Esercizi spirituali 1993 «Quella cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda»

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Indice linkato ai vari momenti
- Introduzione
- Omelia
- Introduzione alle Lodi
- IMPREVISTO, IMPREVEDIBILE: IL CRISTIANESIMO COME AVVENIMENTO
- IL CARISMA, UNA GRAZIA CHE MUOVE
- Introduzione alle Lodi
- Assemblea
Introduzione
(184) Il nostro grido allo Spirito di Dio, che rinnovi con la sua misericordia infinita la sua assistenza sul nostro cuore sempre un po’ stanco e distratto, compirà anche la nostra speranza questa sera.
(185) «Perdonami Signore mio, manda un altro in vece mia»
(Es. 3, 1-14)
È questo il sacro terrore che invade la coscienza di chiunque Dio investa del compito di comunicare ad altri la verità, quella verità che incide sulla vita e sulla storia.
La verità infatti è solo quella che incide sulla vita e sulla storia: Dio si è fatto carne.
(186) Qual’è l’inizio della verità?
(187) Siamo qui perché riconosciamo innanzitutto questa verità: siamo peccatori. Se vi sentite onesti, non è questo il luogo do dovevate venire. Sarebbe inutile tutto.
La coscienza dell’essere peccatori è, infatti, la prima verità dell’uomo che agisce nella vita e nella storia.
Non si può essere al proprio posto se non riconoscendo di essere peccatori, sproporzionati al fine, in qualche modo fuori luogo, dimentichi inesorabilmente di tante cose, con una connivenza sottile che sfugge tante volte alla clamorosità di un proposito.
Che cosa sta all’origine dell’essere peccatori? Sta un’affermazione di sé. Invece che affermare l’essere, la realtà nella sua verità integra, intera, nel suo destino totale, esauriente, noi siamo determinati dalla preoccupazione di affermare noi stessi.
(188) Ma non bisogna essere malinconici, particolarmente tristi, per riconoscere questa verità.
«In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà».
Lc 18, 15-17
Chi non è bambino non può riconoscere la realtà vera.
(189) Occorre un cuore da bambino.
Preghiamo nostro Signore, che con noi si offre al Mistero che fa tutte le cose, perché abbiamo ad essere, almeno in questi giorni, bambini.
Che il Signore ci aiuti. O Signore, aiutami a vivere questi giorni come un bambino, con il cuore da bambino, perché io abbia a penetrare di più la verità della realtà, ad annunciare il Vangelo della realtà, il senso della realtà che sei Tu.
Essere bambini vorrà dire in questi giorni soprattutto due cose.
Innanzitutto ascoltare: saper ascoltare quelle cose che crediamo già di sapere, […] e invece non è vero.
Essere bambini significa saper ascoltare, imparare il nuovo che c’è in ogni rieccheggiar di parola già sentita.
(190) Ascoltare, dunque, da cui deriva innanzitutto il giudicarsi.
È un ascoltare che non può essere che giudizio e domanda, meditazione e preghiera.
E, in secondo luogo, oltre all’ascoltare, il silenzio, che è come il grande riparo dell’ascolto vero.
Un silenzio almeno là dove vi sarà chiesto.
Ascoltare e fare silenzio sono i due momenti più importanti che vi voglio indicare.
Omelia
(191) Quello che l‘uomo non può tollerare, quello che io, come uomo, non riesco a tollerare e non riuscirei a tollerare senza una grazia, venuta da un’altra sponda che la mia sponda mortale, è di essere creato, totalmente creato: nulla di quello che l’uomo è dipende da lui, è costruibile da lui.
Perciò, Gesù poteva fare tutti i miracoli possibili e immaginabili […] in ultima analisi sarebbe stato stimato.
Ma che si identificasse con Dio, che il Padre fosse in Lui e Lui nel Padre, […] questa era una cosa inconcepibile, impensabile, inimmaginabile.
E l’uomo non può tollerarlo.
(192) Affermare che Dio si è fatto uomo, che un uomo è Dio, che perciò il significato, il senso e la salvezza dell’esistenza, della vita del singolo, del mio io, e il significato, il senso e la salvezza del grande tramestio, della grande confusione […] sia un uomo, quell’uomo crocifisso – Dio morto in croce – no, questo non si può dire.
Non c'è nessuna patria per un uomo che ti riconosca, Cristo Dio.
Da una parte, allora, l’amicizia tra noi, la compagnia tra noi è già una cosa divina: non esiste dono più gande, da questo dono dipendono tutti gli altri doni; dall’altra parte, anche tra noi, è facile vivere una superficialità che lascia in ultima analisi, all’ultimo limite del rapporto, l’altro estraneo, se questi dice veramente: «Gesù, sei Dio, il salvatore mio e di tutti».
(193) Essa rivela una grandezza umanamente impossibile: non c’è nessuna espressione dell’umano così intensa, così pura come la nostra amicizia, se è riconosciuta espressione della nostra fede.
È la totalità del cuore dell’uomo che può riconoscere che un Altro è il suo totale Signore, in ogni momento della sua giornata, in ogni istante del suo tempo: il totale Signore della totalità della vita.
La nostra amicizia è per proteggere, con l’aiuto dello Spirito di Dio, questo luogo di fede, questo estremo luogo di fede, dove i senza «senza patria» già vivono, vivendo già la patria a cui tutti gli uomini sono stati chiamati e per la quale sono stati creati e in cui, secondo il mistero della misericordia di Dio, noi speriamo ardentemente – anche se ci schiacciassero ogni momento – tutti si ritrovino salvi.
