Temi di «La convenienza umana della fede» -1a parte

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Lettera «A»


Adesione

240 – Allora si capisce chela memoria non solo diventa norma come purificazione e verità del rapporto – e al di fuori di questa norma non è vero il rapporto -, ma anche che essa rende ogni azione adesione alla verità vivente, adesione cioè a Cristo, rende ogni gesto affezione, un’affezione profonda che sbarazza il cammino da ogni fariseismo.

Questa adesione profonda fa sì che ogni azione diventi – anche il gesto quotidiano, fatto in casa, anche il dovere quotidiano compiuto nell’ufficio o nella fabbrica -, o tenda a diventare, un amore, un’affezione profonda.

249 -Solo nella gioia è l’energia di una presenza comunicativa, e allora la memoria diventa movimento, diventa compagnia, il cui dolore supremo è di non poter abbracciare il mondo, comunicando per osmosi della propria carne agli altri la bellezza della verità, l’intensità dell’adesione, la meraviglia, lo stupore del valore, della idealità.

Affezione/affettività

67-72 – La morale è la questione della vita. il rapporto tra la vita e il destino è tutto quanto nella verità che si attua dentro l’azione e perciò attraverso la nostra libertà. È la verità che per l’uomo diventa affezione.

La moralità vera sta allora nella affezione, in quella affezione al destino che è il Mistero, che è il Padre rivelato da Cristo, che è Cristo a cui il Padre ha dato tutto nelle mani; la moralità è quella affezione a Cristo e al Padre che, nei vostri bambini, si rivela come disagio e mortificazione tutte le volte che registrano il riverbero di scontento o di delusione sul vostro viso per quello che hanno fatto.

La natura della moralità è questa affezione senza sosta, senza tregua, è questa affezione che cerca di alimentarsi nello sguardo, nella conoscenza che si esprime e si alimenta nello stesso tempo come domanda, come grido, come mendicanza del Signore.

68 – Questa affezione si alimenta di tutti i tentativi, si arma di tutti gli strumenti possibili, affinché l’alveo sia rispettato e l’ordine sia mantenuto e l’armonia sia amata, perché l’occhio del Padre sia contento di noi.

Egli cerca l’amore e l’amore è in questa affezione che fa tendere tutta la nostra persona.

69 – (La moralità) […] è l’ultima implicazione, l’espressione di questa affezione a colui da cui nasciamo in ogni istante e che ci attende alla fine del tempo come compimento del nostro io e che è presente come compagno.

70 – L‘affezione a Dio è l‘affezione a Dio fatto uomo, perché non esiste più Dio, se non dentro e attraverso il Dio fatto uomo.

L’affezione al Mistero, al padre che ci fa, al Destino, alla felicità che ci attende è l’affezione alla Presenza che ci accompagna: «Colui che è tra noi», come diceva un nostro giovane amico.

Questa affezione attraversa tutta la nostra debolezza e non avalla nessun male e non scusa nessun errore e non diminuisce il dolore di nessuna imperfezione e dice pane al pane e vino al vino e dice «sì», «no», ma permette che qualsiasi imperfezione, errore o delitto ci definisca. L’uomo è definito da questa affezione!

Questa affezione, che ci fa tendere a Cristo, ci fa vivere la memoria, cioè ci fa vivere il sentimento della sua compagnia: «Ti riconosco presente a me e tra noi, Ti offro…»; l’offerta è come il frutto immediato di questa affezione: «Ti offro, io che sono così labile e peccatore». E questa affezione aumenta il senso del bene, fa struggere il cuore dal desiderio -sì- della perfezione!

71 – La nostra affezione è soggetta alla fragilità, alla volubilità, alla debolezza che ci caratterizza.

Soltanto nell’umiltà di chi è profondamente teso a Cristo, ama Cristo, vive l’affezione al Mistero che lo crea, lo attende e lo accompagna, solo chi è in questa umiltà la compagnia risalta in tutta la sua provvidenzialità.

