1987 Esercizi spirituali – «Sperimentare Cristo in un rapporto storico»

Esercizi spirituali di don Giussani


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Indice linkato dei vari momenti


Introduzione

(205) La Quaresima è sempre stata sentita e vissuta dal cristiano di tutti i tempi come un cammino verso la Pasqua, verso l’esplosione della gioia.

L’esplosione della gioia, infatti, ha bisogno di una purità che non può avverarsi se non nel sacrificio.

Non è l’esito di un rimorso, per noi, il sacrificio, ma è la condizione di una libertà, di una intensità, di una pienezza. Questa sera chiediamo quindi a Gesù e, insieme a Lui, al Padre, che ognuno di noi abbia la sua vita sempre più carica di questa esperienza, che dell’autenticità della fede è come la prova: la vita di ognuno di noi sia sempre più carica di gioia.

(207) […] la gioia, che sta, insieme al dolore, come l’argomento della pace.

«La pace, chi la conosce, sa che in parti uguali di dolore e di gioia è fatta»

P. claudel – L’annuncio a maria

Cristo, andando via dalla visibilità immediata, carnale dell’uomo, ha lasciato una eredità: l’esperienza della pace. La gioia insieme al dolore: sono questi i due fattori della pace.

Omelia

Forse che avete piacere di castigare? No! Il Signore ci ha fatti per la gioia e, al culmine , pochi momenti prima di essere braccato, imprigionato, e quindi ucciso, disse: «Tutto quanto vi ho detto, ve l’ho detto affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

(208) La giustizia sembra un’ombra sopra questa luce di gioia.

Ma la giustizia non può essere un’ombra: Dio, che è la gioia, è la giustizia. Dunque debbono avere, queste due parole, una radice comune.

E infatti la giustizia è nella libertà.

Dio non ci può dare la sua gioia se noi non apriamo il cuore a dire: «Signore, la voglio, la desidero!».

Che cosa tremenda è che in noi esista questa intoccabile, impalpabile, e terribile libertà.

Perché possiamo scegliere la morte invece della vita.

(209) Ma questo potere tremendo costituisce pure il dono più grande che di se stesso Dio fa all’uomo, perché è nella libertà che l’uomo può dire: «Signore!».

La vita è una cosa seria, e quello in cui insieme ci impegniamo non è per una sostituzione della solitudine, per un amore a una socialità di vita: quello che ci unisce è il desiderio e la volontà di aiuto di un aiuto decisivo, per quella cosa seria che è la vita, per quella cosa che rende la vita una realtà tremenda: che la nostra libertà scelga la vita e non la morte, scelga Dio non la menzogna, scelga ciò che sta e non la fugace illusione.

(210) Quello che vogliamo dirci questa sera è che se il distacco dal nostro male implica questo non pesabile, non misurabile respiro che abbiamo dentro di noi, allora il distacco dal male, il desistere dall’ingiustizia, l’allontanarsi della colpa commessa può essere come un soffio, esattamente come il presente.

La nostra imperfezione continuamente secerne in noi, il soffio che ci libera da questo istante è la domanda di Dio.

L'essenza, la natura della preghiera è la domanda.

(211) In questa domanda sta la sincerità di un giudizio che riconosce la verità, sta il dolore di un’affezione a Cristo per cui uno piange per il tradimento e la sproporzione, ma vibra di una fiducia, non in sé, bensì nella grandezza di Colui che ci ha fatti o, più ancora, nella stupefacente grandezza di Colui che, avendoci fatti, è diventato uno fra noi e si è lasciato uccidere da noi.


Avvisi

(212) Per chiunque è qui Gesù è sommo conforto.

Se non lo percepiamo e non lo sentiamo, se la Sua parola non ci sospinge e la Sua compagnia non ci alimenta, è solo perché è impossibile non essere almeno un pochettino distratti.

Lo strumento per questo impegno è il silenzio.

Stiamo tutti in silenzio, così salvaguardiamo la domanda, rispondiamo alla domanda fatta.

