«La definizione delle parole più importanti della vita, se viene determinata dalla mentalità comune assicura la schiavitù totale, l’alienazione totale».
Don Luigi Giussani – Senso religioso – pag. 119 capitolo ottavo – terzo paragrafo
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(102s) L’uomo prova una più intensa convinzione nel sentirsi aderire alla parola di un altro che neanche nel vedere lui stesso.
(103) Nell’aderire a qualcuno che ascolta, infatti, l’uomo deve poggiare la totalità della sua persona sul “tu” di un altro.
E mentre è molto facile per ognuno mettere in dubbio sé stessi, è molto più difficile gettare l’ombra dei propri “se” e dei propri “ma” su una presenza stimata e amata.
In un rapporto tra persona e persona si mette in gioco la totalità dell’io, allora la conoscenza e l’amore formano una unità e il gesto di adesione al vero, interessa la totalità dei fattori che costituiscono la vita.
L’indicazione metodologica che definitivamente emerge dall’immagine della roccia come immagine di verità è la solidità del testimone.
La figura del testimone autentico coinvolge l’adesione di tutta la tua personalità, rispetto al vedere con i tuoi occhi che ne coinvolge solo una parte.
Agape
(133s) L’altro sinonimo è la parola agape, amore. Dire “agape” significa dire Chiesa, dire amore, era indicare quella realtà che nelle sue istituzioni fraterne radicava nell’esistenza degli uomini l’amore risanante di Gesù stesso.
È interessante il fatto che la parola agape, in senso stretto, indichi una particolare istituzione, e cioè un pranzo indetto da persone agiate per invitare alla propria tavola i più bisognosi della comunità.
Alpinisti moderni vs scalatori del passato
(36) Tale estraneità coincide proprio con la difficoltà a considerare il religioso determinante del tutto.
Possiamo ricorrere ad una immagine.
Per attaccare una ripida parete rocciosa, anni fa occorreva impiegare molte energie e molto tempo in una marcia di avvicinamento, oggi invece esistono mezzi per portarsi in poco tempo sotto la roccia che si deve affrontare.
Ecco: per ciò che riguarda la facilità a discernere l’elemento religioso in connessione con tutta la vita, coloro che hanno composto il canto delle sentinelle di Assisi erano simili agli alpinisti moderni che si portano a ridosso della parete con la funivia, e noi siamo invece come gli scalatori di cento anni fa che dovevano affrontare la lunga marcia di avvicinamento.
Allora le parole derivanti dall’esperienza cristiana potevano essere affrontate con le forze fresche, oggi la parete di queste parole ci vede già stanchi prima di iniziare la scalata.
Ambiente
(43) Abbiamo parlato finora di una mentalità medioevale capace di trasmettere una idea vera e viva di Dio, tesa ad esprimere l’importanza globale per tutti gli aspetti della vita dell’individuo e del suo ambiente.
L’ambiente infatti rappresenta il tessuto di influssi che noi viviamo, come reazione tra la originalità del singolo e la trama delle varie circostanze.
Quello che abbiamo chiamato atteggiamento problematico, o di lasciarsi provocare dal problema, è proprio il momento determinato dal contenuto delle circostanze e la revisione personale e critica di esso.
(185) Attraverso l’ambiente e il momento socio-culturale.
L’uomo è condizionato dal momento storico-culturale in cui si snoda la sua vicenda terrena e dall’ambiente in cui è inscritto.
Egli vive il suo cristianesimo in questo tessuto di esigenze, di stimoli, di grandezze e angustie.
(La lettera a Filemone spiegata come indicativa dell’epoca).
Amore
(133s) L’altro sinonimo di Chiesa è la parola agape,amore.
Dire agape significava dire Chiesa, dire amore era indicare quella realtà che nelle sue istituzioni fraterne radicava nell’esistenza degli uomini l’amore risanante di Gesù stesso.
È interessante il fatto che le parole agape, in senso stretto, indichi anche una particolare istituzione, e cioè un pranzo indetto tra persone agiate per invitare alla propria tavola i più bisognosi della comunità.
(203) Alla categoria dell’amore si possono ricondurre i problemi che l’uomo sperimenta relativi alla propria continua ricerca di completezza personale.