Solo l’umile non si scandalizza chela compagnia sia fatta tutta da gente come me, come lui, e guarda soltanto all’aiuto pieno di forza che attraverso di essa il Signore gli dà.

72 – Allora l’amare Dio, l‘affezione a Cristo, che è l’essenza della moralità, si rivela come una affezione alla compagnia, come devozione alla compagnia, come ascolto; si rivela come sequela.

218 – (Zaccheo) E la rabbia e l’ingordigia assecondata e il maltrattamento della persona amica o cara chissà come avrà rinnovato in lui quello che si era sentito in cuore quando si era accovacciato su quell’albero: un dolore, ma un dolore che non riusciva a fugare quella certezza, quella volontà di ripresa, quella affettività che, tremando fin quando si vuole, è come il rimanere di una gioia. Siamo amati più di quanto sbagliamo.

226 – Che cosa vuol dire glorificare Cristo? Vuol dire riconoscerlo, vuol dire conoscerlo e aderire a lui con l’affezione del cuore, che non è un sentimento, un trasporto, ma un aderire della libertà e della volontà al nostro Salvatore, a chi ci salva, a chi ci dà il senso della vita e della morte, a chi ci purifica dal nostro male inevitabile.

Questa è la vita: che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Cristo. La vita è riconoscerlo, conoscerlo, aderirvi con l’energia della affezione, l’energia della libertà, della volontà.

240-241 – Allora si capisce che la memoria non solo diventa norma come purificazione e verità del rapporto – e al di fuori di questa norma non è vero il rapporto -, ma anche che essa ogni azione adesione alla verità vivente, adesione cioè a Cristo, rende ogni gesto affezione, un’affezione profonda che sbarazza il cammino da ogni fariseismo. Questa adesione profonda fa sì che ogni azione diventi – anche il gesto quotidiano, fatto in casa, anche il dovere quotidiano compiuto nell’ufficio o nella fabbrica -, o tenda a diventare, un amore, un’affezione profonda.

241 – Tutto diventa affezione, se è compiuto dentro l’influsso, sotto l’influsso della grande memoria, della memoria della tua presenza, o Cristo. «La nostra vocazione è appartenere a Cristo»

262-264 – «Voi siete di Cristo come Cristo è di Dio». Oltre all’intelligenza, la personalità nuova ha una energia che si chiama libertà o volontà o affettività.

La volontà umana, l’affettività umana è una energia che consegue a un giudizio, e il giudizio è quello che deve avere come criterio ciò che abbiamo detto prima.

263 – L’affettività è una energia conseguente a un giudizio, il cui criterio è la gloria di Cristo.

Allora anche se il cuore si colma di un’altra affezione, la fedeltà alla moglie, la fedeltà al marito, è questo l’eroismo a cui ci richiamava il capitolo 19 di san Matteo: il valore sta nell’essere funzione del disegno di Dio, del regno di Dio.

Mortificazione, in senso cristiano, è plasmare l’azione sul criterio giusto.

Non esiste processo affettivo che sia vero senza sacrificio; senza la mortificazione del sacrificio non è possibile una verità affettiva: il sacrificio è come il vento che purifica l’aria nell‘affettività.

266 – «Al di sopra di tutto sia la carità, che è il vincolo della perfezione». È questa la formula della umanità nuova che vive della fede, della gloria di Cristo, come personalità nuova, mendicante, che giudica e ama secondo un criterio nuovo, che riconosce nel sacrificio il fattore che rende vere le cose, soprattutto l’affettività, che genera e nello stesso tempo abbraccia una compagnia, fa dei rapporti umani una compagnia e non ha più obiezione nel dolore, perché il dolore è una obiezione solo per chi non Lo riconosce e non Lo accetta.

affezione a Cristo

72 – Allora l’amare Dio, l’affezione a Cristo, che è l’essenza della moralità, si rivela come una affezione alla compagnia, come devozione alla compagnia, come ascolto; si rivela come sequela.