Il silenzio infatti non è un nulla, il silenzio è una preghiera, è la coscienza di essere di fronte a dio, e la preghiera, a sua volta – come abbiamo detto – è una domanda: dobbiamo incominciare a domandare nel cuore quello che sappiamo e quello che non sappiamo.


Come Zaccheo

(215) Il male è ciò che è contrario alla gioia, è esattamente il limite della gioia, è ciò che la impedisce, perché la gioia sta nella verità.

Nell’intervista realizzata per la Rai a Madre Teresa di Calcutta, a un certo punto l’intervistatore dice: «Madre, quali motivazioni hanno le sue sorelle per fare tutto quello che fanno)» «Esse amano Gesù».

«Ecco l'importante nella vita: aver visto una volta qualcosa, aver sentito una cosa tanto grande, tanto magnifica che ogni altra sia un nulla al suo confronto, e anche se si dimenticasse tutto il resto, quella non la si dimenticherebbe mai più».

S. kierkegaard – Diario

(216) C’è qualcosa di più grande, di più magnifico, di più indimenticabile, per ognuna di quelle suorine, ma identicamente per ognuno di noi, nel suo ambito, dentro il suo compito, del fatto che il Mistero che fa tutte le cose, Dio, sia diventato uno fra noi, un uomo, nato da una donna, e sia fra noi compagno fino alla fine del tempo?


Punto 1°

(217) «Zaccheo, vengo a casa tua». Ma era la faccia, era lo sguardo, era tutta la persona di quell’uomo che investiva la povertà, la meschinità di Zaccheo, quella smemoratezza infinita della propria dignità che aveva squalificato tutta la sua vita, riempiendola di istintività, di ingordigia; e in un istante, in quella parola: «Zaccheo», egli si è sentito totalmente liberato, liberato dal giogo del male.

Io vorrei che la giornata che passiamo insieme ci convertisse, ci facesse ritornare con lo sguardo del cuore, o memoria, alla Sua presenza, da cui ci siamo sentiti chiamare per nome, come Zaccheo. Non è stato più lui, anche di fronte alle sue rabbie e ai suoi peccati, alle sue ingordigie e alle sue istintività, a sua moglie e ai suoi figli.

(218) Non è stato più quello di prima; meglio, ai suoi propri occhi non fu più quello di prima.

E la rabbia e l’ingordigia assecondata e il maltrattamento della persona amica o cara chissà come avrà rinnovato in lui quello che si era sentito in cuore quando era accovacciato su quell’albero: un dolore, ma un dolore che non riusciva a fugare quella certezza, quella volontà di ripresa, quella affettività che, tremando fin quando si vuole, è come il rimanere di una gioia.

Siamo amati più di quanto sbagliamo.

Tu ci hai liberati tutti, e la vita che ci hai data l’hai resa contenuto della speranza, vale a dire della certezza eterna, ché la speranza cristiana è la certezza per quanto riguarda il futuro.

«Egli libererà il suo popolo dai suoi peccati», dal suo male, dai suoi limiti, dalle sue catene, dai suoi lacci.

(219) Lo pensassimo, lo pensassimo come fece Zaccheo da quel giorno, che guardò ogni suo errore, ogni suo peccato.

E noi sappiamo che una strana presenza, un’altra presenza in noi rende il nostro cuore capace di volere il male altrui, dell’amico, e il male nostro: la presenza del maligno.

«Quando dice menzogne, le trae dal suo profondo, perché egli è proprio il padre della menzogna»

Gv 8,43-44

(220) Il tempo ci è dato, infatti, per generare la nostra vita vera.

Ma affinché questa nasca, è come un velo che si deve rompere, è come un complesso di squame che debbono cadere, come nell’occhio del cieco nato.

È una novità che può avvenire continuamente: tutte le mattine, se diciamo il Benedictus, se diciamo l’Angelus; tutte le ore, se noi lo ricordiamo; tutti i momenti.

