Uso e significato delle parole in Don Giussani nel libro “Il senso Religioso”

Testo di riferimento
«La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale».
Don Luigi Giussani – Senso religioso – pag. 119 capitolo ottavo – terzo paragrafo
A–B–C–D–E–F–G–I–L–M/N–O–P–R–S–T–U–V
All’interno di ogni lettera indice linkato ai diversi titoli .
Lettera «A»
Links ai singoli temi
- Aderire
- Affettività/affezione
- Aggettivo
- Alienazione
- Amicizia/amico
- Amor proprio
- Amore
- Analogia
- Anarchia
- Anima
- Apertura
- Ascesi
- Atarassia/imperturbabilità
- Attaccamento a sé
- Attento/attenzione
- Attesa
- Attimo
- Attrattiva
- Autocoscienza
Aderire-adesione
(20) Il problema interessante per l’uomo è aderire alla realtà, rendersi conto della realtà.
(29) Che cosa è la fede? Aderire a ciò che dice un altro.
(42) Io aderisco a Cristo perché è la verità.
(121) Esistenzialmente questa libertà non è ancora compiuta; esistenzialmente è tensione al compimento, è tensione verso l’essere e adesione progressiva, è in divenire.
(181ss) [Esperienza del rischio] E’ uno iato, un abisso, un vuoto tra l’intuizione del vero, dell’essere, data dalla ragione e la volontà: una dissociazione tra la ragione e la volontà che è affettività, cioè energia di adesione all’essere.
Per cui uno vede le ragioni ma non si muove.
Non si muove perché manca di energia di coerenza, non nel senso etico di comportamento conseguente, ma nel senso teorico di adesione intellettuale al vero fatto intravvedere dalle ragioni.
La coerenza resta così l’energia con cui l’uomo prende sé stesso e aderisce, “si incolla” a ciò che la ragione gli fa vedere.
Invece avviene una spaccatura tra la ragione e l’affettività: questa è l’esperienza del rischio.
Non è una ipotesi astratta, è qualcosa di molto concreto.
Ci può essere un uomo, ad esempio, che da sette anni è fidanzato a una ragazza e non si decide, non perché sia cattivo, ma non si decide perché continuamente si dice: «e poi …», «e se …»; «e ma…», «e come faccio a essere sicuro».
Qui è grave la divisione fra l’energia di adesione e la ragione come scoperta dell’essere: il fuoco di fila dei «se» e dei «ma« dei «però forse» fa da linea di fuoco che fronteggia la ritirata del proprio impegno con il mistero.
E’ l’immoralità suprema: l’immoralità di fronte al proprio destino
(182) Solo una energia di volontà enorme potrebbe far aderire a delle ragioni che sembrano astratte.
(183) Tutto il mondo è una grande ragione e non esiste sguardo umano sulla realtà che non senta la provocazione di questa prospettiva che lo supera.
Il vero dramma sta nella volontà che deve aderire a questa immensa evidenza.
La drammaticità è definita da quello che io chiamo rischio.
(189) L’uomo, la vita razionale dell’uomo dovrebbe essere sospesa all’istante, sospesa in ogni istante a questo segno apparentemente così volubile, così casuale che sono le circostanze attraverso le quali l’ignoto «signore» mi trascina, mi provoca al suo disegno.
E dir sì ad ogni istante senza vedere niente, semplicemente aderendo alla pressione delle occasioni: è una posizione vertiginosa.
La ragione non tollera, impaziente, di aderire all’unico segno attraverso cui l’Ignoto, segno così ottuso, così cupo, così non trasparente, così apparentemente casuale, come è il susseguirsi delle circostanze: è come sentirsi in balia di un fiume che ti trascina in qua e il là.
Affettività-affezione
(35s) C’è un tipo di oggetti che costituisce il termine di un interesse che l’uomo non può evitare: l’interesse ai significati.
Il problema del destino, il problema affettivo, il problema politico mi sembrano le tre categorie cui si può ricondurre questo tipo di oggetti delle conoscenze.
(40) Quanto più un problema è vitale ed elementare nella sua importanza – destino, affezione, convivenza – tanto più la natura dà a chiunque l’intelligenza per conoscere e giudicare.
(43s) Ma che cosa può persuadere a questa ascesi, a questo lavoro ed allenamento? L’uomo infatti solo da un amore e una affezione è mosso.