108 – -Il contenuto della compagnia, cioè l’affezione a Cristo – vivere questo contenuto dovrebbe far scoppiare la nostra vita, trasfigurare la nostra vita -, è degradato; è degradato ideologicamente e praticamente. La realtà della compagnia è tutta degradata, diventa ideologia o diventa pratica di rapporti per evitare la solitudine o per una abitudine consolidata.

125 – Noi dobbiamo giungere a questo, dobbiamo giungere a che l’affezione a Cristo si metta alla radice di tutte le nostre affezioni e, in un modo o nell’altro, vi influisca, perché esse diventino più vere e i nostri rapporti diventino più lieti, cioè la nostra vita diventi più umana, perché è attraverso la nostra vita diventata più umana che tutto il mondo Lo riconoscerà.

211 – […] L’essenza, la natura della preghiera è la domanda. In questa domanda sta la sincerità di un giudizio che riconosce la verità, sta il dolore di una affezione a Cristo per cui uno piange per il tradimento e la sproporzione, ma vibra di una fiducia, non in sé, bensì nella grandezza di Colui che ci ha fatti o, più ancora, nella stupefacente grandezza di Colui che, avendoci fatti, è diventato uno fra noi e si è lasciato uccidere da noi.

affezione a Dio

70 – L’affezione a Dio è l’affezione a Dio fatto uomo, perché non esiste più Dio, se non dentro e attraverso il Dio fatto uomo.

affezione al Mistero

70 – L‘affezione al Mistero, al Padre che ci fa, al Destino, alla felicità che ci attende è l’affezione alla Presenza che ci accompagna: «Colui che è tra noi», come diceva un nostro giovane amico.

Amare/amore

48-49 – Amore e ardore, altruismo e dedizione hanno solo questa sorgente, nell’istante reso pieno dal rapporto con l’infinito: Cristo!

49 - «In questo mondo coloro che mi amano
cercano con tutti ti mezzi
di tenermi avvinto a loro.
Il tuo amore è più grande del loro
eppure mi lasci libero. 
Per timore che io li dimentichi
non osano lasciarmi solo. 
Ma i giorni passano
l'uno dopo l'altro
e Tu non ti fai vedere.
Non ti chiamo nelle mie preghiere
non ti tengo nel mio cuore,
eppure il tuo amore per me
ancora attende il mio amore» (Tagore, «In questo mondo»)

60 – Tu devi amare la tua donna con una stima che supera tutti i termini analiticamente descrivibili del tuo rapporto con la tua donna.

Mentre tu fai i passi, devi amare la meta più che i passi. Nei passi devi amare qualcosa d’altro.

Il passo non diventa però un pretesto momentaneo, no, perché quanto più tu ami la meta, quanto più tu ami quella vetta, tanto più ti ricordi con amore di ogni spuntone di roccia, di ogni sasso che devi brandire con la mano stretta, di ogni passaggio, di ogni momento in cui l’erba si affaccia sull’abisso, ti ricordi di tutto, ami tutto, tutti i sassi. Ami, se e nella misura in cui ami la meta.

68 – Questa affezione si alimenta di tutti i tentativi, si arma di tutti gli strumenti possibili, affinché l’alveo sia rispettato e l’ordine sia mantenuto e l’armonia sia amata, perché l’occhio del Padre sia contento con noi. Egli cerca l’amore e l’amore è in questa affezione che fa tendere tutta la nostra persona. La morale è tendere a Dio.

144 – Nell’Ultima Cena, incominciando con la lavanda dei piedi, Cristo ha affermato il perché andava a morire, perché accettava di morire: accettava di morire per amore degli uomini. Allora la morte non solo non è più la fine del significato, ma è la modalità con cui il significato viene alla luce: la morte dimostra l’amore di Cristo.

Così, il sacrificio nella nostra vita non solo non è contro la vita, ma è la modalità con cui viene alla luce l’amore della vita, che la vita è amore, cioè l’affermazione di qualcosa d’Altro: amare è affermare qualche cosa d’Altro.