(221) Se Cristo ci ha già salvati, allora questo risentimento che ancora il male ha in noi, starei per dire, che c’entra?

C’entra, ma è un dolore che, quasi forma più verace del pensiero, ci fa ritornare a Lui.

Il ricordo o la coscienza del nostro male ci fa ritornare a Lui.

(222) Che cosa è la misericordia, ricorda il Papa, se non il fatto che Dio afferma sempre, da ultimo, il valore che permane, il valore permanente, in mezzo a tutte le circostanze possibili e immaginabili, quindi anche le più cattive, come appunto è stata la sequenza cattiva – quante ne ha commesse! – della vita del Figliol prodigo?

Ma tutte le circostanze possibili e immaginabili, anche le più avverse, lasciano intatto il valore permanente: «Egli è mio figlio», «Tu sei mio padre».

(223) Il Mistero, di cui l’uomo non può parlare, su cui non può dir pensiero, in Gesù rivelato è “misericordia”.

«Prevarrà sempre il valore che io ti ho dato, sei mio figlio, ti ho dato la vita, ti ho dato me stesso. Questo prevarrà sul tuo male!».


Punto 2°

Allora noi che cosa possiamo fare?

«Chi fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge delle libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato, ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua gioia nel praticarla».

(224) Che cosa dobbiamo fare, dunque, se non tenere lo sguardo fisso su Gesù?

È questa la conversione.

(225) Immergerci nella giustizia di Cristo che ci dà la sua giustizia, guardarlo: questa è la conversione, che ci cambia alla radice, vale a dire ci lascia perdonati.

Basta riguardarLo, basta ripensarLo e siamo perdonati.

(226) Questa è la vita: che conoscano te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Cristo.

La vita è riconoscerlo, conoscerlo, aderirvi con l’energia dell’affezione, l’energia della libertà, della volontà.

In questo riconoscimento di Cristo sta la conversione; uno si volta indietro e lo riconosce, lo guarda e dice: «Voglio aderire a te, ti riconosco e ti “aderisco”!».

(227) Questa conversione ci cambia alla radice, agisce in noi e col tempo cambia, cambia il modo di pensare, cambia il modo di giudicare, il modo di atteggiarci, il comportamento: cambia!

Siamo tali e quali, ma cambiamo.


Punto

La parola che Cristo ha usato per indicare questo ricordo (riguardarlo) questo voltarsi indietro, per guardare, è «memoria». «Fate questo in memoria di me»

La moralità non è capacità nostra, ma è la possibilità di Cristo in noi.

E Cristo fa entrare la sua forza in noi, se lo guardiamo, se lo invochiamo.

Tutto il tempo della vita è dato per questa osmosi lenta, per questa penetrazione profonda di Cristo nella nostra vita.

Esistiamo per questo, nostra madre ci ha dato la vita per questo.

(228) San Paolo usa una parola, un neologismo, una parola strana e bellissima, sempre nella Lettera ai Colossesi, più di una volta: «Ci ha con-risuscitati con lui, ci ha fatti risorgere “con lui”».

Già siamo risorti!

(229) La nostra moralità non può operare come sforzo immaginativo, come sforzo del sentimento, ma come riconoscimento di qualcuno che c’è, vicino a noi, in noi.

Facendo crescere la memoria ci si cala nel lavoro di un soggetto nuovo.

La moralità è la possibilità di Cristo in noi.

L’energia che attua la nostra vita è Cristo: «Qualunque cosa facciate, in parole e in atti, tutto fate nel nome di Gesù».

Così l’uomo si perfeziona, vale a dire, l’uomo compie quello che deve diventare – come un bambino che diventa grande e si compie -.

(230) Ma la grandezza dell’uomo di chiama Cristo: Cristo è l’immagine dell’uomo, Cristo è l’uomo, e perciò la mia e la tua fisionomia si compiono nella misura in cui la Sua si compie in noi.

Non è soltanto per le suore di Madre Teresa di Calcutta, ma per tutti noi, per ogni uomo chiamato a glorificare Cristo.