L’amore che ci può persuadere a questo lavoro per arrivare ad una capacità abituale di distacco dalle proprie opinioni e dalle proprie immaginazioni, così da porre tutta la nostra energia conoscitiva nella ricerca della verità dell’oggetto qualunque esso sia,
è l’amore a noi stessi come destino è
l’affezione al nostro destino.
È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù più vera.
(181) [Esperienza del rischio]……. È uno iato, un abisso, un vuoto tra l’intuizione del vero, dell’essere, data dalla ragione e la volontà: una dissociazione tra la ragione, percezione dell’essere, e la volontà che è affettività, cioè energia di adesione.
Invece avviene una spaccatura tra la ragione e l’affettività, tra la ragione e la volontà: questa è l ‘esperienza del rischio.
Aggettivo
(119s) L’esperienza è descritta innanzitutto dall’aggettivo corrispondente, perché l’aggettivo è la descrizione veloce e sommaria di un’esperienza vissuta.
Il sostantivo sarà come una tentata definizione che deriva dall’aggettivo.
Così per capire che cosa è la libertà noi dobbiamo partire dall’esperienza che abbiamo del sentirci liberi.
Alienazione
(51) Occorre che la ricchezza tradizionale sia applicata alla problematica della vita attraverso il vaglio critico di quella che abbiamo chiamato esperienza elementare.
In caso contrario – omettendo cioè quel vaglio critico -, il soggetto è alienato e fossilizzato nella tradizione o, venduto alla violenza dell’ambiente, finirà per abbandonarla.
(103) Le domande fondamentali segnano l’emergere nella natura proprio della dimensione personale dell’uomo.
E’ impossibile far consistere la risposta a quelle domande in una realizzazione che tocchi una collettività in un ipotetico futuro, senza dissolvere l’identità dell’uomo, senza alienarlo in una immagine, dove la trama profonda di urgenze ed esigenze del suo “io” resta frustrata.
(119) La definizione delle parole più importanti della vita se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale.
Makarenko “Pedagogia scolastica sovietica“- Armando editore – pag.13-14:
«L’educazione è la catena di montaggio dalla quale uscirà il prodotto del comportamento adeguato alle richieste di chi organicamente incorpora ed interpreta il divenire storico.»
(123) «Chi organicamente incorpora ed interpreta il senso del divenire storico» è chi detiene il potere in quel momento: si tratta quindi di una totale alienazione della persona umana nella concezione ideologica della società brandita dal potere.
Amicizia-amico
(145) Perciò, se si guarda un uomo, una donna, un amico, un parente senza che riverberi in noi il riverbero di quella domanda, di quella sete di destino che lo costituisce, il nostro non sarebbe un rapporto umano, e tanto meno potrebbe essere una rapporto amoroso a qualunque livello.
(161) L’uomo non percepisce mai un’esperienza di completezza come nella compagnia, nella amicizia particolarmente tra uomo e donna.
(175) L’amore dell’uomo e della donna, l’amicizia, la convivenza hanno nel segno il loro strumento di comunicazione.
Amor proprio
(189) La Bibbia rivela che «un eccessivo attaccamento a sé» (la formula psicologica identica è nota: «amor proprio») spinge la ragione dell’uomo, nel suo desiderio appassionato, nella sua pretesa di capire questo supremo significato da cui tutti i suoi atti dipendono, a dire, a un certo punto: «Ecco, ho capito: il mistero è questo».
La ragione non tollera, impaziente, di aderire all’unico segno attraverso cui l’Ignoto, segno così ottuso, così cupo, così non trasparente, così apparentemente casuale, come è il susseguirsi delle circostanze: è come sentirsi in balia di un fiume che ti trascina in qua e il là.
Amore
(25) Come si fa a dimostrare che una mamma ti vuole bene? Ragionandoci sopra? Facendo formule di geometria? Usando qualche metodo scientifico? No!
Vi sono delle realtà, dei valori, la cui conoscenza non rientra nei tre metodi che abbiamo menzionato.
Sono i valori che riguardano l’umano comportamento, non nel suo aspetto meccanico, identificabile con la sociologia o la psicologia, ma nel suo aspetto di significato, come dagli esempi fatti.
