Libro degli esercizi spirituali di don Giussani della Collana :”Cristianesimo alla prova“

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Indice linkato ai vari momenti
UNA PAROLA DECISIVA PER L’ESISTENZA
- Esigenza ed evidenza dell’appartenenza
- La negazione dell’appartenenza e sue conseguenze
- La Storicità dell’appartenenza
SE UNO È IN CRISTO È UNA CREATURA NUOVA
UNA PAROLA DECISIVA PER L’ESISTENZA
1 – Esigenza ed evidenza dell’appartenenza
136 – Ricordiamo il titolo dello scorso anno: Il miracolo del cambiamento.
Ma per cambiare occorre traspositare un rapporto, cancellare un rapporto, sostituirlo con un altro, oppure occorre approfondire il rapporto.
137 -Per questo, la parola più utilizzata dalla Bibbia per dire come avvenga il miracolo del cambiamento, da una parte è l ‘espressione di una condizione, dall’altra parte indica la forza del cambiamento, forza e direzione del cambiamento: appartenenza.
Ma cosa vuol dire appartenenza?
L’amore che l’uomo ha a se stesso, che porta verso se stesso, lo rende cosciente, cerca di renderlo cosciente di quello che è lui.
138 – È perché è ragionevole che l’uomo cerca la chiarezza di quello che riesce a guardare e ad afferrare nell’esperienza della realtà.
Se non si parte dall’esperienza per cogliere se stessi e la propria realtà, significa che la vita si svolge determinata dal preconcetto o adottando un pre-fabbricato che si impone.
Ma che cosa significa, dunque, «appartenenza» per l’esperienza di sé che l’uomo fa – e in cui può veramente capire che cosa questa parola significhi?
«In verità, l’uomo afferma veramente se stesso solo accettando il reale, tanto è vero che l’uomo comincia ad affermare se stesso accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è data da sé»
L. Giussani,Il senso religioso, pag. 12
139 -L’io umano dipende, e dall’esperienza l’uomo enuclea l’esigenza e l’evidenza di una dipendenza totale.
140 – L’appartenenza che è propria della creatura implica di fatto uno sviluppo tangibile e percepibile coscientemente dall’uomo.
Il cambiamento, allora, è innanzitutto una diversità dal momento precedente, rilevabile coscientemente dall’uomo.
Ma solo per l’uomo accade un avvenimento per cui il Mistero da cui egli proviene totalmente si svela a lui nella misteriosità del Suo essere, nella sua misteriosità dii Essere; così che, nel suo rapporto con l’Essere, mistero di Dio, l’uomo, col potere di conoscerlo, ha anche il potere di operare su tutto il cosmo come figura in moto a imitazione di Dio.
141 – «Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tu hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare»
Sal 8,7-9
Tutto il cosmo diventa cosciente di sé, capisce quel che è e quello a cui è destinato, in questo punto che è l'io, cioè l'uomo.
La natura dell’uomo, a questo punto, illumina le prima conseguenze decisive di questa appartenenza a Dio.
Per esempio, la natura dell’uomo è libertà perché la sua origine è tutta nell’Essere, nel Mistero.
La natura della libertà è proprio riconoscere questa origine totalizzante, l’origine totalizzante cioè del rapporto con Dio.
L'io rapporto con l'infinito, non c'è di mezzo nulla;
vale a dire, è creato, fatto come rapporto con Sé dal Mistero.
La libertà è aderire all'Essere.
142 – «L’uomo non può bastare a se stesso; altrimenti non esisterebbe. Qui risiede il mistero dell’esistenza dell’uomo»
N.A. Berdiaev, Regno dello Spirito e regno di Cesare
Per essere libero, l’uomo non può bastare a se stesso: questa è la contraddizione che scandalizza o l’interrogativo che alimenta il desiderio di approfondimento dell’uomo.
Ma la creatura appartiene a questo Mistero, perciò certamente non è contraddizione: dire che l’uomo non può bastare a se stesso è dire come l’uomo è.
Il mistero dell’esistenza sta nel fatto che l’uomo esiste non potendo bastare a se stesso.
La creatura appartiene a questo Mistero.
L’uomo è più grande di ogni altra cosa, anzi, è il punto dove diventa trasparente, tende a diventare trasparente, la visione della totalità del cosmo.
Dio avrebbe potuto creare il cosmo per un solo io.
L'uomo è grande perché il rapporto con Dio lo rende grande.
2. La negazione dell’appartenenza e le sue conseguenze
143 – L’uomo – l’uomo concreto, tu – non c’era ora c’è, domani non sarà più: DUNQUE DIPENDE.
O dipende dal flusso dei suoi antecedenti temporali, ed è schiavo del potere, cioè di chi ha più spazio per un possesso; o dipende da ciò che sta all’origine del flusso delle cose, oltre esse, cioè dal divino.
È solo il divino che può salvare, che può collocare l’uomo in un posto degno.