Gesù, Dio, che si curva a lavare i piedi dei suoi apostoli, è l’affermazione della dignità, del valore, della stima, del rispetto di questa gente. Amare è affermare l’altro.

La vita dell’uomo è amore, perché è affermare qualcosa che è più grande di sé.

Nel sacrificio, o nella morte cristiana – che è il sacrificio più grande -, è già contenuta la resurrezione; perché un atto d’amore è un atto di vita, non di morte.

159-160 – […] Gioia, per il possesso del rapporto con l’infinito; dolore per la fatica dello strappo.

Uno deve strapparsi alla misura della sua spanna.

Ma quella gioia non è il rapporto con l’infinito astratto, perché nell‘amore alla donna questo strappo vuol dire la verità: l’amore alla donna diventa veritiero, così come l’amore all’amico diventa più vero, l’amore agli uomini diventa più vero, l’amore al lavoro diventa più vero, la dedizione alle cose pubbliche, alla società, l’amore alla umanità, nel suo articolarsi di convivenza, diventa più vero.

La pace è questo strappo alla tua misura breve, per cui, seguendo la prospettiva dell’infinito, il parametro di Cristo, fai diventare pieno di gioia il tuo momento, che rimane momento, ma diventa più vero, finalmente vero.

162 – […] è l’inizio della risurrezione. Perché l’amore tra l’uomo e la donna vissuto nella fedeltà o nella verginità ha una profondità che inizia, pur come lontanissimo albore, il possesso vero, inizia l’amore che ci porteremo fino alla fine del mondo, per l’eternità, inizia la modalità di un possesso vero, inizia l’amore che ci porteremo fino alla fine del mondo, per l’eternità, inizia la modalità di un possesso che si manifesterà per l’eternità.

166 – «L’amore in astratto non avrà mai forza nel mondo, se non affonda le sue radici in comunità concrete, costruite sull’amore fraterno».

J. Ratzinger Il cammino pasquale – pag. 99

«La civiltà dell’amore si costruisce soltanto partendo da piccole comunità fraterne. Si deve cominciare dal particolare per arrivare all’universale»

J. Ratzinger – Il cammino pasquale –

170 -Perciò che la vita, non di santa Teresa del Bambin Gesù o di santa Teresa d’Avila, o di Giovanni, Simone, Andrea, Paolo, ma la mia e la tua, che la nostra vita abbia come legge l’amare, vale a dire affermare Qualcuno, affermare una Presenza più grande di noi! Questo è per tutti.

171/172 – Tutte le volte che ci troviamo, vorremmo dirci tutto quello che ci preme, e come amore alla verità e come amore tra di noi; non si può voler bene senza avere questo desiderio.

Del resto, guardate quello che succede con i vostri figli: il paragone unico di quello che dobbiamo essere vicendevolmente è quello dell’amore che avete ai vostri bambini, perché questo vuol dire essere immagine del Padre, essere fatti come Dio.

251 – La caritas – quel valore senza cui anche dar via tutti i soldi e dare il proprio corpo alle fiamme è niente – è l’amore a Cristo, è il riconoscimento , gridato nel lavoro di ogni giorno, nella fatica e nel rischio di ogni giorno, che tutto gli appartiene.

255 – «Io penso sia per noi un privilegio il fatto che abbiamo l’opportunità di trasformare il nostre amore per Dio in azione vivente, servendo e prendendoci cura di loro…vivendo in tale presenza»

Madre Teresa di Calcutta Un oceano di poveri e l’amore in azione

Il fare per qualcosa non è amore. È progetto, ma non è amore! Sarà umanitarismo, sarà sentimento nobile, ma non è amore.

Salvo quando è fare per qualcuno, il rapporto diventa amoroso. (NB: nel testo originale seguono alcuni esempi dell’amore in azione delle suore di Madre Teresa)

amore a se stessi/a sé

172-173 – Per aver il desiderio di vivere quello che abbiamo detto ieri, bisogna voler bene a sé:

Tu non sei tuo, sei di un Altro, perciò tratta bene la "cosa" di questo Altro.