Attraverso di noi il soggetto nuovo opera nel mondo.

La vita di è data. così la moralità diventa la nostra storia, la moralità è la nostra storia.

(232) È nella memoria la radice della salvezza.

Tra l’altro – è bellissimo – la memoria è il contrario della solitudine.

E se la conversione sta nella memoria, il peccato – a cui siamo così legati e di cui, nello stesso tempo, abbiamo incominciato a conoscere il dolore, non più solo la vergogna, tanto meno la tracotanza della giustificazione, ma il dolore – sta nello scordare, nel non ricordare.

(233) Il peccato è lo scordare Cristo.

Se la memoria fa fluire il suo potere in noi, come lucidità, come intelligenza della legge di Dio, e come dolore, come affezione e amore, lo scordarsi brucia tutto questo, lascia terra bruciata, come uno che rimanga piccolo a vent’anni, con la coscienza di un bambino di un anno e mezzo.


Punto

(233) Non è appena lo scordarsi.

Ecco, l’origine del peccato è lo scordarsi, ma è anche la fragilità, una fragilità senza sponde.

E come faremo allora, se non basta la memoria, se non basta guardarTi?

(234) L'arma contro la fragilità è la domanda, è domandare Cristo.

Abbiamo un’intensità della memoria, un contenuto della memoria che non è soltanto lo sguardo a Cristo, ma è domanda, è mendicare Cristo.

Per questo noi siamo inescusabili, perché mendicare è proprio di chi non ha niente, di chi è pieno di stracci.

(235) Mendicare. La preghiera è mendicare: non è un'altra cosa, se non domandare, mendicare.

Allora mendicare che tu venga, che tu venga nella mia vita o Cristo, è la sorgente della gioia di ogni giorno.

E tutto il resto è sentimento vano, se non è mendicanza che Lui venga nella nostra vita e la muti, la compia.

La fede è domanda, dunque si esprime in una mendicanza.

La vita nella sua povertà, coperta di stracci e piena di ferite, ma la vita che tende alla perfezione, al compimento, è l’uomo che domanda Cristo.

È questa mendicanza a Cristo l’espressione più alta dell’uomo, l’unica espressione vera dell’uomo.

E se guardassimo dalla trasparenza di questa verità, come diversamente ci tratteremmo anche noi!

(236) La voce che, nell’annunziare la gioia, trema per il dolore; sì, questa si apre una via all’orecchio ed è trattenuta dal cuore».

Questa è la gioia della preghiera: una gioia che si annunzia tremando di dolore.


Nella carità la memoria diventa opera

(237) (Le suore di Madre Teresa di Calcutta) … amano Gesù e trasformano in azione vivente quell’amore: la memoria non può non trasformarsi in «azione vivente».

Voglio innanzitutto dire che la memoria non può non diventare norma o legge.

Ma la memoria diventa norma, diventa legge, con una certa emozione, quando uno è toccato da una verità nel rapporto: la propria moglie, il proprio marito, i propri figli, o l’amico, o l’uomo in cui ci si imbatte, rappresentano qualcosa di diverso, e il gesto si fa più prudente, il cuore si fa più generoso, la volontà si fa più capace di sacrificio.

Uno si sente più buono!


Punto

(238) Innanzitutto la memoria diventa norma, diventa equilibrio, diventa ordine, diventa bellezza – diventando misura-, in quanto diventa purificazione del rapporto.

La memoria diventa norma in quanto il gesto, il rapporto – ogni gesto umano è un rapporto – diventa più vero.

Il dolore per la lontananza del fratello, o dal compagno che Iddio mi ha messo collocato sul cammino al destino – che è Lui – esprime una verità che si instaura nella relazione tra me e l’uomo.

(239) «La memoria diventa norma» significa una purificazione dell’umano gesto, che lo rende più vero, che lo rende vero.

Consideriamo la verità nel rapporto tra l’uomo e la donna.