Introduzione alle lodi
(194) Noi siamo peccatori, ma una protezione profonda ci adombra e ci segue per riscattarci e redimerci, sorprendendo l’attimo di bontà in noi, l’attimo di disponibilità, il punto di debolezza della nostra libertà – nel senso buono del termine -, il punto di arrendevolezza della nostra libertà.
Nella sua libertà, Maria, prima, si arrese; la sua libertà prima disse sì.
Che ogni mattina noi abbiamo a ricordare, a riecheggiare in noi quello che ella pronunciò di fronte al messaggio misterioso: «Avvenga di me secondo la tua parola»
Imprevisto e imprevedibile: il cristianesimo come avvenimento
(195) Il Signore non abbandona la sua creatura.
Anche se siamo peccatori, Egli non abbandona la sua creatura.
Ma quello cui vorrei guidare, se possibile, la vostra riflessione e la vostra attenzione, è il valore della modalità che egli ha seguito per realizzare questa Sua presenza di salvezza, il metodo che Egli ha seguito, ha scelto e seguito, per salvare l’uomo, per salvare me.
Capire e seguire questo metodo significa essere aiutati a impostare il nostro rapporto con Lui quotidianamente, […] con il Signore fatto uomo, in modo più facile, in modo più umano, […]in un modo più bello, e la bellezza vince sempre, vince più facilmente.
(196) Di anno in anno, di decennio in decennio, uno si accorge di che cosa è Dio.
Questo è il lavoro che vi invito a fare oggi.
[…] Intende rendere le nostre giornate più benevole verso Dio, più sorprese della benevolenza che Dio ha verso di noi.
Gli apparteniamo molto più che il nostro pensiero e il nostro sentimento d’amore appartengano a noi.
Egli è veramente il Signore.
Punto 1
(198) Ecco una cosa imprevedibile. Immaginiamoci i due (discepoli di Emmaus) che vanno lungo la strada desolati e tristi e poi succede qualcosa di imprevedibile, imprevisto e imprevedibile. Come si chiama una cosa del genere? È un avvenimento.
A quei due che se ne andavano per la strada è successo un avvenimento, è accaduto un evento.
Ogni evento, ogni avvenimento ha dentro qualcosa che è novità assoluta.
Bene, questa è la parola che dice il modo in cui il Mistero lambisce più immediatamente ciò che ci appare: ciò che ci appare è toccato dal Mistero in un modo sperimentabile in quanto diventa un avvenimento, un evento.
(199) Il metodo stesso della conoscenza è l’avvenimento: senza avvenimento non si conosce niente di nuovo.
Per indicare il cristianesimo come salvezza, la categoria da usare è «avvenimento»:
Dio diventato avvenimento nella nostra esistenza quotidiana.
Pensiamo a Maria […] pensiamo a Giuseppe, al suo fidanzato, quando gli accadde il sogno notturno.
Anche per Giovanni Andrea – e poi Simone e Filippo, per tutti quelli nominati nel primo capitolo di san Giovanni.
E siccome è Dio che è entrato nella loro vita, è un avvenimento da cui tutta la loro vita è dipesa.
(200) Da un avvenimento non si può più tornare indietro.
Da che cosa si capisce che l’avvenimento in cui Dio entra nella nostra vita, nella nostra esistenza quotidiana, è una verità di salvezza, è un avvenimento di salvezza?
Dalla eccezionalità di una presenza.
«Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi?»
Lc 24,32
L’hanno capito dalla eccezionalità di una presenza, dall’esperienza di una presenza che corrispondeva alle esigenze profonde del loro cuore.
È ragionevole qualcosa quando corrisponde alle esigenze costitutive del cuore – le esigenze di verità, di bellezza, di bontà, di giustizia, di amore, di felicità, di compimento.
(201) I due discepoli di Emmaus sentivano una corrispondenza immediata nell’accento di quell’individuo che si era messo con loro.
Gesù Cristo, quell’uomo di duemila anni fa, si cela, diventando presente, sotto la tenda, cioè sotto l’aspetto di una umanità diversa.
È l’esperienza di una umanità diversa che ci sorprende, perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero e della nostra fantasia.
(202) «Non c’è altra strada, al fondo, oltre a questa curiosità desiderosa destata dal presentimento del vero»
L. Giussani, «Decisione per l’esistenza», in Id., Alla ricerca del volto umano
Davanti a quell’uomo, che si era reso vicino, quei due discepoli ebbero un presentimento del vero.
C’è un presentimento del vero accostando ogni avvenimento in cui Cristo s’accosta alla nostra vita, diventa un camminatore con noi, parte del nostro esistere, diventa un avvenimento nella nostra vita.
(203) La corrispondenza – che è il sintomo, il segno, l’esperienza della verità – è un avvenimento, non un pensiero, cioè non in un possesso, in qualcosa che fissiamo noi e possediamo noi.
Non è una dialettica che mi può unire a Cristo, al Dio fatto carne, che «spunta dalla terra», è un avvenimento, è un fatto, è qualcosa che accade.
L’avvenimento in cui Dio entra nella nostra esistenza per aiutarla, per salvarla, è un incontro: non un nostro pensiero, non un possesso che noi cerchiamo di realizzare, non una dialettica.
È nella natura dell’avvenimento il fatto che sia un incontro.
È contemporaneo a chi lo subisce, a chi lo afferma per forza di evidenza.