(42ss) Nell’applicazione al campo della conoscenza questa è la regola morale:
amore alla verità dell’oggetto più di quanto si sia attaccati alle opinioni che già ci siamo fatti su di esso.
(43) E’ chiaro che amare la verità dell’oggetto più che non l’idea che su di essa già ci siamo fatti, vuol dire essere liberi dai preconcetti.
Però «assenza di preconcetti» è una frase equivoca, perché l’assenza di preconcetti nel senso letterale della parola è impossibile.
Il vero problema non è non avere preconcetti: anzi nella misura in cui uno è un uomo fertile, potente e vivace, in quella misura appena posto di fronte ai problemi ha subito la sua reazione, anche come giudizio: si fa subito una immagine delle cose.
(44) Si tratta invece di quel processo grande e semplicissimo di distacco da sé di cui parla il Vangelo.
Si tratta di un atteggiamento in cui la libertà riflette su se stessa, e si domina così da utilizzare la sua energia in modo consono allo scopo.
Per amare la verità più di sé stessi, per amare la verità dell’oggetto più dell’immagine che ci siamo fatti su di esso, per questa povertà di spirito, per questo occhio sgranato di fronte al reale e alla verità come quella del bambino, occorre un processo e un lavoro.
Anche qui il processo si chiama «ascesi».
L’uomo solo da un amore e una affezione è mosso.
L’amore che ci può persuadere a questo lavoro per arrivare ad una capacità abituale di distacco dalle proprie opinioni e dalle proprie immaginazioni (non di eliminazione ma di distacco da esse!), così da porre la nostra energia conoscitiva nella ricerca della verità dell’oggettto, qualunque esso sia, è l’amore a noi stessi come destino, è l’affezione al nostro destino.
È questa commozione ultima, è questa emozione suprema che persuade alla virtù vera.
(56s) C’è una obiezione diffusa all’esistenza nella persona umana di queste due irriducibili realtà (materia e spirito).
Osserviamo questo grafico: 
«Vedete dunque – direbbe il materialista – che quanto appare dopo, cioè spirito, intelligenza, pensiero, amore, è una flessione del dato materiale iniziale».
Anche il cosiddetto spirito è frutto della materia, l’uomo è per sua natura materia.
(57)Così tutto il fenomeno dell’amore con amara disinvoltura viene ricondotto a fatto biologico.
Se infatti, come abbiamo visto, l’esperienza mostra in me l’esistenza di due tipi di realtà irriducibili l’uno all’altro, non posso farli coincidere, perché spiegare la differenza sopprimendola significa forzare, violentare l’esperienza, significa investire l’esperienza di un preconcetto.
(82) Persino l’amore tra l’uomo e la donna ha la saldatura profonda non nell’impeto della giovane età: la saldatura di quell’amore è un’altra cosa, che si oggettiva nel bambino, nel figlio o, diciamo più genericamente, in un compito.
Ma quando un figlio ci fosse, il compito che cos’è? È più o meno confuso, più o meno nebuloso o consapevole, il destino del figlio, il suo cammino d’uomo; è questo senso che preme e detta l’atteggiamento di emozione reale, di impegno sicuro, di sentimento amoroso nella sua semplicità e nella sua totalità.
Senza un’altra cosa che eccede il rapporto, il rapporto amoroso non starebbe.
Occorre una ragione per il rapporto, e la ragione vera di un rapporto deve connetterlo con il tutto.
(127)
L’antipotere è l’amore
e il divino è l’affermazione dell’uomo come capacità di libertà, cioè come irriducibile capacità di perfezione, di raggiungimento di felicità.
Il divino è amore.
(159) Romeo e Giulietta esprime sinteticamente l’apertura analogica del dinamismo dell’amore:
Shakespeare – atto I, scena I
«Mostrami una amante che sia pur bellissima; che altro è, se non un consiglio ove io legga il nome di colei che di quella bellissima è ancor più bella?»
(165) Dio è amore, ma non lo è secondo secondo la nostra modalità.
(175) La parola e il gesto, che cosa sono? Dei segni.
L’amore dell’uomo e della donna, l’amicizia, la convivenza hanno nel segno il loro strumento di comunicazione.
Analogia
(144) Individueremo meglio il valore della parola “analogia” citata nel brano biblico.