Amore alla verità
(171) Così mi sono annotato di richiamare a me stesso e agli altri il rischio insito nel fatto di giudicare una predica, un annuncio, l’espressione di un valore, in base ad elementi come un particolare carattere, un atteggiamento, una capacità o una incapacità espressiva.
Il rischio è quello di dimenticare che l’elemento in gioco è il proprio amore alla verità; e, in effetti,
occorre profondamente desiderare il vero per poter superare lo scandalo dello strumento che lo comunica.
Amore al denaro
(205s) (Lc 12,13-15) … e disse loro:«Guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni».
(206) E forse quell’amore al denaro che ingiustamente faceva trattenere al fratello la parte di eredità che non gli sarebbe spettata, ero lo stesso amore al denaro presente nell’altro fratello che reclamava i suoi diritti.
Anglicanesimo
(148) John Henry Newman. Sacerdote della Chiesa Anglicana, studioso delle origini del cristianesimo, proprio approfondendo I caratteri fondamentali emergenti da quelle origini finì per convertirsi al cattolicesimo.
La sua crisi fu lunga e terribile, la sua indagine accurata, e uno dei temi più assillanti consisteva proprio nell’accusa che l’anglicanesimo portava alla Chiesa cattolica di avere alterato le origini dell’esperienza cristiana.
Raccontando egli stesso queste vicissitudini interiori, ci propone due osservazioni che val la pena di ricordare a questo punto del nostro riflettere.
L’una riguarda un criterio, cui abbiamo già avuto occasione di accennare, essenziale in un cambiamento di sé stessi, necessario nella strada per l’ottenimento di una nuova dimensione di mente e di vita: è il criterio della unità del nostro essere che tutta si gioca nella ricerca o nel riconoscimento del vero.
«Nel caso mio non era la logica a spingermi avanti: tanto varrebbe dire che è il mercurio del barometro a far cambiare il tempo. Si ragiona con tutto l’essere, nella sua concretezza.Passa un certo numero di anni e mi avvedo che il mio pensiero non è più al punto di prima: come mai!? Si muove l’essere intero».
Newman
Il secondo notevole rilievo di Newman riguarda proprio quel criterio di sviluppo organico della Chiesa come realtà vivente che abbiamo appena menzionato, e che resta il grande punto di vista interpretativo di fondo in ogni aspetto della Chiesa, in ogni epoca.
Portando avanti, con grande scrupolo, il paragone tra la Chiesa primitiva e la Chiesa Cattolica del suo tempo, Newman arriva a questa considerazione:
«Vidi che la teoria dello sviluppo non solo spiegava certi fatti, ma rappresentava in sé stessa un avvenimento filosofico importante, che imprimeva un carattere a tutto il corso del pensiero cristiano.Si poteva individuarlo dai primi anni dell’insegnamento cattolico fino al giorno d’oggi ed essa dava a quell’insegnamento unità e carattere.Era una specie di prova, che gli anglicani non potevano offrire, che Roma era in realtà le antiche Antiochia, Alessandria e Costantinopoli, così come una curva matematica ha la propria legge e la propria espressione».
E proprio questa unità e questo carattere abbiamo cercato di delineare, perché siano essi a interrogarci ancora oggi e a spingere a quel confronto personale dal quale la nostra vita non può che risultare più ricca e piena, cioè più vera: più umana.
Ansia
(214) Così, la tensione ad affermare il reale secondo lo sguardo di Cristo è il fondamento della pace.
Non ci può essere durata di questa pace se non ci si appoggia alla consistenza ultima della realtà, cioè al Mistero che fa le cose, a Dio, al Padre.
Senza contesto ultimo la pace è fragilissima e deteriora in ansia.
Diversa è la fatica della fedeltà nel seguire i vero: questa è lotta, che non è contraria alla pace, può essere un dolore, o un grave peso, ma non è ansietà.
L’ansia è una menzogna che continuamente risorge e s’annida a impedire l’adesione a ciò che nella nostra coscienza è emerso come vero.
La pace è una guerra, ma con sé stessi.
Anticristo
(210s) La figura dell’anticristo, o dei falsi cristi, nel Nuovo Testamento è posta alla fine dei tempi per segnalare che, nella visione cristiana della storia, la lotta tra i bene e il male sarà combattuta fino all’ultimo istante, simbolo di una ambiguità che sussisterà sempre e anzi crescerà.