(La compagnia) è il luogo dove ognuno, in modo commosso e tenace, persegue il suo grande dovere di imitare il Padre, dove trova la sua grande strada, che è imitare il Padre. Altrimenti non ha strada, non ha cammino l’amore a noi stessi, non ha futuro.

L’amore a sé deve diventare sempre più grande.

Appartenenza/appartenere

43-44 – Ma se siamo destinati vuol dire che la nostra consistenza, il nostro valore, il nostro esserci è «di», «s’appoggia a», appartiene a un Altro. Noi apparteniamo a un Altro.

Il paragone biblico della creta che il vasaio prende e modula secondo la sua immaginazione di fabbricatore, di costruttore, d’artista, non di perditempo, è una immagine che alla plasticità aggiunge una persuasività profonda.

44 – (Mosé) solo per obbedienza, iniziò la sua epopea di liberazione. Il che vuol dire che l’uomo appartiene. Occorre partire da una appartenenza, essere posseduti da qualcosa, da un ordine più grande, allora si parte.

Vale a dire, bisogna essere in comunione con qualcosa di più grande per operare la liberazione.

Tutti i gesti che partono dalla nostra sagacia non otterranno frutto; potranno accumulare bene, che i ladri ruberanno e che la tignola corromperà.

52-54 – Per questo il mondo di oggi, che odia ogni compimento e frantuma tutto, odia innanzitutto, soprattutto direi, unicamente il padre, perché il padre indica il principio dell’appartenenza.

Ciò che domina è la reattività, vale a dire ciò che domina è il potere, perché la reattività dell’uomo è tutta quanta manipolata dal potere, da un potere che riesce, come ora, ad avere una tecnica scaltra tra le mani.

Padre: questa è l’idea chiara di Dio. Tutto ciò che sono appartiene a Lui.

53 – È il superamento di schianto di ogni moralismo, perché il punto non è più un seguito di leggi, ma è l’avvenimento, l’evento di una appartenenza, il fatto di una appartenenza, come un feto appartiene all’organismo della madre; e il comportamento è semplicemente una derivazione di questa appartenenza.

62 – Qualunque strada sia stato chiamato a compiere, tu appartieni, e devi affrontarla con la coscienza di questa appartenenza, e questa appartenenza al valore più grande può implicare un sacrificio anche della vita.

64 – Non solo Cristo ci rende fedeli alla legge, ma ci rende liberi dall’esito: vi è cioè la redenzione della fiducia nelle nostre cose, partendo dalla coscienza di appartenenza e quindi partendo dalla coscienza dell’ideale, che diventa come l’anima di tutto ciò che facciamo, anche mangiare e bere.

84-85 – Il frutto più grande dell’esperienza della Fraternità è per me una ridecisione più netta per il movimento come luogo oggettivo in cui vivere Cristo, in cui Cristo mi ha preso e mi accompagna. È una riscoperta elementare della dimensione della comunità, cioè dell’essere insieme, come condizione fondamentale dell’appartenenza.

85 – L’essere insieme è il modo con cui si palesa l’appartenenza, il fatto che noi apparteniamo a qualche cosa d’altro: apparteniamo! È questo il fondamento per cui per camminare bisogna essere insieme: per essere bisogna essere insieme.

Ma io non pensavo allora (quando era al Berchet) all’appartenenza e a tutte queste cose: le ho capite dopo.

Ma l’essere insieme, il dover essere insieme per poter camminare, è il sintomo che apparteniamo a qualche cosa d’altro.

97-98 – La novità è l’appartenenza a un avvenimento che, come un fiume, nasce misteriosamente dalla terra e si dilata ingrossandosi lungo pianure sterminate, lungo la pianura sterminata dalla storia.

98 – La comunità è l’avvenimento a cui apparteniamo, è l’aspetto visibile e sensibile del fatto a cui apparteniamo, e il fatto cui apparteniamo è Dio fatto uomo, Cristo.