(151) Il mondo, questa realtà in cui impattiamo, è come se nell’impatto sprigionasse una parola, un invito, facesse sentire un significato.
Il mondo è come una parola, un logos che richiama, richiama ad altro, oltre sé, più su.
In greco «su» si dice «ανά – anà». Questo è il valore dell’analogia: la struttura di impatto dell’uomo con la realtà desta nell’uomo una voce che lo attira a un significato che è più in là, più in su.
Analogia: questa parola sintetizza la struttura dinamica che l’uomo ha con la realtà.
Anarchia
(11ss) Vale a dire, il singolo uomo avrebbe tutto il potere di determinare il suo significato ultimo, e quindi delle azioni a esso tese: non sarebbe questo un’esaltazione dell’anarchia intesa come ultimo tribunale?
L’anarchia da un punto di vista antropologico costituisce una delle tentazioni più grandi e affascinanti dell’umano pensiero.
Infatti, a mio avviso, solo due tipi di uomini salvano interamente la statura dell’essere umano: l’anarchico e l’autenticamente religioso.
La natura dell’uomo è rapporto con l’Infinito: l’anarchico è l’affermazione di sé stesso all’infinito, e l’uomo autenticamente religioso è l’accettazione dell’infinito come significato di sé.
(12) Realmente l’anarchia costituisce la tentazione più affascinante, ma è tanto affascinante quanto la menzogna.
E la forza di tale menzogna sta appunto nel suo fascino, che induce a dimenticare che prima l’uomo c’era e adesso non c’è e poi muore.
(13) Ecco perché il criterio fondamentale con cui si affrontano le cose è il criterio oggettivo con cui la natura lancia l’uomo nell’universale paragone, dotandolo di quel nucleo di esigenze originali, di quella esperienza elementare di cui tutte le madri allo stesso modo dotano i loro figli.
È solo qui, in questa identità dell’ultima coscienza il superamento dell’anarchia.
Direi allora: se si vuole diventare adulti senza essere ingannati, alienati, schiavi di altri. strumentalizzati, ci si abitui a paragonare tutto con l’esperienza elementare.
Anima
(52) San Tommaso d’Aquino««Anima est quodammodo omnia».
Lo spirito dell’uomo è in qualche modo tutto.
(54/55) L’osservazione che il soggetto fa di se stesso in azione gli rivela dunque che il suo io è fatto di due realtà diverse: tentare di ridurre l’una all’altra sarebbe negare l’evidenza dell’esperienza che diverse le presenta.
Queste due realtà con caratteristiche irriducibili potevano essere chiamate in molti modi: le hanno chiamate materia e spirito, corpo e anima. Quello che è importante è tener ben ferma la irriducibilità dell’una all’altra.
(71) Pavese ne Il mestiere di vivere:
«Com’è grande il pensiero che veramente a noi nulla è dovuto. Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?».
Forse non ha pensato che l’attesa è la struttura stessa della nostra natura, l’essenza della nostra anima.
Essa non è un calcolo: è data.
La promessa è all’origine stessa della nostra fattura.
Chi ha fatto l’uomo l’ha fatto promessa.
Strutturalmente l’uomo attende; strutturalmente è mendicante: strutturalmente la vita è promessa.
(124) Catechismo Pio X
«Il corpo viene dato dai genitori, ma l’anima viene infusa direttamente da Dio».
«Anima» indica esattamente che c’è un quid in me che non deriva da alcun fattore della fenomenologia sperimentabile, perché non dipende, non deriva dalla biologia di mio padre e di mia madre.
Apertura
(66) Soltanto un oggetto incommensurabile può rappresentare un invito indefinito per una apertura strutturale dell’uomo.
(129) Il senso cattivo del termine «preconcetto» è la dove l’uomo di mette di fronte alla realtà proposta, avendo la reazione come criterio di giudizio, e non soltanto condizionamento da superare in una apertura di domanda.
(134) Un grande filosofo contemporaneo, Paul Ricoeur, ha individuato l’essenza di una inesausta apertura della ragione di fronte all’inesausto richiamo del reale con una frase perfetta:
Quello che io sono è incommensurabile con quello che io so
(153) Aprendo lo sguardo alla realtà, ho davanti qualcosa che realizza una provocazione di apertura.
