de cristianesimo ortodosso, autentico, era la continuità di quello che Dio aveva fatto con il popolo ebraico.

La storia del popolo ebreo è la grande profezia.

Questo popolo è stato come l’angelo che portava annuncio di qualcosa che sarebbe accaduto: Dio è diventato uomo, è accaduto, la via è segnata.

Abbiamo detto ieri: ma come questa via prosegue?

Questo è il mistero della Chiesa, corpo misterioso di Cristo, che si edifica attraverso la scelta e la preferenza che Cristo ha per gli uomini che il Padre gli dà nelle mani, per i battezzati, per gli uomini che il mistero della Sua morte e risurrezione, investendone la personalità e la realtà dell’esistenza fin nel midollo, muta dal di dentro.

È la Chiesa, dunque, la continuità di Cristo nel tempo e nello spazio.

In questo tempo festoso, la Chiesa riempirà tutti gli spazi del mondo conosciuto.

In quest'epoca di passione, la Chiesa sarà combattuta, derisa, dimenticata, ridotta, come nel nostro tempo.

L’importante è continuità per cui Cristo è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo: la Chiesa.

Come sarebbe astratto anche il Gesù di Andrea e Giovanni, se non si concretasse ora, nella presenza Sua dentro il mistero del Suo corpo, dentro il mistero della Chiesa, che ognuno di noi contribuisce a costruire come «pietra viva» dice la liturgia.

Punto 2° (64)

Come allora si comunica? Nella Chiesa!

Seguendo la vita della Chiesa, seguendo i ritmi della vita della Chiesa, seguendo la Messa e i sacramenti, le leggi fondamentali della vita del popolo cristiano, attraverso cui egli è mantenuto unito, organicamente unito e diretto dai pastori stabiliti da Cristo secondo una infallibilità di direzione e insegnamento.

Per questo si potrebbe dire, molto decisamente, che il modo con cui noi partecipiamo alla vita della Chiesa è la sequela al Papa, la sequela al vicario di Cristo.

Tutti i cristiani cattolici, anche senza pensarci, credono in questo e aderiscono a questo.

Lo Spirito di Dio è libero di raggiungere una persona, o un’altra persona, investendola di una facilità a pensare cristianamente, di una ilarità nel sentire cristianamente, di una generosità nel costruire cristianamente, così che tutti coloro che accostano questa persona, in qualche modo, sono colpiti.

Ecco, la modalità estrema con cui si può essere colpiti dal permanere di Cristo nella storia è quella secondo cui lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, ci fa incontrare qualcuno seguendo il quale la fede diventa più facilmente chiara e l’affezione alla fede più facilmente intensa, e la voglia di diffondere il il regno di Cristo più consapevole e più facilmente creativa.

Questo si chiama «carisma», è l'avvenimento del carisma.

Il carisma perciò, diceva il Papa, parte da una persona colpita dal dono, dalla grazia dello Spirito, in un modo particolare, secondo le circostanze del carattere, del temperamento, dell’ambito e del momento storico in cui vive.

Nasce così, nella storia della Chiesa, quella trama da cui il corpo della Chiesa è veramente e continuamente costruito, le congregazioni, le associazioni cristiane, che sono corpi particolari o momenti particolari del grande corpo di Cristo.

Si comprendono allora due cose:

  • Tutti i rapporti che stabilisci, i giudizi che dai, le decisioni che prendi, i modi che usi cercano di attingere criteri da questo pozzo profondo e limpido che è dato dal carisma di cui tu fai parte, aderendo alla compagnia in cui l’hai incontrato e obbedendo a chi guida questa compagnia, che non è stato votato dalla maggioranza, ma fissato da un incontro con lo Spirito.
  • Si chiama «obbedienza» l’estrema virtù del cristiano. «Fatto obbediente fino alla morte», dice san Paolo di Cristo, ed è la parola più grande che si possa dire dell’uomo Cristo. Seguendo con pazienza. Seguendo che? Gesù Cristo? Può essere frutto del del tuo pensiero. Il Papa? Puoi ancora tenerlo lontano. La misericordia dello Spirito di Cristo ti ha reso vicino una compagnia nella quale ti si dice: «Giudichiamo così! Facciamo così», salvo poi cambiare domani, nella pace, nella fraternità, nella dolcezza calma e sicura della pazienza.

Questo è ciò che qualifica il cattolicesimo autentico rispetto a tutto il resto del cattolicesimo.

Il resto del cattolicesimo cede alla soggettività dei propri pensieri e delle proprie persuasioni, mentre il cristianesimo autentico ha un riferimento oggettivo, ha uno strumento interpretativo oggettivo, che è fuori di me, a cui io devo sacrificare, quindi, tante volte, anche con il cuore sanguinante e col pensiero mortificato, me stesso.

Che cosa è la Fraternità di Comunione e Liberazione, se non un piccolo esempio che lo Spirito ha creato di questa oggettività di strada guidata da una compagnia, nella quale ci si sorregge condividendo le debolezze e i bisogni di ciascuno, correggendosi con pazienza e fraternità?

E il segno di tutto questo è che il cuore trabocca sempre più in modo convincente della passione per il mondo, della passione che Cristo sia conosciuto, e capisce con chiarezza che l’unico scopo del vivere – l’unico! – per cui una donna diventa madre e un uomo diventa padre, per cui tutti diventano quello che devono diventare, è la gloria di Cristo nel mondo.

Così nell’obbedienza, nella vicendevole condivisione dei bisogni e nella passione missionaria, la nostra vita diventa vita cristiana, inconcepibile agli altri, inconcepibile anche a noi prima di affrontarla.

È un altro mondo in questo mondo, perché queste cose si vivono quotidianamente, normalmente, ovviamente. Aiutiamoci affinché questo accada sempre più in ognuno di n oi. Perciò, seguiamo. Il criterio è oggettivo.

Rileggiamo a tale proposito il brano di un gande filosofo americano, Alasdair MacIntyre:

«Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium dei romani – o di fare il partito perfetto, potremmo dire oggi – e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (non in contraddizione con quello ma più efficacemente che se neanche avessero fatto tutto lo sforzo per sostenere l’impero romano e il suo ordine, spesso senza rendersi conto pienamente di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà, sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità»

A.
MacIntyre, Dopo la virtù

Si può pensarla diversamente – questo è l’esempio limite, è la conclusione di uno studioso -, ma non possiamo non vedere quale parentela istintivamente nasca in noi con una simile concezione: è il principio di «Più società, meno Stato».

Non è che non possa essere di Comunione e Liberazione uno che dica: «Più società, meno Stato», ma capisce poco di comunione e Liberazione.



Lettura e commento del direttorio per i gruppi di fraternità

NB: Questo capitolo che si trova a pagina 73 del libro non ho inteso riassumerlo ma rimando direttamente al libro.


Esercizi spirituali predicati da don Giussani

1° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA


2° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE


3° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE


4° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO


5° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI


6° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO



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