«Con tutte le sue incertezze, l’azione è come un memento sempre presente che gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per dare inizio a qualcosa di nuovo. […] Con la creazione dell’uomo il principio di dare inizio è entrato nel mondo – ciò che, ovviamente, è solo un altro modo di dire che con la creazione dell’uomo il principio della libertà ha fatto la sua comparsa sulla terra».
H. Arendt, Lavoro, opera, azione. Le forme della vita attiva
144 – La creatura appena nata inizia qualcosa, e gli sviluppi di questo inizio sono nelle mani di Dio, sono nelle mani di Colui a cui l’uomo appartiene.
La cultura moderna di destra o di sinistra, […] al valore dell’appartenenza sostituisce una libertà che è non-adesione all’essere come Mistero, costituendo così una sorgente di menzogna.
È l'uccisione della libertà il non aderire all'Essere.
Perciò, la cultura moderna, affermando l'uomo come misura di tutte le cose, DI FATTO SOPPRIME LA LIBERTÀ.
145 – Oltre che menzognero, l’uomo della cultura moderna è anche violento: la negazione teorica, ma soprattutto pratica, della nostra appartenenza a Dio è menzogna, sorgente di menzogna e perciò di violenza, di una violenza lunga come il tempo della storia, in tutti gli ambiti e i rapporti della società.
È violenza ogni rapporto umano che non sia coscienza del destino, che non sia, perciò, coscienza dell'appartenenza a qualcosa d'altro.
Oggi, invece, molti, anche preti e teologi, tendono ad esaltare come valore fondamentale l’«educazione alla legalità»; e mentre dicono cose di questo genere, dimenticano che le leggi dell’uomo sono sempre parziali e sempre giudicate dalla legge di Dio.
146 – Il potere della società, che si trasforma anche in leggi, deve essere giudicabile da un’altra legge che è proprio la legge dell’appartenenza a Dio: totalizzante, perché tutte le partecipazioni effimere alla grande appartenenza a Dio possono esistere soltanto nel confronto che hanno con l’Eterno, con la legge eterna, con la legge di Dio.
Violenza e schiavitù. La mancanza della identità fra libertà e appartenenza, cioè una libertà non motivata dall’appartenenza, è presagio di voluminose guerre.
«Non mi piace la vostra giustizia fredda e nell’occhio dei vostri giudici riluce sempre per me il boia con la sua spada gelida. Dite: dove si trova la giustizia che è amore e ha occhi per vedere? Inventatemi, dunque, l’amore che porta su di sé non solo tutte le pene, ma anche tutte le colpe».
Nietzsche – Così parlò Zaratustra
147 – «È interessante il fatto che il tentativo di salvare la natura umana a spese della condizione umana giunga in un momento in cui tutti noi conosciamo bene […] i tentativi di modificare la natura dell’uomo modificando radicalmente le condizioni tradizionali. Gli svariati esperimenti, condotti dalla scienza e dalla politica moderna, per “condizionare” l’uomo non hanno altro fine che la trasformazione della natura umana in nome della società».
H. Arendt, La lingua materna
In uno Stato si possono, infatti, far morire tutti quelli che credono in Dio, ma non si può toglierLo di mezzo, perché è nella struttura stessa della nostra coscienza ed è l’unica fonte di autocoscienza, per cui l’autocoscienza è un arricchimento continuo, può essere un avvenimento continuo di scoperta verso il vero, che non diventa mai l’oggetto della nostra capacità di afferrare.
Sono due mondi quelli che si confrontano: uno che accetta la sua appartenenza a Dio e uno che non l’accetta.
Chi dice di non accettare, di rifiutare, anzi di sentire con urto il concetto di appartenenza che noi sottolineiamo ora, ridice l’uomo misura di tutte le cose.
148 – Tuttavia, l’uomo misura di tutte le cose, per negare l’appartenenza a Dio, non può sfuggire ad una appartenenza a preconcetti, i quali, anche se non coscienti, lo fanno agire secondo influssi non razionali.
149 – Chi esce dall’appartenenza a Dio, allora, è estraneo a tutti.
Solo se definito per lo più da parametri economici e commerciali, egli vive un’altra appartenenza, apparente, che non c’è, che è l’unica posizione per negare quella a Dio: è l’appartenenza al mondo, per cui Gesù disse: «Non prego per il mondo» (Gv 17,9).
«Il nulla diventa un sostituto globale della realtà, poiché il nulla apporta sollievo. Sollievo, beninteso, senza realtà; è meramente psicologico, un sedativo per l’ansia e la paura»
H. Arendt, La vita della mente
«Quando l’uomo è privato di tutti i mezzi di interpretazione degli eventi, è lasciato senza alcun senso della realtà».
H. Arendt, Ebraismo e modernità
Un regime ha questo effetto.
3. La storicità dell’appartenenza
150 – Noi apparteniamo al Mistero, apparteniamo a Dio.
Ma per quale strada andiamo a Lui, al Mistero?
Ha il Mistero tracciato qualche via? Come si fa a vivere questa appartenenza al Mistero?