Il modo con cui il reale si presenta a me è sollecitazione a qualche cosa d’altro.
La realtà afferra la nostra coscienza in maniera tale che questa pre-sente e percepisce qualche cosa d’altro.
(158) L’umanità di una società, la sua civiltà, è determinata dall’aiuto che l’educazione di essa dà a mantenere spalancata questa apertura insaziabile, attraverso tutti i comodi e gli interessi che prematuramente la vorrebbero chiudere.
(171) Se tu sei morale, vale a dire, se tu sei nell’atteggiamento originale in cui Dio ti ha creato, cioè atteggiamento aperto al reale, allora capisci, o per lo meno cerchi, cioè domandi.
(177) La curiosità del bambino o dell’adulto è apertura piena di affermazione positiva.
(205) L’ipotesi della Rivelazione non può essere distrutta da alcun preconcetto o da alcuna opzione. Essa pone una questione di fatto, cui la natura del cuore è originalmente aperta.
Occorre per la riuscita della vita che questa apertura sia determinante.
Ascesi
(13ss) Ascesi per una liberazione.
Se si vuole diventare adulti senza essere ingannati, alienati e schiavi di altri, strumentalizzati, ci si abitui a paragonare tutto con l’esperienza elementare.
Di norma infatti tutto viene affrontato secondo una mentalità comune: sostenuta, propagandata da chi nella società detiene il potere.
(14) La sfida più audace quella mentalità che ci domina e incide in noi per ogni cosa – dalla vita dello spirito al vestito – è proprio di rendere abituale in noi il giudizio su tutto alla luce delle nostre evidenze prime, e non alla mercé di più occasionali reazioni.
L’uso dell’esperienza elementare, o del proprio «cuore», è impopolare soprattutto di fronte a se stessi, perché quel «cuofre» è l’origine dell’indefinibile disagio da cui si viene presi quando si è trattati come oggetto di interesse o di piacere.
Incominciamo a giudicare: è l’inizio della liberazione.
Il recupero dell’esistenziale di fondo, che permette questa liberazione, non può evitare la fatica di andare controcorrente.
Si potrebbe chiamare lavoro ascetico, dove con la parola ascesi si indica l’opera dell’uomo in quando cerca la maturazione di sé, in quanto è direttamente centrato sul cammino al destino.
(44) Anche qui il processo faticoso si chiama ascesi.
La moralità nasce come spontaneità in noi, come atteggiamento originale, ma subito dopo, se non è continuamente recuperato da un lavoro, si corrompe.
La parabola che tende inesorabilmente alla corruzione deve essere continuamente arginata.
(119) La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale.
Che cosa sia la paternità, la maternità, che cosa sia l’obbedienza, la compagnia, la solidarietà, l’amicizia, che cosa sia la libertà tutto ciò genera nella maggioranza della gente una immagine o una opinione o una definizione mutuata letteralmente dalla mentalità comune, vale a dire dal potere.
È una schiavitù da cui non ci si libera automaticamente, ci si libera con una ascesi: l’ascesi una applicazione che l’uomo fa delle sue energie in un lavoro su sé stesso, intelligenza e volontà.
Atarassia – Imperturbabilità
(38) E’ realmente una mistificazione immaginare che il giudizio con cui la ragione cerca di raggiungere la verità dell’oggetto sia più adeguato, più valido, quando lo stato d’animo sia in perfetta atarassia, in completa indifferenza.
(88) Ma l’aspetto più nobile, più formato, più filosoficamente motivato, unica alternativa dignitosa all’impegno di una vita sinceramente religiosa, cioè veramente impegnata con quelle domande, è l’ideale stoico dell’atarassia, della imperturbabilità.
Ecco l’uomo dignitoso e saggio che si allena al governo di sé e si costruisce un equilibrio totalmente razionale da lui immaginato e da lui realizzato, e questo equilibrio lo rende fermo, impavido di fronte a tutte le vicende.
(91s) L’ideale della atarassia, l’ideale della imperturbabilità, anche conquistata da un governo accanito di sé, oltre che inadeguata ed illusoria, perché non sta, è alla mercé del caso.
Tu puoi ridurti imperturbabile e inattaccabile, ma nella misura in cui non sei arido, nella misura in cui sei potente come umanità, presto o tardi la tua costruzione, che ti è durata magari una reale ascesi di anni, una accanita riflessione filosofica e una accanita presunzione, un soffio basta a farla crollare.