Quanto più l’evoluzione dell’umanità progredisce, tanto più mostra l’ambivalenza, la capacità di bene e la capacità di male, il valore e il disvalore.
È una ambivalenza che sempre si mostra per mettere in gioco la libertà, l’adesione al vero.
Così Cristo, nell’immagine di una ultima ora di Gerusalemme, che racchiude in sé il senso dell’ora decisiva di tutte le nostre vite e dell’intera storia avverte i suoi:
«Allora se qualcuno vi dirà: ecco, il Cristo è qui, o è là non ci credete.Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile anche gli eletti [ … ] come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo».
[ … ] Cristo che viene potrebbe essere considerato meno smagliante dei prodigi dei falsi cristi.
Antropologia cristiana
(250ss) L’antropologia cristiana esalta la libertà, la responsabilità della persona, mentre l’antropologia non cristiana non riesce a non eludere qualche fattore dell’umano e quindi ultimamente tende a oscurare, fino ad eliminare, responsabilità e libertà.
(251) Ciò che rende trasformatore il gesto, o l’emozione legata al gesto, è la libertà, che rende piena la partecipazione individuale e impegna l’uomo in modo non meccanico, lo coinvolge con il significato del gesto, significato che varcherà la soglia del luogo di culto perché germe di una coscienza nuova che affronterà la vita.
Niente è promesso nella Chiesa come esito di una formula automatica o di una procedura, ogni passo dell’itinerario cristiano implica il cambiamento della volontà dell’uomo.
(252) Il cristianesimo risponde, con la sua improrogabile istanza della libertà di coscienza e con la sua attenzione al sensibile, a entrambi i fattori.
Dio infatti, è diventato uomo corrispondendo così alla esigenza totale della nostra natura.
Ogni ideale umano rincorre la possibilità di un’incarnazione globale, che tuteli la libertà e che si rende sperimentabile.
Apostolicità
(303ss) L’apostolicità è la caratteristica della Chiesa che indica la sua capacità di affrontare in modo organicamente unitario il tempo.
E’ la dimensione storica: la Chiesa afferma la sua autorità unica a essere depositaria di una tradizione di valori e di realtà che deriva dagli apostoli.
Sarà Ireneo, vissuto nel II secolo, a sottolineare in modo particolarmente vigoroso tale carattere di apostolicità della Chiesa, evidenziando la funzione eminente degli apostoli e la conservazione della tradizione mediante la successione apostolica.
(304) Ireneo:
« [ … ] Tali essendo quindi le prove, non si deve cercare presso altri la Verità, che è facile prendere dalla chiesa, poiché gli apostoli ammassarono in lei, come un ricco tesoro, nella maniera più piena tutto ciò che riguarda la Verità, affinché chiunque vuole prenda la lei la bevanda della Vita».
Così tutte le Chiese riconducono le loro origini a un apostolo, di fatto l’unica successione documentabile è quella di Roma.
Il valore di tale successione apostolica sta nel carattere di miracolo che conferisce al fenomeno stesso della Chiesa.
(305) La Chiesa afferma la sua capacità di affrontare il tempo non solo come forza di conservare un passato, ma forte delle promesse di Gesù, come sfida all’avvenire.
La valorizzazione del proprio passato, la fedeltà alle proprie origini è sintomo della potenza di una personalità che tenderà sempre più ad aver coscienza della sua traccia nella storia.
Ma se il permanere intatto del valore del passato è un miracolo, ancor più imponente è l’affermazione di poter realizzare tale permanenza nel futuro.
La superiorità della Chiesa sul tempo, infatti, è una sfida inimmaginabile, è dono che la Chiesa accoglie come tale, frutto della presenza di Gesù nel mondo fino alla fine dei tempi, realizzato dal suo Spirito che non cessa di assistere il segno in cui quella Presenza vive.
Apparizioni di Gesù
(84s) Quell’uomo di cui gradualmente, lentamente, i discepoli avevano imparato a riconoscere il mistero divino, in un cammino di progressiva certezza cui Egli stesso, come abbiamo visto, li aveva condotti, essi insieme, ce lo testimoniano vivo e presente.
Dio è venuto nel mondo per rimanere nel mondo: Cristo è l’Emmanuel, il Dio con noi.