Da che cosa sarà determinato il loro rapporto? Dal fatto che sono due esseri umani in cammino verso l’identico destino, amati e salvati dallo stesso Dio fatto uomo, da Gesù.

(240) Ma allora di capisce che la memoria non solo diventa norma come purificazione e verità del rapporto – e al di fuori di questa norma non è vero il rapporto -, ma anche che essa rende ogni azione adesione alla verità vivente, adesione cioè a Cristo, rende ogni gesto affezione, un’affezione profonda che sbarazza il cammino da ogni farisaismo.

Usiamo una parola cristiana: una carità.

(La carità) È l'amore alla grande Presenza,

senza la quale l’uomo si intorbida nei suoi tornaconti, di qualsiasi tornaconto si possa parlare o trattare.

Ed è nella coscienza di questa Presenza che il lavoro quotidiano in casa, in fabbrica, in ufficio, e tutto il lavoro grande e inconsapevole che facciamo con il cielo e la terra, col tempo e lo spazio, in ogni momento, diventa affezione.

(241) Tutto diventa affezione, se è compiuto dentro l’influsso, sotto l’influsso della grande memoria, della memoria della tua presenza, o Cristo.

«La nostra vocazione è appartenere a Cristo».


Punto

Questa pazienza o questa benignità o questo sopportare tutto deve avere una corrispondenza, deve sentire una risposta.

(242) Ciò che compiamo ha una funzione ideale.

Vuol dire che tutto ciò che compiamo, anche l‘oscuro gesto che non c’è bisogno di approvare tanto è normale l’esigenza che noi abbiamo di esso, tanto è doveroso ai nostri occhi che avvenga, è funzione di qualcosa di più grande, è in funzione del tutto.

Ma il tutto è la volontà di Dio, il tutto è disegno di Dio.[…] se è in funzione del grande disegno, diventa valore.

Il rapporto con l'ideale della cosa si chiama valore.

Esso è il rapporto fra quello che compiamo e la totalità; e la totalità è la volontà di Dio, il suo disegno, che ha un nome, Cristo: «tutto in Lui consiste».

Il bottone che attacchi a quel vestitino o a quei pantaloncini o lo strofinaccio che guidi sull’ultimo residuo della tua tavola ecc…. se tutto ciò accade ed è vissuto dentro la memoria della grande Presenza, allora questo nesso con l’ultimo, col destino, lo fa esplodere come un’alba dopo la notte, fa esplodere l’inizio della fine, l’inizio della perfezione finale.

(243) E l’ideale si incarna, Cristo si incarna di nuovo nella tua azione, piccola o grande che sia

È ora. È l'ora qualsiasi.

È solo il respiro del rapporto con l’infinito che può rendere ragionevole per un uomo l’azione.

«E so di essere responsabile». Perché in ogni azione rispondo a Colui che mi corrisponde.

La memoria diventa norma, come purificazione e verità, come energia adesiva, affettiva, come idealità, funzione ideale, funzione spirituale, funzione dell’infinito in noi.

(244) Gli apostoli hanno presentito, intuito confusamente, l’identica ragione per l’indissolubilità del matrimonio e per la verginità, essendo dettate da un’unica norma: la funzione per il tutto, il servizio a regno di Dio.


Punto

La moralità non è una capacità nostra, ma una capacità di Cristo in noi: la memoria diventa norma e si realizza nella pazienza.

Dove sta l’impazienza?

(245) Nel fatto che l’uomo vorrebbe avere il compimento per poter aderire.

È per questo che allora la nostra fede vacilla, esita con incredulità, non diventa forza.

È come se noi, al contrario di Abramo, volessimo tutto subito, secondo una logica che non è quella della fede.

(246) Lettera: «Mi sono accorta che l’ostacolo per il manifestarsi della sua capacità rinnovatrice del corpo e dello spirito poteva essere la mia libertà: io stessa – io stessa! – potevo impedire il miracolo.

Ho cominciato a camminare, a lavorare per abbandonarmi a Lui.