(92) Simbolicamente mai attore nella vita, ma spettatore: ideale di questa atarassia è quello di rendersi il più possibile spettatore della fervidità equivoca e pericolosa della vita.
Ma un innamoramento assurdo, assolutamente imprevedibile e fuori luogo, ha distrutto quell’ordine, prima perfettamente dominato, in pochi giorni, anzi, in un attimo.
Tutta l’energia della atarassia, tutta l’intelligenza e la forza con cui si era costruito, di schianto fiaccate, lo riducono solo a essere un freddo suicida. (Racconto del sig. Friedmann che dopo essersi costruito imperturbabile si innamora).
Attaccamento a sé
(41ss) Cosa vuol dire un interesse per l’oggetto? Un desiderio di conoscere ciò che l’oggetto realmente è.
Sembra banale, ma noi siamo più proclivi a rimanere legati alle opinioni che già abbiamo sui significati delle cose e a pretendere di documentare il nostro attaccamento.
(42) Dover dare giudizi veri su questi problemi (Dio e la religione) che strappo impone, che faticosa libertà esige per rompere l’attaccamento alle impressioni già riportate.
(43) La povertà di spirito suprema è quella di fronte alla verità, è quella che desidera la verità e basta, al di là di tutto l’attaccamento che vive, prova, sente ed esperimenta alle immagini che già si è fatte sulle cose.
(130) Socrate nel Gorgia di Platone:
«E’ l’attaccamento alla mentalità comune del popolo, radicato nell’anima tua, che mi è di ostacolo».
Attento-attenzione
(39ss) Se una determinata cosa non mi interessa, non la guardo: se non la guardo non la posso conoscere.
Per farne conoscenza ho bisogno di porre attenzione ad essa.
Attenzione vuol dire «essere tesi a….». Se mi interessa, mi colpisce, sarò teso nei suoi confronti.
(40) Il delitto che la maggioranza delle persone compie di fronte al problema del destino, della fede, della religione, della Chiesa, del cristianesimo è la mancanza di attenzione.
La grande maggioranza compie questo tipo di delitto perché in tutt’altre faccende affaccendato, il suo cervello a queste cose è morto e sepolto, ma poi pretende di avere un giudizio, di avere una opinione.
(41) Per fare attenzione a un oggetto così da dare un giudizio, io debbo prenderlo in considerazione.
Per prendere in considerazione un oggetto debbo vivere un interesse per esso.
Che cosa vuol dire un interesse per l’oggetto?
Un desiderio di conoscere ciò che l’oggetto veramente è.
(45) Non sarà inutile ridire che il vero problema per ciò che concerne la ricerca della verità sui significati ultimi della vita non è quello di una particolare intelligenza che occorra o di uno speciale sforzo o di eccezionali mezzi necessari da usarsi per raggiungerla.
La verità ultima è come trovare una bella cosa sul proprio cammino: la si vede e si riconosce, se si è attenti.
Il problema dunque è tale attenzione.
(146) In questo momento io, se sono attento, cioè se sono maturo, non posso negare che l’evidenza più grande e profonda che percepisco è che io non mi faccio da me, non sto facendomi da me.
(172) Il mondo, mentre svela, “vela”.
Il segno «svela», ma nello stesso tempo vela.
È soltanto una attenzione particolare che, sotto, o al di là di un drappo, apparentemente inerte, ti fa sentire la vibrazione di un corpo vivo che sta dietro; non senti il manichino, senti il corpo vivo.
(175 ss) L’educazione alla responsabilità implica una educazione alla attenzione.
Perché l’attenzione non necessariamente ottiene lo spazio di una libertà impegnata: non è automaticamente facile fare attenzione.
(176) Il preconcetto impedisce l’attenzione: il prevalere dell’interesse, quindi distrazione.
L’attenzione deve soprattutto dar conto della totalità dei fattori.
Ma oltre l’educazione all’attenzione, una educazione alla responsabilità è anche educazione alla capacità di accettazione.
Educare a una attenzione e a una accettazione qualificata della sensibilità alla totalità dei fattori in gioco è una pedagogia ad aprire porte magari già chiuse prematuramente, anche se comprensibilmente: a qualunque ora, anche di notte, può venire a bussare la consistenza della realtà.