I due discepoli di Emmaus l’hanno affermato per forza di evidenza e alla fine sono corsi a dire: «Abbiamo fatto un incontro sulla strada».
Punto 2°
(204) Donde veniva la forza di quella evidenza, di quella sorprendente corrispondenza con qualcosa che avevano dentro? Questa sorprendente evidenza proveniva da una passato.
Questa persuasione in un passato, in un altro avvenimento passato, che ad un certo punto illumina lo stupore del presente: era la memoria di una presenza, la memoria di qualcosa che era già avvenuto.
(205) Quello che Gesù diceva corrispondeva al loro cuore perché già il loro cuore apparteneva a lui, l’avevano già incontrato.
È un incontro, perciò, l’avvenimento in cui Dio si rivela a noi e ci aiuta; è un incontro, non un pensiero o una dialettica; è un incontro in cui è contenuta la memoria di qualcosa che è passato, una memoria del passato.
È un rapporto umano quello che abbiamo con Dio, quello che Dio ha stabilito con noi.
(206) “Io sono la via la verità e la vita“
Gv.14,6
L’ha detto duemila anni fa. Come si fa a capirne l’importanza? È vero o non è vero?
Si può capire l’importanza di quel fatto passato solo attraverso l’esperienza presente, solo attraverso una esperienza presente ed eccezionale di quel fatto che è venuto prima, solo attraverso un avvenimento presente, così differente umanamente che può essere spiegato soltanto da quel fatto che è accaduto nel passato.
Non è un gioco di parole e occorre aiutarsi a capire bene.
Prima forma del problema. Siamo colpiti da qualcosa, da un incontro che facciamo, perché è una umanità diversa che incontriamo e che ci dà speranza.
Seconda forma del problema.
C’è il Vangelo, e lì c’è scritto che un uomo ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita».
(207) Come si fa a capire che è vero?
Che gente peccatrice come noi veicola, porta in sé e fuori di sé, comunica una certezza, una speranza, una pace, una chiarezza, una possibilità di ripresa, un perdono, una misericordia, che non esiste neanche nella miglior madre di questo mondo.
Allora si capisce che è vero il fatto passato da cui deriva il fatto presente.
Un avvenimento del passato carico di pretesa e di significato per la nostra vita può essere scoperto solo in funzione di una esperienza presente.
È questo il concetto di memoria che si rende sperimentabile nel presente.
Un avvenimento del passato, carico di pretesa, di significato per la nostra vita, può essere scoperto solo in funzione di una esperienza presente di tale avvenimento.
Punto 3°
( 209) A un avvenimento che accade l’uomo – i discepoli di Emmaus – appartiene.
L’uomo non può ritirarsi da un avvenimento accaduto, non può sopprimerlo.
(210) All’avvenimento l’uomo appartiene e vi appartiene dentro la modalità attraverso cui l’avvenimento lo raggiunge.
È una frase del car. Ratzinger:
«La fede è una obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento, alla quale siete stati consegnati»
J.Ratzinger, Intervento di presentazione al nuovo Catechismo, «L’Osservatore Romano», 20 gennaio 1993, pag.5
L’avvenimento per eccellenza, infatti, è lo svelarsi dell‘appartenenza totale dell’uomo a Dio.
[…] ha la forma a cui siamo consegnati quando ci imbattiamo in esso.
Se uno appartiene a Cristo, allora questa appartenenza a Cristo decide della moralità della sua vita, diventa norma della sua vita.
(211) L’avvenimento che porta all’appartenenza produce necessariamente un cambiamento, o meglio, tende a produrre un cambiamento.
L’appartenenza produce cambiamento, senza cambiamento non c’è produttività nell’appartenenza, non c’è vera appartenenza.
In secondo luogo, la morale che nasce dall’appartenenza ha un metodo suo proprio, che nasce dall’appartenenza.
Questo cambiamento avviene cioè secondo un metodo molto semplice: è come per i bambini, che crescono non per analisi che fanno loro, non per scelte che fanno loro, ma perché seguono.
(212) Il metodo della morale cristiana è quello di seguire Dio che ci si è rivelato in un avvenimento, quel Dio a cui apparteniamo.
Seguiamo, “pro-seguiamo” quella diversità che ci ha colpiti, secondo la forma in cui Dio ci ha colpiti, come diceva il card. Ratzinger.
La vera ragione dei disagi e delle differenze che ci sono è che – come diceva uno fra noi, molto giustamente – gli adulti sono persi in un’analisi dei fatti che prescinde da un’appartenenza.
Tutto ciò che non parte dall’appartenenza a Cristo, secondo la modalità con cui Egli si è fatto conoscere a noi nell’avvenimento capitale della nostra vita, non può essere epifania, non può far diventare manifestazione della nostra fede in Lui le nostre azioni, i nostri discorsi.
E l'epifania è il motivo per cui ci è data la vita.
(213) Infatti il nostro compito è collaborare alla epifania di Cristo nel mondo.
Il seguire, l’etica, la moralità come sequela, è di tutt’altro genere che qualsiasi altra moralità.
Ogni altra moralità inventata dall’uomo è moralistica.
Seguire è aderire alla presenza di Cristo.
Per questo si chiama carità.
La forma del metodo del seguire si chiama carità.
La carità è amore all’altro in tutto quello che facciamo, è abbraccio del diverso, perdono a tutti e a tutto, in quello che facciamo.
Ed è attraverso la carità che il cambiamento in noi diventa correzione della vita, cioè conversione.