Certo noi non apparteniamo al gruppo con cui siamo affiatati, apparteniamo a Cristo. Ma noi apparteniamo al gruppo che frequentiamo, perché il mistero di Cristo e perciò il mistero del Suo corpo misterioso che è la Chiesa – il mistero di Cristo e del popolo di Dio – si identifica nella contingenza storica della compagnia in cui il Signore ci ha dato la grazia di trovarci, attraverso la quale l’autorità giunge al nostro cuore e lo richiama, lo sollecita e lo sostiene, lo aiuta nel grande passaggio.

Se vivi nella tua casa, nella tua famiglia, senza la consapevolezza di questa grande appartenenza, prima di tutto lo spazio di vita si restringe.

Se tu, nella tua famiglia, nella tua casa, non cerchi di vivere questa coscienza di appartenenza al mistero di Cristo e della Chiesa, tutto si restringe.

101-106 – Dobbiamo sviluppare la coscienza dell‘appartenenza a qualcosa di più grande, la coscienza dell’appartenenza a Colui che è tra noi, la coscienza dell’appartenenza al grande mistero della Chiesa, ciò per cui la storia è fatta, ciò per cui la storia è fatta, insistevano i Padri, ciò per cui il mondo è stato creato.

102 – La nostra compagnia è ‘inizio della consapevolezza di appartenere a questo Popolo, tutto il significato della nostra compagnia e l’appartenenza a questo «vero Popolo di Dio».

103 – Ed è veramente compagnia che educa l’appartenenza a questo Popolo, se tu vivi l’appartenenza ad essa. Allora la regola suprema della vita è la sequela e, perciò, è chiaro che occorre imparare che cosa significhi «sequela»-

Se si sviluppa la coscienza dell’appartenenza, allora è chiaro in che cosa consiste la regola della vita: la regola suprema della vita è la sequela.

È nella sequela che avviene il passaggio dalla convenienza umana alla grande convenienza di Cristo, la convenienza ideale.

104 – Mentre la comunità sviluppa la coscienza di appartenenza, esalta la sequela come atteggiamento profondo della vita e l’obbedienza come la convenienza suprema, questo passaggio dalla convenienza umana, dal possesso umano, all’ideale, alla conversione a Cristo, è favorito e aiutato invece, nella comunità, da ciò che chiamiamo regola, dalla compagnia come regola.

La grande obiezione è che scegliamo di appartenere ad altro, scegliamo l’appartenenza ad altro e non a Cristo. Allora la coscienza dell’appartenenza a Cristo e al suo corpo si blocca.

111 – […] è una grazia che questo accada, vale a dire che Cristo diventi familiare alla coscienza, che la nostra coscienza viva l’appartenenza a lui come sentimento abituale, così come voi, mamme, avete come sentimento abituale il senso della presenza di vostri bambini, e il bambino ha come sentimento abituale il senso dell’appartenenza a voi.

148 – L’uomo del mondo di oggi è costruito, è educato sistematicamente a portare via lo sguardo da ciò cui appartiene, da Dio; è educato a quello che abbiamo chiamato stamattina la dissipazione, o la distrazione, la smemoratezza.

La perdita del senso del peccato vuol dire perdita del senso dell’appartenenza a Dio: si tratta qui del peccato come rifiuto del logos, come rifiuto del mondo ordinato a un disegno più grande.

171 – Immedesimiamoci nel sentimento che di sé doveva avere la Madonna appena dopo l’annuncio, poi quando ha visto nascere Gesù, e poi lo ha visto crescere, e poi andarsene, noi dobbiamo chiederle che ci avvicini a questo livello grande di consapevolezza della propria vita, della propria esistenza, del proprio io, come funzione del disegno del Padre, come appartenente a qualcosa d’altro.