Subito ci viene detto che (At 1,3):
«Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio».
E si specifica che queste apparizioni non erano immaginazioni, ma quei colloqui avvenivano, per esempio, «mentre era a tavola con loro».
Ed è lo stesso tenore di osservazioni che accompagna particolari racconti di tali apparizioni fatte dagli evangelisti.
Marco osserva che Gesù, dopo essere apparso a diverse persone, si fa vedere da tutti gli undici discepoli, mentre sono insieme a mangiare, e li rimprovera per non aver creduto al racconto di quelli che lo avevano visto risuscitato.
Nell’apparizione narrata da Giovanni, Gesù, sulla riva del lago di Tiberiade, prepara la brace per cuocere il pesce miracolosamente pescato; in quella riportata da Luca, della riunione di discepoli in cui Gesù compare, di fronte al loro spavento.
Egli non fa che rassicurarli invitandoli a toccarlo, a rendersi conto che è proprio Lui, finché per convincerli chiede qualcosa da mangiare.
Sono annotazioni che non hanno niente di solenne, teatrale: testimoniano semplicemente una presenza famigliare che continua, sono la traduzione nei fatti dell’espressione “Dio con noi”.
C’è perciò una continuità fisiologica tra Cristo e questo primo nucleo di Chiesa, ed è così che questo gruppetto di persone inizia il suo cammino nel mondo : come continuità della vita dell’uomo Cristo presente e attivo in mezzo a loro.
Appartenenza a Dio
(95s) L’idea di appartenenza, di proprietà di Dio, che definiva l’autocoscienza del popolo ebraico, si ritrova come contenuto della coscienza di quel gruppetto di persone, che inizialmente non dava certo l’idea di un popolo [ … ] ma tutti con la netta consapevolezza che, come il popolo ebraico si definiva per i suo essere proprietà di Dio, così loro erano proprietà di Dio, al punto che letteralmente si appropriavano delle parole della coscienza antica.
(96) [ … ] emerge la certezza di costituire il compimento del fenomeno del popolo ebraico, di prolungarne la realtà avverandola in modo definitivo, di realizzare il vero popolo di Jahvé.
Quel nascente gruppo portava in sé la coscienza di prolungare, anzi di comunicare realizzando, la verità di tutto quanto nell’Antico Testamento aveva formato la storia di Israele; di costruire, insomma, il vero e definitivo popolo di Dio nel mondo.
Ascesi
(212) Ognuno, nella misura in cui ama la propria umanità e vive l’orizzonte di una coscienza cristiana, si deve continuamente sforzare – e da ciò deriva la parola “ascesi” – di affrontare i problemi umani dal punto di vista di una religiosità autentica.
Così Guardini descrive la tensione morale del cristiano:
«La Chiesa si appella sempre in lui a quella tensione che è in fondo al suo essere: fra essere e desiderio, realtà e compito, e la risolve col mistero della immagine e somiglianza di Dio e dell’amore divino, che, nella sua pienezza, dona quello che sorpassa ogni natura».
Ascoltare vs vedere
(102) San Tommaso diceva, con grande intuito psicologico, che l’uomo è molto più persuaso da ciò che ascolta che non da ciò che vede.
E’ sufficiente riflettere un poco sui propri atteggiamenti per rendersi conto dell’acutezza di questa osservazione.
L’uomo prova una più intensa convinzione nel sentirsi aderire alla parola di un altro che neanche nel vedere sé stesso.
Nell’aderire a qualcuno che ascolta, infatti, l’uomo deve poggiare la totalità della sua persona sul “tu” di un altro.
(103) E mentre è molto facile per ognuno mettere in dubbio se stessi, è molto più difficile gettare l’ombra di propri “se” e dei propri “ma” su una presenza stimata e amata.
Il testimone è tutta una personalità che si gioca e per questo tutta la personalità dell’ascoltatore è chiamata a giocarsi con quella: la luminosità di una evidenza rappresenta solo un aspetto della personalità.
La testimonianza è una unità vivente, una unità esistenziale.
Il Signore, che ha fatto il mondo e l’uomo, ha scelto come strumento per facilitare il nesso tra l’uomo e la verità – cioè Lui stesso – non il termine di una visione, ma il termine di un abbandono, di un amore, processo con cui l’uomo segue il testimone del vero.