Punto 4°
Non basta la giustizia – questo è il nome che definisce la moralità costruita dall’uomo -, non basta la giustizia.
(214) Per l’appartenenza giusta a Dio, cioè al nostro destino, non basta la nostra giustizia.
L'estrema forma della giustizia (umana) coincide con l'estrema ingiustizia.
Non basta la giustizia, non basta la buona volontà dell’uomo, la coerenza.
Chi è capace di essere coerente? Nessuno.
La perfezione non è l'esito di una coerenza
Lo scopo della vita è già presente tra noi, è un Tu, Cristo, il destino fatto uomo vivente e presente è attraverso degli avvenimenti, cioè attraverso degli incontri vissuti.
La perfezione si attua esistenzialmente come rapporto costitutivo esistenzialmente come rapporto riconosciuto e accettato con Cristo.
Così la coerenza non è una capacità dell’uomo, ma è una grazia dello Spirito.
(215) Allora che cosa dobbiamo fare? C’è una cosa semplice, che è anche l’arma del bambino.
È la domanda, la domanda che la grazia ci renda coerenti.
La domanda è il limite ultimo, il confine misterioso della nostra libertà.
Nella domanda la nostra libertà si gioca. L’uomo cristiano non è indifferente al bene o al male morale, ma nella percezione del proprio niente chiede, mendica.
La vera e fondamentale pratica ascetica è domandarlo.
E non si può a lungo domandare senza veramente desiderare che accada ciò che si domanda.
La domanda è domanda se veramente si desidera che accada quello che si domanda.
Ma v’è un’altra preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio.
Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato (che è il riposo di Dio), non smetti mai di pregare.
«Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare».
Sant’Agostino sul salmo 86, “Esposizioni sui salmi“
Il tuo desiderio, amico, è la tua preghiera.
Se continuo è il desiderio, continua è la preghiera
«L’anima è colpita e ferita dalla disperazione di non ottenere mai quello che desidera. Ma questo velo di tristezza le viene tolto quando impara che il vero possesso di colui che essa ama sta nel non cessare mai di desiderarlo».
Gregorio di Nissa, «Omelia XII», in Id., Omelie sul Cantico deli Cantici
Non cessare mai di desiderarlo: questo è l’avvenimento del rapporto fra l’uomo e Cristo, un desiderio che non cessa mai.
L’incontro che abbiamo fatto nella nostra amicizia lo ridesta, ridesta la capacità di desiderarlo sempre.
A che cosa tende, infatti, l’incontro provvidenziale che Dio ci ha fatto compiere, se non a farci desiderare Dio continuamente?
La potenza di Dio, raccogliendoci nel luogo della sua amicizia, ci rende continuamente capaci di soverchiare la nostra debolezza e la nostra falsità in un desiderio vero di Lui, nel desiderio vero, nella mendicanza,, come si diceva prima.
Il carisma, una grazia che muove
Punto 1°
( 218)Nonostante quello che la libertà dell’uomo produce come risposta, contrassegnata spesso da meschinità, […] Dio non si disaffeziona alla sua impresa, a quell’impresa che è l’impresa umana.
Quell’attesa di Lui, di cui ci ha costituiti, che noi dimentichiamo così facilmente, proprio per la nostra meschinità, attraverso le nostre lontananze, Egli la fa maturare.
Così, il rapporto singolare che ha con ognuno di noi Egli lo rende fattore di quel disegno grande che, attraverso i tempi della storia umana, si attua nel mondo.
L’impresa grande che è il disegno di Dio nel mondo avviene attraverso la nostra compagnia, una comunità o un popolo, che può essere piccolo, impotente di fronte alle forze del mondo, eppure alla fine esso determinerà il volto di tutto, determinerà l’orizzonte totale.
(219) L’avvenimento di Dio tra noi stabilisce una dimora, in cui la fraternità tra noi, poco o tanto, lentamente, faticosamente, ma sempre esplode e uno non può considerarsi separato dagli altri.
(220) Fino a quel momento Saulo aveva ritenuto di essere “pieno di zelo per Dio” e di servirlo fedelmente “arrestando e gettando in prigione uomini e donne”, seguaci della “nuova dottrina”.
Ma ogni sua convinzione è ora sconvolta, annientata: Gesù, il Nazareno, si rivela a lui, identificandosi con i fratelli che egli perseguita.
E si produce un altro evento, anch’esso paradossale: Gesù, pur avendogli parlato direttamente, da quell’istante, vuole comunicargli la salvezza mediante il suo rappresentante, Anania.
È nella Chiesa e per mezzo della Chiesa che Cristo agisce e vuole salvare l'umanità.
È così che Egli opera anche in ciascuno di noi.
(221) Il corpo di una umanità nuova viene creato attraverso il rapporto che Cristo stabilisce con me, con Te.
Tu ed io partecipiamo ad una umanità nuova.
«Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù»
Mt 19,29-Mc 10,29-30
Ma il centuplo quaggiù è anche questa partecipazione profonda, gandiosa, a un popolo nuovo, a una umanità diversa.
Il brano della Lettera ai galati dice:
«Chiunque è battezzato è immedesimato con Cristo, diventa una sola cosa con Cristo. Non esiste più né Giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma tutti voi siete uno in Cristo Gesù»
Gal 3,26-29
Uno solo: molti resi uno, uno solo, un popolo, un popolo nuovo.
Punto 2°
(222) Ratzinger:
«La fede è una obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati
Ratzinger
È questa l’idea di «carisma».