Educare alla attenzione e alla accettazione assicura la modalità profonda con cui uno deve atteggiarsi di fronte alla realtà: spalancato, libero, e senza quella presunzione che chiami la realtà di fronte al proprio verdetto di giudice, e perciò senza giudicare la realtà in base al preconcetto.
Una educazione della libertà alla attenzione, cioè uno spalancarsi verso la totalità dei fattori in gioco, e una educazione alla accettazione, cioè un abbraccio consapevole di ciò che viene davanti agli occhi, è la questione fondamentale per un cammino umano.
(177) La curiosità è l’aspetto più immediatamente meccanico di questa attenzione abissale in cui la natura desta l’uomo di fronte al cosmo.
(189) Per tutta la vita la vera legge morale sarebbe quella di essere sospesi al cenno di questo ignoto «signore», attenti ai segni di una volontà che ci apparirebbe attraverso la pura, immediata circostanza.
L’uomo, la vita razionale dell’uomo dovrebbe essere sospesa in ogni istante a questo segno apparentemente così volubile, così casuale che sono le circostanze attraverso le quali l’ignoto «signore» mi trascina, mi provoca al suo disegno.
E dir «sì» ad ogni istante senza vedere niente, semplicemente aderendo alla pressione delle occasioni.
E’ una posizione vertiginosa.
Attesa
(71) L’attesa è la struttura stessa della nostra natura, l’essenza della nostra anima.
Essa non è calcolo, è data.
La promessa è all’origine, dall’origine stessa della nostra fattura.
Chi ha fatto l’uomo l’ha fatto promessa.
Strutturalmente l’uomo attende; strutturalmente è mendicante: strutturalmente la vita è una promessa.
(154) «Dall’immagine tesa» di Clemente Rebora:
«Dall'immagine tesa
Vigilo l'istante
Con imminenza di attesa -
E non aspetto nessuno:
Nell'ombra accesa
Spio il campanello
Che impercettibile spande
Un polline di suono -
E non aspetto nessuno:
Fra quattro mura
Stupefatte di spazio
Più che deserto
non aspetto nessuno:
Ma deve venire,
Verrà, se resisto
A sbocciare non visto
Verrà d'improvviso,
Quando meno l'avverto:
Verrà quasi perdono
Di quanto fa morire,
Verrà a farmi certo
Del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
Delle mie e sue pene,
Verrà, forse già viene
Il suo bisbiglio».
(177) Qual’è l’atteggiamento giusto di fronte alla realtà?
È la permanenza della posizione originale in cui la natura formula l’uomo.
E tale atteggiamento originale, sigillo nativo impresso all’uomo dalla natura, è l’atteggiamento dell’attesa come domanda.
Nel bambino tutto ciò è curiosità: attesa e domanda.
Nell’uomo è attesa e ricerca.
Una reale ricerca implica sempre come ipotesi ultima la risposta positiva: altrimenti uno non ricerca.
(203) Conveniente è una ipotesi che si incontra col desiderio dell’uomo, adatta al cuore e alla natura dell’uomo.
Sommamente conveniente è una risposta alla attesa normalmente inconscia.
Attimo
(113) Con che cosa fabbrichiamo il futuro? Con il presente.
Ma il presente , che è questo attimo, questo istante, il presente da che parte trova le energie, le immagini, le ricchezze, la dovizia dei sentimenti con cui costruire il futuro? Dove li trova?
Come è superficiale lo spessore di una azione che nascesse come pura reattività dell’istante!
E infatti ultimamente ciò che non si può neanche concepire, perché la reattività dell’istante mi costringe a riconoscere che io per agire ora devo usare una cosa che mi hanno dato nel passato: la mia carne, le mie ossa, la mia intelligenza, il mio cuore.
La mia libertà è sempre un presente, ma il contenuto è nel passato, la ricchezza è nel passato.
Quanto più uno è potente come personalità, tanto più è capace di recuperare tutto il passato.
(146) Non mi do l’essere, non mi do la realtà che sono,
«sono dato».
È l’attimo adulto della scoperta di me stesso come dipendente da qualcosa d’altro.
Attrattiva
(116s) L’attrattiva consistente del vivere viene dal passato.
