1991 – “Redemptoris missio” – Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione
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Indice linkato ai vari momenti
- Introduzione
- Omelia
- Introduzione alle Lodi
- Cristo si è fatto carne nella nostra carne
- RIMANERE IN LUI
- Introduzione alle Lodi
- IL DIALOGO FRA CRISTO E L’UOMO NEL NOSTRO TEMPO

Introduzione
(pag. 11) Non è un convegno nel senso formale del termine: è un gesto, che indica la la responsabilità con cui l’uomo, agendo, si pone di fronte al suo destino.
(12) Vi voglio dire due parole prima di incominciare il gesto con cui Cristo si unisce a noi nel grido del mistero del Padre.
«Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via».
1Tm 6,7
Siamo poverissimi, poverissimi.
La vita consiste, ha consistenza, per qualcosa di più grande di noi, da riconoscere a a cui aderire.
Non siamo ai lavori forzati, ma siamo di fronte a una Presenza che reclama il nostro cuore.
(13) Sentiamo l’invito di san Paolo ai primi cristiani: «vigilate attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da uomini stolti, ma da uomini saggi, profittando del tempo presente, sapendo bene che i giorni sono cattivi» (Ef 5,15-16).
(14) Non possiamo meravigliarci se ci ridiciamo sempre quelle stesse cose che, uniche, danno saggezza alla vita, eliminano la stoltezza della vita.
Dice una preghiera del rito ambrosiano: «Custodisci la tua famiglia o Dio, con la fedeltà del tuo amore e sostieni sempre la fragilità della nostra esistenza con la tua grazia, unico fondamento della nostra speranza».
Mediteremo, dunque, questi punti: «Custodisci la tua famiglia», il tuo popolo, «o Dio, con la fedeltà del tuo amore; e sostieni sempre la fragilità della nostra esistenza con la tua grazia, unico fondamento della nostra speranza».
Omelia
Il gioco della presenza nostra nel mondo, della presenza della Chiesa nel mondo è che qualcuno debba venire, che un significato debba rivelarsi.
(15) Dov’è l’urto, inaccettabile? È che Cristo diceva di sapere Lui, anzi, di essere Lui questo senso.
Fino a quando il senso è mistero e «nessuno sa donde sia», ognuno può abbandonarsi ai suoi pensieri, ognuno può seguire la sua strada, il suo cammino mentale, il suo cammino psicologico: ognuno può immaginarselo come vuole e ognuno può immaginare la morale come vuole.
Ma se uno tra noi, una voce umana che risuoni vicino per la strada, dice a un certo momento: «Io sono la via, io sono la verità, io sono la vita», questo riesce insopportabile alla presunzione e alla pretesa, alla negligenza sterminata e alla pigrizia profonda dell’uomo.
(16) La vera lotta è fra l’immaginazione nostra, l’immaginazione che noi ci facciamo dello scopo del vivere, il sentimento che noi coviamo della consistenza del vivere, e la parola: «In verità, in verità “IO” vi dico» (Gv 14,12).
Questa è la grande alternativa cui tutte le mattine ci mettiamo di fronte e alla quale, una volta all’anno, radunandoci più seriamente vogliamo pensare.
Introduzione alle lodi
(17) Ma c’è stata una ragazza – di quindici sedici anni – che ha vissuto tutta l’intensità possibile, immaginabile, del rapporto della sua fragilità, della sua umiltà umana, della sua povertà umana, con quel Mistero da cui tutta la musica e tutta la bellezza sorgono, ed è stata la Madonna.
Vogliamo allora che diventi abituale per noi che ogni mattino ci faccia ricordare l’inizio di quanto è successo.
CRISTO SI È FATTO CARNE NELLA NOSTRA CARNE
(19) Egli ha iniziato questa opera buona che sono io, che siamo noi, per portarla a compimento.
Non esiste nessun punto nel mondo dove questa positività ultima, dove questo ottimismo umile, povero, profondo e sicuro venga ripetuto e riecheggiato, «secondo i Suoi disegni benevoli».
Infatti, è la parola «gioia» che sta alla fine di ogni discorso cristiano, di ogni parola cristiana: l’esito è questa promessa, per il cui mantenimento tutto è fatto.
(20) Quando il rapporto di pietà, di devozione, di gratitudine, di riconoscimento verso Dio, assume un ruolo determinante la nostra giornata? Quando questa familiarità tende a determinare la nostra giornata e a influire su di essa?