Il carisma rappresenta proprio la modalità di tempo, di spazio, di carattere, di temperamento, la modalità concreta, psicologica, affettiva, intellettuale, con Cui il Signore diventa avvenimento per me e, allo stesso modo, diventa avvenimento anche per gli altri.
(223) L’intensità della mia fede, la produttività e l’efficacia del mio amore si intensificano in base alla mia obbedienza alla modalità con cui il Signore mi ha raggiunto.
Non posso più abbandonare le caratteristiche della modalità con cui il Signore mi ha raggiunto, non posso più abbandonare la singolarità, l’originalità del mio carisma.
Questo è vero per ciascuno di noi.
Dobbiamo crescere, maturare e agire nel mondo secondo questa forma con cui il Signore ha voluto incontrarsi con noi.
È attraverso la moltitudine di queste forme che il Regno di Dio si presenta nella sua ricchezza grande, nella sua doviziosa varietà, nella sua capacità di adattamento a tutti e a tutto.
Non dimentichiamolo: popolo e carisma.
Noi viviamo il popolo intero del corpo di Cristo, il popolo intero della Chiesa, tanto meglio quanto più siamo fedeli al nostro carisma, alla nostra – per così dire – personalità, alla fisionomia personale che Dio ha dato a noi, o, meglio, in cui Dio ci ha chiamati.
La fede è una obbedienza di cuore alla forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati.
(224) Sottrarci a questa forma è il primo passo verso la stanchezza, la noia, la confusione, la distrazione e anche la disperazione.
Punto 3°
In questa compagnia, nella grande compagnia del popolo di Dio, ricordiamoci, non ci sono i migliori tra gli uomini.
Noi non siamo migliori degli altri.
Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.
(225) Come mai, dunque, noi che non siamo i migliori degli altri siamo stati cooptati, abbracciati e portati come bambini ignari da braccia paterne e materne dentro il grande corpo di Cristo che è la Chiesa?
Perché siamo stati scelti, siamo stati eletti.
Questa categoria così usuale nel linguaggio cristiano è un’altra categoria che il mondo non può tollerare.
E la stessa insofferenza che il mondo ha per l’assolutezza di Dio ce l’ha verso la categoria degli uomini che Dio sceglie.
Siamo nel popolo di Dio perché siamo stati eletti. tutto l’Antico Testamento, la storia del popolo ebraico, è dominato da questo valore.
(227) Mi ha scelto, infatti lo conosco, conosco il Signore.
Dio, in parte io già ti conosco, Tu ti sei fatto conoscere da me.
Cristo, io ti conosco, in parte già ti conosco.
E perché io sì e mille altri no? Perché mi hai amato, perché mi ami.
Ma perché mi ami? Mi ami perché mi ami.
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga: perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda. questo vi comando: amatevi gli uni e gli altri»
(228) Siamo stati scelti per ricostruire il mondo, attraverso quello che siamo.
Punto 4°
È un ordine in cui la supremazia del Padre, la magisterialità di Cristo, la signoria di Cristo hanno un segno: senza questo segno non ci sarebbe compagnia tra noi, non ci sarebbe mistero della Chiesa, non ci sarebbe il popolo nuovo che sta camminando nel mondo, per il bene del mondo: senza autorità con ci sarebbe la novità che Cristo ci ha chiamati a vivere insieme.
(229) L’amore e l’obbedienza all’autorità rappresentano il segno supremo della nostra lealtà con Cristo.
Ma la nostra compagnia il Signore non la anima solo con la presenza dell’autorità; la nostra compagnia è carica di ricchezza, ognuno di noi , se guardato con gli occhi della fede, ha una autorevolezza sull’altro data da una capacità di esempio, di pazienza, di affezione, di perdono, da una capacità di parola buona, da una saggezza, da una capacità di discrezione.
(230) Il Signore ci ha chiamati, ed è proprio attraverso la meraviglia delle vostre capacità, della vostra bontà, secondo tutta la flessione di questa parola, attraverso la meraviglia della vostra fede, secondo tutta la ricchezza di questa parola, che io sarò corretto, sorretto.
Non più vergogna, ma correzione, mano che sorregge, familiarità che sorregge, molto più che quella di un padre e di una madre.
Così che anche se tua madre e tuo padre ti abbandonassero, questa compagnia non ti abbandonerà.
(231) Nulla, neanche un briciola della nostra compagnia cade per terra inutilmente, non c’è nessuno che sia inutile ai nostri occhi, tutti lo riconosciamo.
Per questo il Signore converte a sé l’uomo che Lo fissa ogni giorno, per sapere che cosa fare.
Egli parte da qui per creare una compagnia vasta, grande, corpo misterioso di Cristo, per cui ognuno di noi è legato all’altro, non può concepirsi separato, solo; nessuno di noi può concepirsi solo.
(232) «Ma non sapete che siete membra l’uno dell’altro, corpo misterioso di Cristo?»
1Cor 6,15; Ef 4,25; Rm 12,5; 1Cor 12,27
Punto 5°
Il Padre ha avuto questo disegno mirabile perché, attraverso l’impegno della responsabilità di ognuno di noi, perciò attraverso l’impegno della faccia che ognuno di noi ha, perché attraverso questo popolo si cambi il mondo secondo la Sua volontà.
Il mondo è un gregge di violenti senza pastori. Il mondo è un gregge di violentati senza pastore, senza guida senza difesa.