L’appartenenza a Dio, come suo fattore essenziale, implica la storicità. […] Questo è stato ed è il genio del Creatore, il quale ha fatto sentire la sua signoria in un certo modo.
A) Scelta di un popolo
151 – Ebrei e società cristiana affermano chiaramente Dio come fondamento dell’appartenenza di ogni io: un’appartenenza che è di qualsiasi uomo, anche se non è ebreo né cristiano.
Tutta la storia di tutto il mondo diventa chiara in un filone che parte da un uomo della Mesopotamia, ABRAMO.
Dio lo ha scelto per farsi conoscere dagli uomini e per salvare gli uomini che navigavano in una dimenticanza totale o in una affermazione della totalità secondo la propria misura.
Le altre religioni costituiscono una interpretazione che l’uomo dà del Mistero. Invece la scelta di Abramo è il primo momento in cui si può ricevere una interpretazione concepita concretamente del rapporto con il Mistero.
«Dio vuole entrare nel mondo che è suo, ma vuole farlo attraverso l’uomo: ecco il mistero della nostra esistenza, l’opportunità sovrumana del genere umano!».
M. Buber, Il cammino dell’uomo. Secondo l’insegnamento chassidico
152 – Centro di questo rapporto che Dio stabilisce con Abramo e con i suoi discendenti è la ELEZIONE Abramo è stato eletto, scelto come padre di un flusso nuovo, di un popolo nuovo.
Il Mistero si comunica all’uomo che sceglie, al popolo che privilegia, rivelando di Se stesso quello che vuole.
Il processo della elezione entra nella storia con potente pretesa di essere magistero per tutto il mondo.
Dai salmi si vede che gli ebrei, anche al tempo di Gesù, avevano una passione e un affannato desiderio di andare in missione.
La loro vita, la vita dei loro gruppi, era strumento della missione, che doveva far conoscere al mondo questo Dio.
Il processo della elezione insegna che Dio si fa conoscere attraverso una concreta contingenza nel tempo e nello spazio.
153 – Gli ebrei chiamavano Tempio questo luogo in cui Dio si comunicava agli uomini e li giudicava.
Non c’è popolo al mondo che abbia avuto un siffatto rapporto con Dio.
L’umana coscienza è stata investita e arricchita dalla traduzione esistenziale, in atto, dell’appartenenza al Dio, al Dio del Tempio, perché il modo di concepire il rapporto tra Dio e l’uomo nella società ebraica era il Tempio: il consiglio o l’aiuto, Dio lo dava nel Tempio.
Il passato non è il «passato», è la formazione del presente.
È tutta la cultura moderna che sente nemica l’appartenenza, perché «GLI antichi anni lontani» sono parole per indicare questa provenienza misteriosa di quello che ci anima e che, sappiamo, ci fa agire.
Quel popolo fa una fatica superiore a tutte le altre correnti religiose, perché l’unità e la santità di Dio, cioè del Mistero, «cadono» sopra il fare di tutti i giorni.
154 – L'unità e santità di Dio c'entrano con il fare di tutti i giorni.
Questo per dire quanto l’appartenenza al Mistero comporta, implica che il Mistero penetri tutte le nostre ossa e tutte le nostre carni e tutto quello che facciamo.
Dio tutto in tutto.
La decisione del Mistero di scegliersi un popolo quale veicolo della Sua entrata nel mondo, come conoscenza e operatività, è un rischio cui il Mistero stesso si abbandona per fare approfondire e maturare l’appartenenza a Sé dell’esistenza umana e assicurare così la coscienza della durata del fatto che il popolo e il singolo appartengono a Lui, dentro le contingenze entro le quali lo investe.
155 – La storia è fatta di avvenimenti: Abramo, Isacco, Giacobbe. È un fiume, è una realtà in movimento che nasce dall’iniziativa del Mistero, attraverso una sorgente storica.
Abramo, attraverso delle sorgenti storiche, i capi della sua gente dopo di lui.
È dunque una cosa impressionante che Dio usi un popolo e che questo «pretenda» di essere stato scelto.
156 – L’Alleanza identifica perciò la modalità suprema del rapporto tra l’uomo e Dio, tra l’uomo scelto e Dio.
Tale modalità, iniziata con il popolo della Bibbia, è completata, come realizzazione finale, nel popolo cristiano.
Perciò chi è scelto da Dio, per appartenere a Dio, deve appartenere a questo popolo.
157 – La parola «Alleanza» significava la promessa di felicità per ognuno e di trionfo finale del Suo popolo davanti a tutte le nazioni.
Perciò Alleanza è la definizione affascinante del comportamento che Dio ha con il mondo creato: Dio vuole salvare tutti gli uomini che erano votati alla morte.
Senza rapporto con Dio, infatti, l’uomo finisce.