È nella verità, comunque, che questi sentimenti possono attecchire, riapparire anche da una dimenticanza grave, possono imporsi nella distrazione di ogni giorno.
È nella verità che questo possa accadere
Punto 1°
(21) Allora la prima verità di me, della concretezza della mia esistenza: «Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io» (1 Tm 1,15), dice san Paolo al suo discepolo prediletto Timoteo.
(22)Redemptoris missio: Cristo è stato mandato per salvare; […] c’è qualcosa che non va. Cristo è stato mandato per questo.
Ma a sua volta di ha chiamati, ci ha guardati, ci ha detto: «Vieni», afferrandoci nel Battesimo, nel mistero del Battesimo, che è il gesto con cui Cristo – Verbo fatto uomo – domina la storia, domina il tempo e lo spazio.
Noi ha chiamati, perché partecipassimo di questa Sua missione.
Lo scopo del vivere mio è perciò quello di comunicare a me stesso, in tutte le mie espressioni, e agli amici, se voglio loro bene, e agli uomini, se ne ho pietà, questa «salvezza», è collaborare con Cristo a comunicare la necessità di questa «salvezza».
Il dolore è perché siamo stati chiamati a partecipare alla croce con cui Cristo ha redento, ha salvato l’uomo.
(23) E il primo punto di questa verità è la coscienza dell’essere peccatori, la coscienza del peccato.
Non possiamo salvare un accento di verità nel rapporto con chicchessia, se non avendo la coscienza dell’essere peccatori.
Si tratta di una situazione generale, non c’è un santo che sfugga a questo essere peccatore.
Tant’è vero che il luogo dove Cristo è presente dentro la storia, nella sua realtà piena, la Chiesa, Corpo suo misterioso, la prima parola che ci fa pronunciare davanti alla coscienza del mistero della Trinità è: «Confesso».
(24) Eppure non è triste questa coscienza, non è triste di quella tristezza oscura e rende cupi: essa libera, ci libera.
Dentro ogni azione c’è qualcosa che manca, perché il peccato è una sproporzione fra il gesto che io compio e il destino per cui compio quel gesto.
Un gesto è come un passo: è un passo che è sproporzionato allo scopo, alla meta, non è come dovrebbe essere.
Infatti, appena uno riflette con sincerità e semplicità di cuore, subito si sente come annichilito, cioè si sente diventare umile, piccolo, si sente piccolo piccolo, non perché impotente di fronte alle grandi cose, ma perché impotente di fronte a se stesso.
(25) È questo l’inizio della verità: «Sono peccatore», l’inizio della verità esistenziale, dell’esistenza, non della verità astratta dei discorsi filosofici o teologici, dei discorsi intellettuali.
Punto 2°
(26) Guardiamo il bene che è in noi; ci accorgeremo subito di quello che è il peccato che è in noi.
È una inconsistenza ultima che si traduce in una dimenticanza, che avalla una dimenticanza insopportabile di fronte al compito della vita e alle evidenze della Sua presenza.
Questa inconsistenza ha talmente una radice di malizia che non solo dimentica facilmente, non solo facilmente cede allo scetticismo e all’incredulità, ma contraddice l’evidente.
(27) La verità non è separabile dall’ossessione che abbiamo chiamato «senso religioso», dall’esigenza insopprimibile che alla fine, senza nessun velo, appaia la salvezza.
Sullo sfondo, anche se il tempo è sempre pieno di pensieri, di cose da dire e da fare, c’è sempre più l’attesa.
In che cosa consiste veramente questo nostro essere peccatori?
Il peccato stabilisce nella vita la prevalenza del sogno: la Bibbia lo chiama «idolo».
Noi poniamo la speranza in un nostro progetto: questo è il peccato, porre la speranza in un nostro progetto.
(28) Rendere la vita la pretesa di un sogno: è l’idolo.
Gusto (istintività) e lavoro vengono esaltati come scopo ovvio della vita. Non si vive forse per il gusto e per il lavoro?
Gusto e lavoro esaltati come scopo ovvio, fanno scomparire lo scopo vero per cui si gode e si soffre, per cui si è in riposo e si lavora.
(29) Per il nostro soggetto, questo progetto è senza futuro, non solo per la volubilità impressionante con cui gli stati d’animo si succedono, ma perché le circostanze non le domini tu.
Non solo il peccato è senza futuro, ma non crea il tuo volto per l’eternità, non stabilisce un merito: anche la fatica enorme che fai per il tuo progetto di lavoro non stabilisce un merito, non ha rapporto con il permanente, con l’eterno.