Noi dobbiamo diventare il suggerimento buono, la guida discreta, la difesa, dobbiamo diventare padre e madri di tutti gli uomini che accostiamo.
(233) È attraverso la responsabilità quotidiana dei nostri rapporti “obbligatori” e del nostro lavoro che la sincerità di questa pietà divina, di questa pietà cristiana, realmente influisce su tutto ciò che ci circonda.
(234) Che impressione quella volta quando nell’assemblea affollata di studenti universitari della Cattolica – erano un migliaio -, tra i numerosi interventi, a un certo punto si alzò un ragazzino, salì sul palco e comincio, con voce normale, forte: «Colui che è tra noi», si fece un grande silenzio, in me particolarmente, ma anche in tutti.
«Colui che è tra noi»
(235) Dobbiamo ricominciare ogni giorno a costruire nella coscienza di Colui che è tra noi, nella consapevolezza della nostra Fraternità.
«Nel ricominciare a costruire ogni giorno non è la fatica che ci spaventa, ma la fede che ci entusiasma»
Se si ha la coscienza di Colui che è tra noi e se si ha coscienza della nostra compagnia e si ha coscienza della missione che abbiamo per il mondo, allora diventa vero: non è la fatica che ci spaventa, ma la fede che ci entusiasma.
Entusiasmo è una parola che significa in qualche modo rendere tutto divino.
È la fede che entusiasma. Ma che cosa è la fede?
(236) Fede è riconoscerTi dentro l’avvenimento della vita, dentro l’avvenimento della giornata, dentro l’avvenimento del presente, dell’istante.
«Nel ricominciare a costruire ogni giorno, …] non è la fatica che ci spaventa, ma l’entusiasmo della fede.»
È un augurio che questo avvenga, che nel ricominciare ogni giorno a costruire non sia la fatica che ci spaventi, ma la fede che ci entusiasmi, e lo Spirito di Dio sia con noi.
Introduzione alle lodi
(238) Che ogni mattina ci trovi pronti a fare la volontà di Dio, senza domandare a Dio il perché e il per come, senza obiettargli nulla.
È in questa semplicità del cuore che la Madonna ha realizzato il grande compito che le era stato affidato.
Dio non si può capire se non gli si obbedisce.
Un bambino non capisce ciò che lui è, se non seguendo.
Bisogna seguire per capire.
Chi, perché non capisce, lascia, non capirà mai.
Assemblea
Domande e risposte
(239) Intervento: «Perché pur riconoscendone l’ovvietà, abbiamo una percezione così generica e senza dolore del peccato? La coscienza del peccato deriva da una educazione o da una grazia?»
Giussani: La coscienza del peccato è frutto di una grazia.
È la coscienza della Sua presenza che ci fa sentire dolore per ognuna delle nostre azioni incompiute.
(240) Comunque la sostanza della risposta è che la coscienza del peccato, se è resa più sensibile da una educazione, non può essere, nella sua verità, se non frutto della grazia.
Intervento: «Come può accadere che una corrispondenza del cuore venga a coincidere con una forma e un metodo?». e poi: «Abbiamo incontrato qualcosa di vero: perché dopo anni ci troviamo addosso una regola che è difficile da sopportare?».
Giussani: La forma e il metodo indicano la grande occasione di avvenimento in cui una corrispondenza della parola di Dio col nostro cuore ci viene rivelata.
Perciò forma e metodo sono la modalità con cui il Signore si dimostra presente come Presenza corrispondente al nostro cuore.
La modalità è stabilita da Lui e può variare per le singole persone e i gruppi
Se non si rende incontro oggi, se il nostro rapporto con Gesù non si rende rapporto oggi, quello che abbiamo visto un tempo diventa una regola poco sopportabile o diventa un devoto ricordo.
(241) Rimane un devoto ricordo interpretabile dalla nostra mente, poggiando sul quale magari cerchiamo di riprendere iniziativa, ma secondo noi, secondo le nostre preoccupazioni: non è più un’obbedienza che continua.
Intervento: «Vorrei capire l’insistenza sulla dinamica presente/passato dell’avvenimento».
Giussani: Da che cosa si dimostra che il fatto di Cristo è vero? È lontano duemila anni!
È vero se esso, lontano duemila anni, è così presente da cambiare il nostro presente che influisce sulla nostra condotta presente.
Se esso diventa una presenza che cambia il nostro presente, allora significa che è una cosa viva.
(242) Egli diventa presente attraverso coloro che Egli sceglie, e che Lo riconoscono.
Chi Lo riconosce, anche duemila anni dopo, è reso così vero e vivo che cambia questo presente.
Da una parte Gesù motiva l’eccezionalità dell’umanità vissuta oggi; dall’altra parte, l’eccezionalità dell’umanità vissuta oggi rivela, fa capire che Gesù è vero, che quello che è accaduto duemila anni fa è vero.
Intervento: «Perché la giustizia non basta e ci vuole più carità?» «Che cosa significa che l’avvenimento fonda una nuova moralità?» «La moralità coincide con il cambiamento?» «Si può essere morali senza cambiare?»«Quando la domanda non è una pretesa?».
(243) Giussani: La giustizia non basta perché l’uomo, per il peccato originale, non è capace di mantenere la giustizia nella sua completezza, nella completezza delle sue esigenze.
Siamo peccatori. Allora occorre la presenza di una misericordia, occorre una carità, una pietà più grande che, come il papà e la mamma prendono il bambino caduto e lo fanno rialzare.