158 – L’alleanza implica dunque:
- che tutta l’umanità appartiene al mistero di Dio, il quale entra nella vita degli uomini, fagocitati dal male, che Lui intende salvare (il male è il peccato originale, a cui cedono gli uomini creati da Lui, e che Lui intende salvare)
- che il modo di questa salvezza è affermare sempre più il valore di Dio attraverso quelli che Egli sceglie per primi, affinché si accorgano di Lui e perciò siano nel mondo missionari di questo, perché tutti si accorgano di Lui. QUESTO È IL VERO CONCETTO, COMPLETO, TOTALE DI APPARTENENZA.
B) Gesù di Nazareth
159 – Nella vita e nella coscienza del popolo ebraico c’era un vuoto: l’attesa di come Dio avrebbe usato di loro per raggiungere gli altri uomini.
L’Alleanza resta l’inconcepibile modalità che il cuore dell’uomo ha come suprema via per la sua vita e per la fedeltà del popolo al Dio fedele: fedeltà del popolo che attuerà la promessa fatta da Dio ad Abramo e finalmente portata al mondo dal Messia, cioè da Cristo, Gesù di Nazareth.
Dio non chiede mai se non un rifacimento dell’avvenimento iniziale con un orizzonte più profondo e più vasto.
160 – Il senso del Mistero, dell'Infinito diventa diversità di comportamento nella storia.
È la misericordia che agisce sul popolo e sull’Alleanza con giustizia (giustizia è l’universo in cui il disegno di Dio viene concepito come realizzato nel mondo e riconosciuto dagli eletti).
Tutto il genere umano non riconosce Dio, tradendo se stesso: anche se Dio ha fatto venire a galla in un «resto» le Sue intenzioni, la Sua modalità di dominio.
Il popolo ebraico fa prendere coscienza all’umanità che c’è un enigmatico male nel cuore dell’uomo.
Il peccato originale continua, la giustizia sarebbe impossibile, ma il «resto d’Israele» non può guardare la sera quel bel tramonto o immergersi all’alba del mattino, se non aspettando, sapendo aspettare.
161 – A tutta questa emergenza di attesa, il Mistero ha risposto positivamente: «Io sono con voi». Mentre gli altri, come ho detto prima, cedevano alle tentazioni del mondo, a questo popolo di Dio ha dato una risposta positiva: Gesù.
In «resto» di Israele si accorge, perciò, nel giorno in cui il bambino fu presentato al Padre del Tempio: un essere generato in una donna, perfettamente umano, che crescerà e comprenderà che cosa il Mistero ha fatto in Lui. Poi diventerà ancora più grande e dirà di fronte a tutti: « Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30).
Ma la Presenza di Gesù, come risposta alla lunga attesa del popolo e di tutti i popoli, ha una durata che copre l’intera storia.
L’attesa di qualsiasi uomo è attesa del Redentore.
«Se questo Dio riesce a commuovere è per il suo volto di uomo»
A.Camus, Taccuini (maggio 1935-febbraio1942)
Gesù di Nazareth si afferma, nella storia, in un Corpo misterioso, in quanto assimila a sé tutti gli eletti, cioè tutti quelli che Lui sceglie nel Battesimo, li fa parte del Suo corpo, affermandosi tale dove due o tre sono riuniti per Lui: il Corpo di Cristo passa lì.
162 – Si chiama nuova ed eterna Alleanza questa unità di tutti i tempi della storia.
«Il cristiano non si definisce secondo un livello minimo ma per la comunione. Non si è cristiani perché si è giunti ad un certo livello morale, intellettuale, magari spirituale. Si è cristiani perché si “appartiene” a una certa razza ascendente […] a una certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue.»
Ch, Péguy, Un noveau Théologien, M. Fernand Laidet
SE UNO È IN CRISTO È UNA CREATURA NUOVA
1. L’avvenimento di una umanità diversa
163 – L’appartenenza è la sintesi dell’atteggiamento che l’uomo deve avere verso Dio.
Se l'uomo non appartenesse a niente, sarebbe niente.
L’appartenenza implica naturalmente, almeno naturalmente, il fatto che un io, che non c’era, adesso c’è.
Se l’uomo non appartenesse a niente, nella sua autocoscienza l’immagine del nulla sarebbe davanti a lui.
«Chi vuole la Verità non può trovar pace nel semplice nichilismo. Perché se la ragione non partecipa all’essere, neanche l’essere partecipa alla ragione»
P.A. Florenskij, Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici.
164 – L’atto del conoscere non è solo gnoseologico, ma anche ontologico; non è solo ideale, ma anche reale.
Se la ragione non partecipa all’essere, se non riconosce che qualcosa prima di essa si impone ad essa, anzi, se non riconosce che è stata fatta per questo incontro ulteriore, ulteriore a una coscienza di sé, non può nemmeno cominciare a conoscere.
L’appartenenza a Dio è la cosa più evidente che un uomo naturalmente cosciente deve ammettere.
Nulla nel cosmo si fa da sé, c’è un «precedente» che lo investe dal fondo.
L’appartenenza a Dio si identifica con l’appartenenza totale, totalizzante ad un uomo, se Dio è diventato quell’uomo.