182 – Questa compagnia nasce in modo totalmente libero, come luogo di aiuto, cioè a tener desto il senso del destino, del destino di cui siamo fatti, a tenere desto il senso si appartenenza al Padre, la coscienza che tutta la mia vita è in funzione del disegno di Dio, del disegno del Padre.

appartenere a Cristo

38-39 – Se io dico: «Proteggimi», se io dico: «Aiuto», se io dico: «Abbia pietà di me», è perché io appartengo a un Altro. Gli appartengo.

Non esiste parola più veritiera e più consolante di questa perché indica dove sta il nostro tutto: noi, nonostante siamo niente, ci appoggiamo al tutto e possediamo il tutto – il tutto!-. Noi apparteniamo.

39 – Il bambino è tutto in coloro cui appartiene, o è tutto nell’appartenenza al padre e alla madre.

Noi siamo possesso Suo – Suo -: non importa se è senza volto, perché i nostri occhi giungono a pochi metri dentro la nebbia della realtà, ma tanto è oscuro quanto è sicuro questo «Suo». Noi gli apparteniamo.

43 – Se siamo destinati vuol dire che la nostra consistenza, il nostro valore, il nostro esserci è «di», «s’appoggia a», appartiene a un Altro.

Noi apparteniamo a un Altro

98-99 – La comunità è l’avvenimento cui apparteniamo, è l’aspetto visibile e sensibile del fatto a cui apparteniamo, e il fatto cui apparteniamo è Dio fatto uomo, Cristo.

Certo, noi apparteniamo al gruppo con cui siamo affiatati, apparteniamo a Cristo. Ma noi apparteniamo al gruppo che frequentiamo, perché il mistero di Cristo e perciò il mistero del Suo corpo misterioso che è la Chiesa si identifica nella contingenza storica della compagnia con cui il Signore ci ha dato la grazia di trovarci.

99 – La prima condizione di questa compagnia è che appartenga, a sua volta, alla grande compagnia della Chiesa, chela tua Fraternità o il tuo gruppo o la tua comunità appartenga, viva la coscienza dell’appartenenza alla Chiesa, come la Chiesa vive e non può non vivere la sua appartenenza a Cristo.

128 – È questa l’origine della tenerezza e dello stupore senza fondo che Dostoevskij aveva per Cristo, perché nel Figlio è il mistero del Padre, cui noi apparteniamo, che si rende familiare.

Quello che Cristo, come modello di umanità, come parametro introduce in noi è questa coscienza profonda e sempre più invadente che noi apparteniamo a qualcosa di più grande a cui possiamo dire «Padre».

142 – Ecco allora ciò che accade «quando io stesso mi faccio cristiano, quando mi sottometto al nome di questo Cristo, approvandolo così come l’uomo modello, come il parametro normativo di ogni agire umano»: la mia vita incomincia a riconoscersi appartenente a qualcosa di più grande, in funzione di qualcosa di più grande, di un Padre.

237 – La nostra vocazione è appartenere a Cristo

248 – Capisco sempre più che la vera compagnia è solo la trasparenza di una appartenenza a Cristo e alla comunione, quindi, tra noi, sempre più profonda.

appartenere al mondo

105 – Nella scelta di appartenere al mondo – chiamiamola così, con una parola generica – si introduce una eclissi del messaggio del vero, un’eclissi di Cristo, ed è proprio questo che fa dire certe frasi che sento continuamente ripetere, per esempio: «Non sono capace».

Attivismo

107 – Il primo pericolo è l’attivismo: servire il movimento in quanto fa andare avanti le “nostre” cose; noi abbiamo “delle nostre cose”, il movimento fa andare avanti queste cose allora noi ci leghiamo al movimento per le cose che facciamo.

Non leghiamo la nostra persona al movimento, ma siamo legati al movimento per le cose che facciamo.

Questo non sviluppa l’esperienza della nostra vita, perché si è bloccati dentro a un pezzetto, si è bloccati nella cosa che facciamo, e così, per esempio, la modalità con cui la svolgiamo non si riflette su tutto il resto, non si riflette sulla vita familiare, sulla vita amicale ecc…

Il problema non sono le cose del movimento, ma noi.