(104) E del resto lo stesso processo con cui la natura, espressione del Creatore, fa diventare grande un bambino attraverso la testimonianza di padre e madre, che continuamente propongono il terreno solido su cui camminare.
A tale immagine, dunque, si rifaceva innanzitutto la prima esperienza di Chiesa, connettendosi intimamente con la concezione biblica di verità (la roccia), per cui la condizione per ottenere una convinzione, soprattutto nella misura in cui l’oggetto indagato interessa la vita e il destino, non si fonda tanto sull’emergere solitario di una evidenza – come di luce che fenda la nebbia – quanto su una convinzione sicura.
E la testimonianza, per sua natura, indica un coinvolgimento, una compagnia, così come abbiamo visto essere il punto di partenza di quella realtà allora nascente che si chiamerà Chiesa.
Il Dio vivente è testimoniato da una realtà vivente, il Dio fatto uomo nel mondo è testimoniato, e non innanzitutto fatto oggetto di una ricerca, di una indagine critica.
Naturalmente il riconoscimento di una testimonianza non esclude la possibilità di una evidenza quando essa sia data.
La esclude solo quando il “vedere” venga estrapolato, inteso in modo disarticolato da un contesto vivente, da un organismo intero.
Così la comunità cristiana, al suo nascere, intendeva se stessa come il luogo in cui la testimonianza, si poneva, come il luogo in cui la solidità della rupe biblica appariva spazio alla ricostruzione dell’umano.
Astrazione
(67) L’umanità intera che cosa è? È una astrazione.
Il complesso della umanità è astratto, perché il soggetto umano individuabile è quello che dice «io».
E anche quando si dice «noi» non si può togliere nulla al fatto che l’insorgenza dell’umano sono «io», sei «tu»: il «noi» dell’umanità è una condizione che ognuno di noi contribuisce a creare, è un clima di rapporto che ili singolo uomo ha con gli altri (singoli) uomini.
È l’astrazione cui si è arrivati e si arriva a partire da una mentalità razionalista – come rilevava Teilhard de Chardin – ossessionata «Dal bisogno di spersonalizzare (o di rendere impersonale)ciò che ammira di più», tanto l’io quanto Dio.
Ateismo
(76) Questa mentalità derivata dal razionalismo, frutto tuttavia di una lunga disgregazione, in quanto è arrivata a ispirare la società intera in tutte le sue forme, in special modo quelle educative, si chiama laicismo.
Ma, come abbiamo già detto all’inizio di questo discorso, un Dio cui sfugga qualcosa non è Dio, è qualcuno che noi possiamo facilmente sostituire.
Per questo il laicismo è, implicitamente almeno, ateismo: vita senza Dio.
O meglio ancora, l’ateismo è l’atteggiamento più conseguente, teorico e pratico del laicismo.
Atteggiamento
(205) Abbiamo visto che la funzione che la Chiesa dichiara sua nella storia è l’educazione al senso religioso dell’umanità e abbiamo visto anche come ciò implichi il richiamo a un giusto atteggiamento dell’uomo di fronte al reale e ai suoi interrogativi, giusto atteggiamento che costituisce la condizione ottimale per trovare più adeguate risposte a quegli interrogativi.
Abbiamo anche appena sottolineato che la gamma dei problemi umani non potrebbe essere sottratta alla libertà e alla creatività dell’uomo, quasi che la Chiesa dovesse dar loro una soluzione già confezionata, perché in questo modo essa verrebbe meno al suo primigenio atteggiamento educativo e toglierebbe valore a quel tempo che l’uomo coinvolto dall’iniziativa “storica” di Dio deve essere chiamato anzi a considerare profondamente sacro.
Atteggiamento culturale
(13s) “Con quale metodo ho la possibilità di essere ragionevole nell’aderire alla risposta cristiana?”.
Nella risposta a tale domanda si divide la cultura e si rivela l’atteggiamento dell’uomo verso la realtà tutta.
Tre sono gli atteggiamenti culturali da cui emergono risposte diverse.