C’è un’altra cosa: il peccato è senza popolo. Il peccato è il tentativo d’affermare il proprio progetto, cioè se stessi.
(30) Il peccato è senza futuro e senza storia, perché il soggetto della storia è un popolo.
Noi facciamo tutto in nome della libertà e, anche attraverso fatiche sterminate, è una affermazione di libertà, per una prospettiva di libertà, che noi ci mettiamo in azione.
«La libertà, però, non è la eliminazione della sofferenza, ma è la fatica per una grandezza.
E la grandezza è una: l’essere.
La grandezza è una: l’eterno.
La grandezza è una: la verità da cui non si torna indietro, il destino per cui siamo fatti.
Senza l’amore a questa libertà siamo senza futuro e senza popolo, che sono le due caratteristiche che dell’uomo di oggi, appeso alla televisione o incollato al titolo di un giornale.
La fatica per il destino: questa è la libertà.
Donde quante conseguenze psicologicamente avvertibili!
Si tratta allora di una di una inquietudine che è disagio di sé, obiezione a sé, oppure tentativo di giustificare quello che è già stato fatto.
È da questa inquietudine che nascono l’immoralità e l’empietà di cui leggerete la testimonianza tremenda nei primi due capitoli della Lettera ai Romani.
(31) Empietà contro l’evidenza di Dio, contro l’evidenza di ciò che è retto e giusto; ed egoismo che si afferma e dilaga senza sponde.
«Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di seguire i propri pensieri, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità, per volgersi agli arzigogoli»
2tm 4,1-4
(32) Siamo sotto bombardamenti che intaccano l’anima nostra e la nostra dignità nel suo rapporto col destino: scempio di città, scempio di popolo.
Punto 3°
[Ho pensato] a come, oggi, come sia facile credere che la salvezza venga dalle leggi.
Ma le leggi non sono altro che la speranza posta nei propri progetti, che non hanno futuro e non creano popolo.
È qui l’antitesi: l’uomo tenta di appropriarsi di ciò che gli è stato dato invece che riconoscere d’appartenere a Colui che gli ha dato tutto.
Senza che tutto parta da quell’appartenenza originale, la bontà non può rappresentare le sponde del grande fiume, la giustizia e la pietà non possono rappresentare il limiti che tengono nell’ordine lo sforzo delle grandi acque umane.
(33) Appropriazione (sogno) o appartenenza: questa è l’antitesi tra il peccato e la verità.
Invece di «appartenenza» possiamo usare la parola «memoria».
Il peccato è contro la memoria.
Abbiamo ricevuto tutto, ma sembra che ci sia impossibile mantenere rispetto e pietà, devozione e amore per chi ci ha dato tutto, a chi ci dà tutto.
«Il modernismo è la virtù della gente del mondo. La libertà è la virtù del povero.
Ch. Péguy, L’Argent
Cioè di chi riconosce che non era niente e ha ricevuto tutto.
(34) «Per la mia resurrezione […] alla vita eterna, non la dottrina della risurrezione di Cristo mi è indispensabile, bensì il fatto che questo avvenimento abbia avuto luogo»
Berjaev, Storia ed escatologia del pensiero russo.
Questo mondo moderno è un mondo senza Cristo, scristianizzato.
«Ciò che è veramente un disastro è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane»
Non guardiamo più il nostro essere peccatori come l’ha visto Cristo.
(35) Noi guardiamo, ci umiliamo per i difetti, arrossiamo per gli sbagli, siamo sconvolti dagli errori secondo il giudizio comune, che hanno tutti, secondo la mentalità comune.
«C’era la cattiveria anche anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise ad incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo.»
Ch. Péguy, «Véronique»
Dio ha squarciato i cieli ed è sceso. Perciò, come dice la liturgia ambrosiana, «ora si compie il disegno del Padre: fare di Cristo il cuore del mondo»
Così «il Verbo si è fatto carne».
(36) Un aspetto importante di questo impegno di Dio è dato dal fatto, evidente dal contesto biblico, che esso – l’impegno di Dio – è posto dopo il peccato, a favore di una umanità che tornerà a peccare.
Dio garantisce la vita del mondo peccatore.
È il sì di Dio al mondo, a tutto il mondo, nonostante il peccato.
Nonostante il peccato, la positività dell’Essere trionferà.
Cristo fatto uomo, è questo trionfo.