Autorità

94-96 – Questa difficoltà ad accogliere l’ideale dentro la convenienza umana trova il suo aiuto nel fenomeno che riflette maggiormente la presenza di Dio, del Dio vivo, nel mondo: si chiama autorità.

L‘autorità, infatti, non lascia tregua al mio dare per scontato che «quel che faccio va bene, è giusto, non c’è nulla da aggiungere»; l’autorità fa superare il fariseismo, che è implicata nello sforzo stesso del bene; l’autorità dice chela convenienza in quel che faccio è qualcosa d’altro che non quello che naturalmente vedo, fisso, cui naturalmente mi abbandono.

95 – In quell’assemblea di mille ragazzi della Università Cattolica, quel ragazzo che si alzò a dire: «Colui che è tra noi», mi sarà autorità per tutta la vita.

Perché l’autorità richiama al fatto che il polo di attrazione della vita è un Altro, è un Altro, che è il Mistero da cui tutte le cose sorgono ed è Uomo tra di noi.

Dunque, se la prima cosa di fronte alla grande questione umana è la difficoltà a far penetrare di ideale l’umana convenienza, questo livello drammatico dell’esistenza, l’autorità è l’avvenimento di Dio tra di noi, è l’avvenimento in cui Dio si rende vicino, si rende compagnia che richiama senza tregua.

L'autorità è la grande amicizia.

Ma è chiaro che l’autorità è chi non ci fa dare per scontato quel che siamo, che ci fa comprendere in qualche modo che la convenienza non sta in quel che vediamo noi, ma in qualcosa d’altro, che il polo di attrazione è un Altro.

96 – Ma l’autorità richiama un’altra parola.

Infatti, non esiste autorità, se non è immanente, essenzialmente legata, appartenente, oppure come generata da una comunità e poi rigenerante la comunità.

Non esiste autorità se non in funzione di una comunità.

L’autorità è quell’Uomo che ha iniziato tutto quello cui noi partecipiamo, e dentro questo flusso di popolo, dentro questo Suo corpo misterioso, la Sua autorità fiorisce in parola di richiamo, in esempi persuasivi, riecheggia nel tempo e nella storia, si rende presente, nel tempo e nella storia, attraverso la ricchezza di testimonianza che è tra noi.

98 – Noi apparteniamo al gruppo che frequentiamo, perché il mistero di Cristo e perciò il mistero del Suo corpo che è la Chiesa si identifica nella contingenza storica della compagnia in cui il Signore ci ha dato la grazia di trovarci, attraverso la quale l’autorità giunge al nostro cuore e lo richiama, lo sollecita e lo sostiene, lo aiuta al grande passaggio.

100-101 – È questo il valore della comunità: perché l’autorità agisce nella comunità.

E quando la comunità sembrasse o fosse sprovveduta di fenomeni autorevoli, e quindi di grazie particolari di aiuto, […] in quel caso la stessa comunità, in quanto continua una storia, è l’ultimo spalto, l’ultima trincea dell’autorità.

Certo in quei frangenti, se la comunità è senza persone e fatti autorevoli, aiuterà di meno, però è la strada.

101 – La comunità come tale, in quanto appartiene al fatto del movimento come tale, è l’ultimo aspetto dell’autorità.

Di fronte all’autorità e alla comunità, quello che dobbiamo sviluppare in noi è ciò cui ho già accennato tante volte: la coscienza dell’appartenenza a Colui che è tra noi.

104-105 – La grande obiezione è che scegliamo di appartenere al altro, scegliamo l’appartenenza ad altro e non a Cristo. Allora la coscienza dell’appartenenza a Cristo e al suo corpo si blocca. Queste cose possono avvenire senza che uno se ne accorga.

Ecco il valore della compagnia e dell’autorità che essa sviluppa: ti richiama.

Se sei toccato da un certo richiamo, questa è la grazia, e in te occorre esattamente il contrario di quanto pensi, occorre cioè la povertà.


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