Ci sono delle virtù che solo nell’ambito cristiano diventano possibili: al di sopra di tutto, la gratuità.
Per un atto di gratuità totale occorre veramente avere la coscienza pura della fede e amare il Signore, altrimenti la gratuità non è possibile.
L’avvenimento con cui Cristo ci prende e ci fa appartenere a sé non può non cambiarci e il cambiamento che avviene è proprio qui: Egli ci rende desiderosi di seguirLo, di imitarLo e questo porta a una purità:
«Chiunque ha questa speranza si purifica ed egli è puro»
1 Gv 3,3
Sembrerebbe una presunzione infinita, invece è un’infinita pietà che, curvandosi su di noi, ci rende capaci dell’impossibile.
(244) La moralità coincide con il riconoscimento di Cristo, col dire «Tu» a Cristo. Questo urge il cambiamento, che avviene nella misura della grazia di Cristo.
Perciò, si può essere morali senza cambiare, se almeno il rapporto con Cristo accende il desiderio di cambiare.
Il primo cambiamento di fatto sta nel desiderio di cambiare.
«Il tuo desiderio è la tua preghiera: se continuo il tuo desiderio, continua pure è la tua preghiera. C’è una preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato (che è il riposo in Dio), non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce.»
Sant’ Agostino, Commento sui Salmi
Quando la domanda non è pretesa? Quando il desiderio, che diventa domanda non è una pretesa? La domanda non è una pretesa quando non pone condizioni.
Davanti a Dio non si può essere che bambini piccoli nelle braccia della madre e del padre.
Intervento: «L’appartenenza è una dimensione strutturale dell’io oppure dipende da un avvenimento che ti capita?» «Se bisogna appartenere, che cosa c’entra la grazia?».
Giussani: L’appartenenza a Dio è una dimensione dell’io, strutturale. Eravamo niente, ci siamo, siamo di un Altro.
Ma il capire questo dipende da un avvenimento provvidenziale, pietoso, amoroso.
Questo avvenimento si chiama «carisma».
È una modalità con cui Dio ti fa capire che gli appartieni.
La grazia è proprio il dono per cui Dio ti fa capire di appartenere; la grazia è proprio il dono con cui Dio ti fa accadere quell’avvenimento da cui capisci che tu appartieni.
(246) Intervento: «Che cosa c’è di sbagliato e che cosa bisogna fare quando l’unità sembra qualcosa da conquistare e non qualcosa che c’è già?».
Giussani: L’unità sembra qualcosa da conquistare quando una parte da se stesso, cioè quando parte dai suoi concetti, dalle sue opinioni, dai suoi pensieri, da una sua analisi delle cose.
Le cose non possono essere vissute in unità, se già non sono state fatte da una unità: è l’unica mano di Dio che crea le cose in unità.
Bisogna chiedere a Dio l’umiltà di riconoscere che tutto di pende da Lui, bisogna chiedere a Dio l’umiltà di seguire l’avvenimento o l’incontro in cui Egli ci ha fatto balenare e capire l’unità delle cose.
Invece tante volte noi partiamo con gioia da quello e poi vogliamo ragionare con la nostra testa.
Ma ragionare significa aderire alla realtà e la realtà è quella che Dio ci ha mostrato.
Intervento: «Questo riconoscimento dell’unità vale anche in tutti gli interessi della vita, per esempio la politica, fino a determinare la posizione anche lì?».
(247) Giussani: Se tu appartieni, se il Signore attraverso un avvenimento ti ha preso, in tutte le espressioni della tua vita dovrai cercare lo spunto e la ragione del tuo comportamento da questo possesso che Dio ha di te, dalla forma a cui sei stato consegnato da Dio, in qualsiasi caso, nel modo di vivere la famiglia e nella politica, nello studio e nel lavoro.
Altrimenti, tu prendi spunto, come se non fossi tutto nella mano che ti ha preso, come se non fosse totalmente dell’avvenimento che ti ha rivelato la tua totale appartenenza al Signore.
«[…] Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne le prove. È invece vero che la Chiesa è stata strutturata al fine di occuparsi o di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere dall’esterno lo spirito del male, alle corti dei re o tra le varie moltitudini»
J.H. Newman, Gli Ariani del IV secolo
Intervento: «Come si supera il rischio di separare il carisma, come idea giusta, dal movimento, cioè dire: “L’idea, la posizione culturale è giusta, il movimento così com’è non mi va bene”?»
Giussani: Carisma è una grazia che muove, che genera movimento. Perciò è seguendo il movimento che si vive il carisma, altrimenti vivi il carisma secondo la tua interpretazione, introducendo così un equivoco, una presunzione e un equivoco.
(249) Seguendo chi guida il movimento, e non altro, si impara sempre di più a conoscere il carisma da cui si è partiti.
Si parte da una carisma presente e, seguendo chi guida, si entra sempre di più nel passato del carisma, che è il mistero stesso di Cristo.
Intervento: «Qual’è il rapporto tra autorità e carisma e autorevolezza personale?».
Giussani: L’autorità del carisma, per essere molto semplici, è quella che la Chiesa riconosce.
La Chiesa riconosce la responsabilità di un carisma. L’autorevolezza personale è data dalla partecipazione che uno vive a chi ha l’autorità.
Il significato di questo carisma è rivelato da coloro che nella semplicità del cuore vivono il dono fatto dallo Spirito e così restano autorità di fatto.
L’autorevolezza è quella che sollecita e edifica.