Il Verbo si è fatto carne nella nostra carne.
Non possiamo più pensarla come gli altri.
Non possiamo più pensarla come il sogno ci farebbe pensare, come l’appropriazione ci farebbe pensare.
«Il Mistero ha scelto di entrare nella storia dell’uomo con una storia identica a quella di qualsiasi uomo, Vi è entrato perciò in modo impercettibile, senza che nessuno lo potesse registrare. A un certo punto s’è posto e per chi lo ha incontrato quello è stato il grande istante della sua vita»
L. Giussani, All’origine della pretesa cristiana
(37) Incontro: Cristo è diventato una Presenza.
Così una tra noi gravemente intaccata da un male, mi ha potuto scrivere: «Non importa se guarirò, mi importa solo vivere il mio rapporto con Cristo oggi» Oggi! «mi sono resa conto di una cosa importante relativa all’offerta della vita a Cristo: non è che uno abbia le cose da fare e che in più le debba offrire. Questo sarebbe, in fondo, avere un problema in più, oltre a tutti quelli che è tramata la giornata. Invece la questione è molto semplice: la mossa stessa verso la realtà è totalmente coincidente con la risposta al Tu», al contenuto della memoria, di Te che sei venuto tra di noi, che ti sei fatto incontrare da me. «La densità della memoria è nell’azione stessa.»
(38) «L’umanità ha creduto che, professando la divinità di Cristo, fosse dispensata dal prendere sul serio le sue parole» (evitando così che le sue parole invadessero la vita e la storia)
V. Solov’ëv, La Russia e la Chiesa Universale
(39) (Nel Medioevo) «Dicevano per ridere che lavorare è pregare, e non sapevano di dire così bene. A tal punto il lavoro era una preghiera. E la fabbrica un oratorio […] Tutto era un elevarsi interiore e un pregare tutto il giorno. Il sonno e la veglia, il lavoro e il misurato riposo, il letto, la tavola»
Ch. Péguy, L’Argent
Punto 4°
Voglio concludere con due caratteristiche del cambiamento.
Innanzitutto, la parola «totalità».
Che Cristo domini la nostra vita è totalizzante.
Tu, come dice san Paolo nella lettera ai Filippesi, «Trasfigurerai il mio corpo mortale in virtù del tuo corpo glorioso» (Fil 3,20-21).
Non muore l’uomo, si trasforma.
(41)« Neanche un passero cade, senza che il Padre vostro lo sappia»
Mt 10,29
È la totalità: per Cristo, per l’uomo Cristo è la totalità che era il Padre.
La prima caratteristica della memoria è, dunque, la totalità.
Ed è questa la novità, questo è il verme dell’antitesi o il punto cruciale dell’antitesi: se la totalità è l’insieme delle leggi fatte dall’uomo o se la totalità è un Presenza.
Voglio terminare con la cosa più bella che intendevo stamattina: penitenza.
(42) «Penitenza» è una brutta parola, se viene identificata con certe forme di cose; perciò la parola più conveniente e più chiara è «conversione»: dal peccato alla conversione.
La conversione è riconoscerLo.
Badate che questo “riconoscerLo» è un istante denso, totale.
Uno, un’ora dopo, il giorno dopo, si trova ad aver sbagliato ancora.
RiconoscerLo. La conversione è riconoscere, il resto verrà nel tempo.
(43) Riconoscere: chi diminuisce l’importanza di questa parola è di una grande superficialità e grossolanità morale, anche se può essere di una intelligenza eccezionale.
«Tu» la conversione è dire «Tu».
(45) Innanzitutto, occorre la conversione e la conversione è riconoscerLo.
L’allusione al destino va intuita, senza ritardo, con una specie di simpatia miracolosa.
E l’allusione al destino è una cosa che si palesa in modo irresistibile; brucia un istante, forse, ma si palesa in modo irresistibile.
RIMANERE IN LUI
(46) Bisogna che il cristianesimo metta le sue verità nel sangue, che esse siano vissute, che siano proposte e seguite come qualcosa che si vive.
Che l’uomo sia peccatore vuol dire che non è capace di essere se stesso, in nulla.
Non può far nulla di perfetto.
L’uomo appartiene non a suo padre e a sua madre, ma al suo destino: suo padre e sua madre sono strumenti per introdurlo sul lungo cammino verso il suo destino, e il suo destino è il mistero di Dio e questo Mistero è diventato uomo.