Vorrei insistere, per inciso, che nel contesto del nostro discorso dire “tre atteggiamenti culturali” non equivale semplicemente a sfogliare 3 capitoli della storia culturale dell’Occidente, ma significa scovare le pieghe nascoste assunte dalla storia della coscienza dell’uomo di fronte al problema che stiamo trattando, e significa anche, in definitiva, indicare 3 modalità che possono essere nostre, non tanto e non solo nell’affrontare la Sacra Scrittura, ma nell’affrontare le diverse circostanze della nostra vita, da un incontro desiderato all’ammirazione del cielo stellato!
(14) L’atteggiamento culturale, infatti, nella sua valenza radicale di visione di sé e del mondo investe la modalità stessa di rapporto con tutto.
E ogni errore in quest’ambito è la codificazione di una tentazione che subiamo tutti. ( 1° Gesù è un fatto del passato – 2° posizione protestante – 3° Tradizione ortodosso cattolica).
(246) La vita cristiana non può mai essere concepita come un rapporto individualistico con Cristo; è invece un rapporto profondamente personale con Lui, cioè tutto giocato dentro la coscienza dei rapporti fraterni e dentro la responsabilità verso il mondo.
La differenza fra “individualistico” e “personale” è proprio qui, è un atteggiamento del singolo che o si pone di fronte alle cose nella brevità del suo “io” isolato o si percepisce soggetto di rapporti universali, perché la sua essenza è relazione con l’infinito e il suo compito è partecipazione al sacrificio redentore e trionfale di Cristo morto e risorto.
Atteggiamento di disponibilitàe atteggiamento di apertura
(312) Non è inutile ricordare ancora una volta come l’atteggiamento di disponibilità e di apertura sia essenziale in questo cammino.
Dilatare la nostra capacità di uomini in una strada di libertà è quanto la Chiesa intende educarci a fare, e la ricerca ed esperienza del vero cui essa ci introduce disegnano nel tempo l’autentica statura dell’uomo, da sempre e costantemente assetato di realtà, di essere.
Autorità
Autorità del vescovo
(139) Abbiamo già visto come i vescovi avessero una rete di rapporti tra loro attraverso le “lettere di pace” o “lettere di comunione” o “lettere commendatorie”.
Queste erano di spettanza del vescovo come capo della comunità.
E, se esse erano necessarie perché un individuo fosse riconosciuto come fedele e quindi ammesso all’Eucarestia nella città lontana in cui andava, ciò chiarisce l’importanza dell’autorità del vescovo nella sua comunità; al vescovo spettava dunque riconoscere un uomo come aderente alla fede o no.
Il vescovo di Roma era il perno di tutta una trama di rapporti tra i vescovi, e quindi tra comunità.
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Autorità e magistero
(227) L’autorità come funzione della vita della comunità.
L’autorità suprema del magistero è una esplicitazione della coscienza della comunità intera guidata da Cristo, e quindi è funzionale ad essa, non è sostituzione magica o dispotica.
La verità che viene definita con uno di quei due interventi riguarda sempre qualcosa che già fa parte della vita della Chiesa.
L’autorità la individua difendendola, chiarendo quello che risulta da sempre, almeno implicitamente, vissuto; non è per sua natura inventiva a prescindere dalla vita e dalla coscienza della comunità.
L’espressione usata dalla Chiesa per indicare queste esplicitazioni è la parola “dogma”.
Essa si esprime in questo modo quando ha la certezza di esplicitare la maturità della coscienza comune in Cristo.
L’autorità, nella vita della Chiesa, costituisce, per quanto riguarda la comunicazione del vero , una conduzione che riunisce in sé una duplice funzionalità, come a riguardo dell’alveo di un fiume verso la foce: la prima è una funzione ideale, indica la direzione del fiume verso la foce.
La seconda è una funzione di limite, simile a quella della sponda di un fiume, così che spetta ad essa giudicare quando un’affermazione o insegnamento va contro, eccede o deborda quelle sponde che assicurano la direzione ideale.
Autorità della Chiesa
(228) La vita di Cristo nella storia della Chiesa è una vita che cresce.
Tutta la ricchezza della verità è Cristo: la vita della Chiesa prende sempre più coscienza di quello che Cristo le ha portato, e perciò di quello che essa ha in sé.
La formulazione dogmatica coincide con questo salto qualitativo nella coscienza della Chiesa e quindi, in essa, della persona.
Per tutto ciò l’autorità della Chiesa, quando proclama un dogma, è molto attenta a sondare la coscienza della comunità.
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