L’autorità è chi assicura la strada giusta; l’autorità in quanto riconosciuta dalla Chiesa.
L’autorevolezza riscalda i passi, rende bella la strada, rende persuaso il cammino, rende più capaci di sacrificio quando è da fare.
L’autorevolezza è una santità, l’autorità è un compito.
Intervento: «Che cosa c’entra il titolo con questi Esercizi? che cos’è “questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda“?».
(250) Giussani: La «cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda» è la fede, è la gioia dell’incontro che abbiamo fatto, è la gioia dell’avvenimento che ci è accaduto ed è l’avvenimento che ci è accaduto, è la gioia dell’incontro fatto che ci fa desiderare di cambiare.
È vero o non che tanti fra noi, tutti fra noi, abbiamo desideri di bene che prima non avevamo? abbiamo sete di purità che prima non conoscevamo, abbiamo anelito ad una giustizia che prima non conoscevamo?
La «cara gioia» ci fa desiderare di essere migliori, ci fa desiderare la virtù, ci fa desiderare un cambiamento di noi stessi secondo la volontà di Dio.
Lettera di una monaca di clausura.
«È estremamente triste tutta questa storia di Mani pulite, di cui tanto si sente parlare. Non che sia triste la ricerca e la tensione alla purezza, ma è triste la “caccia alle streghe” che si sta perpetuando in Italia, come se d’improvviso una mattina gli onesti si fossero finalmente svegliati e – vedendo lo sporco intorno a loro – fossero partiti per una guerra santa. È triste pensare che la marea di sacrosante parole come onestà, pulizia, novità, in fondo obbedisca a un comando che quanto pulito, onesto, nuovo sia, non lo so. E soprattutto c’è una tale incapacità di proposte! Chi non ha conosciuto Cristo forse può ritenersi onesto e in dovere di fare pulizia, ma chi l’ha conosciuto no. L’unica pulizia che possiamo fare è dentro gli occhi e il cuore ed applicarci alla sequela di Cristo come perdonati, con tutto ciò che siamo. Ed è questo che bisogna continuare, nella semplicità, nella fede, nella purificazione dolorosa che da ogni circostanza può venire. Quelle parole che da te abbiamo imparato rimangono vere per sempre: ” il mio cuore è lieto come il seme sotto la neve”. Scusa don Gius queste mie parole, era un desiderio del cuore parlarti. Credo che il momento che stiamo vivendo sia certamente uno dei più gravi della storia del Paese, sicuramente il più drammatico che la mia generazione ha vissuto sinora, visto anche il contesto internazionale. Viviamo tutto questo nell’offerta e nella supplica. Prego per te che sei padre nella fede per migliaia.»
(252) Abbiamo solo da seguire, non da inventare; inventeremo sempre, seguendo!
Perché è chi segue che veramente inventa; chi inventasse senza seguire, divide, si divide, si distrugge, inaridisce.
Non è la fatica che ci spaventa, ma la fede che ci entusiasma, e la fede è il riconoscimento di una Presenza, riconoscimento che è iniziato in un certo momento, in un certo ambito, in una certa circostanza, di fronte a una certa presenza, che ha incominciato a cambiare la vita nostra.
Il carisma crea un movimento, un movimento cambia la vita della gente per sempre.
(253) Il benessere dell’uomo in questo mondo dipende solo dal suo rispetto, dalla sua obbedienza, dal suo amore a Dio.
Abbiamo solo un compito da realizzare: costruire la nostra personalità, costruire la nostra responsabilità, costruirla insieme, perché è l’unica condizione che nessuno può obliterare e nessuno impedire; costruire la nostra responsabilità perché abbiamo a essere protagonisti del bene nel mondo, protagonisti del bene nel male del mondo.
Esercizi spirituali predicati da don Giussani
1° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UNA STRANA COMPAGNIA
- Prefazione di Carrón
- 1982 – Il cuore della vita
- 1983 – Appartenenza e moralità
- 1984 – Io vi chiamo amici
2° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA CONVENIENZA UMANA DELLA FEDE
- Prefazione di Carrón
- 1985 – Ricominciare sempre
- 1986 – Il volto del Padre
- 1987 – Sperimentare Cristo in un rapporto storico
3° «volume Cristianesimo alla prova»
Titolo: LA VERITÀ NASCE DALLA CARNE
- Prefazione di Carrón
- 1988 – Vivere con gioia la terra del Mistero
- 1989 – Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina
- 1990 – Guardare Cristo
4° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: UN AVVENIMENTO NELLA VITA DELL’UOMO
- Prefazione di Carrón
- 1991 – Redemptoris missio
- 1992 – Dare la propria vita per l’opera di un Altro
- 1993 – «Questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda»
5° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: ATTRAVERSO LA COMPAGNIA DEI CREDENTI
- Prefazione di Carrón
- 1994 – Il tempo si fa breve
- 1995 – Si può vivere così
- 1996 – Alla ricerca del volto umano
6° volume «Cristianesimo alla prova»
Titolo: DARE LA VITA PER L’OPERA DI UN ALTRO
- Prefazione di Carrón
- 1997 – Tu o dell’amicizia
- 1998 – Il miracolo del cambiamento
- 1999 – «Cristo tutto in tutti»
- TEMI di «Dare la vita per l’opera di un Altro»
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1982 – 83 – 84 – 85 – 86 – 87 – 88 – 89 – 90 – 91 – 92 – 93 – 94 – 95 – 96 – 97 – 98 – 99