Allora il suo destino è Cristo, con Lui l’uomo si arrabatta in modo migliore, si trascina in un modo più lieve, gode di più della vita: «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù» (Mc 10,28-30).
Punto 1°
(47)« Egli è qui. È come il primo giorno. […] È la medesima storia, esattamente la stessa, eternamente la stessa, che è accaduta in quel tempo e in quel paese e che accade tutti i giorni»
Ch Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco
È qui dove? Questo amici miei lo sappiamo, è il valore misterioso della nostra compagnia.
Questo siamo noi: un popolo che grida a Dio e che per questo è salvato.
«Non si è cristiani perché si è giunti ad un certo livello morale, intellettuale, magari spirituale. Si è cristiani perché si “appartiene” a una certa razza ascendente, aduna certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue»
Ch Péguy.
(48) C’è un sangue tra di noi: è il sangue di Cristo.
È il valore oggettivo della Fraternità nostra quello che vogliamo sottolineare: la nostra Fraternità ha un valore irriducibile.
(49) «È necessario che ciascuno, secondo le sue possibilità dia testimonianza ai fratelli del mistero della sua nuova vita»
San Gregorio Magno, Dal «Commento del libro di Giobbe»
La nostra compagnia è già possesso reale e definitivo di quello che ci aspetta alla fine.
L’«alleanza» che Dio ha stabilito con noi è un termine biblico per indicare il rapporto profondo e irriducibile che c’è tra l’uomo creatura e il suo destino che è Dio.
Il senso religioso di cui il nostro cuore è fatto è la prima alleanza – direbbe la Bibbia -, il primo rapporto irriducibile tra noi e il Mistero.
(50) È con Cristo che questa alleanza è diventata palese, definitivamente chiara, e lentamente, secondo la misura del disegno del Padre, unisce gli uomini tra loro, ci ha unito tra noi.
Perciò, questa alleanza con Dio che c’è tra di noi è l’oggettivarsi, è come l’incarnarsi del senso religioso di cui il cuore è fatto.
(51) «Egli è qui» nella nostra compagnia.
La parola "razza" è giusta: siamo nati da Cristo.
Gesù ha detto a Nicodemo: « Se non nasci di nuovo, non puoi capire» (Gv 3,4-8)
Ha scritto uno di voi: «Nessun errore mio può diminuire l’oggettività della nostra vita insieme, può corrompere ciò che è già vittorioso: Cristo che ci ha presi.»
E, per quanto sia contraddetto dalla nostra meschinità, non riusciamo più a strapparcelo di dosso.
«Senza di me non potete fare niente» (Gv 15,5).
«A Lui dobbiamo affidarci perché impedisca ai nostri sforzi di corrompere ciò che è già compiuto» in noi con il Battesimo «e deve solo manifestarsi», aspetta solo di manifestarsi».
Per questo Romano Guardini dice che «l’amore a Cristo si converte nel luogo protettivo dell’io».
(52) Mai è stato se stesso Zaccheo come quando Cristo gli ha detto: «Zaccheo, vengo a casa tua».
«La coscienza nel nostro rapporto con Cristo» [non la nostra bravura, non la nostra capacità di coerenza, ma la coscienza del nostro rapporto con Cristo, si va facendo] « un nucleo [del nostro io] che resiste a ogni dissolvimento»
R.Guardini, La realtà umana del Signore
Punto 2°
(53) Occorre povertà di spirito per rimanere.
Per un bambino rimanere con sua madre vuol dire esprimere una povertà piena di timidezza, di paura e di speranza, di paura e di certezza.
(54) Che povertà di spirito occorre per «rimanere» in quello cui siamo stati chiamati, che povertà di spirito occorre per dire «luce» alla luce, per dire: «Sì è luce»!.
Perché il «no» della menzogna è un’ impostura.
Che povertà di spirito si esige perché noi abbiamo ad accettar di essere “i perdonati”, perché questa è la vera luce, l’ultimo traguardo della luce, il primo e l’ultimo: l’essere perdonati!
Che povertà di spirito si esige per riconoscere che la salvezza, il valore della vita, sta nella croce di Cristo!
(55) Il peccato non ci definisce più.
Questa è la vera memoria, questo è vivere la memoria: rimanere.
«È necessario, per quanto possibile all’uomo, esercitare la propria volontà nell’affezione a Cristo e disporsi ad avere gli stessi desideri e a godere con Lui delle stesse gioie».