[…] Mi sento così portata che sono quasi impedita a retrocedere nella disperazione.

A volte sono così certa della mia guarigione che quasi mi stupisco di camminare ancora così male.

A volte mi chiedo quanto devo aspettare ed esercitare la pazienza.

(247) Oppure mi domando se Dio vuole chiedermi, portarmi a offrire la mia vita, e questo mi fa tremare, perché penso alle mie bambine».

Questo avvenimento, così discretamente e potentemente accennato nella storia di questa nostra amica, rosa dal cancro, l’avvenimento della coscienza di quella Presenza, l’avvenimento che si esprime nella memoria – l’abbiamo sentito, e chi la conosce può anche testimoniarlo -, diventa veramente gioia, un gioire.

L’avvenimento del rapporto con Cristo diventa sorgente di gusto, di godimento, di affezione, di gioia, e solo nella gioia è l’energia di una presenza comunicativa.

Una vera comunicazione di sé può avvenire solo nella gioia.

Cioè la memoria diventa movimento, diventa movimento umano.

Occorre che attraversi tutte queste, non dico barriere, ma queste condizioni, queste flessioni del tempo e dello spazio, queste versioni del nostro umore e del nostro cuore.

La nostra compagnia quando è definita dai suoi limiti è falsa.

(249) Solo nella gioia è l’energia di una presenza comunicativa, e allora la memoria diventa movimento, diventa compagnia, il cui dolore supremo è di non poter abbracciare il mondo, comunicando per osmosi della propria carne agli altri la bellezza della verità, l’intensità dell’adesione, la meraviglia, lo stupore del valore, della idealità.


Punto

La memoria, la coscienza di Cristo rende estremamente vigilanti su tutte le condizioni del vivere; più precisamente, ci rende capaci, rende la nostra vita estremamente sensibile a quel fenomeno che si chiama «bisogno», al fenomeno dei bisogni umani.

È nei bisogni umani che si incarnano i desideri del cuore; ed è nel contesto di certe condizioni che le esigenze originali della nostra persona diventano bisogno.

Allora, la memoria di Cristo rende incapaci di stare fermi.

Ecco, le strutture operative immaginate, create per affrontare i bisogni in cui si incarnano i desideri ed esigenze del cuore di un uomo, dei cuori umani, noi le chiamiamo «opere».

(250) Allora «opera» è innanzitutto il lavoro quotidiano, se esso è visto nella prospettiva del nesso con il disegno totale, se è vissuto per pietà è degli uomini, per stupore, gratitudine e amore a Cristo vissuto nella pazienza.

Noi sottolineiamo il valore di strutture operative inventate, sostenute nel tempo libero, ma anche non nel tempo libero, rischiate come alternativa a un lavoro pacifico, nel senso di sicuro.

Le nostre opere costituiscono un vero apporto di novità nel tessuto e nel volto sociale.

La vita della società cambia, se affrontata nei suoi bisogni, tutti, secondo la dinamica di una presenza vivente, secondo strutture nuove, secondo la dinamica di una presenza vivente, secondo strutture nuove animate dalla caritas.

Che per ognuno di noi queste parole di Paul Claudel diventino vere: che «la fede non sia più ciò che era nei giorni della nostra giovinezza, un’adesione appassionata nell’oscurità, ma una certezza solida, qualcosa di magnificamente pieno e ragionevole».

È nell’opera, è nella memoria che diventa opera, è nell’amore che diventa una casa dove tutti i figli di Dio possano essere ospitati, che ciò trova un modo grande di manifestarsi.


La gloria di Cristo

(254) Senza lo Spirito, Cristo è nel passato, perché senza lo Spirito, Cristo è vuoto della sua divinità.

Lo Spirito è l'energia divina con cui Cristo penetra la storia e ci raggiunge.

Con quella terribile annotazione: che possiamo espellere Dio dal suo dono.


Punto

La santità è un fattore non astratto dalla vita del tempo e dello spazio, è il fattore determinante ultimamente il cammino dell’umano, l’umanizzazione del cosmo.