(117) L’attrattiva consistente del presente viene dalla ricchezza di cui è pregno, perciò viene dalla eredità del passato, altrimenti si assottiglia enormemente, come è sottile e arida l’attrattiva di una pura reattività.
(141) E’ questo stupore che desta la domanda ultima dentro di noi: non una registrazione a freddo, ma meraviglia gravida di attrattiva, come una passività in cui nello stesso istante viene concepita l’attrattiva.
È ben superficiale dire che la religione sia nata dalla paura.
La paura non è il primo sentimento dell’uomo.
Esso è un’attrattiva; la paura sorge in un secondo momento come riflessione del pericolo percepito che quella attrattiva non permanga.
È l’attaccamento all’essere, alla vita, è lo stupore di fronte all’evidenza: come possibilità posteriore, si teme che quella evidenza scompaia, che quell’essere non sia tuo, che l’attrattiva non sia adempiuta.
La religiosità è innanzitutto l’affermarsi e lo svilupparsi dell’attrattiva.
Lo stupore originale implica un senso di bellezza, l’attrattiva della bellezza armonica.
(146) A questo punto quando è risvegliato nel suo essere dalla presenza, dalla attrattiva e dallo stupore, ed è reso grato, lieto, perché questa presenza può essere benefica e provvidenziale, l’uomo prende coscienza di sé come «io » e riprende lo stupore originale con una profondità che stabilisce la portata, la statura della sua identità.
In questo momento io, se sono attento, coè se sono maturo, non posso negare che l’evidenza più grande e profonda che percepisco è che io
Non mi faccio da me,
Non sto facendomi da me. Non mi dò l’essere, non mi dò la realtà che sono,
sono dato
È l’attimo adulto della scoperta di me stesso come dipendente da qualcosa d’altro.
(150) L’esperienza di quella implicazione nascosta, di quella speranza arcana, misteriosa dentro l’occhio che si spalanca sulle cose, dentro l’attrattiva che le cose risvegliano come potrà essere potente?
Nell’impatto con il reale.
(160) L’attrattiva di una bellezza segue una traiettoria paradossale: quanto più è bella, tanto più rimanda ad Altro.
(170s) O tu vai di fronte alla realtà spalancato, con gli occhi sgranati di un bambino,lealmente, dicendo pane al pane e vino al vino, e allora abbracci tutta la sua presenza ospitandone anche il senso; o ti metti di fronte alla realtà difendendoti, quasi con il gomito davanti al viso per evitare colpi sgraditi o inattesi.
(171) E’ il povero di spirito colui che di fronte alla realtà non ha da difendere nulla.
Perciò afferra tutto come è, e segue l’attrattiva della realtà secondo le sue implicazione totali.
Autocoscienza di sé
(33s) L’uomo è quel livello della natura, in cui la natura prende coscienza di sé stessa, è quel livello della realtà in cui la realtà comincia a diventare autocoscienza di sé, comincia cioè a diventare ragione.
(72) Se uno avesse la consapevolezza piena della morte che sta per giungere, la sua autocoscienza sentirebbe le sue domande esaurite? O le sentirebbe esasperate?
Quando una energia è tesa, se trova un ostacolo si tende ulteriormente, non si smonta.
(103) Le domande fondamentali costituiscono la mia persona, si identificano con la mia ragione e coscienza, sono il contenuto della mia autocoscienza: la loro soluzione, l’avverarsi del loro significato deve toccare me, riguarda direttamente me.
Una risposta non è data se non è data a me.
(146s) (Quando l’uomo capisce) che questa presenza può essere benefica e provvidenziale, l’uomo prende coscienza di sé come « io » e riprende lo stupore originale con una profondità che stabilisce la portata, la statura della sua identità.
(147) La coscienza di sé fino in fondo percepisce al fondo di sé un Altro.
Questa è la preghiera: la coscienza di sé fino in fondo che si imbatte in un Altro.
Così la preghiera è l’unico gesto umano in cui la statura dell’uomo è totalmente realizzata.
(153) La realtà afferra la nostra coscienza in maniera tale che questa pre-sente e percepisce qualcosa d’altro.
(179) Dio è l’implicazione più immediata della coscienza di sé..
A–B–C–D–E–F–G–I–L–M/N–O–P–R–S–T–U–V
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