N.Cabasilas, La vita in Cristo
Così i primi cristiani della Palestina avevano un «cuor solo e un’anima sola» perché avevano i medesimi desideri: questa à la nostra comunione.
Queste cose che stiamo dicendo possono sembrare astratte, non pertinenti alla vita quotidiana: mentre è proprio nella carne della vita quotidiana che tutto questo, cioè Cristo, diventa carne nostra, coscienza nostra, cuore nostro, generosità nostra, iniziativa nostra.
Punto 3°
(56) «Da morti che eravamo Dio ci ha fatto rivivere in Cristo», ci ha dato uno slancio nuovo, ci ha dato il perdono per un ripresa continua.
Questo slancio nuovo parte dallo sguardo a quella parola breve e piccola, di cui ho parlato stamattina: «Tu».
Il senso religioso, l’esigenza di felicità che è nel tuo cuore, che è il tuo cuore, che è la natura tua, la natura che ti ha dato tua madre, solo se termina in questo «Tu» si precisa.
E, per accettare la compagnia in cui sei, non puoi non dire questo «Tu»: altrimenti come fai ad accettarla?
(57) Nella compagnia fedelmente accettata, nella compagnia così oggettiva come quella in cui sei, tu nutri una speranza che ti «purifica come egli è puro».
Su questo punto mi voglio fermare per parlare del valore del tempo.
Occorre il tempo: la consegna totale è totale, la consegna di sé a Cristo, o alla compagnia come Suo corpo provvisoriamente vicino a noi, è totale, ma non è mai definitiva, cioè non è ancora compiuta
(58) Tutto questo – il tuo «Tu», la speranza della purità, l’amore che concepisce la forma diversa dell’azione, la grande pazienza del tempo – è come preparatorio.
Non ci si priva della nostra umanità, è proprio una cambiamento nell’affezione e nell’amore, è un cambiamento nel modo di usare i soldi, è un cambiamento nel modo di dire «io», come soggetto cosciente di sé; «è una cosa grande afferrare l’eternità», dire «Tu», «ma è più grande mantenere la realtà temporale dopo averla abbandonata: è più grande mantenere, vivere i rapporti di ogni giorno, dopo averli abbandonati, cioè dopo aver affermato che il loro significato è Cristo.»
(59) «Abramo credette, perciò egli è giovane [ha fatto tutto quello che doveva fare, ha preso perfino suo figlio per ammazzarlo, ma tutto quello che faceva, compreso questo era per affermare un Altro, il mistero di Dio] poiché colui che spera sempre la cosa migliore [ciò che abbiamo chiamato sogno] costui invecchia perché deluso dalla vita; chi si tiene sempre pronto al peggio, [il disfattista, il lamentoso] costui invecchia precocemente, ma colui che crede [Che fa per qualcosa di più grande, che fa per il «Tu»] conserva un’eterna giovinezza».
S.Kierkeegard, Timore e tremore
(60) È proprio vero: tutto ciò che facciamo o «nasce» – cioè è un avvenimento che irrompe nell’istante, è un’altra cosa, perché non l’hai creata tu – oppure «muore», e così noi moriamo con il nostro fare.
L’unica cosa per cui siamo chiamati a vivere è costruire la Sua casa: l’inizio della Sua casa è la nostra persona che gli dice «Tu», e l’amicizia e la compagnia di coloro che condividono questo «Tu», e la famiglia che creano, sono per quello, nel Tuo nome.
È la grande compagnia del movimento, parte esigua, ma vera e autentica della grande Sua Chiesa, tempio della Sua gloria.
Il sintomo grande che il peccato non domina in noi è quello che è dato da san Paolo nelle lettera ai Colossesi, capitolo terzo, versetto 14 e seguente: «La pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate pieni di gratitudine».
(61) È la gratitudine che genera operosità.
L’istante è come la totale intensità e libertà.
«Siate pieni di gratitudine»: perciò non abbandoniamoci al panico per i nostri errori; il panico è una menzogna, perché annulla la vita, reduplica il male.
Il mondo è affamato di gente capace di gratitudine, non di gente perfetta che pretende di essere perfetta, ma che segue – che segue!
Introduzione alle Lodi
(64) Che Dio ci renda coscienti tutti i giorni – perché ogni giorno è un passo verso il nostro destino – del valore del tempo, della destinazione di ogni passo di ogni azione, della utilità del nostro agire, così come siamo coscienti in questi giorni.
Penso spesso alla Madonna con che trasparenza doveva vedere tutto quello che faceva, con che trasparenza dello scopo ultimo, di quest’ultima Presenza e di quel riferimento ad essa di ciò che aveva tra le mani.
Che la Madonna ci renda suoi figli.
Il dialogo tra Cristo e l’uomo moderno
Punto 1°
(66) Se uno non parte dalla coscienza dell’essere peccatore – esplicita o implicita – non si comporta bene con se stesso e con gli altri, ma da “cafone” direbbero a Napoli.
Cristo è «espiazione e perdono».
«Il perdono» dice Ratzinger « e la sua realizzazione in me, attraverso la via della penitenza e della sequela, è in primo luogo il centro del tutto personale di ogni rinnovamento».
Il perdono, attraverso la «penitenza (conversione)» e la «sequela», è il cuore che rende nuove tutte le cose, è il cuore del «rinnovamento».
Cristo è il perdono: perdono vuol dire che si ricostruisce da capo, tutto diventa nuovo; il perdono è il cuore del rinnovamento.
(67) Uno diventa nuovo: fra un minuto sbaglia, ma nell’istante in cui riconosce Cristo diventa nuovo, attraverso la penitenza, cioè la conversione, che è il riconoscimento.
Il riconoscimento della Samaritana al pozzo, di Zaccheo su quell’albero.
Ci voleva proprio che Dio diventasse uomo, per portare su di sé tutto il male di tutti gli uomini.
Ogni cosa che noi pensiamo, facciamo, se non è rapporto esplicito, o almeno implicito, comunque in certo modo voluto, col destino, con la totalità delle cose, col significato del mondo e delle cose, è isolata.
Io sono strappato all’isolamento, se ti riconosco, o Signore.
(68) La liberazione dal peccato costruisce il futuro, rende l’azione che compio adesso creatrice di futuro, piena di rapporto con il futuro.
(69) Questo è l’avvenimento che cresce col tempo, e crescendo con il tempo genera ordine nel tempo, può far guardare fino in fondo alla vita, alla propria vita, alla vita del mondo, del mondo umano, dell’umanità, alla vita misteriosa del cosmo.
Questo avvenimento, Cristo, porta ordine, rende tutto cosmo, bellezza, cioè realtà piena di senso, tesa al significato.
Punto 2°
Per questo occorre che l’angelo del Signore, portando l’annuncio a Maria, si sente dire: «fiat», «avvenga di me secondo la tua parola», «Avvenga della mia vita secondo questo avvenimento», «La mia vita si immerga in questo avvenimento».
La conversione è questo: «Sì».
(70) «Avvenga di me secondo questo Avvenimento» genera qualcosa dentro di me, di cui forse non mi accorgo subito, come la Madonna non si è accorta subito, ma io ritorno dentro alle cose ordinarie con dentro un “bambino”, un bambino d’uomo, con dentro una umanità nuova.
L’avvenimento, Cristo, espiazione e perdono, diventa il cuore della vita ordinaria.
(71) È più grande la memoria del sogno, è più grande Cristo dell’io.
Il sogno è uno sforzo tuo, che ti esaurisce; la memoria sono fatti di Cristo che si organizzano e creano la figura, la struttura del tuo presente.
Questa figura presente non è casuale: non è casuale che tu sia qui.
Lo senti, lo puoi sentire la sera, se vivi accettando di riconoscerLo […] se vivi appartenendo a questa amicizia.
Accettando questa amicizia, la sera, se guardi la giornata, e anche se non la guardi, ti accorgi che è diversa.
(72) Lettera: «Caro don Giussani, non ci sono risposte razionali che soddisfino la domanda di senso della morte della mia piccola bimba. Alla mia mente torna, invece, continuamente l’affermazione di san Paolo: “La realtà invece è Cristo». Se non credessi questo, mi riterrei solo derubata di quel tesoro che incominciava a regalare i primi sorrisi. Ma il corpo di Cristo è la realtà. Tu e la compagnia al destino che il Signore mi ha donato siete il sorriso di Carola».
(73) Dove è possibile trovare somiglianza a questa umanità?
Punto 3°
Questa umanità ci è data perché l’abbiamo a comunicare.
Il nostro grande delitto, il peccato per eccellenza è non comunicare – non esiste peccato più grave che il non comunicare: Redemptoris missio -, è abbandonare Cristo, lasciarLo da solo a gridare al mondo, a dire silenziosamente: «Eccomi», a proporsi nel segreto del cuore o a gridare: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?».