Madre Teresa (rispetto alla povertà): « Io penso che per noi sia un privilegio il fatto che abbiamo l’opportunità di trasformare il nostro amore a Dio in azione vivente, servendo e prendendoci cura di loro…vivendo in tale presenza.

Uno dei ministri del benessere sociale, qui a Nuova Dehli, ha detto: “Voi e noi stiamo facendo lo stesso lavoro sociale, ma c’è una differenza fra voi e noi: noi lo facciamo per qualcosa, voi lo fate per qualcuno”».

Il fare per qualcosa non è amore.

( 255) È progetto, ma non è amore! Sarà umanitarismo, sarà sentimento nobile, ma non è amore.

(256) Anche nella confusione del nostro spirito, in qualche modo, noi siamo stati chiamati a far entrare nel mondo una nuova logica, una nuova logica che è la logica dell’amore.

Una socialità vissuta per la gloria di Cristo, questo stabilisce una posizione che non ha uguali, irriducibile a qualunque altra.

(257) La vita ci è data per la gloria di Cristo.

Riconoscere Cristo è il contenuto della fede.

La fede è riconoscere questa Presenza grande che è la realtà di tutto, il senso di tutto quello che facciamo.

La fede è data ad alcuni perché rifluisca sugli altri.

Per questo la fede in noi deve diventare un movimento dentro la società.

(258) «La Chiesa stessa è “movimento“, ci ha detto il Papa alcuni anni fa.

La fede deve diventare movimento e, in quanto plasma in modo diverso l’agire dell’uomo, in quanto ci fa pensare, sentire, comportarci in modo diverso, in quanto ci rende uniti in modo diverso, la fede deve diventare un movimento di civiltà.

Noi siamo tra coloro che il Padre gli ha dato nelle mani, tra coloro che il Padre ha dato a Cristo perché egli partecipi loro la vita eterna.

Se il problema della vita è la gloria di Cristo […] senza la gloria di Cristo l’umanità non diventa più umana.


Punto

(259) Da adulti domandare Cristo è una fatica profonda: bisogna spaccare l’incrostazione che momento per momento si sedimenta su di noi, bisogna rompere il mallo della nostra autonomia, del nostro egoismo, del nostro cedimento alla mentalità comune.

Perché la mentalità comune è l’alternativa alla legge di Dio, la mentalità comune è l’alternativa a Dio, lo Stato è l’alternativa a Dio.

Innanzitutto la nostra personalità, dunque, deve essere definita dal pregare come domanda.

(260) La domanda di Cristo, che Cristo venga nella nostra vita, che Cristo venga nella storia della umanità, bisogna provare che fatica è!

Lettera: «Mi rendo conto che credere in Cristo liberatore dal male chiede uno strappo finora sconosciuto a me stessa. Accettare che sia Cristo a spazzar via il tuo limite, la tua fragilità, questo non ti lascia più nulla.

Mi sto accorgendo ora di avere un legame anche con la mia limitatezza, e di usare proprio una falsa autocritica per resistere all’ultimo a Cristo».

Perciò, domandare è realmente – come dice in modo discreto questa lettera – lo strapparci totalmente da noi stessi: «Vieni Signore!».

La caratteristica della personalità nuova è la preghiera, la fedeltà alla domanda, alla mendicanza.

(261) In secondo luogo, l’intelligenza.

Intelligenza, cioè luce e forza, sicurezza.

Perché se uno cammina nella luce, sa dove mettere i piedi e cammina con sicurezza.

Luce e sicurezza: questo vuol dire che la personalità nostra deve avere un tipo di giudizio diverso.

Un giudizio è diverso non quando cambiano le cose, ma quando cambia il criterio:

dire che lo scopo della vita, il problema della vita è la gloria di Cristo, significa sconvolgere totalmente la mentalità comune.

La gloria di Cristo si opera attraverso le inevitabili circostanze, senza cancellare, dimenticare, obliterare nulla.