Se quell’uomo è stato assimilato, afferrato e assimilato da Dio, l’appartenenza a Dio coincide con l’appartenenza a Lui.
165 – È l’avvenimento di una umanità diversa, in Cristo noi nasciamo come uomo nuovo, che è qualcosa di diverso dagli altri.
Questo avvenimento ha un luogo dove è dato ed emerge: il Battesimo, perché il Battesimo è l’atto con cui Cristo prende una vita, elegge e sceglie una vita.
È nel Battesimo, quindi, che all’uomo è reso possibile diventare grande, prendere coscienza di sé, una coscienza di sé che sfocia nell’annuncio di un rapporto eccezionale, eccedente, che «sarebbe eccedente» la sua capacità.
166 – Se Dio è diventato uno di noi per renderci capaci di esistere bene, cioè di vivere la fede in Cristo, la condizione è l ‘accoglienza di Cristo e la convivenza con Lui.
[…] la condizione è l’accoglienza di Cristo, il riconoscere la nostra appartenenza a Cristo, e quindi la convivenza con Lui, cioè l’intima partecipazione agli avvenimenti della sua vita (attraverso la memoria e la liturgia della Chiesa).
«Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece figlio dell’uomo per abituare l’uomo ad accogliere Dio per per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo, secondo la volontà del Mistero»
Ireneo di Lione, Contro le eresie
168 – L'appartenenza a Dio non può essere tale, se non diventa appartenenza a Cristo.
L’appartenenza a Cristo è qualche cosa che non lascia più l’io dentro di sé, chiuso, ad avere premura e preoccupazione così come l’hanno tutti gli altri.
È una Presenza quello per cui è fatto e per cui fa tutto.
«Nessuno di voi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore»
Rm 17,7-8
169 – «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me»
Gal 2,20
In questo possesso di Dio, cui l’uomo riconosce di appartenere perché tutto gli viene da Lui, EGLI LO SCOPRE COME VICENDA STORICA.
Tutto è perciò vissuto dall’eletto come dinamica di questa appartenenza.
170 – Non abbiamo né vergogna né titubanza a dire che siamo esseri diversi: abbiamo un modo di vedere e di concepire l’azione che è completamente diverso da quello degli altri uomini.
Quando abbiamo identificato la vita nella raccomandazione della mendicanza, il bisogno supremo che l’uomo ha nella coscienza più viva d’appartenere a Cristo e a Dio, abbiamo parlato della preghiera come l’espressione della nostra libertà, perché la preghiera è il riconoscimento dell’Essere di cui tutto è fatto.
Questo dà una potente capacità di positività a tutto: a tutto, anche alla morte.
2. Lo scopo dell’appartenenza
A) Per la gloria del Padre
171 – La prima parola che si può dire come scopo della necessità di vivere la coscienza dell’appartenenza è questa: la gloria del Padre, in cui diventa chiaro il rapporto fra l’essere e il nulla, fra Dio e la creatura.
172 – Noi siamo nulla. Il Mistero ha creato misteriosamente, ha voluto un dialogo con il nulla, per quella inconcepibile e da noi non definibile, unità tra la volontà di Dio che chiede all’uomo: «Chi sono io per te?» e l’uomo dice: «Tu sei tutto».
Per questo, dicevamo il 30 maggio, l’uomo vero è il mendicante.
Sono cose di cui si intuisce la fattura, l’importanza, la grandezza, ma non si capisce come avvengano.
Il «come» sarà illuminato nell’eternità.
B) Un popolo nuovo
Questo popolo è stato creato da taluni che si esprimono e di espandono su tanti che Dio dà loro; un popolo, dunque, che è creato e condotto da Dio attraverso taluni che Dio lascia esprimere con forza dilatante.
173 – Questo popolo, nel suo colmo, è segno sacramentale della presenza di Cristo.
[SEGNO SACRAMENTALE vuol dire che il segno non solo si identifica nello spazio col Mistero, ma che il contenuto di cui è segno si attua, è attuato]
Se non è una realtà incarnata, non è il luogo dove Dio agisce come Cristo.
È il Corpo mistico di Cristo, cioè il Corpo tangibile di Cristo in cui l’invisibile divinità investe plaghe che il Padre dona al Figlio.
Questa invasione genera uomini con una mentalità nuova e una nuova fecondità.
Noi cristiani abbiamo la nostra origine dalla Chiesa, luogo di Cristo oggi, della libera iniziativa dello Spirito di Cristo che rende vivace, compresa e voluta l’appartenenza a Sé.
La condizione storica perché questo passaggio avvenga è il carisma.
Il carisma è un intervento dello Spirito di Cristo per aumentare l'appartenenza a Cristo nel mondo:
è un dato della storia in cui si nasce, in cui lo spirito ci sorprende, ciò in cui il Padre ci ha messi.
174 - Il carisma resta, così, la carità che Cristo ha per noi nel renderci suoi: suoi come coscienza e affezione, cioè come mentalità e come modo di affrontare e realizzare l’affettività umana.
C) Per la gloria umana di Cristo
Lo scopo di tutto questo è la gloria umana di Cristo.
L’invasione che Cristo fa della realtà è umanamente inattaccabile, ma creando una situazione fisica come un corpo è fisicamente perseguitabile, proprio a causa della verità e dell’amore che Cristo suscita, a causa della forza di verità, della grandezza e fedeltà dell’amore che Cristo suscita.
175 – Perciò per il cristiano c’è l’impossibilità al gusto dell’egemonia, del prendere il potere, perché questo è di Dio, è Dio che lo segnala.
In ogni momento dello sviluppo di questo Corpo è possibile la persecuzione, ma anche una ascesa dell’umanità, che diventi, così, carica della percezione della presenza di Cristo, del miracolo come cambiamento morale e di impegno estetico.
Tale umanità può far nascere una società nuova.
È una società che può apparire come sacramentale nella storia da tanti punti di vista, come quella medioevale, in una certa parte della storia medievale.
176 – È una realtà incominciata duemila anni fa.
Perciò la vita del cristiano è memoria, come dinamica, ed è certezza, cioè speranza, nelle promesse che Gesù introduce, affinché siano attuate in ogni uomo che Egli ha chiamato.
La gloria del nostro agire, cioè la formazione del principio per cui si vive, della Presenza cui si è dediti, è in un uomo, Gesù di Nazareth, per questo chiamato Cristo, come Messia che gli ebrei aspettavano: e invece, per salvare il popolo, lo hanno ucciso.
Questo io nuovo conosce in modo diverso, si affeziona positivamente a tutti gli esseri, entro un limite (il limite posto dalla creazione, cioè secondo la loro natura originale), in tutto quello che fa in funzione del disegno di Dio, cioè di Cristo.
Per un cristiano occorre dunque amare Cristo.
177 – L’amore a Cristo è il modo della dinamica di tutti i rapporti con tutte le cose, con tutte le persone, è il criterio e la misura di tutto, il fine di ogni azione: l’amore a Cristo ha come conseguenza l’affrontare tutto secondo la mentalità di Cristo, agire secondo la mentalità di Cristo.
D) Passaggio al significato ultimo: fede, speranza, carità
178 – La differenza più evidente dell’uomo cristiano, come mentalità, cioè intelligenza e amore, da chi non appartiene a Cristo è il fatto che egli vive le condizioni dell’esistenza e della storia a partire da una certezza positiva su tutto: è impossibile mantenere questa posizione, se non nell’avvenimento cristiano.
È sempre un aumento della santità, è un aumento della coscienza della propria appartenenza, quello di accettare con intelligenza anche le prove che Dio manda e comprendere che il Signore ci manda questa prova perché l’affetto a Lui, l’affezione a Lui cresca.
179 – Se viene meno tale capacità di speranza, allora anche certe esperienze di Chiesa cercano di salvarsi un posto nel mondo, assumendo come sorgente di dignità e i rispetto i suoi criteri.
Questo sarebbe il sintomo di una appartenenza a Cristo che svanisce.
Questo è il principale test della fede!
La fede in Cristo è riconoscere Cristo presente, fondamento della nostra speranza: in qualsiasi caso, anche di fronte alla morte.
Così è concepito l’estremo passaggio al significato dell’essere del cosmo e di tutta la storia, che è il Giudizio finale: l’estremo passaggio al significato, cioè l’estrema risposta a tutto il problema dell’appartenenza.
L’essere cristiano è appartenere a Cristo, al «come» la persona di Cristo si è mostrata all’uomo. La figura di Cristo si esprime, si dilata nella storia di un popolo.
La nostra appartenenza a Cristo coincide, dunque, con quella al popolo di Cristo, alla Chiesa di Dio.
E il nostro modo di vivere la Chiesa di Dio è il carisma.
180 – Quella positività cui si accennava prima è affettività per tutte le cose, una partecipazione, cioè, alla caritas, alla gratuità con cui Dio ha visto tutto e ha fatto tutto e fa tutto per la sua creatura.
181 – Se il problema dell’uomo è l’amore al Padre, l’amore al Mistero, il problema dell’uomo cristiano diventa l’amore a Cristo.
Ma l’amore a Cristo è il modo con cui il Mistero ha voluto educare l’umanità: attraverso dunque quello che noi abbiamo toccato, che noi tocchiamo, perché l’amore a Gesù è un consapevole amore, una affettività grande per il Suo corpo, e l’amore al Suo corpo, l’affettività per il Suo corpo è la vita delle nostre comunità.
Assemblea e sintesi
182 – Giancarlo Cesana: «Per quale motivo quest’anno è stato privilegiato il termine “appartenenza”, dopo l’insistenza dell’anno scorso sul termine “conoscenza“»
Luigi Giussani: Si è insistito sul termine «appartenenza» perché il contenuto dell’autocoscienza è innanzitutto coltivato e portato all’espressione, cioè comunicato, da un criterio, che si chiama anche mentalità, proprio di ciò cui si appartiene. che ne siamo consapevoli o no, il modo con cui sentiamo, vediamo, giudichiamo, viene da ciò cui apparteniamo.