«La missione è un problema di fede, è l’indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi»
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 11
(74) La purità suprema è riconoscere Cristo e comunicarlo agli altri.
Questo dialogo con il mondo, con l’uomo del nostro tempo, è la vita del movimento.
Non sono i raduni, non sono i gesti particolari, non sono le formule da ripetere, non sono discorsi da rifare.
Il nostro tempo è qualificato da una sola cosa: la confusione, l’abbiamo detto ieri: una tragica confusione.
(75) Allora, perché il dialogo con l’uomo del nostro tempo attraversi, tagli, la densità di questa confusione, penetri attraverso il grido e il frastuono della violenza, deve essere una parola chiara, deve essere un dialogo chiaro.
La chiarezza del nostro dialogo coincide con la fedeltà alla nostra storia.
La fedeltà alla nostra storia ha due caratteristiche, l’una stretta e avvinghiata all’altra.
La prima è l ‘unità , in cui l’obbedienza di Cristo al Padre viene analogicamente vissuta, in cui si traduce l’obbedienza di Cristo al Padre: l’unità tra di noi e l’unità con chi guida il movimento.
La seconda caratteristica è che questa unità deve essere stretta, abbracciata a una libertà creativa.
La creatività dello Spirito, l’Avvenimento, non necessariamente passa attraverso la tua testa di capo comunità o di me prete.
(76) Tutto quello che dico io lo imparo dalle vostre lettere, dai vostri dialoghi.
Il potere creativo dello Spirito passa attraverso chi lo Spirito vuole.
Perciò il supremo dovere di chi ha responsabilità è l’amore alla libertà creativa.
Unità e libertà creativa rappresentano il contenuto della fedeltà alla nostra storia.
C’è un terzo rilievo. […] Occorre un amore alla strada altrui: amore alla strada di tutti quelli che incontriamo e che cercano.
Amiamo non solo la strada di coloro che cercano, […] ma anche la strada di coloro che ci rinnegano, che ci perseguitano, che ci calunniano e che ci uccidono.
Il movimento è la modalità con cui noi siamo resi veicolo di questo dialogo tra Cristo e il mondo.
È un amore alla strada altrui “non contraddittorio”, ma valorizzatore, valorizzatore di ogni pulviscolo di intuizione vera che possiamo trovare.
Quello che ci è stato dato, ci è stato dato per partecipare alla missione del Redentore, Cristo «espiazione e perdono».
Il dialogo tra Cristo e l’uomo del nostro tempo, che solo in Cristo può vivere, solo questo dialogo è la vita del movimento, vissuta con coraggio, per il momento di confusione e di violenza, con chiarezza, sostenuta dalla fedeltà alla storia, nella unità e nella libertà creativa, e con amore alla strada altrui, alla strada di chiunque incontriamo, senza contraddizione, ma valorizzando e collaborando, fino all’ultima stilla di sangue.
(79) È la gioia del Signore che deve figurare nelle nostre facce, è la gioia del Signore che dobbiamo portare in questo mondo.
Il popolo cristiano, cosciente del proprio essere peccatore, non è un popolo triste, ricordava Bernanos, è un popolo pieno di gioia: la gioia del Signore, la gioia di Cristo, non di me, la gioia di Cristo che mi investe e, investendomi, butta fuori da me il rimorso, il ricordo, la coda amara del mio peccato.
Esercizi spirituali predicati da don Giussani
1° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA
- Prefazione di Carrón
- 1982 – Il cuore della vita
- 1983 – Appartenenza e moralità
- 1984 – Io vi chiamo amici
2° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE
- Prefazione di Carrón
- 1985 – Ricominciare sempre
- 1986 – Il volto del Padre
- 1987 – Sperimentare Cristo in un rapporto storico
3° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE
- Prefazione di Carrón
- 1988 – Vivere con gioia la terra del Mistero
- 1989 – Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina
- 1990 – Guardare Cristo
4° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO
- Prefazione di Carrón
- 1991 – Redemptoris missio
- 1992 – Dare la propria vita per l’opera di un Altro
- 1993 – «Questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda»
5° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI
- Prefazione di Carrón
- 1994 – Il tempo si fa breve
- 1995 – Si può vivere così
- 1996 – Alla ricerca del volto umano
6° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO
- Prefazione di Carrón
- 1997 – Tu o dell’amicizia
- 1998 – Il miracolo del cambiamento
- 1999 – «Cristo tutto in tutti»
- TEMI di «Dare la vita per l’opera di un Altro»
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