E l’amicizia che c’è tra noi ha come scopo di farci capire, di renderci sempre più capaci di capire che cosa voglia dire «gloria di Cristo» come criterio della vita quotidiana, in che modo la cambi.

Ecco, dobbiamo impararlo, siamo un popolo in cammino per imparare questo.

Quanto più lo impariamo, tanto più la gloria di Cristo si riverbera nel mondo.

(262) Oltre all’intelligenza, la personalità nuova ha una energia che si chiama libertà o volontà o affettività.

La volontà umana, l’affettività umana è una energia che consegue a un giudizio, e il giudizio è quello che deve avere come criterio quello che abbiamo detto prima.

(263) È allora che uno capisce che l’uomo può essere chiamato da Dio all’eroismo, all’eroismo quotidiano.

Ci sono dolori che esigono eroismo per dire: «Sia fatta la tua volontà».

(In seminario) con energia affettiva uno prendeva la ciotola e tirava sul col cucchiaio la minestra che non avrebbe voluto.

Era una energia affettiva che conseguiva un giudizio. Non sono parole astratte, sono parole concrete.

(264) In questo senso occorre avere chiaro il concetto di mortificazione.

Mortificazione in senso cristiano, è plasmare l’azione sul criterio giusto.

Non esiste processo affettivo che sia vero senza sacrificio; senza la mortificazione del sacrificio non è possibile una verità affettiva: il sacrifico è come il vento che purifica l’aria nell’affettività.


Punto

La personalità nuova vive due circostanze eterogenee tra loro: sono, a mio avviso, le due circostanze più grandi, più decisive.

Prima di tutto la compagnia: la compagnia è una dimensione nel modo di percepire, sentire e vivere se stessi.

La compagnia è il luogo, o la realtà, o il segno concreto in cui si incarna la verità della nostra vita, in cui si incarna la vocazione, l’attrattiva, la memoria di Cristo.

La seconda circostanza della personalità nuova è il dolore.

Non si può parlare di amore al dolore, ma la parola «dolore» implica già l'amore.

La compagnia, da una parte, è il sostegno; il dolore è la condizione di tutti, che per nessuno, se non per chi ama Cristo, diventa alimento della vita, diventa fattore definitivo del proprio volto.

Che cosa c’è di più ingiusto del fatto che Dio sia diventato uno fra noi, sia uno fra noi, e gli uomini non lo riconoscano, non lo accolgano?

Noi siamo tra colore che Ti hanno riconosciuto e Ti accolgono, siamo fra coloro cui il Tuo Spirito ha dato di riconoscerti e di accoglierti.

Allora Cristo deve diventare una fissazione? No, deve diventare una letizia.

«Al di sopra di tutto sia la carità, che è la perfezione della persona».

La carità è riconoscere Cristo.

La gratuità assoluta, la carità come gratuità totale è riconoscere che Dio è diventato uno fra noi.

«Al di sopra di tutto sia la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo, e siate pieni di gratitudine!»

Col 3,14-15

È questa la formula della umanità nuova che vive la fede, della gloria di Cristo, come personalità nuova, mendicante, che giudica e ama secondo un criterio nuovo, che riconosce nel sacrificio il fattore che rende vere le cose, soprattutto l’affettività, che genera e nello stesso tempo abbraccia una compagnia, fa dei rapporti umani una compagnia e non ha più obiezioni nel dolore, perché il dolore è una obiezione solo per chi non Lo riconosce e non Lo accetta.

Il sintomo che stiamo cambiando è che il nostro cuore, nonostante tutti i suoi errori, nonostante tutte le sue vigliaccherie, nonostante tutte le sue incoerenze e nonostante tutto il dolore, è pieno di gratitudine, e la gratitudine è lo zampillo primo della gioia.

Esercizi spirituali predicati da don Giussani

1° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA


2° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE


3° «volume Cristianesimo alla prova»

Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE


4° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO


5° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI


6° volume «Cristianesimo alla prova»

Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO



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