TEMI di «La verità nasce dalla carne» – Esercizi 88-89-90 – 1a parte

Temi del libro di don Giussani: «La verità nasce dalla carne»

Libro di riferimento

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ACDEFGILMOPQRSTUV

Lettera «A»


Aderire/adesione

52 – Uno ci può anche non pensare (all’appartenenza), perché se vive semplicemente la sua fede – però la vive, cioè la sente, non nel senso banale del termine -, vi aderisce.

Questa adesione è carità, e perciò dono, è dono e gratuità, è benevolenza e gratitudine nello stesso tempo.

166 – La seconda caratteristica (la prima è l’unità) del movimento che nasce dal carisma è la libertà, ma la libertà come l’abbiamo detta ieri: libertà che è responsabilità personale, piena di intelligenza e di cuore, nell’aderire al fatto che ci è stato offerto, nell’aderire alla grande Presenza.

La libertà è la capacità di riconoscere, il dono di riconoscere, meglio, è l’apertura al dono di riconoscere e di amare la grande Presenza.

aderire a Cristo

21-22 – Bisogna aderire a Cristo e seguire Cristo per eliminare l’uomo illusorio e perché emerga da noi l’uomo vero.

22 – La prima caratteristica dell’uomo nuovo, la prima caratteristica dell’uomo che aderisce a Cristo, che ha la fede, è la passione della missione.

122 – Aderire a Cristo significa che Egli sia fatto penetrare nella nostra carne, cioè che noi abbiamo a guardare, a concepire, a sentire, a giudicare e valutare, a cercare di trattare noi stessi e le cose, con la memoria di questa Presenza, con negli occhi questa Presenza.

Affezione

36 – Non so come dire una cosa che vorrei far passare semplicemente per osmosi dentro il vostro animo, perché io credo che questo sia il punto più puro della nostra gioia, quello che rende possibile la gioia: questo amore alla verità fatta carne, questa affezione quasi senza sentimento, anzi, no, carica di un sentimento profondo, l’attaccamento. Questa è l prima cosa che importa.

51-52 – Invece che il papà e la mamma (per i bambini), è Cristo: è la coscienza di questa Presenza che mi fa sentire la sproporzione, mi precisa la contraddizione, mi fa struggere di dolore, mi fa tendere in un desiderio, mi fa riprendere continuamente la volontà; è una affezione che attraversa come un fiume impetuoso o come un’acqua cheta, ma irresistibile, qualsiasi mia contraddizione e qualsiasi opposizione io trovi in me: la trovassi mille volte al giorno, mille volte l’attraverso.

82 – Ricordatevi che seguire da uomini significa usare l’intelligenza, perciò cercare di comprendere le ragioni, di assimilare la modalità con cui si affrontano le cose, e usare l’affezione: si segue con tutto il cuore, con il cuore.

94-97 – Un certezza piena di comprensione, una intelligenza che penetra dentro il grande Mistero e, nello stesso tempo, una gioia, cioè una affezione, perché la gioia è il massimo della affettività; comprensione e gioia, intelligenza e affettività: ecco, è come se urgesse sempre di più l’unità della nostra persona nella fede.

Il Signore ha posto un seme, che deve diventare grande: e la caratteristica di un seme che diventa pianta è l’unità.

95 – Ho trovato una preghiera di Sant’Anselmo che riguarda proprio l’urgenza che abbia a crescere l’unità tua e mia nella fede, l’unità della nostra persona, una unità che è “congegnata” di intelligenza, cioè di comprensione sempre più grande, e di affezione sempre più grande, perché la vostra gioia sia piena.

«Ti prego, Signore, fammi gustare attraverso l’amore quello che sento attraverso la conoscenza. Fammi sentire attraverso l’affetto quello che sento attraverso l’intelletto. Tutto ciò che è Tuo per condizione» – (la nostra vita è tutta data, condizionata) – «Fa’ che sia Tuo per per amore», (fa’ che io lo abbracci e lo accetti, così che l’unità della mia persona si espliciti, si esprima, si espanda. «Attirami tutto al Tuo Amore. fa’ Tu, o Cristo, quello che il mio cuore non può» (fammi vivere cioè questa intensità affettiva nell’aderire al vero e prima ancora questa acutezza nel percepire il vero, che io non sono capace di realizzare). «Tu che mi fai chiedere, concedi».

Anselmo d’Aosta

96 – Ora, quando la persona è ben unita, vale a dire quando c’è la comprensione della fede, pardon, quando avanza la comprensione della fede e si rende più densa l’affezione al suo contenuto, cioè a Cristo, allora quella che è chiamata gioia da san Paolo può essere più precisamente definita come speranza: vibra, si dilata e si avventa sul tempo e sullo spazio della nostra esistenza la speranza.

97 – Non c’è nessuna gioia senza fede, senza che la fede diventi conoscenza progressiva, senza che la fede scaturisca in affezione che mobiliti la nostra volontà, senza che il cuore non si perda, perché il cuore è la libertà.

La fede è intelligenza e affezione

Senza questo non ci può essere gioia.

128 – