Riassunto di “La bellezza disarmata”

di Julian Carròn

Dalla copertina

Un invito ad aprirsi agli altri e a non irrigidirsi sulle proprie posizioni. un’esortazione ai cristiani a entrare senza timore in un dialogo a tutto campo nello spazio pubblico e a verificare la capacità ddella fede di reggere davanti alle nuove sfide della nostra realtà.

La bellezza disarmata propone gli elementi essenziali della riflessione svolta da don Julian Carròn a partire dalla sua elezione a presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione.

I suoi scritti, nati da un costante approfondimento della proposta cristiana nel solco di don Luigi Giussani, costituiscono una lucida e appassionata testimonianza sul senso del vivere e del credere oggi, alla luce del magistero pontificio e confrontandosi con il travaglio e le urgenze dell’uomo contemporaneo.

Un prezioso contributo per chiunque sia alla ricerca di ragione adeguate per vivere e costruire spazi di ilibertà e di convivenza in una societa pluralistica.


1 – È possibile un  nuovo inizio?

Che cosa è in gioco (pag.5)

L’Europa è nata intorno a poche parole: persona, lavoro, ragione, materia, progresso e libertà. Tutte queste parole hanno raggiunto la loro piena ed autentica maturità attraverso il cristianesimo.

Erano valori talmente innegabili che l’Illuminismo ritenne che potevano prescindere dalla loro origine cristiana.

Questa rassicurante certezza è fallita: un etica senza Dio fa sì che il potere decide quello che è bene e quello che è male dogmaticamente arrivando così all’accantonamento totale dell’uomo “io sol uno…”.

Si sta andando così verso una confusa ideologia della libertà che conduce ad un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà: il tentativo quindi di affrancarsi dalle radici cristiane, per assicurarsi una piena ed autonoma affermazione dell’uomo, diventa in ultima analisi un fare a meno dell’uomo.

L’illuminismo non esprime la compiuta ragione dell’uomo, ma soltanto una parte di esso e per via di questa  mutilazione della ragione non la si può considerare del tutto razionale e per sostenersi ha bisogno di una auto-assolutizzazione.

Oggi l’Europa ha due anime: una ragione astratta ed antistorica che intende dominare tutto perché si sente sopra le culture e l’altra anima è cristiana che si apre a tutto ciò che è ragionevole, che ha creato l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica ancorando il tutto alla visione della fede cristiana.

Qui sta il tentativo di distruggere l’umano la cui essenza è la libertà cioè il rapporto con l’infinito.

E’ la battaglia tra la religiosità autentica e il potere. Questa è la vera natura della crisi, ancor prima di quella economica.

Questo non significa tornare ad uno stato confessionale  (che a sua volta finisce per auto assolutizzarsi e uccidere la libertà): il cristianesimo (per primo) ha negato allo Stato di diritto di considerare la religione come una parte dell’ordinamento statale, postulando così la libertà della fede.

Da dove ripartire quindi?

Il cuore dell’uomo non si arrende (12)

Ma il cuore dell’uomo continua irriducibilmente a sollecitare ragione e libertà, la paura di procreare è conseguenza di considerare riduttivamente la libertà come spazio o tempo per sé:

è lo smarrimento di fronte ai fondamentali del vivere.

Le domande non sono cancellate, ma viene data una risposta ridotta. Siamo quindi di fronte ad una grande occasione per riscoprire le grandi convinzioni che possono riassicurare la convivenza stessa.

A tema è sempre l’uomo e il suo compimento (15)

Il moltiplicarsi dei diritti individuali esprime l’aspettativa che l’ordine giuridico possa risolvere i drammi umani e assicurare soddisfazione ai bisogni infiniti che abitano il cuore umano, ma mettono al centro un soggetto che rivendica la sola autodeterminazione assoluta: è una forma di consumismo dell’ideale: infatti ogni volta che afferra il suo oggetto ne rimane deluso e quindi parte alla ricerca di nuovi: questa cultura porta in sé la convinzione che il conseguimento di sempre nuovi diritti costituisca la strada per la realizzazione della persona.

È la grande miopia dell’illuminismo nel guardare ai bisogni dell’uomo: propone risposte parziali all’infinito che sono la grande menzogna della cultura odierna. È l’incomprensione della natura infinita del desiderio, il mancato riconoscimento della stoffa dell’io che porta di fatto a ridurre la persona al genere, ai suoi fattori biologici, fisiologici ecc..

La grande contraddizione: si esalta in maniera assoluta un “Io” senza limiti nei suoi diritti e nello stesso tempo si afferma che il soggetto è un nulla che si dissolve.

Chi è contrario ai nuovi diritti assume però una posizione analoga e pure lui riduce i fondamentali a legge statale e su questo piano combatte gli avversari.

C’è un’altra strada?

Approfondire la natura del soggetto (21)

Solo mettendo a tema l’uomo e il suo costitutivo anelito al compimento, il suo bisogno profondo potremo riscrivere e vivere il valori.

È infatti il senso religioso la radice da cui scaturiscono i valori che sono il nesso tra il contingente e la totalità a cui aspira il cuore dell’uomo.

È il senso religioso il complesso di esigenze ultime che definiscono il fondo di ogni essere umano – esigenze di verità, bellezza, bontà, giustizia, di felicità – che misura che cosa sia il valore: un fattore comune a tutti gli uomini: fattore comune a tutti gli uomini che può aprire la strada alla ricerca di certezze condivise.

Quindi, la soluzione dei problemi non sta nel loro affronto immediato e diretto, ma nell’approfondire la natura del soggetto che li affronta.

Il problema è il particolare che si risolve approfondendo l’essenziale.

Il potere attuale ci illude, ci domina riducendo il nostro desiderio più profondo a piccole cose che non soddisfano mai e che sommate all’infinito producono la grande menzogna.

Cosa può ridestare il desiderio? L’incontro con una persona che lo (il senso religioso)vive fino in fondo e che genera una invincibile attrattiva perché corrisponde, sorprendentemente, al nostro io più profondo. Per questo il rapporto con l’altro è una dimensione costitutiva.

L’altro è un bene (25)

Solo nell’incontro con l’altro potremo sviluppare insieme quel processo di argomentazione sensibile alla verità. Anche le strutture migliori funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di motivare gli uomini ad una libera adesione all’ordinamento comunitario.

La libertà necessita di una convinzione che non può esistere da sé ma deve essere riconquistata comunitariamente nel mondo cattolico.

La battaglia dei valori è diventata nel tempo così prioritaria da risultare più importante rispetto alla comunicazione della novità di Cristo e alla testimonianza della sua umanità.

È l’aspetto pelagiano o cristianista del cattolicesimo attuale che si autopriva della Grazia o la considera troppo poco.

Questo cristianesimo non può presumere che dalla sua azione possa meccanicamente sorgere il rinnovamento ideale senza ciò che primerea, cioè Cristo.

La verità, infatti, non si impone che per la forza stessa spiaccicata sul volto di chi l’ha incontrata.

È così che nei primi tre secoli e mezzo dell’era cristiana, l’impero romano si è accorto che il 60% della sua popolazione era cristiana.

Solo così l’Europa tornerà agli spazi di convivenza che dipende tutta da una certezza condivisa assolutamente necessaria per una vita comune.


2 -Verità e libertà: un esempio paradigmatico

Le evidenze e la storia (32)

  • Il crollo delle evidenze con il conseguente collasso del senso di umanità è sotto gli occhi di tutti. Come è potuto accadere?. L’illuminismo sostenne e realizzò lo sganciamento dei valori cristiani evidenti ed innegabili dalla sfera religiosa per evitare le continue guerre di religione che imperversavano in Europa: un tentativo comprensibile. Quale è stato l’esito? Ratzinger: «La ricerca di una tale rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestabile al di là di tutte le differenze, è fallita». Quelle convinzioni non hanno superato la prova della loro “autonomia”. Perché è fallito? Quei valori fondamentali sono legati alla Rivelazione, sono entrati nella storia per la potenza della testimonianza di Cristo e per la sua capacità di ridestare la ragione e la libertà dell’uomo. Negare questo fondamentale è semplicemente sleale.
  • In questo momento storico appare quindi assai poco intelligente e tatticamente improduttivo insistere sui valori: essi non sono più evidenti essendo stati sganciati dalla loro fonte che è Cristo. Su questa strada, come succede oggi, finiamo con il considerare gli altri come persone cattive perché non li accettano. Insistere sui valori è sfiancante e frustrante perché diamo per scontato l’evidenza che non c’è più. Occorre ritornare a vivere come i cristiani dei primi secoli che con la loro vita rivoluzionaria, attraevano. Non a caso don Giussani ha posto al centro l’urgenza di riscoprire e comunicare il cristianesimo nei suoi elementi originali, come avvenimento carico di attrattiva, che afferra l’uomo per la sua bellezza, per la sua corrispondenza alle esigenze del cuore.

Il problema della libertà (40)

  1. Ratzinger: « La cultura illuminista sostanzialmente è definita dai diritti di libertà; essa parte dalla libertà come valore fondamentale che misura tutto». «Nella coscienza dell’umanità di oggi la libertà appare di gran lunga come il bene più alto, al quale tutti gli altri beni sono subordinati». Il nostro rapporto con il reale è ad ogni livello caratterizzato dalla libertà, implica strutturalmente il gioco della libertà. È questo il rischio che il Mistero ha voluto correre creando l’uomo libero ed è questo che ci procura vertigine paura fino allo scandalo. L’insieme del crollo delle evidenze e la libertà potrebbe indurre a pensare che, siccome l’uso della libertà è rischioso, allora la via più sicura per difendere i valori sarebbe quella di imporli, così che la libertà non si smarrirebbe: è una scorciatoia inutile perché non si può modificare la struttura dell’io. Questa è esattamente la situazione in cui ci troviamo tutti: il dramma della libertà.
  2. Cosa fece la Chiesa nascente nell’immenso prato di zizzania che era l’Impero Romano?…Paolo con la lettera a Filemone non lo invita a lottare contro la schiavitù. Lo invita invece ad amare lo schiavo come se fosse un fratello: getta il seme nel campo di zizzania che dopo qualche secolo eliminerà la schiavitù…..una semplice indagine storica dimostra come l’era romana e la nostra si assomigliano: mentre nell’impero romano i valori cristiani erano inesistenti, oggi gli stessi valori che hanno sorretto duemila anni di storia non sono più evidenti, non sono più necessari e non ci dobbiamo stupire che la barbarie avanzi a tutti i livelli.
  3. I primi cristiani pregavano per l’imperatore, ma non lo adoravano separando da subito religione e Stato e perseguirono questo loro atteggiamento fino al martirio. Fino all’editto di Milano del 313 e poi l’editto di Tessalonica che dichiarò ufficialmente il cristianesimo come religione di stato. Per secoli la tentazione dell’egemonia del cuius regio, eius religio ha determinato perfino i confini degli stati con tutti i drammi e conseguenze del caso. Fino al Concilio Vaticano II che afferma solennemente che qualunque persona ha diritto alla libertà religiosa che deve essere riconosciuta nell’ordinamento giuridico della società. Benedetto XVI: ”…una cosa completamente diversa è invece considerare la libertà religiosa come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo mediante il processo di convincimento”. In sostanza la libertà religiosa non è un diritto giuridico, una invenzione filosofica, una trovata democratica, ma discende direttamente da una coscienza piena della natura della libertà e del rapporto tra essa e la libertà. La verità non può essere imposta dall’esterno, deve essere abbracciata e fatta propria dall’uomo nella libertà in piena sintonia con l’insegnamento di Gesù e dei primi apostoli. E quantunque nella vita del popolo di Dio, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno.
  • Per molto tempo si è dunque oscurato il significato della libertà religiosa. Come è stato possibile? Il patrimonio di valori che una generazione riceve in consegna da quella precedente rappresenta un invito alla libertà: essa può farlo proprio o rifiutarlo perché esso non può avere la medesima evidenza delle invenzioni materiali. Come può quindi la libertà essere di nuovo conquistata per il bene, dato che la libera adesione al bene non esiste mai semplicemente da sé? Con la testimonianza come accadde agli inizi con l’avvenimento di Cristo. La Chiesa non vuole più rivendicare alcun diritto a qualsiasi forma di potere ma solo raggiungere il cuore delle persone. In una società come questa non si può creare qualcosa di nuovo se non con la vita: non c’è struttura, né organizzazione o iniziative che tengano. E’ solo una vita diversa e nuova che può rivoluzionare strutture, iniziative, rapporti, insomma tutto. Quanto tempo ci vorrà perché il seme fruttifichi non è nella nostra disponibilità: il seme di Paolo con Onesimo ha fato frutto dopo secoli. Abbiamo “solo” da vivere l’avvenimento di Cristo là dove siamo in modo che lo possano tutti  vedere spiaccicato sul nostro volto.

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3 – Nel crollo delle evidenze, la generazione di un soggetto

Una percezione diversa del reale (56)

Il primo dono che ci ha fatto don Giussani è stata la sua percezione del reale che già negli anni 50 gli permetteva di cogliere cose che nessuno vedeva: la dottrina, pur trasmessa in modo ortodosso, non penetrava più la vita, non diventava di nuovo esperienza.

È la ragione per la quale ha fondato un movimento mettendo a tema l’esperienza perché senza di essa – cioè se la dottrina non entra nella vita – è impossibile capire la natura della fede.

Una debolezza di coscienza “come se non ci fosse più nessuna evidenza” (58)

Ma negli anni 80 don Giussani si accorge di qualcosa di ancora più grave che non era solo una fragilità morale o una incoerenza etica:” …mi pare che la differenza stia in una maggiore debolezza di coscienza che adesso si ha, una debolezza non etica, ma di energia della coscienza…è come se non ci fosse più una evidenza reale se non la moda, perché la moda è un progetto del potere”.

Questo venir meno dell’evidenza è cresciuto esponenzialmente negli anni e continua a crescere.

Il fatto che facciamo fatica a renderci conto di questo ci dice fino a che punto noi partecipiamo a questa situazione.

Facciamo esattamente come i farisei che puntavano sull’etica quando Gesù andava a casa di Zaccheo: la riduzione dell’io e del desiderio da parte del potere ci rende pelagiani e farisei. Pensare di affrontare la situazione con la dialettica, fa già parte della nostra incapacità di riconoscere l’evidenza.

Una riduzione della capacità di guardare (61)

Il potere non riduce innanzitutto la capacità etica, di coerenza, ma la capacità di guardare

L’incapacità di guardare produce una ridotta capacità di capire.

Allora se siamo così vinti, come facciamo a vincere?. Occorre che qualcuno venga dal di fuori, deve venire qualcuno dal di fuori….questo non ci piace perché non corrisponde alla nostra fantasia e preferiamo inseguire una pretesa impotente e fraudolenta perché identifica il rimedio con una propria immagine del reale. È così che nasce il discorso morale.

Cristo è venuto per risvegliare la nostra capacità di conoscere il reale (63)

La Commissione teologica internazionale qualche anno fa dichiarava:”Bisogna essere modesti e prudenti quando si invoca “l’evidenza” dei precetti della legge naturale”.

Per questo Giussani ci ha comunicato il cristianesimo. Ci ha testimoniato che Cristo è venuto proprio per risvegliare in noi il senso religioso, per ridestare in noi la capacità di conoscere il reale.

Se non ci rendiamo conto di questo, finiremo per tamponare qua e là qualche conseguenza, ma senza aiutare l’uomo a vedere veramente.

La rivoluzione marxista prima e quella sessuale poi, rappresentano due tentativi, a livello sociale e a livello individuale, di salvarsi da sé.

Guardare come Giussani ha affrontato la sfida marxista è un ottimo paradigma per capire come affrontare la sfida attuale.

Una insicurezza esistenziale, che fa cercare l’appoggio nelle cose che si fanno (65)

Nei tentativi di quegli anni, pur animati dal desiderio di rispondere alla situazione generata dalla contestazione studentesca, c’era come prima conseguenza di un certo impegno assunto “una concezione efficientistica dell’impegno cristiano, con accentuazioni di moralismo”…a distanza di anni possiamo dire con riduzione intera a moralismo!

Questo accadeva per l’ingenuità che dice: “adesso vengo io a mettere a posto le cose”. Questo nasce da una insicurezza e paura esistenziale che si aggrappa con tutte le forze a ciò che conosce producendo solo organizzazione e similcultura: l’orrendo e occulto veleno di quell’errore era che in questo veniva definita la propria consistenza di persona.

E invece la consistenza della nostra persona è un Altro ma questo ci apparve troppo poco efficiente per quella lotta

Che cosa ha prodotto quel lavoro tanto “efficiente”?…..la situazione di oggi peggiorata esponenzialmente…. E non abbiamo ancora capito tanto che insistiamo invocando la certezza delle evidenze e continuiamo imperterriti a non toccare l’origine ultima della questione e con la certezza che resteremo ingenui.

Prendere coscienza della natura dell’io  (67)

Don Giussani sottolinea che la persona ridotta dal potere, «ritrova sé stessa solo in un incontro vivo, vale a dire in una presenza in cui si imbatte e che sprigiona un’attrattiva».

Se questo non succede l’uomo non ritrova sé stesso e non potrà che uscire ancora più ridotto dai suoi sforzi di risolvere il problema.

Che cosa fa Gesù? Incontra le persona e mette davanti a loro una presenza umana, la Sua, non ridotta.

È imbattendosi in Lui, nella Sua presenza che può risvegliarsi l’umanità di chi incontra.

Cristo non è venuto a risolvere i problemi dell’uomo, ma è venuto a ridestare l’io, mettendolo nella posizione giusta per affrontarli.

Per questo la soluzione dei problemi emergenti nella vita quotidiana «non avviene affrontando i problemi direttamente, ma approfondendo la natura del soggetto che li affronta».

“ Nessuno genera se non è generato” (67)

L’esperienza cristiana realmente vissuta rende l’io libero da tutti i tentativi parziali, lo fa traboccare di gioia e di pienezza, ponendo davanti a tutti una umanità veramente desiderabile assai più di una opinione religiosa anche ben declinata che spesso è al servizio della propria orgogliosa misura.

Che fare quindi? “Nessuno genera se non è generato”.  

Don Giussani ha speso tutto sé stesso per generare adulti come lui, così traboccanti della presenza di Cristo da poter testimoniare davanti a tutti chi è Cristo: una presenza desiderabile da tutti quando incontrata.

Tutti fanno di tutto e anche di più per organizzare piani pastorali dettagliati dando per scontato il soggetto.

Don Giussani si è dedicato “solo” al soggetto.

Lui invece si è dedicato “solo” al soggetto. Solo così potremo vivere nel contesto attuale con una diversità di sguardo secondo una modalità originale di presenza nel reale.

Gesti di umanità nuova che suscitano interesse (71)

Per far fronte alle sfide attuali deve accadere qualcosa che ridesti l’io così che esso possa ricominciare a guardare le cose con sufficiente chiarezza e aderire a ciò che di nuovo riconosce come evidente. 

« Non si costruisce una realtà nuova con dei discorsi o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente».

Gesti di umanità nuova, cioè di amicizia: sono i tratti che descrivono una presenza originale.

Altrimenti l’unica cosa che sapremo fare sarà tamponare le conseguenze.

Don Giussani lo aveva capito molto bene: Cristo è venuto per risvegliare l’uomo; e la Sua presenza è documentata dal fatto che chi Lo riconosce si rapporta diversamente al reale, vive intensamente ogni circostanza che gli è data.

Solo se facciamo esperienza di questo, possiamo comunicarlo agli altri, dando le ragioni della nostra fede, muovendo quindi qualcosa nella ragione di chi incontriamo: è quello che è documentato nei primi secoli del cristianesimo….dopo tre secoli più della metà dell’impero era cristiana….se invece pensiamo che questo non è sufficiente o efficace il nostro contributo sarà pari a zero.

La dimostrazione storica del 68 ad oggi è sotto i nostri occhi a documentare la totale inefficacia del livello della nostra presuntuosa efficienza.

4 – La sfida del vero dialogo dopo gli attentati di Parigi (74)

Nella vicenda di Charlie Hebdo non abbiamo potuto evitare un forte sentimento di paura e smarrimento che non debbono però diventare criterio di giudizio.

Bisogna chiedersi qual è la vera natura della sfida che gli attentati di Parigi rappresentano.

L’Europa è diventata uno spazio libero che non si preserva da sé e può essere minacciata in ogni momento da chi ha paura della libertà e vuole imporre con la violenza la propria visione delle cose.

Gli attentatori non vengono da fuori: sono immigrati di seconda generazione che sono stati cresciuti ed istruiti qui.

Il problema è quindi interno all’Europa. La sfida si gioca anche con la politica e l’intelligence.

La vera sfida è di natura culturale e il suo terreno è la vita quotidiana.

È quindi la medesima sfida che abbiamo di fronte ai nostri figli: abbiamo da offrire loro qualcosa all’altezza della domanda di compimento  e di senso che si trovano addosso?

Oggi tantissimi vivono nel regno del nulla e nel vuoto profondo che costituisce l’origine della violenza anche dei giovani europei.

È a questo vuoto corrosivo, a questo nulla dilagante che bisogna rispondere.

Non esiste accesso alla verità se non attraverso la libertà

La contrapposizione in nome di una idea pur giusta E’ STERILE: da tempo abbiamo imparato che non esiste accesso alla verità se non attraverso la libertà. Infatti senza qualcosa per cui valga la pena vivere, senza una ipotesi di significato irrompe il nulla violento dei fatti di Parigi.

Questo è allora il vero elemento che deciderà del futuro dell’Europa: se essa saprà finalmente diventare il luogo di un incontro reale tra proposte di significato, pur diverse e molteplici.

Ma noi cristiani crediamo ancora nella capacità della fede di esercitare una attrattiva su coloro che incontriamo?

È quindi una grande opportunità storica per tutti: anche per i cristiani. Papa FrancescoSolo così si può proporre nella sua forza, nella sua bellezza, nella sua semplicità, l’annuncio liberante dell’amore di Dio e della salvezza che Cristo ci offre».

Il problema però è: ma noi cristiani crediamo ancora nella capacità della fede che abbiamo ricevuto di esercitare un’attrattiva su coloro che incontriamo e nel fascino vincente della sua bellezza disarmata?….fu questa bellezza a conquistare l’impero romano che era assai peggio della situazione in cui viviamo oggi…..che ci piaccia oppure no.

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Seconda parte

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5 – il cristianesimo davanti alle sfide del presente (81)

Dostoesvskij: «Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo».

L’insistenza di Dostoevskij sulle circostanze nelle quali – da oltre un secolo! – siamo chiamati a vivere la fede mostra sino a che punto egli le consideri decisive.

«Le circostanze per cui Dio ci fa passare sono fattore essenziale e non secondario della nostra vocazione, della missione a cui ci chiama. Se il cristianesimo è annuncio del fatto che il Mistero si è incarnato in un uomo, la circostanza in cui uno prende posizione su questo, di fronte al mondo, è importante per il definirsi stesso della sua testimonianza».

Don Giussani

Oggi siamo chiamati a vivere la fede senza un contesto che ci protegga; non solo senza privilegi, ma addirittura, talvolta, perseguitati.

Le reazioni dei cristiani sono molteplici e diverse tra di loro: c’è chi prova rabbia, chi si ritira in un guscio protetto, chi reagisce sventolando le evidenze naturali (che non sono  più evidenti) senza preoccuparsi di dare ragione della positività nel contesto di pluralismo in cui viviamo.

Per poter liberarsi dalla contingenza storica attuale abbiamo bisogno di vivere la fede nella società in modo tale che gli altri possano percepire la nostra presenza non come qualcosa da cui difendersi, ma come un contributo al bene proprio e comune. Nel 1996 Ratzinger sostenevache la fede può fare ancora breccia ed essere accolta perché: «essa trova corrispondenza nella natura dell’uomo..nell’uomo vi è una inestinguibile aspirazione nostalgica verso l’infinito».

Il desiderio costitutivo dell’uomo (86)

L’inquietudine che ci fa percepire le esigenze inestirpabili del cuore e che da sempre spinge gli uomini alla ricerca della verità di sé, ha sofferto in modo molto grave l’influenza delle vicende storiche.

Don Giussani: «L’organismo umano strutturalmente è fatto come prima, ma dinamicamente non è più lo stesso. Si rimane astratti nel rapporto con sé stessi, come affettivamente scarichi (senza energia affettiva per aderire alla realtà)».

La lunga parabola che dall’Umanesimo al Rinascimento – nati con l’intenzione di affermare l’umano – è sfociata in questo letargo e noia esistenziali che abbiamo davanti agli occhi, e si manifesta in un nichilismo “gaio” nel senso che è privo dell’inquietudine necessaria per svegliarsi o almeno porsi il problema.

A questo si aggiunge il relativismo che proclama che tutto si equivale e non esiste verità.

Questo disinteresse omologante inficia ormai anche il cristianesimo che è diventato una stazione di servizi emotivi destinata ad appagare alcuni bisogni irrazionali.

È in questa situazione che il cristianesimo deve mostrare la sua rilevanza antropologica e può contare su un formidabile alleato: tutte le difficoltà che l’uomo contemporaneo vive non riescono a sradicare dal suo cuore la speranza che si realizzi la sua pienezza umana.

Anche quando la persona entra nelle domande, dubita, le allontana, le nasconde, fa finta di non sentirle, nel cuore continuano a bussare.

Il cuore nostro alleato è la nostra speranza…come risvegliarlo?

Un avvenimento imprevedibile (91)

L’“imprevisto”è avvenuto in Gesù Cristo, il Verbo incarnato. Con Lui il Mistero è entrato nella storia diventando compagno dell’uomo, proponendosi come risposta alla sua esigenza di felicità.

La disgrazia è che molti di coloro che ancora si avvicinano alla Chiesa alla ricerca di una risposta spesso si trovano di fronte a versioni ridotte del cristianesimo.

Alcune riduzioni possibili:

  • La riduzione a nozionismo senza riferimento alla vita reale. La mancanza di esperienza personale dell’avvenimento cristiano rende l’uomo incapace di comprenderlo e quindi si genera un crescente allontanamento o estraniamento dalla pre-comprensione generale della fede cristiana.
  • Di non minore diffusione e visibilità è la riduzione del cristianesimo ad etica, a valori.

«Questo è l’occulto e orrendo veleno del vostro errore che pretendiate di far consistere la Grazia di Cristo nel dono del Suo esempio, e non nel dono della sua Persona».  

Sant’Agostino

«Il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole».  

Giovanni Paolo II

« L’idea genericamente diffusa è che i cristiani debbano osservare una immensità di comandamenti e divieti, princìpi e simili, e che quindi il cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere e che si è più liberi senza questi fardelli. Io invece vorrei mettere in chiaro che essere sostenuti da un grande Amore e da una –Rivelazione non è un fardello ma sono ali”.

Benedetto XVI

Non fu certo per queste riduzioni che nel 350 dopo Cristo l’impero Romano si ritrovò, a sorpresa, ad essere composto per più del 50% da cristiani, schiavi compresi.

Da dove ricominciare?

«L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la loro vita è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi». «L’avvenimento cristiano ha la forma di un “incontro”, un incontro umano». «E’ l’imbattersi in una diversità che attrae in quanto corrisponde al cuore, passa cioè attraverso il paragone e il giudizio della ragione, e suscita la libertà nella sua affettività».

Don Giussani

Deus caritas est: « All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».

Deus caritas est

La natura del cristianesimo è di essere avvenimento.

La contemporaneità di Cristo (101)

«In rapporto all’Assoluto non c’è infatti che un solo tempo: il presente; per colui che non è contemporaneo con l’Assoluto, l’Assoluto non esiste affatto. E poiché Cristo è l’Assoluto, è facile vedere che rispetto a Lui è possibile solo una situazione: quella contemporanea».

Kierkegard

È tanto vero che la vita di Cristo si comunica a noi in maniera così reale che veniamo trasformati in una nuova creatura.

È attraverso questa novità impossibile alle sole forze dell’uomo, che Cristo testimonia la sua contemporaneità.

È così che la Chiesa ha la coscienza di essere la “trasparenza di Cristo” per il mondo, ponendo in lui la sua consistenza.

Senza la contemporaneità della presenza di Cristo in una umanità che Egli ha reso diversa non sarebbe possibile la fede cristiana come adesione ragionevole, perché sarebbe impossibile verificare qui ed ora la sua capacità di rispondere all’attesa di compimento che tutti, in un modo o nell’altro, segretamente coltiviamo.

Il compimento dell’umano realizzato in una persona ci testimonia che quello che desideriamo esiste come qualcosa di accessibile che si può toccare, vedere, riconoscere.

Questo è ciò che rende possibile che il cristianesimo si trasmetta, che si formi una tradizione, che non è solo la trasmissione di un contenuto dottrinale, ma il rinnovato accadere dell’esperienza originale, l’incontro con una umanità diversità.

Il rapporto con questa umanità nuova è ciò che ci permette di partecipare alla Sua novità, e quindi di scoprire i motivi che rendono ragionevole la nostra adesione a Cristo oggi e la convenienza della fede, perché essa non teme la ragione, ma anzi, la esige con forza.

Senza la nostra umanità non esisterebbe la fede cristiana, soprattutto oggi, in un tempo in cui essa è così profondamente contestata e assediata.

Solo tale esperienza può generare un protagonista nuovo nella storia, un uomo libero, consistente, non dipendente dalla mentalità comune, capace di convertirsi in soggetto della propria liberazione, cioè in grado di prendere l’iniziativa per creare opere che rispondano ai bisogni di tutti e possano generare lavoro dignitoso.

Nessuna analisi sociologica, nessun moralismo, nessuna ideologia è stata, è o sarà in grado di suscitare un simile soggetto.

In questo momento, in cui il degrado dell’uomo avanza e non ci sono luoghi di vera educazione, la Chiesa ha l’opportunità di mostrare il suo vero volto, la potenza e la bellezza della vita che scorre nelle sue vene.

Il metodo della presenza cristiana in una società pluralista (109)

Questo è il compito fondamentale per i cristiani in una società pluralista: essere sé stessi testimoniando la novità di vita che nasce dall’incontro con Cristo.

«Il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà».

Benedetto XVI

Non c’è altro modo di comunicare la verità se non in quanto incarnata nella propria vita.

Questo si chiama testimonianza” la categoria con la quale intendiamo indicare la modalità della nostra presenza come cristiani nella società.

Perché solo la testimonianza della bellezza di una vita cambiata può attirare a Cristo.

Infatti solo l’incontro con la bellezza di Cristo che risplende nel volto di un uomo può trasformarsi in una freccia che ferisce l’anima e in questo modo aprire gli occhi, permettendo il Suo riconoscimento.

Questo è ciò che ciascuno di noi attende e che insieme attendono i nostri contemporanei.


6 – Il senso religioso, verifica della fede  (114)

L’avvenimento cristiano è capace di ridestare l’io dal suo torpore e dalla noia mortale?.

« Quando miro in ciel arder le stelle\ Dico fra me pensando:\ A che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo\ Infinito seren? Che vuol dire questa | Solitudine immensa? Ed io che sono?».

Giacomo Leopardi

Così Giacomo Leopardi in modo mirabile descrive l’esperienza in cui si svela il cuore dell’uomo.

Il senso religioso si identifica con la natura del nostro io in quanto si esprime in queste domande, “coincide con quel radicale impegno del nostro io con la vita, che si documenta in queste domande”.  

Cristo è venuto ad educarci al senso religioso.

Un senso religioso vivo rappresenta perciò una verifica della fede e non ne è semplicemente premessa.

« La crisi della predicazione cristiana dipende in gran parte dal fatto che le risposte cristiane trascurano gli interrogativi dell’uomo»

Ratzinger

La pertinenza della fede alle esigenze della vita si documenta, infatti, nella capacità della fede di ridestare l’io, di farlo diventare sé stesso, di  mantenerlo nella posizione giusta per affrontare tutta l’esistenza, con le sue prove e la sua problematicità.

Cristo è utile, verificandone la capacità con il “senso religioso” per il cammino che l’uomo fa nel rapporto con le cose, camminando verso il suo destino?.

Se invece c’entra solo con una vita futura in paradiso affermiamo il protestantesimo che è il vero e reale problema della Chiesa oggi.

E’ se opera

……. e si  manifesta per i segni del risveglio umano che vedo accadere in me o negli altri.

La Sua presenza è tanto oggettiva quanto i segni che la documentano.

Un senso religioso desto, senza rimozioni o censure, costituisce un segno e una verifica dell’incontro con qualcosa d’altro più grande di sé.

Tutto questo necessita della esigenza operativa della ragione il cui vertice è la “percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende. E’ l’idea di Mistero”.

Quando riduciamo la ragione al suo aspetto percettivamente immediato, privata del suo significato, della sua profondità soffochiamo nelle circostanze: quando è ridotta all’apparenza , la realtà diventa una gabbia.

Quando riduciamo la ragione all’apparenza, la realtà diventa una gabbia soffocante.

«Una delle funzioni della fede, e non tra le più irrilevanti, è quella di offrire una risanamento alla ragione come ragione, di non usarle violenza, di non rimanerle estranea ma di ricondurla nuovamente a sé stessa».

Ratzinger

L’esaltazione della ragione, la liberazione dalle sue riduzioni è di nuovo la verifica di una fede reale.

Perché è così decisivo oggi il ridestarsi del senso religioso?

«E’ come se il potere, vale a dire la mentalità dominante, avesse costretto i nostri educatori, compresi i genitori, ad alterare la semplicità della nostra natura”

Don Giussani

……..fin da piccoli. Perciò bisogna recuperare la semplicità della natura nostra. Il “Senso religioso” non è nient’altro che un invito e uno stimolo a recuperare la semplicità della nostra natura».

C’è un unico punto datoci dal Mistero per strapparci dal nulla verso cui ci induce il potere: quell’incontro e quella esperienza viva di Chiesa attraverso cui Cristo ha persuasivamente toccato la nostra vita.

Altrimenti, inconsapevolmente, da cristiani dichiarati ed impegnati faremo il gioco del potere con una sconfinata varietà di tentativi ultimamente impotenti, in cui ciascuno enfatizza gli aspetti più consoni alla sua indole.

È da questa varietà di tentativi impotenti che ci libera Cristo.

Cristo chiarisce il senso religioso(122)

«L’oggetto del senso religioso ultimamente è il Mistero insondabile. La verità è una ed inarrivabile all’uomo. Allora il Mistero è diventato un fatto umano, è diventato uomo, un uomo che si muoveva con le gambe, che mangiava con la bocca, che piangeva con gli occhi, che è morto: questo è il vero oggetto del senso religioso. Allora, scoprendo questo fatto di Cristo che mi si rivela, mi si chiarisce in modo grandioso anche il senso religioso».

Don Giussani

La grandiosa documentazione di Giussani (all’inizio di questo capitolo) dell’incontro di Giovanni e Andrea con Gesù, ce lo mostra in atto in modo meraviglioso.

Cristo educa il senso religioso (126)

«Qualcosa c’è sempre che rende la vita degna ai nostri occhi di essere vissuta e senza la quale, anche se non arrivasse ad augurarsi la morte, tutto sarebbe incolore e deludente. A quella “cosa” l’uomo offre tutta la sua devozione. (può essere la carriera, la famiglia, i figli, i soldi ecc….). il senso religioso ha come caratteristica sua propria di essere la dimensione ultima ed inevitabile di ogni gesto, di ogni azione di ogni tipo di rapporto». Va educato: «L’ineducazione del senso religioso …si documenta esattamente in questo: esiste in noi  una ripugnanza divenuta istintiva a che il senso religioso domini, determini ogni azione coscientemente”. È precisamente questo il sintomo dell’atrofia e della parzialità dello sviluppo del senso religioso in noi: quella difficoltà estesa e breve, quella estraneità che avvertiamo quando ci sentiamo dire che il “dio” è il determinante di tutto, è il fattore al quale non si può sfuggire, è il criterio in base al quale si sceglie, si studia, si completa il prodotto del proprio lavoro, si aderisce a un partito, si cerca moglie o marito, si governa una nazione».

Don Giussani

«L’educazione del senso religioso dovrebbe, da un lato, favorire la presa di coscienza di quel dato di inevitabile e totale dipendenza che esiste tra l’uomo e ciò che dà senso alla sua vita e, dall’altro, aiutarlo ad espugnare col tempo quella estraneità irrealistica che egli prova nei confronti della sua situazione originale».

Don Giussani

«Lo scopo per cui Dio è diventato uomo è quello di educare l’uomo al senso religioso, perché il senso religioso è la posizione esatta di partenza che l’uomo ha verso tutta la realtà e per camminare verso il destino nel migliore dei modi: si chiama salvezza».

Don Giussani

Oggi veniamo educati al senso religioso partecipando alla vita di quella realtà dove Cristo rimane contemporaneo: la Chiesa che è la necessaria permanenza del Mistero nella storia.

Cristo salva il senso religioso (129)

Solo un cristianesimo che conferma la sua natura originale, i suoi tratti di presenza storica contemporanea – la contemporaneità di Cristo – può  essere all’altezza del reale bisogno dell’uomo, e perciò rivelarsi in grado di salvare il senso religioso.

Non si tratta di un postulato da accettare, ma di una novità umana da sorprendere in atto. L’annuncio cristiano si sottopone a questa verifica, al tribunale dell’umana esperienza.

Il cambiamento oggettivo generato dal rapporto con Cristo presente è tale che san Paolo non esita ad esclamare:«Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove».

L’uomo ridestato e sostenuto dalla presenza di Cristo può vivere finalmente da uomo religioso, attraversare la vertigine della vita, circostanza dopo circostanza, potendo «entrare in qualsiasi situazione dell’esistenza con una tranquillità profonda, con una possibilità di letizia».

La contemporaneità di Cristo si rivela perciò indispensabile per vivere appieno il senso religioso, cioè per avere l’atteggiamento giusto di fronte al reale.

Diversità tra religiosità come sentimento e fede

«Mentre la religiosità (come sentimento) nasce dall’esigenza di significato destato nell’impatto con il reale, la fede è riconoscere una presenza eccezionale, corrispondente in modo totale al proprio destino, ed è aderire a questa Presenza…la fede è riconoscere come vero quello che una Presenza storica dice di sé». «La fede è un atto della ragione mossa dall’eccezionalità di una Presenza». «La fede è un fatto accaduto nella storia: un bambino, nato da donna, iscritto all’anagrafe di Betlemme, che, diventato grande, annunciava di essere Dio: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. (Immaginiamo perciò) «quale sfida rappresenti per la mentalità moderna la pretesa della fede: che esista un uomo  – a  cui posso dire “tu” – che dica: “senza di me non potete fare nulla”, che esista cioè un Uomo-Dio».

Don Giussani

Non ci si misura mai abbastanza con questa pretesa.

«Senza il riconoscimento del Mistero presente, la notte avanza, la confusione avanza, e – come tale a livello di libertà – la ribellione avanza, o la delusione colma talmente la misura che è come non si attendesse più niente e si vive senza desiderare più niente, eccetto la delusione furtiva o la risposta furtiva a una breve richiesta».

Don Giussani

Senza il riconoscimento della contemporaneità di Cristo quello che viene meno è l’umano vero, lo slancio del senso religioso.


7 – Il “misterio eterno dell’esser nostro”  (137)

La confusione dell’io (137)

«Dietro la parola “io”, c’è oggi una grande confusione, eppure la comprensione di cosa sia il mio soggetto è il primo interesse. Infatti il mio soggetto è al centro, alla radice di ogni mia azione. L’azione è la dinamica con cui io entro in rapporto con qualsiasi persona o cosa…(ma) ormai la stessa parola “io” evoca per la stragrande maggioranza un che di confuso e fluttuante, un termine che si fa per comodità come puro lavoro indicativo (come “bottiglia” o “bicchiere”). Ma dietro la paroletta non vibra più nulla che potentemente e chiaramente indichi che tipo di concezione e di sentimento un uomo abbia del valor del proprio “io”. Per questo si può dire che viviamo tempi in cui la civiltà sembra finire: l’evoluzione di una civiltà, infatti, è tale nella misura in cui è favorito il venire a galla e il chiarirsi del singolo io. Siamo in una età in cui è favorita invece una grande confusione riguardo al contenuto della parola».

Don Giussani

Heschel: «L’incapacità a percepire il nostro valore è di per sé una terribile punizione» (che noi avvertiamo sulla nostra pelle tutti i giorni).

Heschel

Come è potuto accadere?

«C’è una pressione fortissima da parte del “mondo” che ci circonda (attraverso i mass media, o anche la scuola, la politica) che influenza e finisce per ingombrare – come pregiudizio – qualsiasi tentativo di presa di coscienza del proprio io».

don Giussani

Questo “mondo” cos’è? È  il potere o la mentalità dominante che non rimane esterna ma ci penetra.

«La mentalità comune creata dai mass-media, altera il senso di sé stessi, il sentimento di sé, più precisamente, atrofizza il senso religioso, atrofizza il cuore, meglio ancora, lo anestetizza totalmente».

Don Giussani

Al punto che noi imponiamo i nostri schemi all’esperienza: copriamo i fatti con i nostri commenti, invece di cercare di coglierne il senso; il che vuol dire, più radicalmente, che non c’è più esperienza.

«Il mito del progresso scientifico “che risolverà un giorno tutti i nostri bisogni” è la formula moderna di questa presunzione, un presunzione selvaggia e ripugnante: non li considera neanche i nostri bisogni veri, non sa neanche cosa siano; si rifiuta di osservare l’esperienza con occhio chiaro e di accettare l’umano in tutto quello che esige. Per cui la civiltà di oggi ci fa muovere ciecamente fra questa esasperata presunzione e la più oscura disperazione».

Don Giussani

Rey: «Siamo così abituati a questa miseria che il più delle volte non la sentiamo neanche più».

Rey

Questo influsso del potere è in proporzione diretta con la nostra connivente impotenza: siamo responsabili di questa connivenza.

La vera forza del potere è la nostra impotenza da anestetizzati.

(lo scopo del potere è infatti) «Anestetizzare il cuore dell’uomo, le esigenze dell’uomo, i desideri, di imporre una immagine del desiderio di esigenza diversa da quell’impeto senza confine che ha il cuore. È così che cresce della gente limitata, confusa, prigioniera, già mezzo cadavere, cioè impotente». Ma il potere non ha ragione.

Don Giussani

Ma il potere non ha ragione

«Tu sai cosa c’è nel cuore dell’uomo, perché è in te. Qual è il criterio per capire la verità sull’uomo? È la riflessione su sé stessi in azione . Non ce n’è un altro. Soltanto sorprendendoci in azione possiamo cogliere tutto quello che siamo».

Don Giussani

Il “misterio eterno dell’esser nostro” (143)

«Nulla è così affascinante come la scoperta delle reali dimensioni del proprio“io”, nulla così ricco di sorprese come la scoperta del nostro volto umano”. Ma per lanciarsi in questa avventura e vincere l’estraneità da noi stessi occorre qualcuno con cui guardare  l’umano che è in noi, qualcuno che non si spaventi davanti ad esso (pag 143 bella lettera che lo testimonia). La partenza per una indagine, come quella che ci interessa, è dalla propria esperienza, da sé-stessi-in-azione».

Don Giussani

In forza di questa partenza il fattore religioso si presenta come «La natura del nostro io in quanto si esprime in certe domande:”qual è il significato ultimo dell’esistenza?», «Perché c’è il dolore, la morte, perché in fondo vale la pena vivere?».

Caratteristiche di tali domande:

  1. Heschel: Queste domande si attaccano al fondo del nostro essere: sono inestirpabili, perché costituiscono come la stoffa di cui è fatto”.  E perfino la vanità del tutto non riesce a toglierle.
  2. Sono inesauribili perché esauriscono l’energia, tutta l’energia di ricerca della ragione. Esigono risposta totale che copra l’intero orizzonte della “categoria delle possibilità” – infatti c’è una coerenza della ragione che non si arresta se non arrivando ad una esaurienza totale.

Giussani: «L’inesauribilità della domanda esalta la contraddizione fra l’impeto dell’esigenza e la limitatezza della misura umana nella ricerca».

Don Giussani

Questa contraddizione irrisolvibile è il “misterio eterno dell’esser nostro”, ovvero ciò che oggi è più misconosciuto per l’influsso che il potere ha su di noi con la nostra connivenza.

Ma quando uno comincia a sperimentare riflessivamente questo eterno mistero del proprio essere, allora inizia a bucare quella confusione che rovina la vita e si scopre addosso una chiarezza di giudizio unica (lettera a pag. 148 di un papà che si innamora di una ragazza e che documenta molto bene).

Se noi accettiamo di guardare fino in fondo il mistero del nostro essere, ci accorgiamo che tutto è piccino per la capacità dell’animo nostro.

Riconoscere il mistero che siamo ci fa capire ciò che ci troviamo addosso, come per esempio la tristezza.

«(ci troviamo addosso)La grande tristezza, carattere fondamentale della vita consapevole di sé “desiderio di un bene assente” come dice san Tommaso». «Allora essere consapevoli del valore di tale tristezza si identifica con la coscienza della statura della vita e con il sentimento del vero destino».

Don Giussani

Dostoevskij: «Quella eterna santa tristezza, che qualche anima eletta una volta l’abbia assaporata e conosciuta, non cambierà mai più con una soddisfazione a buon mercato”.

Dostoevskij

«Se la tristezza è scintilla che scatta dalla vissuta differenza potenziale tra la destinazione ideale e l’incompiutezza storica, l’appiattimento di quella differenza – come avvenuto – crea l’opposto logico della tristezza: la disperazione». «Se infatti gli uomini fossero privati dell’infinitamente grande, essi non potrebbero più vivere e morrebbero in preda alla disperazione».

Don Giussani

La domanda ultima in cui si esprime il senso religioso fa emergere il valore autentico della umana solitudine.

(questa domanda) «E’ costitutiva dell’individuo, in tal senso l’individuo è totalmente solo: lui stesso è quell’interrogativo e nient’altro». (D’altra parte, e più profondamente, essa) «nel medesimo istante in cui definisce la mia solitudine pone la radice della mia compagnia, perché significa che io sono costituito da un’altra cosa, sia pur misteriosa e di cui ho quindi nostalgia».

Don Giussani

La nostalgia del Tu (153)

Giussani: «(la nostalgia) è affermazione dell’esistenza della risposta, come implicata nel fatto stesso della domanda».

Don Giussani

Nessuno potrebbe provare nostalgia di qualcosa, di qualcuno, se non perché quel qualcosa o qualcuno c’era o c’è.

Un io non ridotto ha questa nostalgia dentro, la nostalgia che è dentro lo slancio stesso con cui entra in rapporto con tutto.

Non manca Dio, manca l’io.

Un io presente a sé stesso è la vittoria sul potere, sul tentativo del potere di ridurlo nello slancio del suo desiderio e sa dove trovare riposo, un riposo all’altezza delle sue esigenze costitutive.

Più un uomo è cosciente che solo Dio può costituire il suo vero riposo e più è commosso del fatto stesso che il Signore ci sia, non può evitare di essere invaso dalla commozione che ci sia, come ripeteva don Giussani: “Al tuo nome e al tuo ricordo si svolge tutto il nostro desiderio”.

Ma questo desiderio non può sopravvivere neanche pochi minuti, se non diventa domanda, perché la vera forma del desiderio è la domanda: si chiama “preghiera”.

La vera forma del desiderio è la domanda: si chiama preghiera

8 – Allargare la ragione  (157)

La portata della questione

Romano Guardini: «(la cultura) è tutto ciò che l’uomo crea ed è nel suo vivente incontro con la realtà che lo circonda».

Romano Guardini

Ogni membro di un popolo è introdotto al reale attraverso la cultura del suo popolo, la sua tradizione, e da essa egli è storicamente definito. È possibile per quest’uomo allargare la ragione per entrare in rapporto con altri uomini altrettanto segnati dalla loro?.

Il valore culturale dell’amicizia (158)

(All’inizio il racconto del rapporto di amicizia tra Wael Farouq e Paolo). Due uomini, uno musulmano e uno cristiano, inevitabilmente condizionati dai rispettivi orizzonti si incontrano.

Accade l’imprevisto: diventano amici. È l’amicizia che allarga la ragione, perché entrambi desiderano immedesimarsi nell’amico, imparare a percepire l’altro.

Cosa permette che si diventi amici pur provenendo da culture così diverse? È la presenza, in ognuno di noi, a qualsiasi latitudine di ciò che don Giussani chiama: «Un complesso di evidenze ed esigenze originali, talmente originali che tutto ciò che l’uomo dice o fa da esse dipende».

Possiamo indicare questa identità umana con la parola CUORE.

«…L’esigenza della verità, dell’amore, della giustizia, della felicità: queste domande costituiscono il cuore dell’uomo, costituiscono l’essenza della ragione, cioè della coscienza che l’uomo ha della realtà secondo la totalità dei fattori».

Don Giussani

Di questo argomento tratta il libro“Il Senso Religioso”.

Il primato dei fatti (160)

il 13 agosto 1977 Alan Barthes annota nel suo diario:  ” D’improvviso il fatto di non essere moderno mi è diventato indifferente”.

Egli era fra quanti, rarissimi, selezionati e soprattutto ascoltatissimi, che dettavano legge in nome della modernità: lui decideva per tutti chi e che cosa era moderno.

All’improvviso, solo con sé stesso, riconosce che la linea di divisione passa attraverso il cuore.

Il suo gusto più profondo soffre per i suoi verdetti, ma non osa confessarlo per paura di non essere moderno: è prigioniero e giudice allo stesso tempo.

A volte l’uomo,  per fuggire dalla libertà e dalla responsabilità, preferisce soffocare il proprio essere.

Barthes vince questa battaglia nell’unico modo possibile: cedendo all’evidenza dell’esperienza smette di avere paura.

Barthes smette di proclamarsi moderno e di fare la spola tra i suoi criteri e i suoi gusti quando vede morire la madre. Di colpo, non essere moderno gli è indifferente pur avendo costruito tutta la vita e la sua carriera su questo criterio.

È stato quindi semplicemente un avvenimento e non una riflessione  intellettuale a spingerlo ad allargare la ragione.

È l’avvenimento che fa saltare la misura che costringe la ragione ad un allargamento, mettendola in moto.

La portata del cambiamento si vede dal cambiamento che provoca

Inizia una nuova vita, cioè una pratica della scrittura che gli permetta di essere sé stesso, portandolo non più all’arroganza della generalizzazione, ma alla simpatia con l’Altro.

Esce da sé stesso per aprirsi a un altro. Come dice Jean Guitton:

«Ragionevole designa colui che sottomette la propria ragione all’esperienza».

La natura della ragione (164)

Oggi è presente in modo diffuso, capillare e inconscio una ideologia in atto.

«Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento della premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica».

Hanna Arendt

Don Giussani : «La realtà si rende evidente nell’esperienza».

Qualcosa è presente in quanto entra nel mio orizzonte e interferisce con me. Nell’esperienza dell’incontro con la realtà la ragione si risveglia come esigenza di significato totale, che si esprime nell’indomabile interrogativo “Perché”.

Dunque la ragione non è uno strumento per artifici intellettuali dei quali si può anche fare a meno: è una urgenza esistenziale.

Non vi è quindi nulla di più disumano dal separare l’attività conoscitiva e intellettiva dall’io desiderante e amante, quasi che l’esigenza di universalità insita nella ragione richiedesse necessariamente l’eliminazione del soggetto vivente concreto perché la ragione è immanente a tutta l’unità del nostro io.

Questa è la condizione per l’attuarsi sano della ragione: «la condizione perché la ragione sia ragione è che l’affettività la investa e così muova tutto l’uomo» come nel caso di Wael e Paolo.

La riduzione del rapporto con la realtà, dovuta ad una ragione intesa come misura ci ha progressivamente portato al nichilismo.

In sostanza è una ragione razionalisticamente intesa, che – non potendo dominarla – ha chiuso i battenti alla dimensione della profondità e del significato ammettendo solo ciò che è calcolabile e misurabile.

Il nichilismo oggi non è più una teoria, ma è la pratica di una vita apatica e disperata: è un nichilismo gaio, privo dell’agostiniana inquietudine.

L’educazione alla ragione come compito dell’università (171)

La sfida ad una allargamento della ragione rimanda allora a un grande bisogno, decisivo sempre e oggi in particolare: quello dell’educazione.

E se c’è un luogo eminentemente chiamato ad educare all’uso della ragione, questo è l’università. Si tratta delle sua autentica ragion d’essere. Se non promuove un uso della ragione, essa fallisce  il suo compito.

  1. Il primo elemento è questa tensione tra le specializzazioni e il tutto dell’unica ragione.  Don Giussani delinea così il preconcetto razionalista\scientista contemporaneo: «solo nel campo scientifico e matematico può essere percepita e affermata la verità sull’oggetto. In un altro tipo di conoscenza – concluderebbe una simile posizione – nel problema del destino, nel problema affettivo, nel problema politico non si potrà mai raggiungere una certezza obiettiva, una conoscenza vera dell’oggetto». si riduce così la conoscenza a un piccolo campo di verità astratte e formali con le conseguenti applicazioni tecnico scientifiche. La conseguenza immediata è che la ragione si separa dall’esistenza. Ma è anche una riduzione della ragione che per don Giussani: «è molto più vasta; è vita, e una vita di fronte alle complessità e alla molteplicità delle realtà, di fronte alla ricchezza del reale. Essa implica diversi metodi o procedimenti, o processi secondo il tipo degli oggetti». In una indagine, su qualsiasi soggetto di qualsiasi tipo, è sempre l’oggetto stesso che detta il metodo per conoscerlo. John Barrow: quando la scienza arriva a porsi domande fondamentali sull’origine dell’universo, si crea una profonda risonanza con il pensiero religioso”. La scienza è scienza, non quando fa un passo indietro  e abdica al suo compimento, ma quando è davvero sé stessa creando una profonda consonanza con il senso religioso. Quindi l’università compie la sua originaria vocazione quanto più concorre ad educare una ragione aperta alla verità in ogni sua forma, impegnata con la molteplicità della realtà attraverso una correlativa molteplicità di strade, non reticente di fronte all’ultima profondità del problema.
  2. Il secondo aspetto è l’affermazione che il retto uso della ragione è una comune responsabilità. Solo una vera comunità accademica può riscattare ognuno di noi dalla sua inevitabile parzialità. La dimensione comunitaria rappresenta non la sostituzione della libertà, non la sostituzione della energia e della decisione personale, ma la condizione dell’affermarsi di essa.
  3. Il terzo cruciale punto è il bisogno di testimoni. È assolutamente necessario vedere in atto una umanità che già vive una ragione allargata e la sperimenta come un bene per sé. Luisa Muraro: «La nozione moderna di ragione che si è ristretta entro limiti che lasciano fuori gli interrogativi essenziali dell’uomo e lo stesso nome di Dio, si è resa inadeguata ad un vero dialogo con l’umanità intera».  Occorre per dirla con Dante, una esperienza della ragione che ci faccia uscire dalla “aiuola che ci fa tanto feroci” e si riapra alle questioni costitutive del vivere. Qui inizia la vera alternativa al nichilismo che l’università può concorrere a rendere possibile.

9 – La libertà è il dono più grande che i cieli abbiano donato agli uomini  (180)

Oggi è difficile trovare uomini che si avventurino nel cammino della libertà.

Essa è perciò un bene tanto invocato quanto scarso. Quanti uomini veramente liberi conosciamo? Ci troviamo di fronte a un desiderio enorme di libertà, ma allo stesso tempo all’incapacità di essere veramente liberi. In un momento storico in cui si parla tanto di libertà, assistiamo al paradosso della sua assenza.

La storia degli ultimi secoli potrebbe riassumersi come una riduzione progressiva della persona all’individuo spersonalizzato o alla libertà formale, mettendo tra parentesi la libertà reale: cerchiamo di capire perché.

«Se mi chiedete qual è il sintomo di questa astenia spirituale rispondo certamente: l’indifferenza verso la verità e verso la menzogna. Oggi la propaganda dimostra che quel che vuole, e la gente accetta più o meno quel che le viene proposto».

Bernanos

«La vita è la libertà e perciò morire è l’annientamento progressivo della libertà; per prima cosa si allenta la coscienza e poi si offusca; i processi di vita in un organismo la cui coscienza sia svanita sussistono per qualche tempo, la circolazione del sangue, la respirazione e il metabolismo continuano ad effettuarsi, ma è una inevitabile ritirata verso la schiavitù: la coscienza si è spenta, il fuoco della libertà si è spento…la libertà consiste nell’irripetibilità di ogni singola vita. Il riflesso dell’universo nella coscienza di un uomo è il fondamento della potenza umana, ma la vita si trasforma in felicità, libertà, valore supremo, solo se l’uomo esiste come mondo, persona mai e da nessuno ripetibile…solo a questa condizione possiamo provare la felicità della libertà, quando riconosciamo negli altri quello che abbiamo riconosciuto in noi stessi».

Grossman in “Vita e destino”

La riduzione moderna: libertà come assenza di legami (181)

La vicenda attuale sulla libertà ripercorre pari pari la vicenda del figliol prodigo del vangelo il cui cuore viene vinto dal fascino dell’autonomia.

Il suo desiderio di libertà lo spinge a tagliare i legami più significativi. Pensava così di poter raggiungere una vetta di libertà mai sperimentata prima.

Non ha saputo resistere alla seduzione di potersela cavare da solo, senza padre, né casa o vera appartenenza. La realtà lo desta dal sogno. Il ragazzo non trova niente all’altezza dei suoi desideri, nulla lo soddisfa abbastanza da avvincerlo.

Nessun legame, nessuna storia con nessuno. L’assenza di vincoli inizia a mostrare il suo vero volto: la solitudine.

La noia diventa la sua compagna. Il suo destino non importa a nessuno. È il compiuto realizzarsi della rottura di tutti i legami, fino a quello con la realtà, che adesso gli risulta inospitale ed estranea.

La libertà è il più prezioso dono che i cieli abbiano mai donato agli uomini

Dall’altra parte, il figlio maggiore documenta che l’esperienza della libertà non è mai automatica, assicurata esteriormente.

Non rendendosi conto di ciò che gli è dato, nemmeno lui fa esperienza di libertà. Si può dunque vivere in casa propria come servi, senza la consapevolezza gioiosa di essere figli. Della libertà il figlio maggiore mantiene solo il nome. Ecco il formalismo.

Invece sotto le macerie del figlio giovane c’è qualcosa che rimane vivo: il suo cuore. stremato, non può fare a meno di desiderare la libertà e, con essa, colui che la rendeva possibile, suo padre.

Con la decisione di tornare, egli riconosce che l’unica vera libertà è quella filiale: non il vivere come orfano pur essendo figlio, ma il vivere abbracciando la condizione di figlio, il suo legame con il padre.

Qualsiasi sia la condizione in cui ci troviamo, ognuno di noi è chiamato alla libertà, a riconoscerla come il più prezioso dono che i cieli abbiano mai donato agli uomini.

Che cosa è la libertà? (187)

Sentirsi liberi: un fenomeno di soddisfazione.

Noi ci sentiamo liberi quando vediamo soddisfatto un desiderio. Essere liberi è fare ciò che pare e piace.

La libertà è capacità del fine, della totalità, è la capacità della felicità

  • Libertà come capacità di soddisfazione totale: ma è pur vero che noi non ci accontentiamo di un momento di soddisfazione, di un momento di libertà; noi vogliamo essere liberi sempre, non solo in qualche occasione: vogliamo essere pienamente liberi. Vale a dire la libertà è la capacità del fine, è la capacità della totalità, è la capacità della felicità.
  • L’infinità del desiderio: in tante occasioni riusciamo a compiere quello che desideriamo, ma questo non ci soddisfa definitivamente. Per questo ho pensato spesso che si comincia a rendersi conto del dramma del vivere non quando la vita risponde di no al desiderio, ma quando risponde di sì.

Questa è la caratteristica unica dell’uomo: il suo desiderio è più grande che l’universo infinito, per usare le parole di Leopardi. Possiamo accusare quella insufficienza proprio perché, strutturalmente, abbiamo dentro di noi il criterio di giudizio: il nostro desiderio infinito, ciò che la Bibbia chiama «cuore». Se tale criterio non fosse immanente, dipenderebbe dal potere.

Il cammino della libertà (191)

«Le capacità che sono in noi non si sono fatte da sé, ma anche non si traducono da sole. Sono come una macchina che, oltre ad essere costruita da altri, ha bisogno anche di un altro che la metta in marcia. Ogni capacità umana, in una parola, deve essere provocata, sollecitata per mettersi in azione».

Don Giussani

 Noi siamo originalmente attratti dalla bellezza, dal bene del reale.

La libertà è messa in gioco fin dall’inizio. Come? Nel rispondere. La libertà è invitata qui a compiere il primo passo del suo cammino: a decidere se cedere o meno all’attrattiva del reale che ha davanti.

Questa non neutralità della libertà riveste un ruolo cruciale nelle alternative sul significato ultimo della realtà, perché la posizione della libertà condiziona la scoperta del significato che la ragione è chiamata ad operare.

Per quanto potente sia l’attrattiva del reale, essa non elimina la capacità di scelta della libertà.

Tutta l’imponente attrattiva dell’essere non risparmia all’uomo la responsabilità di decidere, ma al contrario la provoca.

In base a che cosa decidiamo di aderire o meno alla sollecitazione che ci viene dal reale? In base alla corrispondenza che esso realizza con le esigenze del cuore. Il contraccolpo che si genera in me davanti all’essere costituisce già il primo giudizio in base al quale mi muovo. Il giudizio, in cui riconosco se una cosa mi corrisponde o no, è ciò che prepara e orienta la mossa, la scelta della libertà.

Domandiamoci ora che cosa si gioca nella scelta di ogni scelta? L’adesione a ciò che appare e che riconosciamo come un bene. Cioè la scelta è in vista del compimento del fine. Perché voglio avere capacità di scelta? Per aderire a ciò da cui sono stato colpito e attratto.

La capacità di scelta è propria di una libertà ancora in cammino verso la sua piena realizzazione, che consiste nella adesione a ciò che corrisponde al cuore, cioè al Bene, al Destino.

Fermarsi soltanto al primo aspetto – la possibilità di scelta – è di fatto, rinunciare al compimento della libertà, perché io esercito la mia capacità di scelta per aderire a quello che desidero, per vincolarmi a ciò che mi compie, all’infinito che cerco nei piaceri.

Il rapporto con il Mistero, fondamento della libertà dell’uomo (194)

In un solo caso questo punto, che è l’uomo singolo, è libero da tutto il mondo, è libero, e tutto il mondo non può costringerlo, e l’universo intero non può costringerlo; in un solo caso questa immagine di uomo libero è spiegabile: se si suppone che quel punto non sia totalmente costituito dalla biologia di suo padre e di sua madre, ma possegga qualche cosa che non derivi dalla tradizione biologica dei suoi antecedenti meccanici, ma che sia il diretto rapporto con l’infinito, diretto rapporto con l’origine di tutto il flusso del mondo…cioè Dio”.

Don Giussani

Il fatto che noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio vuol dire che siamo chiamati a un rapporto unico e diretto con Lui.

Questa è la ragione ultima della grandezza dell’uomo: la libertà consiste proprio nell’accettare questa eredità divina.

« La peggiore minaccia per la libertà non sta nel lasciarsela togliere – perché chi se l’è lasciata togliere può riconquistarla – ma nel disimparare ad amarla».

Bernanos

Ma il rifiuto dell’Infinito non avviene senza conseguenze per la libertà. Tale rifiuto lascia la libertà senza oggetto adeguato.

Rifiutare l’infinito lascia la libertà senza oggetto adeguato

«Senza il riconoscimento del Mistero presente la notte avanza, la confusione avanza e, come tale, a livello di libertà, la ribellione avanza, o la delusione colma talmente la misura che è come se non si attendesse più niente o si vive senza desiderare più niente, eccetto che la soddisfazione furtiva o la risposta furtiva a una breve richiesta»

don Giussani

Invece, aderendo al Mistero, in ogni cosa, l’uomo diventa libero.

Nel momento in cui siamo consapevoli della natura del desiderio significa capire che noi non siamo in grado di rispondervi.

Come l’uomo riceve il desiderio di totalità, così deve ricevere il compimento di questo desiderio.

Il compimento c’è, ed è Colui stesso che desta in noi l’originale profondità del nostro desiderio.

Soltanto il rapporto riconosciuto con Ciò che ci soddisfa ci libera dai capricci, dalla dittatura dei desideri, che è la riduzione del desiderio a qualcosa a portata di mano, ci rende consistenti in qualunque circostanza e irriducibili ad ogni potere.

«la religiosità cristiana sorge come unica condizione dell’umano. La scelta dell’uomo è: o concepirsi libero da tutto l’universo e dipendente solo da Dio, oppure libero dal Dio, e allora diventa schiavo di ogni circostanza»

Don Giussani

Ma come può l’uomo avere la coscienza chiara e l’energia affettiva per aderire al Mistero fintanto che questo resta mistero? Giusto, a meno che Dio si degni di visitarlo.

Il compagno che rende storicamente possibile la libertà. (201)

Con Gesù il Mistero è diventato una presenza affettivamente attraente.

Il Mistero presente lo si scopre in un incontro.

Imprevisto. Come una sorpresa! Come è capitato a Giovanni e Andrea, i primi che hanno incontrato Gesù e gli sono rimasti attaccati tutta la vita.

Nell’incontro con Gesù è accaduta una corrispondenza talmente impensabile, e impossibile altrove, che non Lo hanno abbandonato più.

« La loro libertà autentica pertanto è frutto dell’incontro personale con Gesù».

Benedetto XVI

Gli apostoli non erano dei visionari, e se non avessero sperimentato un meglio per la loro vita, prima o poi Lo avrebbero abbandonato.

Così come non ci introduce all’amore attraverso un discorso, ma facendoci innamorare, allo stesso modo, per svelarci che cos’è la libertà, il Mistero suscita a noi una presenza così attraente e corrispondente che possiamo fare, “in contemporanea”, l’esperienza del compimento di tale desiderio.

La carne, il Verbo fatto carne, è il cardine della salvezza.

Solo una presenza carnale affettivamente attraente è in grado di vincere le nostre resistenze.

Un’attrattiva vincente è l’unica speranza per noi, sempre così tentati dalla lusinga dell’autonomia, di quella affermazione quasi omicida di noi stessi che ci precipita nel nulla.

Solo l’attrattiva dell’Essere che brilla nel volto di Cristo, presente qui e ora nella carne della Chiesa, può sconfiggere il fascino del nulla.

In Lui si realizza la vocazione dell’uomo.

Siamo compiuti nel momento stesso in cui diveniamo liberi, cioè Suoi.

E per questo è l’unico a introdurci nel Mistero del Padre, nel quale si compie la nostra libertà. Figli nel Figlio.

Noi abbiamo trovato Colui che compie il nostro desiderio di libertà nel momento stesso in cui diveniamo liberi, cioè Suoi.

Egli attende che la mia libertà prenda posizione, che io abbia deciso liberamente per Lui. Cristo non è venuto infatti a risparmiarci l’esercizio della libertà.

Ma che cosa sarebbe una salvezza che non fosse libera.

La necessità della Sua contemporaneità (205)

Noi non possiamo evitare di decadere, di venire meno. Ma, allora, come possiamo sempre essere ripresi? L’unica possibilità è che il cristianesimo continui ad accadere come avvenimento. Dove permane l’avvenimento cristiano? Nella Chiesa.

« La libertà di Dio realizza la sua presenza attraverso degli uomini che la sua presenza ha cambiato, degli uomini cambiati dalla sua presenza. La sua presenza, la presenza del Dio fatto uomo si rivela attraverso questi uomini cambiati. Il segno adeguato di questo cambiamento è questa capacità di unità, agli uomini impossibile, che si chiama, con un nome intero, Chiesa».

Don Giussani

Il Mistero permane nella storia e continua a rendere possibile una libertà reale attraverso il cambiamento di questi uomini, il cui vertice è la comunione tra di loro.

La comunione è la vittoria sull’assenza di legami, frutto del peccato. La Chiesa diventa così il luogo della libertà. Il legame con Cristo nella Chiesa ricostruisce il legame con tutto e con tutti.

Il cristianesimo deve offrirsi nella sua originale natura di avvenimento, perciò attraverso la testimonianza di una esperienza.

L’incontro è con un avvenimento, che può essere anche una persona che parla, ma ciò che colpisce non è tanto la parola in sé, quanto il cambiamento comunque avvenuto in colui che parla.

Quello che si vede è una libertà in atto: non un io incastrato nell’ingranaggio delle circostanze, ma un io che trova nel riconoscimento del Mistero dentro la circostanza la possibilità della libertà reale.

«Se l’uomo vuole essere libero da tutto ciò che lo circonda, se vuole essere libero da tutto ciò che esiste attorno a lui deve essere dipendente da Dio. è la dipendenza da Dio la libertà dell’uomo»

Don Giussani

Don Giussani, noi ne siamo testimoni, ha vissuta la sua vita e la sua malattia in questo modo e ci ha insegnato a riconoscere la positività del reale in qualsiasi circostanza.

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Terza parte

Emergenza educativa

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10 – introdurre alla realtà totale  (215)

Educare è sempre stato decisivo per introdurre alla vita le nuove generazioni.

«I giovani di oggi non sanno chi sono…preferiscono restare passivi e vivono avvolti in un misterioso torpore»

Pietro Citati

«E’ come se i giovani di oggi fossero tutti stati investiti dalle radiazioni di Chernobyl»

Don Giussani

E’ come se il loro organismo non avesse più energia, per effetto delle radiazioni.

Si resta dunque astratti, estranei, non solo con gli altri ma anche con sé stessi. E la estraneità a noi stessi diventa estraneità a tutto: niente riesce davvero a coinvolgerci. Il disinteresse prende il sopravvento.

Da dove ripartire?(216)

Nel’animo dell’uomo rimane, come diceva Cesare Pavese, un «punto infiammato». L’inquietudine indica la profondità e l’ampiezza del desiderio, il punto infiammato del cuore.

Ma è sempre in atto un tentativo di addormentare il desiderio.

«I sistemi mondiali cercano di acquietare l’uomo, di anestetizzarne il desiderio di mettersi in cammino, con proposte di possesso e di consumo. In questo modo l’uomo è alienato dalla possibilità di riconoscere ed ascoltare il più profondo desiderio del suo cuore. Richiama l’attenzione la grande quantità di “alibi” che manipolano il desiderio e offrono in cambio una pace apparente. […] gola, lussuria, avarizia, ira, invidia, tristezza, accidia, vanagloria, superbia. Sono di certo pretesti, scappatoie che nascondono qualcosa d’altro: la paura della libertà…servono da rifugio. Il fondamentalismo si organizza a partire dalla rigidità di un pensiero unico, all’interno del quale la persona si protegge dalle istanze destabilizzanti (e dalle crisi) in cambio di un certo quietismo esistenziale». (Bisogna fare attenzione a non utilizzare in alcun modo gli strumenti educativi per ridurre il desiderio):«La disciplina è un mezzo, un rimedio necessario al servizio dell’educazione integrale, ma non può trasformarsi in una mutilazione del desiderio….».

Card. Bergoglio

Il desiderio si contrappone alla necessità. Quest’ultima è soddisfatta non appena la carenza viene colmata; il desiderio invece, è la presenza di un bene positivo e sempre si accresce, si struttura e mette in moto verso un di più.

«Il desiderio non può essere schiacciato sulla mera soddisfazione dei bisogni, ma si rivela diverso dalla brama bestiale proprio in quanto animato da una trascendenza che lo apre all’inedito, al non ancora conosciuto, al non ancora pensato, al non ancora visto».

Massimo Recalcati

«Ciò che è in crisi, sembra, è quel misterioso nesso che unisce il nostro essere con la realtà, talmente profondo e fondamentale da essere nostro intimo sostegno».

Maria Zambrano

Perché allora consumando rapidamente ogni stimolo, i giovani sprofondano così facilmente nella passività e nella noia? Perché senza significato la realtà perde la sua attrattiva.

Educare è introdurre il giovane alla realtà in tutte le sue dimensioni, fino al significato

Ecco, dunque, lo scopo di una educazione adeguata alla gravità del problema: educare è introdurre il giovane alla realtà in tutte le sue dimensioni, fino al significato.

Ristabilire il nesso con il reale (220)

L’essere introdotti alla totalità della realtà non è indifferente per la nostra relazione con essa.

Se non percepiamo il suo significato, la realtà non ci commuove, non può risultare veramente interessante. Questa è l’origine del nichilismo.

Nichilismo come assenza di significato

Con la riduzione della realtà al suo aspetto immediato, ad apparenza, si è fatto largo una nuova forma di nichilismo, un nichilismo debole, spensierato, in cui si produce un collasso del desiderio, della curiosità.

Da dove ripartire quindi? Dalla realtà. La realtà ci viene incontro nella sua bellezza e suscita domande.

Ma questo è il problema: a noi è stato regalato il giocattolo più bello, che è la vita, che è tutto il cosmo, ma non siamo venuti al mondo con le istruzioni per l’uso sotto il braccio.

Per questo ci chiediamo il significato di quello che vediamo e che ci è stato dato, ci domandiamo come si vive affinché la vita sia veramente vita, intensamente vissuta, affascinante da vivere.

La necessità di un testimone (223)

«Questo può farlo solo il testimone. Entriamo così in una delle dimensioni più profonde e belle dell’educatore: la testimonianza. Il testimone con il suo esempio ci sfida, ci rianima, ci accompagna, ci lascia camminare, sbagliare e anche ripetere l’errore, affinché cresciamo. Educare esigerà “saper rendere ragione”, però non solo con spiegazioni concettuali e contenuti isolati, ma con comportamenti e giudizi incarnati…»

Papa Francesco

Ma la testimonianza non è possibile senza che gli educatori prendano sul serio innanzitutto  la propria inquietudine.

«Educare è di per sé un atto di speranza. Vi auguro che l’inquietudine, immagine del desiderio che muove tutta l’esistenza dell’uomo, apra il vostro cuore e vi indirizzi verso la speranza che non tradisce».

Papa Bergoglio

Noi adulti dobbiamo riconoscere che non sempre siamo stati all’altezza dell’esigenza educativa.

«Vogliamo chiedere perdono ai ragazzi perché non sempre li abbiamo presi sul serio. E quando i ragazzi vedono da parte nostra una testimonianza di bassezza, allora non hanno il coraggio di sognare, allora non hanno il coraggio di crescere». «Che i giovani possano apprendere dalla nostra testimonianza – poiché si insegna più con l’esempio che con le parole – la feconda cultura della vita. Non solo le droghe uccidono, non solo le droghe generano la cultura della morte; lo fanno anche l’egoismo del cuore di tutti noi che abbiamo la responsabilità di educare, le nostre chiusure, il disinteresse con cui passiamo vicino a qualcuno che è rimasto bloccato sul bordo della vita, senza insegnargli a uscire dalla sua immobilità per avvicinarsi alla vita».

Papa Francesco

11 – Il punto infiammato  (227)

Il libro di Antonio Polito, Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli, è un grido, una provocazione, una domanda: ma dove stiamo portando i nostri figli?.

Alla cosa più cara che abbiamo, i nostri figli, non sappiamo offrire nulla di veramente significativo affinché essi possano orientarsi in mezzo alla oscurità che li circonda.

Polito coglie la sfida più grande che la società si trova ad affrontare, cioè la sfida educativa, rispetto alla quale le altre, quella economica, sociale e politica, non sono che conseguenze.

«Chi di noi padri può negare a sé stesso la verità, e cioè che tutto intorno a noi ci dice che è l’educazione il fattore cruciale per la riuscita di una comunità e, al suo interno, dei nostri ragazzi? E allora perché abbiamo completamente abdicato alla nostra funzione educativa per trasformarci in goffi sindacalisti dei nostri figli?».

Polito

Invece di lanciare i giovani verso la meta ambiziosa corrispondente al loro bisogno, alla loro aspirazione abbiamo preferito il “restate sazi, restate conformisti”. Che ne è responsabile? La colpa è nostra, i veri bamboccioni siamo noi.

«Un malinteso senso di protezione verso i nostri figli; malinteso che in realtà tradisce una sfiducia collettiva nei loro mezzi, la paura di lasciarli nuotare con le loro forze il prima possibile. E questa sfiducia loro la sentono, ne deprime l’autostima…..abbiamo praticato un malefico paternalismo e costruito una società della pantofola».

Polito

Cattivi maestri come Eugenio Scalfari sostengono che “la ferita è stata la perdita dell’identità e della memoria”.

E’ singolare: prima fanno di tutto per far perdere ai giovani l’identità e poi si lamentano del fatto che l’hanno persa. La ferita è stata il silenzio dei padri troppo impegnati nella conquista del successo e del potere.

Oggi ci troviamo di fronte a una profonda crisi dell’umano, che si documenta nella passività di tanti giovani, che sembrano quasi incapaci di interessarsi a qualcosa di veramente significativo, o nello scetticismo di tanti adulti, che non comunicano ai giovani qualcosa per cui valga la pena di impegnare radicalmente sé stessi.

Ma dove è stato ed è l’errore? Nella confusione sulla natura del cuore dell’uomo.

Si è pensato di affrontare il problema dei giovani, della loro crescita, minimizzando le loro esigenze, addormentandole con la somministrazione di cose e con l’appianamento di ostacoli, invece che ridestandole, raccogliendone e rilanciandone la sfida.

Si è ignorato l’umano che è in loro come in noi, quella stoffa dell’io che Leopardi celebra in modo insuperabile e che si sintetizza in un insopprimibile desiderio di  infinito.

Natura umana, or come/ se frale in tutto e vile/se polve d ombra sei, tant’alto senti?”.

La riduzione dell’io ai fattori antecedenti (232)

L’origine degli errori è soprattutto culturale. Quello che ha fatto di noi dei pessimi genitori è il pensiero del Novecento.

L’oppio della deresponsabilizzazione

  • Freud: l’Io razionale e consapevole, la sede della responsabilità individuale, diventa un povero derelitto in balia di forze più grandi di lui. E’  la base della riduzione dell’etica alla psicologia.
  • Marx: è l’essere sociale che determina la coscienza, non il contrario. E la liberazione dell’uomo non può essere che i risultato di un processo collettivo che si svolge sopra di noi. Ogni responsabilità individuale è finita, tutto è trasferito a processi e movimenti collettivi.
  • Darwin: spiega tutti i comportamenti umani come conseguenze inevitabili della storia evolutiva della specie, e come scelte più o meno consapevoli degli individui.

Si tratta dell’oppio della deresponsabilizzazione.

L’io non c’è più, è come un sasso travolto dal torrente di queste forze. L’«io», come realtà personale, autonoma, con capacità di libertà, in grado di porsi come soggetto nella storia e nelle circostanze, non c’è più perché tutto è scaricato su antecedenti di ogni tipo, psichici, sociali o biologici.

È impossibile una assunzione di responsabilità di fronte alle provocazioni della realtà.

L’esperienza elementare del rapporto con i nostri figli ci impedisce di sottostare tranquillamente a tale riduzione

«Siamo la prima generazione di padri nella storia ad aver elaborato una complessa ed altamente egoistica strategia di sopravvivenza attraverso la captatio benevolentiae dei nostri figli. Fingiamo di farlo per il loro bene, ma in realtà lo facciamo per il nostro».

Polito

Ma c’è qualcosa che nei giovani rimane irriducibile.

I giovani capiscono benissimo come stanno le cose, proprio perché hanno originalmente in sé stessi il criterio di giudizio, hanno dentro di sé una esperienza elementare, che si esprime in quelle esigenze fondamentali: non devono andare ad Harvard a fare un corso di giustizia per sapere quando sono trattati ingiustamente!

Una proposta vincente! (238)

La questione,allora, è chi è in grado di risvegliare il punto infiammato, l’io dei giovani, come quello degli adulti.

Occorre un adulto che con la sua vita sia in grado di provocare nel giovane un interesse alla sua esistenza, al suo destino.

Occorre un testimone, che è l’autorità sul significato della vita

Occorre una autorità, una presenza che sfidi il “punto infiammato” per lanciarmi verso quella meta ambiziosa a cui io, per la mia struttura sono chiamato.

«L’esperienza dell’autorità sorge in noi come incontro con una persona ricca di coscienza della realtà; cosi che essa si impone a noi come rivelatrice, ci genera novità, stupore, rispetto- c’è un’attrattiva inevitabile, e in noi una inevitabile soggezione. L’esperienza dell’autorità richiama infatti l’esperienza, più o meno chiara, della nostra indigenza e del nostro limite. Ciò porta a seguirla e a farci suoi discepoli … occorre suscitare nell’adolescente un personale impegno con la propria origine; occorre che l’offerta tradizionale sia verificata; e ciò può essere fatto solo dall’iniziativa del ragazzo e da nessun altro per lui…senza verifica, la proposta non diventerà mai loro e quindi correranno il pericolo di perdersi. Perciò la vera educazione deve essere un’educazione alla critica». (La critica è il paragone di quello che ci viene proposto con i desideri del cuore). «Il criterio ultimo del giudizio, infatti, è in noi, altrimenti siamo alienati. E il criterio ultimo, che è in ciascuno di noi, è identico: è esigenza di vero, di bello, di buono…abbiamo troppa paura della critica»…

Don Giussani

«Occorrerà quindi da un lato metterlo sempre più a contatto con tutti i fattori dell’ambiente, dall’altro lasciargli sempre più la responsabilità della scelta»

Don Giussani

«L’evolversi dell’autonomia del ragazzo rappresenta per l’intelligenza e il cuore – e anche per l’amor proprio – dell’educatore un “rischio”. D’altra parte è proprio dal rischio del confronto che si genera nel giovane una sua personalità nel rapporto con tutte le cose; la sua libertà, cioè, “diviene”».

Don Giussani

Un invito alla libertà (242)

Il processo educativo non ha lo scopo di convincere l’altro di ciò in cui crediamo noi.

La libertà si muove sempre per una attrattiva, perché il cuore dell’uomo è assetato della verità.

L’educazione, è perciò, un invito alla libertà dell’uomo, affinché egli inizi un cammino alla scoperta della verità delle cose.

L’educazione è una grande sfida per il cuore dell’uomo e senza di essa è impossibile lo sviluppo della persona come ragione e libertà.

Più i giovani sono sfidati nella loro ragione e libertà, più si dimostrano entusiasti di partecipare alla avventura educativa.

Tagore: «In questo mondo coloro che m’amano / cercano con tutti i mezzi / di tenermi avvinto  a loro. / il tuo amore è più grande del loro, / eppure mi lasci libero».

Tagore

L’amore rende liberi e lascia lo spazio alla libertà dell’altro, perché possa crescere.

12 – Una comunicazione di se’  (244)

(da un incontro con gli insegnanti)

Quali sono i segni inequivocabili della emergenza educativa? Per quanto riguarda gli studenti, io descriverei la situazione di oggi con una sola parola: disinteresse.

Disinteresse: segno di una emergenza educativa

La prima questione per un qualsiasi professore è, dunque, destare l’interesse per quello che insegna. Allora come ridestare l’interesse, come generare i soggetto?

La conseguenza del disinteresse accennato è la passività.

Ma noi adulti tante volte non siamo diversi da loro.

Questa situazione riguarda noi insegnanti non meno che gli studenti. Infatti, dopo che uno smette di provare, di cercare, che cosa fa? Si comporta come gli studenti: subisce le ore di lezione, con la pesantezza del cuore.

La sfida in cui ci troviamo a vivere è una sfida prima di tutto per noi.

La prima questione è se noi siamo disponibili a guardare in faccia questa situazione, a fare i conti con il reale così come è.

È il reale che ridesta in noi l’interesse.

Per questo abbiamo sempre ripetuto che l’educazione è introduzione alla realtà totale.

L’educazione è introduzione alla realtà totale

Davanti al lavoro che lo impegna per ore e ore ogni giorno o davanti alla persona amata o davanti al tramonto, non è  possibile a un certo punto, a un uomo non venga la domanda: « Ma che senso ha?».

Ora se è così facile che il reale desti l’interesse, perché – come abbiamo detto – dilaga il disinteresse? La ragione è che oggi a essere entrato in crisi è proprio il nesso con il reale.

Non c’è nessun potere di questo mondo, che possa fermare questa dinamica: l’impatto dell’io con i reale che ridesta continuamente l’interrogativo sul senso. E quello che succede con le stelle, succede per il lavoro, con l’affetto, con il tempo, con tutto quanto ci accade.

È come se il Mistero, attraverso la realtà, non ci consentisse di acquietarci e continuasse a bussare alla nostra porta, ridestando l’esigenza di significato. Nessun potere, nessuna situazione può fermarlo!

Che sia in crisi il nesso con il reale non vuole dire che tale dinamica non continui a succedere: è impossibile che non succeda. Dov’è allora il problema del nostro nesso con il reale? Don Giussani lo identifica così:

…….. davanti al desiderio, alle domande che il reale ridesta, noi soccombiamo a «una possibilità permanente dell’animo umano…una possibilità tristi di mancanza di impegno autentico, di interesse e di curiosità al reale totale».

don _Giussani

Non scopriamo il significato, e senza riconoscere il significato la realtà non ci interessa più. Se non percepiamo il significato della realtà, prima o poi essa non ci interesserà più e anche noi, come ragazzi, diventeremo passivi.

Senza introdurre al significato, l’interesse, che comunque la realtà provoca, viene meno e compare il nichilismo

Il nichilismo sopprime il desiderio, non perché la realtà non lo ridesti di continuo, ma perché esso non può mantenersi se l’io non trova una risposta alla sua costitutiva esigenza di totalità, di significato.

L’assenza di significato deprime il desiderio, così come annienta l’interesse del bambino per il giocattolo.

Ci troviamo di fronte ad un problema a cui non si può dare una risposta qualsiasi.

Questa è la menzogna del relativismo. Noi sappiamo che è menzognero perché non tutte le risposte corrispondono al bisogno che abbiamo.

Non qualsiasi risposta dà un senso al lavoro quotidiano, al dolore, alle circostanze, così che esse non diventino per noi una tomba.

Il problema dell’educazione dei giovani è allora tutto qui: se noi abbiamo una risposta adeguata all’urgenza del vivere, in modo da poterla comunicare vivendo.

L’educazione non è un problema dei ragazzi, è un problema degli adulti, è un problema nostro.

Non possiamo cavarcela con le istruzioni per l’uso!

Come è potuto accadere? (252)

Di nuovo dobbiamo guardare la nostra esperienza: è successo nella nostra vita qualcosa che ci ha ridestato l’interesse, che ci ha rimesso in moto?

Io rispondo: sì, ed è ciò che chiamiamo “incontro”. Abbiamo incontrato una attrattiva vincente, una realtà umana che portava dentro di sé un’ipotesi di significato che ci ha trascinati.

L’attrattiva è vincente se porta in sè ciò che corrisponde al cuore.

Perché ci mette in moto? Perché porta in sé ciò che corrisponde al cuore: esso è così corrispondente che sollecita tutte le nostre esigenze, ridesta la voglia di entrare nella mischia e ci rende liberi di muoverci in essa.

«Il motivo che ci muove e che giustifica la nostra diffusione non è in noi, ma è al fondo di noi, là dove c’è un Altro, Colui che adoriamo. Noi vogliamo realizzare non un nostro partito, non un nostro progetto, ma qualcosa d’altro, di puro di  netto, che non dipende da noi, ma da Colui che ci ha fatti. ..questa fede e questa sicurezza l’abbiamo perché un Altro agisce in noi».

Don Giussani

Nessuno potrà mai impedire che questo avvenimento, che ridesta costantemente l’io, accada.

Ed è soltanto se continua ad accadere, se permane come sorgente costitutiva del mio io, che io sono libero di entrare in tutte le circostanze, nella totalità del reale, affrancato dalla mia stanchezza e dalla mia solitudine.

Allora si capisce perché tutto incomincia a diventare interessante.

«Per molti di noi che la salvezza sia Gesù Cristo e che la liberazione della vita e dell’uomo, qui e nell’aldilà, sia legata continuamente all’incontro con lui è diventato un richiamo spirituale. Il concreto sarebbe altro: è l’impegno sindacale, è far passare certi diritti, è la organizzazione,…e perciò le riunioni, ma come espressioni di una esigenza di vita, peso e pedaggio da pagare ad una appartenenza che ci trova ancora inspiegabilmente in fila».

Don Giussani

Cristo non ci sembra indispensabile per vivere il reale: siamo stati presuntuosi e ci siamo scavati la fossa.

Ma come possiamo pensare di cavarcela cambiando l’unico metodo che può ridestare nell’uomo l’interesse al reale, cioè senza rendere presente una attrattiva vincente, a cui prima di tutto dobbiamo cedere noi e che poi, se Dio vorrà, si comunicherà attraverso di noi anche agli altri?.

Un nuovo inizio (pag. 255)

Si parte da:« Io chi sono? Che cosa sono?»: è il punto di partenza che nessun male può portarmi via.

A sconfiggere la nostra persona non è mai la situazione; essa, piuttosto, mette in luce o fa venire a galla la nostra fragilità.

Non è l’ambiente, la situazione in cui ci troviamo a creare la fragilità; essa fa solo emergere la nostra inconsistenza, la nostra mancanza di libertà.

Questo «”che cosa sono” è il principio continuo di resurrezione, è come uno scoglio che la tempesta non può coprire, ma che non riesce mai a tirar via e in un istante di bonaccia rispunta».

(occorre che si rinnovi in noi):«una coscienza di sé diversa e quindi un sentimento dell’umano diverso, perché il sentimento dell’umano lo attingiamo in noi stessi. È  la creatura nuova di cui parla il Vangelo, il seme nuovo che è nel mondo, un uomo nuovo perché ha un sentimento nuovo di sé e quindi dell’altro…questa coscienza nuova di sé si chiama fede ed è caratterizzata dal fatto che io è come se non fossi più io, ma qualcosa d’altro che è in me».

Don Giussani

Essere definiti da questa autocoscienza nuova significa vivere un a certezza che ci fa entrare in modo diverso in tutto il reale.

Realizzare la verità nella vita significa entrare nel reale investiti di una Presenza.

il sintomo di questa certezza, infatti, è la «simpatia con tutto quello che si incontra..quanto più una persona è potente, come certezza di coscienza, tanto più il suo sguardo, anche nel modo abituale di andare per la strada, abbraccia tutto, valorizza tutto, e non gli scappa niente. Vede anche la foglia gialla in mezzo alla pianta verde. È solo la certezza del significato ultimo che fa sentire, come se fossimo un detector,la più lontana limatura di verità che sta nelle tasche di ognuno. E non è necessario, per essere amico di un altro, che lui scopra che quello che dici tu è vero e venga da te. Non è necessario, vado io con lui, per quel tanto di limatura di vero che ha…è solo la certezza della verità che si sente immediatamente fraterna, materna e affezionata anche ad ogni frammento di verità che sta in ognuno; perciò la verità è amica di tutti».

Don Giussani

Il test se abbiamo questa certezza è che entriamo liberamente in tutto e siamo liberi dal ricatto dell’esito del nostro fare.

(Le due sliding doors sono): essere dipendente solo da Dio e perciò libero da tutto l’universo oppure essere libero da Dio e dunque schiavo da ogni circostanza, ricattato da ogni esito.

«Il cristianesimo è un nuovo modo di vivere questo mondo…il cristiano guarda tutta la realtà come chi non è cristiano, ma ciò che la realtà gli dice è diverso e agisce in modo diverso»

Don Giussani

È il reale, l’entrare in esso, la verifica della fede, della certezza conquistata nella vita. Altrimenti la fede si riduce a una cosa parallela, accanto alla vita.

L’educazione, infatti, non è “spiegare” la realtà o fare un discorso su di essa, ma è aiutare l’altro – studente o amico che sia – a entrare nella realtà.

Solo se i ragazzi vedranno la vittoria del nostro volto, della nostra faccia, nel modo in cui agiamo, nel modo in cui reagiamo, nel modo con cui viviamo tutto, si interesseranno a quello che desideriamo comunicare loro e verrà loro la voglia di vivere come ci vedono vivere. Perché l’educazione è una comunicazione di sé, cioè del proprio modo di rapportarsi con il reale.

Non c’è bisogno di altro perché è dal modo con cui uno vive il reale che noi siamo provocati:«L’inizio è una provocazione, ma non al cervello, alla nostra vita; ciò che non è provocazione alla nostra vita ci fa perdere tempo, energia e ci impedisce la vera gioia»-«la presenza educativa è la presenza dell’adulto come persona unita» e questo riguarda tutto.

La presenza o è dentro l’ambiente o non è vera, non può dimostrarsi vera.

Se non entriamo nel reale con un desiderio personale di verifica della fede, noi insegnanti diventiamo, invece che richiamo per i nostri ragazzi, propaganda.

«La propaganda è il diffondere qualcosa perché la penso io o perché interessa me. Il richiamo, invece è ridestare qualcosa che è nell’altro».

Don Giussani

Ma come io ridesto l’altro? Soltanto se, per il mio modo di vivere il reale, divento una presenza.

Non me la posso cavare comunicando soltanto un discorso: così faccio propaganda, ma non riesco a ridestare qualcosa che è nell’altro. Per questo il nostro richiamo è il gesto supremo di amicizia. Ridestare l’altro invece di pretendere che diventi “nostro”.

Per noi spesso è il contrario, pensiamo di sapere già che cosa il Mistero ha deciso per loro!.

Tante volte è la mancanza in noi di senso del Mistero: perché noi “già sappiamo” ma il disegno è suo di Dio.

Lo splendore di questo nostro rivivere si chiama testimonianza, non discorso!.

Quando uno ha perso la vivezza dell’adesione, richiama a freddo, come esponendo una formula, una ideologia.

La sua è spesso un propaganda che genera solo discussioni: lui stesso si sente estraneo all’altro.

In noi ogni gesto è sotteso dalla preoccupazione profonda di amare l’uomo, di aiutarlo cioè ad essere veramente libero, a camminare verso il suo destino.

Questa è la legge della carità: il desiderio che l’altro sia se stesso.

Con la preoccupazione ideale suprema, Cristo e la Chiesa. Non siamo noi a decidere qualcuno nell’intimo, è il Mistero che opera, attraverso l’ultimo arrivato o attraverso chi Lui decide.

Perciò la prima autorità è colui che obbedisce di più, non colui che gestisce di più, oppure inglobiamo le persone.

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Quarta parte

Un protagonista nuovo sulla scena del mondo

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13 – «Raggio divino al mio pensier apparve, Donna, la tua beltà»  (271)

Benché la famiglia tradizionale non esprima più il modello di vita alla moda, permane l’esperienza inestirpabile di un bene vissuto nella propria famiglia, un bene del quale siamo grati e che vogliamo trasmettere alle future generazioni, per condividerlo con esse.

D’altra parte questo bene sperimentato non ha impedito l’affermarsi di forme di convivenza diverse dal matrimonio.

Questo processo è cominciato quando la stragrande maggioranza delle leggi nazionali europee sul matrimonio difendeva ancora la concezione tradizionale derivata dal cristianesimo.

Tutta la protezione offerta dalle leggi non ha impedito il dilagare di una mentalità contraria al matrimonio, non è stata in grado di arrestare il cambiamento.

Riguadagnare l’io (272)

Come è potuto accadere?

«Le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. L’uomo non può mai essere redento semplicemente dall’esterno».

Benedetto XVI

E non è sufficiente conoscere la dottrina sul matrimonio per resistere agli urti della vita.

Risulta ogni volta più evidente che non si può dare per scontata la maturità del soggetto umano che si accosta al matrimonio.

La crisi della famiglia è una conseguenza della crisi antropologica nella quale ci troviamo.

Gli sposi, infatti, sono due soggetti umani, un io e un tu, un uomo e una donna, che decidono di camminare insieme verso il destino, verso la felicità.

Come impostano e concepiscono il loro rapporto dipende dall’immagine che ciascuno si fa della propria vita, della realizzazione di sé. Ciò implica una concezione dell’uomo e del suo mistero.

Il primo aiuto che è necessario offrire a quanti vogliono unirsi in matrimonio è prendere coscienza del mistero del loro essere uomini.

Solo in questo modo potranno mettere adeguatamente a fuoco la loro relazione, senza attendersi da essa qualcosa che nessuno dei due, per sua natura, può dare all’altro: è un inganno la convinzione che il tu possa rendere felice l’io.

Un tu e un io limitati suscitano l’uno nell’altro un desiderio infinito, si scoprono lanciati dal loro amore verso un destino infinito. Non c’è nulla che ci faccia comprendere il mistero del nostro essere uomini più del rapporto fra l’uomo e la donna.

Deus caristas est: «nell’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente…all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile…al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono».

Benedetto XVI

La donna, con il suo limite, desta nell’uomo, anch’esso limitato, un desiderio di pienezza sproporzionato rispetto alla capacità che ha di rispondervi.

Suscita una sete che non è in condizione di estinguere, una fame che non può saziare.

Da qui la rabbia e la violenza che tante volte sorgono fra gli sposi, la delusione nella quale precipitano.

Essi non comprendono la vera natura del loro rapporto.

La bellezza della donna è in realtà un raggio divino, segno

Un segno che rimanda oltre, ad altra cosa più grande, divina, incommensurabile rispetto alla sua natura finita.

Se non comprende questa dinamica del segno, l’uomo cade nell’errore di fermarsi alla realtà che ha suscitato il desiderio.

Non riconoscere nell’altro il suo carattere di segno conduce inevitabilmente a ridurlo a ciò che appare ai nostri occhi.

Il paradosso dell’amore tra l’uomo e la donna: due infiniti si incontrano con due limiti, due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare.

E solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno.

Solo nell’orizzonte di un amore più grande si può evitare di consumarsi nella pretesa, carica di violenza che l’altro – essere limitato –risponda al desiderio di infinito che innesca, rendendo così impossibile il compimento di sé e della persona amata.

Cristo, la Bellezza fatta carne, pone la sua persona al centro dell’affettività e della libertà dell’uomo, al cuore degli stessi sentimenti naturali, si colloca a pieno diritto come loro radice vera.

Non si tratta dell’ingerenza di Gesù a livello dei sentimenti più intimi, ma della più grande promessa che l’uomo si sia sentito fare: il compimento di tutto il desiderio umano, che è la Sua persona stessa.

Perciò senza amare Cristo, la Bellezza fatta carne, più della persona amata, il rapporto amoroso avvizzisce, perché Lui è la verità di esso, la pienezza alla quale l’un l’altro si rinviano nella quale il loro rapporto cresce.

Solo permettendoGli di entrare in esso, è possibile che il rapporto più bello che può accadere nella vita non si corrompa e non muoia con il tempo. Tale è l’audacia della Sua pretesa.

Matrimonio e verginità. Un possesso con un distacco dentro (280)

La ragione della verginità

«[perché i chiamati alla verginità] gridino davanti a tutti, in ogni istante – tutta la vita è fatta per questo – che Cristo è l’unica cosa per cui valga la pena di vivere, che Cristo è l’unica cosa per cui vale la pena che il mondo esista. Questo è il valore oggettivo della vocazione: la forma della loro vita gioca nel mondo per Cristo, la forma stessa della loro vita! È una vita che grida che Cristo è tutto. Gridano questo davanti a tutti, a tutti coloro che li vedono, a tutti coloro che li sentono, a tutti coloro che li guardano».

Don Giussani

La verginità è perciò una autentica speranza per gli sposati.

La verginità richiama e documenta la radice della possibilità di vivere il matrimonio senza pretesa e senza inganni.

«In forza di questa testimonianza, la verginità tiene viva nella Chiesa la coscienza del mistero del matrimonio e lo difende da ogni riduzione e da ogni impoverimento».«La verginità è la virtù cristiana ideale di qualsiasi rapporto tra un uomo e una donna sposati. E, infatti, il culmine del loro rapporto, il momento culminante del loro rapporto è là dove si sacrificano, non là dove esprimono il loro possesso. Perché, per il peccato originale di fatto, l’afferrare fa scivolare. È come se uno desidera una cosa e corre verso questa cosa e, quando è lì vicino, corre talmente che vi spacca il naso contro: scivola, incespica. È per questo che noi diciamo che la verginità è un possesso con un distacco dentro».

Don Giussani

Il possesso vero – che noi possiamo sperimentare – è un possesso con un distacco dentro.

Nell’orizzonte di un amore più grande (283)

È a questo punto che appare in tutta la sua importanza il compito della comunità cristiana: favorire un’esperienza del cristianesimo come pienezza di vita per ogni uomo.

È dal rapporto con Cristo nella sua Chiesa che nasce una capacità di abbracciare l’altro nella sua diversità, di gratuità senza limiti, di perdono sempre rinnovato.

La testimonianza di questa possibilità di rapporto è il contributo originale che gli sposi cristiani possono offrire di fronte al travaglio in cui si trovano tanti loro concittadini.

È una testimonianza offerta nella consapevolezza che “abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”.

In ciò si rivela pienamente la natura della vocazione matrimoniale:

Camminare insieme verso l’Unico che può rispondere alla sete di felicità che l’altro suscita in noi: Cristo.

Senza un’esperienza di Cristo come pienezza dell’umano, l’ideale cristiano del matrimonio si riduce a qualcosa di impossibile: l’indissolubilità del matrimonio e l’eternità dell’amore appaiono come chimere irraggiungibili.

Un rapporto vero tra genitori costituisce poi anche la miglior proposta educativa per i figli.

Essi sono infatti introdotti, come per osmosi, nel significato dell’esistenza proprio attraverso la bellezza del rapporto fra i genitori.


14 – «Con l’audacia del realismo»  (287)

(incontro con imprenditori)

In questo contesto attuale di difficoltà, è possibile ritrovare le ragioni per agire con audacia e realismo?

La crisi e la persona (287)

Ciascun imprenditore o operatore coinvolto a vario titolo in un’azienda è una persona.

Può sembrare la scoperta dell’acqua calda, eppure è proprio questo che tutti danno per scontato, riducendo di fatto la persona alle proprie capacità.

Ma la persona non è solo ciò che sa fare.

Dire che l’imprenditore è una persona significa che, prima di qualsiasi altra cosa, ha bisogno di una chiarezza a riguardo della propria origine e del proprio destino, della fonte del proprio valore, senza la quale tutto il resto, a cominciare dalle sue capacità, risulta insufficiente.

È fin troppo evidente: oggi il terremoto colpisce proprio il centro dell’io, la sua consistenza.

La crisi è un’occasione preziosa per scoprire la verità di sé.

In questo senso, la crisi può essere una occasione non voluta, ma preziosa, per scoprire la verità di sé, dove riposa la propria consistenza, e così porre un fondamento adeguato per affrontare la situazione presente e futura, la sfida difficile che abbiamo davanti, mai slegata dal’esercizio della propria professione.

Ma dove un “io” così costituito, con il desiderio di bene che lo caratterizza, può trovare la propria consistenza per poter resistere in mezzo al terremoto delle circostanze?.

Cristo fondamento adeguato di amicizia operativa che affronti il mondo

Solo Cristo, presente qui e ora, può essere il fondamento adeguato di un’amicizia operativa che affronti il mondo, come vuole essere la vostra, senza essere vinto dalla paura che impedisce il riconoscimento di come stanno le cose, condizione necessaria per agire con qualche possibilità di successo.

Sarà l’esperienza a farvi scoprire il valore prezioso della vostra amicizia: quello di essere sostegno a uno sguardo più vero del reale. Dalla grazia scaturisce l’audacia vuol dire: da una Presenza diversa da noi scaturisce in noi l’audacia.

L’origine e l’opera (290)

È particolarmente urgente chiarire quale sia il rapporto di CL e le opere fatte da persone educate nel movimento.

  1. Lo scopo del movimento di Comunione e Liberazione è educativo, è quello cioè di educare le persone che possano poi prendere l’iniziativa di generare opere. Ma questa è una responsabilità totalmente affidata all’adulto, alla persona. Il movimento non entra nella gestione dell’opera, perché sarebbe come ammettere che non è capace di generare adulti che si prendano le proprie responsabilità.
  2. L’opera è interamente di chi la fa, e in questo senso non c’è un’opera del movimento. Tale assunzione di responsabilità personale è parte della crescita di soggetti maturi che tutti ci auguriamo. Si tratta in altri termini della responsabilità dei laici, su cui la Chiesa tanto insiste: essa vuole che ciascuno di voi se la assuma affinché attraverso il suo fare possa testimoniare tutta la bellezza della vita cristiana, che cos’è insomma la creatura nuova nel mondo. La capacità di un adulto – che partecipa all’esperienza di CL – di creare opere è un segno della vivacità del movimento, della sua energia educativa, che genera persone sensibili ai bisogni della società e in grado di mettersi insieme per realizzare iniziative, opere, appunto, che rappresentano risposte tentativamente adeguate alle esigenze della gente.

L’appartenenza e la responsabilità (294)

Non di rado si sente dire che l’appartenenza alla Chiesa o a un movimento ecclesiale costituirebbe un limite per la responsabilità personale.

Mentre essa ha in verità lo scopo contrario, quello di favorire e potenziare l’assunzione di una responsabilità.

Come sempre, tutto dipende da come si concepisce l’appartenenza e il suo nesso con la responsabilità.

La dimensione comunitaria, come ci ha sempre richiamato don Giussani, non costituisce la sostituzione della libertà, della energia e della decisione personali, ma la condizione dell’affermarsi di esse.

La comunità è come la terra per il seme: l’humus è la condizione perché cresca.

«Così per lo Stato moderno l’uomo può credere tutto quello che vuole, in coscienza: ma fino a quando questa fede non implichi come suo contenuto che tutti i credenti siano una cosa sola e che perciò abbiano diritto di vivere e di esprimere questa realtà. Impedire l’espressione comunitaria è come tagliare alle radici l’alimentazione della pianta; la pianta dopo poco muore».

Don Giussani

Il test dell’appartenenza è allora la sua capacità di far fruttificare il seme, cioè di generare adulti con una capacità di stare nel reale.

Tuttavia a questo livello non bastano le affermazioni di principio, occorrono testimonianze che documentino che le persone fioriscono nell’appartenenza e che l’appartenenza genera persone mature.

Il rischio del personalismo (296)

C’è anche un modo distorto di intendere la responsabilità, quando per esempio l’impegno personale diventa un personalismo, un accentrare tutto su di sé, relativizzando i criteri oggettivi.

Esso nasce, come l’individualismo, da un fraintendimento della natura dell’io.

L’io infatti è rapporto con l’infinito. Oltre che inefficace sul piano dei risultati, il personalismo è anche inutile a rispondere all’esigenza umana da cui in qualche modo prende le mosse.

Come si esce dal personalismo? Nello stesso modo con cui si vince qualsiasi idolatria: imbattendosi in una promessa che ci provoca per la promessa di compimento che veicola e che pone davanti a noi.

Quanto più uno si rende conto della vera natura del proprio bisogno umano tanto più riconosce che la strada per rispondervi è la sequela di presenze che ci provocano.

Sequela

«La sequela è il desiderio di rivivere l’esperienza della persona che ti ha provocato e ti provoca con la sua presenza nella vita della comunità, è la tensione a diventare non come quella persona nella sua concretezza piena di limiti, ma come quella persona nel valore a cui si dà e che redime in fondo anche la sua faccia di povero uomo; è il desiderio di partecipare alla vita di quella persona nella quale ti è portato qualcosa d’Altro, ed è questo Altro ciò a cui sei devoto, ciò a cui aspiri, cui vuoi aderire, dentro questo cammino».

Don Giussani

15 – «La crisi, sfida per un cambiamento»  (299)

(rielaborazione di due relazioni)

E Dio vide che [….] era cosa buona[….], era cosa molto buona”

Come sappiamo, questi primi capitoli non sono stati scritti all’inizio della storia di Israele, ma molti secoli dopo, alla fine di un lungo percorso, in cui a Israele non era stata risparmiata alcuna sofferenza di quelle patite dagli altri popoli.

Come può Israele avere una convinzione così certa della positività della realtà, dopo che tutta la sua storia è stata attraversata da sofferenze, tribolazioni e travagli di ogni genere?

La realtà non è tutta positiva, anzi, ci sono due tipi di realtà, una positiva e una negativa. È quello che esprime il manicheismo.

Come mai questa visione manichea non ha preso il sopravvento anche in Israele?

Ora quello che  colpisce di più è che questa positività della realtà il popolo di Israele l’ha veramente compresa proprio nel momento di crisi.

Quando tutto crolla, c’è qualcosa che permane: la realtà.

È una sfida ardua, perché anche per noi – come gli antichi manichei – pensiamo ci sia una realtà buona e una cattiva.

Siamo immersi in una situazione che ci offusca, e non riusciamo a riconoscere la natura del reale.

La realtà è ontologicamente positiva.

Perché? La realtà è positiva perché c’è.

Tutto ciò che esiste c’è perché il Mistero ha permesso che accadesse, provoca e mette in moto la persona, rappresenta un invito al cambiamento, l’occasione di un passo verso il proprio destino.

Ogni circostanza è strada e strumento del nostro cammino: è segno.

In quanto c’è, la realtà è provocazione, e quindi occasione di risveglio dell’io dal suo torpore.

Hannah Arendt: «Una crisi ci costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto; e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce».

Hannah Arendt

Il lavoro della ragione (303)

Quante testimonianze di persone per le quali le difficoltà sono diventate occasioni di cambiamento!

Questa è la grandezza dell’io che dobbiamo brandire di fronte alla crisi.

Altrimenti siamo già sconfitti nella nostra persona perché abbiamo accettato di essere un pezzo dell’ingranaggio delle circostanze.

Quante testimonianze di gente che, per il cambiamento e l’intensità sperimentata, è grata di ciò che le è accaduto e che non avrebbe mai desiderato accadesse!

La realtà è positiva per il Mistero che la abita.

Ma che cosa occorre per cogliere questa positività? Un tale riconoscimento della realtà che cosa esige? La ragione, meglio, un uso della ragione secondo la sua vera natura di conoscenza del reale in tutti i suoi fattori.

Se la ragione non coglie questo mistero che costituisce il cuore della realtà, il suo valore più prezioso, l’uomo cede alla tentazione di intendere in modo sentimentale o moralistico l’affermazione: “ la realtà è positiva”, come se significasse che essa è desiderabile e gradita, piacevole. Come mai accade questo?

La nostra ragione indietreggia, trema, si confonde. Basta che appaia all’orizzonte della vita quotidiana un inconveniente per mettere in dubbio e in discussione la sua positività.

E la realtà, da segno che spalanca, diventa tomba in cui tutti, tante volte, soffochiamo.

La fede è un avvenimento capace di ridestare in ciascuno il senso religioso, la ragione, di sostenere e compiere la capacità dell’uomo di stare nel reale e di trattare ogni cosa secondo la sua vera natura..

Cristo è venuto al culmine della storia del popolo di Israele proprio per questo: ridestare il nostro io perché potessimo affrontare qualsiasi sfida.

Cristo è diventato nostro compagno per ridestare la capacità della ragione di riconoscere la realtà, per non farci perdere la testa e l’anima.

Egli è venuto cioè per risvegliare il senso religioso, affinché siamo “più” uomini – mettendoci nelle condizioni ottimali per guardare la realtà secondo la sua vera natura – e non per fare di noi dei visionari.

Qualsiasi circostanza è parte essenziale, e non secondaria, della nostra vocazione di uomini

La crisi è la circostanza che il Mistero non ci sta risparmiando affinché noi facciamo in essa la verifica della fede, ne sperimentiamo la capacità di cambiamento, di positiva incidenza nella vita; le circostanze, infatti sono parte essenziale, e non secondaria, della nostra vocazione di uomini.

Nella misura in cui accettiamo questa sfida e compiamo personalmente la verifica, saremo in grado di dare ragione dell’esperienza che viviamo, di fornire una strada, un suggerimento, ci porremo davanti agli altri con un volto culturale, offrendo qualcosa in più del lamento di tutti – ne abbiamo già abbastanza -, perché, come abbiamo ripetuto tante volte, «il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà».

È una battaglia per affermare l’umano: è il tentativo di comunicare ai compagni di lavoro, agli amici e a chiunque incontriamo la speranza che è in noi.

I cristiani non saranno credibili diventando più “pii” in senso intimistico, ma usando adeguatamente la loro ragione, sfidando tutti con un uso diverso, più ampio, della ragione.

Un compito storico: dentro la crisi ridestare la speranza.

Questo noi cristiani lo possiamo fare – fragili come siamo – per il dono che abbiamo ricevuto e che non possiamo tenere per noi.

«La soluzione è una battaglia per salvare: non la battaglia per fermare la scaltrezza della civiltà, ma la battaglia per riscoprire, per testimoniare la dipendenza dell’uomo da Dio. Quello che è stato in tutti i tempi il vero significato della lotta umana, vale a dire la lotta tra l’affermarsi dell’umano e la strumentalizzazione dell’umano da parte del potere, adesso è giunto all’estremo. Il pericolo più grave di oggi non è neanche la distruzione dei popoli, l’uccisione, l’assassinio, ma il tentativo da parte del potere di distruggere l’umano [la nostra vera risorsa]. E l’essenza dell’umano è la libertà, cioè il rapporto con l’infinito. Perciò è soprattutto nell’Occidente che la grande battaglia deve essere combattuta dall’uomo che si sente uomo: la battaglia tra la religiosità autentica e il potere. Il limite del potere è la religiosità vera – il limite di qualunque potere: civile, politico ed ecclesiastico».

Don Giussani

16 – Anche in politica l’altro è un bene  (312)

(articolo su Repubblica)

Mi pare che la situazione di stallo sia il risultato di una percezione dell’avversario politico come un nemico, la cui influenza deve essere neutralizzata o perlomeno ridotta al minimo.

È impossibile ridurre a zero l’altro.

È stata questa evidenza, insieme al desiderio di pace che nessun può cancellare dal cuore di ogni uomo, che ha suggerito i primi passi di quel miracolo che si chiama Europa unita.

Che cosa permise ai padri dell’Europa di trovare la disponibilità a parlarsi, a costruire qualcosa insieme dopo la seconda guerra mondiale?

La consapevolezza dell’impossibilità di eliminare l’avversario li rese meno presuntuosi, meno impermeabili al dialogo, coscienti del proprio bisogno; si cominciò a dare spazio alla possibilità di percepire l’altro, nella sua diversità, come una risorsa, un bene.

Ora, dico pensando al presente, se non trova posto in noi l’esperienza elementare che l’altro è un bene, non un ostacolo, per la pienezza del nostro io, nella politica come nei rapporti umani e sociali, sarà difficile uscire dalla situazione in cui ci troviamo.

Riconoscere l’altro è la vera vittoria per ciascuno e per tutti.

Eppure proprio la loro esperienza di essere membra gli uni degli altri consentirebbe uno sguardo sull’altro come parte della definizione di sé e quindi come un bene.

Negli ultimi anni la Chiesa è stata colpita da non poche  vicende, a cominciare dallo scandalo della pedofilia; sembrava allo sbando, eppure anche nell’affrontare queste difficoltà è apparsa la sua diversità affascinante.

Se la consistenza di coloro che servono questa grande opera che è la politica è riposta solo nella politica, non c’è molto da sperare.

La Chiesa nella sua povertà piena di limiti ricorda di continuo l’annuncio di Cristo risorto. È Lui l’unico in grado di rispondere esaurientemente alle attese del cuore dell’uomo, fino al punto da rendere un Papa libero di rinunciare per il bene del popolo.

Occorre affermare il valore dell’altro e il bene comune al di sopra di qualsiasi interesse partitico.


Conclusione

Come nasce una presenza?(319)

Maria Maddalena ci testimonia il cuore che ciascuno di noi desidererebbe avere nel profondo del proprio essere, tanto l’io è questa ricerca di un amore che regga davanti alle sfide del vivere.

Come si fa a vivere (320)

“Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva”. Questa è la vita.

Ma allora come si fa a vivere? Senza trovare la presenza amata, l’amore dell’anima nostra, ogni mattino sarebbe una cosa da piangere.

È soltanto trovando la presenza che cerca e che risponde al suo pianto (“donna, perché piangi? Chi cerchi?”), che Maria ha avuto qualcosa da comunicare, da andare a dire agli altr: “ho visto il Signore”.

È una grande consolazione per ciascuno di noi che questo sia accaduto a una persona sconosciuta come Maria Maddalena, perché ci aiuta a capire che non c’è alcuna condizione previa, non c’è bisogno di essere all’altezza di niente, non occorre alcuna dote particolare per cercarLo.

Zaccheo e la Samaritana: davanti a queste figure evangeliche non si cono alibi.

Sono poveracci come noi, ma tutti tesi a cercarLo, definiti dalla ricerca di Lui e dalla passione per  Lui, che disarma tutte le nostre preoccupazioni, tutte le argomentazioni moralistiche che adottiamo per giustificare il non cercarLo.

Nessuno di noi fatica a immaginare che cosa sarà successo in loro quando Gesù, piegandosi sul loro niente, li ha chiamati per nome.

La tenerezza del Mistero arriva a Maria attraverso tutta l’umanità di Gesù risorto vibrante  per il fatto che lei ci sia: “Maria!”.

Si capisce allora come mai in quel momento lei ha capito chi era.

Ha potuto capire perché Lui ha fatto vibrare tutta la sua umanità fino a farle sentire una intensità, una pienezza, una sovrabbondanza che non aveva mai potuto immaginare prima.

L’avvenimento che ogni uomo inconsapevolmente attende (325)

Ciascuno deve guardare la propria esperienza, deve riandare all’origine, alla mossa iniziale, per vedere sorgere proprio lì il primo albore, il primo desiderio dell’appartenenza a Cristo.

Non c’è altra sorgente all’appartenenza se non l’esperienza del cristianesimo vissuto come avvenimento.

Solo questo è bastato perché ci venisse una voglia incontenibile di essere “Suoi”.

Inizio di una coscienza nuova (327)

«Che cos’è il cristianesimo se non l’avvenimento di un uomo nuovo che per sua natura diventa un protagonista nuovo sulla scena del mondo?».

Don Giussani

È soltanto se la presenza di Cristo invade la nostra vita che non abbiamo bisogno di mettere il braccio davanti al volto per difenderci dai colpi delle circostanze e possiamo vivere.

Eppure tante volte noi siamo talmente feriti dall’urto delle circostanze che si blocca il cammino della conoscenza e tutto diventa veramente soffocante.

Gesù è entrato nella storia per educarci a una conoscenza vera del reale.

Noi pensiamo di sapere già che cosa sia la realtà, ma senza di Lui ci assale la paura, ci blocchiamo e quindi soffochiamo nelle circostanze. 

Ma se noi non lasciamo entrare in continuazione il Suo sguardo, la Sua presenza, viviamo la realtà come tutti, non facciamo esperienza della novità.

Tutte le circostanze ci vengono date per provocarci a questa conoscenza nuova, per vedere che cosa è Gesù: una Presenza che ci consente di vivere il reale in modo diverso, nuovo.

E questo ci fa scoprire che le circostanze – tutte -, nessuna esclusa – non sono mai una obiezione, come invece tante volte pensiamo: siamo così definiti dalla nostra ferita che non vediamo la provocazione che contengono, l’attrattiva che esercitano, le abbiamo ridotte; crediamo già di sapere che cosa sia la circostanza che ci viene incontro, abbiamo già deciso che non c’è niente di nuovo da scoprire in essa, che c’è solo da sopportare, e ci resta quindi solo il tentativo moralistico di vedere se siamo all’altezza di questa sopportazione.

«La verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione!».

Papa Francesco

Se io sono certo di questa Presenza che invade la vita, posso affrontare qualsiasi circostanza, qualsiasi ferita, qualsiasi obiezione, qualsiasi contraccolpo, qualsiasi attacco: tutto mi spalanca e mi provoca ad accogliere la modalità con cui il Mistero si renderà presente per suggerirmi la strada, accompagnandomi perfino a entrare nel buio, secondo un disegno che non è il mio.

È un cammino umanissimo, non è un fatto di allucinazioni o di visioni, ma è la partecipazione a una avventura di conoscenza che fa scoprire sempre di più l’attrattiva che c’è anche dentro qualsiasi limite, qualsiasi difficoltà, perché ogni obiezione o circostanza, pur dolorosa, ha sempre dentro qualcosa di vero, altrimenti non ci sarebbe.

Cosa stiamo a fare al mondo? (330)

Noi stiamo capendo sempre di più, non malgrado le circostanze, ma proprio attraversandole qual è il nostro compito.

Adesso possiamo capire molto meglio quando don Giussani ci diceva nel 1976, cioè che ci sono due possibilità di essere presenti nel reale: o come “presenza reattiva”, che nasce da una nostra reazione, o come “presenza originale”, che sorge da quello che ci è capitato.

Poiché gioca sul “terreno degli altri”, la presenza reattiva «non può non cadere in due errori: o diventa una presenza reazionaria, attaccata cioè alle proprie posizioni come “forme” senza che i contenuti siano diventati così chiari da essere resi vita, oppure diventa mimesi, imitazione degli altri»

Vivere una presenza originale là dove ci troviamo è perciò innanzitutto realizzare la comunione con Cristo e tra di noi.

Una presenza originale (331)

Una presenza è originale insomma, «quando scaturisce dalla coscienza della propria identità e dall’affezione a essa, e in ciò si trova la sua consistenza».

San Tommaso: «La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene, e nel quale trova la più grande soddisfazione».

Ma cosa significa avere una identità? «Identità è sapere chi siamo e perché esistiamo, con una dignità che ci dà il diritto a sperare dalla nostra presenza “un meglio” per la nostra vita e per la vita del mondo».

Siamo stati afferrati. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» dice Gesù.

È una scelta oggettiva che non ci strappiamo più di dosso, è una penetrazione del nostro essere che non dipende da noi e che non possiamo più cancellare».

Proprio da questo essere afferrati, scelti scaturisce in noi l’autocoscienza che è sorta in Maria, che non ha più potuto guardare sé stessa come prima, perché era tutta determinata da quel “Maria”.

Vivo, non io, sei Tu che vivi in me”. Il porsi della nostra identità dipende allora dal fiorire in noi di questa autocoscienza nuova, ha in ciò la sua radice: «Questo è il vero uomo nuovo nel mondo – l’uomo nuovo che fu il sogno di Che Guevara e il pretesto mentitore di rivoluzioni culturali con cui il potere ha tentato e tenta di aver in mano il popolo, per soggiogarlo secondo la propria ideologia; e nasce innanzitutto non come coerenza, ma come autocoscienza nuova».

Come si manifesta la nostra identità, che fisionomia assume, con quale concretezza si mostra? «la nostra identità si manifesta in un’esperienza nuova dentro di noi [nel modo di vivere qualsiasi circostanza e qualsiasi sfida del reale] e tra di noi: l’esperienza dell’affezione a Cristo e al mistero della Chiesa, che nella nostra unità trova la sua concretezza più vicina. L’identità è l’esperienza viva dell’affezione a Cristo e alla nostra unità».

Un fatto dentro al quale naufragare (335)

L’esperienza viva di Cristo « è il luogo della speranza, perciò della scaturigine del gusto della vita e del fiorire possibile della gioia – che non è costretta a dimenticare o a rinnegare nulla per affermarsi; ed è il luogo del recupero di una sete di cambiamento della propria vita, del desiderio che la propria vita sia coerente, muti in forza di quello che essa è al fondo , sia più degna della Realtà che ha addosso. Dentro l’esperienza di Cristo e della nostra unità vive la passione per il cambiamento della propria vita [non della giustificazione dei nostri errori]. Ed è il contrario del moralismo: non una legge cui essere adeguati, ma un amore a cui aderire, una presenza da seguire sempre di più con tutto sé stessi».

«Il cambiamento di sé, pacato, equilibrato, e nello stesso tempo appassionato, diventa allora una realtà quotidiana – senza ombra di pietismo o di moralismo – una amore alla verità del proprio essere [di ricercatore della persona amata], un desiderio bello e scomodo come la sete».

Ma tutto questo deve diventare maturo in noi.

Ma come può una persona raggiungere la maturità della fede, qual è il metodo con cui la comunità diventa luogo di costruzione di maturità della fede perla persona?

La risposta di don Giussani è sempre chiara:seguire! «Seguire vuol dire immedesimarsi con persone che vivono con più maturità la fede, coinvolgersi in un’esperienza viva, che passa il suo dinamismo e il suo gusto dentro di noi»

Il seguire non ha nulla a che fare, dunque, con l’osservanza di istruzioni per l’uso o con il fare quello che dicono gli altri.

Dalla sequela così concepita, «Sorge l’idea fondamentale della nostra pedagogia dell’autorità: veramente autorevoli per noi sono le persone che ci coinvolgono con il loro cuore, con il loro dinamismo e con il loro gusto, nati dalla fede. Ma autorevolezza reale è allora la definizione dell’amicizia».

«L’amicizia vera è la compagnia profonda al nostro destino».

La nostra certezza è una sola: prendere sul serio la fede come “reagente” sulla vita concreta, in modo tale che siamo condotti a vedere l’identità tra la fede e l’umanità reso più vero – nella fede l’umano diventa più vero.

Occorre che si realizzi sempre di più questa verifica, altrimenti soccombiamo alla tentazione dell’utopia, cioè di riporre, di scivolare riponendo la nostra speranza e la nostra dignità in un progetto generato da noi.

Ciò che salva l’uomo (338)

Che cosa tradirono nel 68 molti giessini? La presenza.

Che cosa tradiamo noi? La presenza! Il progetto aveva sostituito la presenza. Adesso lo capiamo bene.

Noi abbiamo visto che cosa abbiamo guadagnato assecondando certi schieramenti,  ma cominciamo solo ora a renderci conto di quanto abbiamo perso, in termini di presenza, di presenza originale.

Scopo del nostro muoverci non è realizzare un progetto di attività sociale, ma essere presenza, rendere presente Cristo là dove siamo chiamati a vivere: la novità è la presenza come consapevolezza di portare addosso qualcosa di definitivo.

«Non si tratta di un progetto, tanto meno di un calcolo. Pieni di gratitudine i cristiani intendono restituire il dono che immeritatamente hanno ricevuto e che, pertanto, chiede di essere comunicato con la stessa gratuità»

Carf. Scola

Perché viene la tentazione di sostituire la presenza con un progetto?

Perché pensiamo che la fede, la comunità cristiana come presenza, non sia abbastanza incidente, non sia in grado di cambiare la realtà.

Lo hanno pensato tutti coloro che credevano che il cristianesimo vissuto nella tradizione non bastasse per essere presenti. Invece….

«la novità è questo avvenimento di affezione nuova e di nuova umanità, è la presenza di questo nuovo inizio del mondo nuovo che noi siamo. La novità non è l’avanguardia, ma il Resto di Israele, unità di coloro per i quali ciò che è accaduto è tutto e che aspettano solo il manifestarsi della promessa, il realizzarsi di quello che è dentro l’accaduto. La novità non è, dunque, un futuro da perseguire, non è un progetto culturale, sociale e politico: la novità è la presenza».

Don Giussani

«L’utopia ha, come modalità di espressione, il discorso, il progetto e la ricerca ansiosa di strumenti e di forme organizzative. La presenza ha come modalità di espressione un’amicizia operante, gesti di una soggettività diversa che si pone dentro tutto,usando di tutto e che risultano prima di tutto gesti di umanità reale, cioè di carità. Non si costruisce una realtà nuova con dei discorsi o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente».

Don Giussani

Non è, dunque, l’abolizione di una responsabilità,  ma è una modalità diversa di concepire la responsabilità.

Il compito che ci aspetta è l’espressione di una presenza consapevole, capace di criticità e di sistematicità.

Tale compito implica un lavoro. Il lavoro è il porsi della nostra identità dentro la materialità del vivere. La mia identità, in quanto penetra la materialità del vivere, cioè in quanto è dentro la condizione esistenziale, lavora e mi fa reagire.

La presenza è nella persona, solo ed esclusivamente nella persona, in te. La presenza è un argomento che coincide con il tuo io.

La presenza nasce e consiste nella persona.

La presenza è quella chiarezza della coscienza che si chiama fede, quella chiarezza della coscienza che naturalmente si chiama intelligenza, perché la fede è l’aspetto ultimo dell’intelligenza, è l’intelligenza che raggiunge il suo orizzonte ultimo.

Possiamo vedere ora con chiarezza che le due domande «Come si fa a vivere?» e «Cosa stiamo a fare al mondo?» vanno insieme. Il fattore che le unisce è la persona.

«La presenza di Cristo nella normalità del vivere, implica sempre più il battito del cuore: la commozione della Sua presenza diventa commozione nella vita quotidiana e illumina, intenerisce, abbellisce, rende dolce il tenore della vita quotidiana, sempre più. Non c’è niente di inutile, non c’è niente di estraneo, perché non c’è niente di estraneo al tuo destino, e perciò non c’è niente a cui non si possa affezionare, a tutto ci si affeziona, nasce una affezione a tutto, tutto, con le sue conseguenze magnifiche di rispetto della cosa che fai, di precisione nella cosa che fai, di lealtà con la tua opera concreta, di tenacia nel perseguire il suo fine; diventi più instancabile».

Don Giussani

Una letizia operativa (343)

Quando la Sua presenza penetra fino nel fondo del nostro essere riempie la vita di letizia.

Questa è in ultima istanza la cartina di tornasole: quante persone conosciamo essere veramente liete? Perché senza letizia non c’è generazione, non c’è presenza, non c’è novità.

È la letizia allora che lega le due domande «Come si fa a vivere?» e «Cosa ci stiamo a fare al mondo?».

Senza letizia non c’è generazione

«La letizia è il riverbero della certezza della felicità, dell’Eterno, e si forma di certezza e di volontà del cammino che si sta compiendo».

Don Giussani

«Guardare con simpatia uno che ci è antipatico è generare una cosa nuova nel mondo, è generare un avvenimento nuovo. La letizia è la condizione per la generazione, la gioia è la condiziona per la fecondità. Essere lieti è condizione indispensabile per generare un mondo diverso, una umanità diversa.

Don Giussani

«Perciò anche il nostro male non ci può togliere la letizia. La letizia è come il fiore del cactus, che nella pianta piena di spine genera una cosa bella»

Don Giussani