È per questo che se non si fa cristianesimo, non possiamo dirci cristiani, se, con l’aiuto di Dio, non si cerca di guardare le cose, tutte le cose e, pregando Dio, non ci si fa capaci di rispondere con un criterio che abbiamo ricevuto dalla Chiesa cui apparteniamo.
Stefano Alberto (don Pino): «Si può spiegare meglio il rapporto tra appartenenza e libertà?» – «Perché c’è una ribellione alla concezione dell’io come appartenente?».
183 – Giussani: Se l’appartenenza è dipendere, l’essere stati fatti, la coscienza di essere ancora fatti, continuamente fatti dal Creatore, da Dio, dal Mistero di Dio, che cosa abbiamo ricevuto dal Mistero di Dio? Tutto! E perciò anche ciò che si potrà chiamare «libertà».
Così l’appartenenza è la sorgente della libertà.
L’energia che costituisce in noi un atteggiamento di libertà di viene dall’appartenenza.
La libertà infatti, non crea se stessa.
Cesana: « Ma se è così, perché ci si ribella tanto?»
Giussani: Ci si ribella così tanto prima di tutto perché non si conoscono i termini della questione, non si conosce cos’è la libertà, non si è mai riflettuto su questo.
E tutti la usano secondo delle correnti di pensiero o di interesse o di potere.
Ma, andando alla sua essenza, a me sembra che la libertà è riconoscere che Colui che ci dà l’essere, Colui che ci fa, Colui che ci crea, e tutto ciò che sinceramente e attivamente collabora, che è preso da Dio come strumento per realizzare le sue idee sulla nostra vita, le sue immagini sulla nostra esistenza.
184 – Questo ci costringe a dire: la libertà è riconoscere che Dio è tutto in tutti, quasi Dio abbia fatto il mondo e il creato per sfidare il niente, per sfidare il nulla, quasi Dio abbia voluto chela sua creatura fosse una realtà che riconoscesse che Lui è tutto, come l’eco di una gloria che è interna al Mistero.
L’ultimo aspetto della domanda posta è sul perché ci si ribella.
La ribellione non può essere spiegata: è spiegabile soltanto come un cupo silenzio a se stessi, di fronte all’ultima porta che è quella di sentirsi creati, del sentirsi fatti: «Non ti riconosco»
Ma niente può eliminare quanto sta prima, che Dio è tutto in tutto; l’Essere è tutto in tutti gli esseri.
Cesana: «Come si evita la tentazione dell’egemonia nella responsabilità storica che i cristiani hanno?»
185- Giussani: Si evita l’egemonia come motivo del proprio impegno, quando non ci si impegna con la sete di riuscita dovuta all’amor proprio o all’egoismo o a un interesse; allora tra egemonia e responsabilità storica trova la sua soluzione.
La responsabilità storica del cristiano è un’altra: data dal fatto che l’amore a Cristo, che nella Chiesa si partecipa, l’amore a Cristo, che personalmente invade la nostra anima, porta ad un impegno di diversa denominazione, di diversa natura: è l’interessarci della vita degli altri, di tutti gli uomini, usando tutte le flessioni e gli strumenti che Dio lascia trovare all’uomo e che sono giusti – giusti!. Ma la carità che ci spinge non è, non può essere nominata come tensione all’egemonia.
Don Pino: «Che cosa significa che anche la giustizia deve essere giudicata dalla legge dell’appartenenza?»
186 – Giussani: Un uomo che giudichi un altro uomo deve poterlo fare con la coscienza che segue una legge di Dio, perché quell’uomo appartiene a Dio come me e come te.
Ma, se ha coscienza di questo, non può giudicare un uomo per averne vantaggio politico, per esempio, o per fare carriera nella magistratura.
C’è un particolare che viene a galla e che fa capire che c’è del torbido sotto: è l’assenza dell’amore alla persona.
In questo senso ho citato la frase di Nietzsche :«Nell’occhio dei vostri giudici riluce sempre per me il boia con la sua spada gelida».
Il potere dominante «riesce» se noi non apparteniamo già a qualche cosa, non provvisoriamente, ma come giudizio su di noi, su che cosa siamo e che cosa facciamo nel mondo: «Nessuno vive per sé, nessuno muore per sé, ma se muore, muore per il Signore e se uno vive, vive per il Signore» (Rm 17,7-8).
187 – Cesana: «Il Dio di Abramo che si manifesta in Cristo, che continua nella chiesa e che ci raggiunge con il tuo carisma, si incarna in persone, responsabili della mia città, e cui obbedire: fa problema. Cosa vul dire appartenere obbedendo a queste persone?».
Giussani: «Obbedienza» è una parola che dovrà venire a galla ampiamente nella riflessione così come l’abbiamo introdotta quest’anno.
Perché se l’uomo nasce da un altro – se io sono fatto da un altro -, evidentemente deve obbedire a quest’Altro.
Se è posta davanti a Ciò da cui deriva, l’obbedienza è la virtù che assicura lo sviluppo di quello che è dato a lui.
188 – Ma è proprio a Ciò da cui noi dipendiamo, a Ciò che ci ha fatti, è proprio a Lui che noi dobbiamo obbedienza.
Perché niente di te è tuo, originalmente tuo, tutto ti è stato dato.
E ti è stato dato non senza intelligenza e amore.
Perciò l’obbedienza come virtù è propria del cristiano.
Infatti, Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte come quella di croce.
Tutto nella vita nostra sembra essere fatto, sembra parlare contro questa parola.
L'obbedienza è fare le cose con il criterio di un Altro.
Ma, nella mentalità moderna, l’operatore, cioè l’uomo, l’uomo che lavora, plasmato, fatto da Dio, fatto di Dio, presente in Lui all’origine, ha come abbandonato l’origine.
189 – E diventiamo grandi, ci sembra di diventare grandi perché, avendo dimenticato la nostra origine, andiamo contro un dovere, contro il dovere.
Non obbedire a nessuno, o meglio, non obbedire al proprio padre e alla propria madre, non obbedire al passato alle proposte che in base al passato ci si sente di fare, di attuare, non obbedire è divenuto un classico per l’uomo.
Il taglio con il passato è il genio dei ministri della Pubblica Istruzione dei nostri governi.
Cesana: «D’altra parte, chi obbedisce, cerca ili carisma, cioè cerca l’origine, e chi richiama non richiama a sé, richiama al carisma, a ciò che è riconosciuto dalla Chiesa».
Giussani: Ma è convincente, quello che sentite da noi, in proporzione alla vostra semplicità e sincerità.
Altrimenti Dio deve aver sbagliato a farsi uomo! Perché se non si faceva uomo, non c’erano tutte queste conseguenze.
Dio ha voluto venire a parlare fra gli uomini disperati, ma anche disgregati, disorientati per la confusione: Dio è diventato un uomo, un uomo tra noi: come duemila anni fa, adesso è tra noi.
Ha pensato questa cosa grande che è la Chiesa; la Chiesa che comincia a manifestarsi quando due o tre si riuniscono nel Suo nome.
Diocesi, parrocchie, movimenti, tutte queste tre cose ancora più chiaramente denunciano che la parola di Dio e la grazia di Dio sono veicolate da mani tremanti, come quando uno ha settant’anni, e allora c’è la mano che trema.
Ma la Chiesa vale perché Cristo l’ha fatta e in quanto -Cristo non la può abbandonare: Cristo rimane qui per tutti, fino alla fine dei secoli.
Così nella comunità alcuni hanno ruoli; l’esigenza è quel che dicono di fare sia perfettamente uguale a quello che ogni cristiano, come dovere di ruolo, o addirittura di carità, di rapporti, deve rispettare e amare con perfezione.
L’obbedienza è la cosa più dura per i cavalieri, per i frati e per i laici nei movimenti.
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Per la grazia che ci è stata fatta di questo incontro, c’è infatti una potenzialità in voi, una potenzialità in voi che lo Spirito ha m esso, implicitamente o più esplicitamente, secondo la storia di ognuno, una capacità dello Spirito ha messo in voi di testimoniare Cristo, che è l’unica cosa che il mondo attende, perché dove è Cristo, là i rapporti sono pace, unità e pace, compresi quelli fra sposati
192 – Che abbiate a vivere l’esperienza del padre; padre e madre: lo auguro a tutti i capi, a tutti i responsabili delle vostre comunità, ma anche a ognuno di voi, perché ognuno dev’essere padre degli amici che ha lì, deve essere madre della gente che ha lì; non dandosi aria di superiorità, ma con una carità effettiva.
Nessuno, infatti, può essere così fortunato e felice come un uomo e una donna che si sentono fatti dal Signore padri e madri.
Esercizi spirituali predicati da don Giussani
1° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA
- Prefazione di Carrón
- 1982 – Il cuore della vita
- 1983 – Appartenenza e moralità
- 1984 – Io vi chiamo amici
2° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE
- Prefazione di Carrón
- 1985 – Ricominciare sempre
- 1986 – Il volto del Padre
- 1987 – Sperimentare Cristo in un rapporto storico
3° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE
- Prefazione di Carrón
- 1988 – Vivere con gioia la terra del Mistero
- 1989 – Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina
- 1990 – Guardare Cristo
4° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO
- Prefazione di Carrón
- 1991 – Redemptoris missio
- 1992 – Dare la propria vita per l’opera di un Altro
- 1993 – «Questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda»
5° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI
- Prefazione di Carrón
- 1994 – Il tempo si fa breve
- 1995 – Si può vivere così
- 1996 – Alla ricerca del volto umano
6° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO
- Prefazione di Carrón
- 1997 – Tu o dell’amicizia
- 1998 – Il miracolo del cambiamento
- 1999 – «Cristo tutto in tutti»
- TEMI di «Dare la vita per l’opera di un Altro»
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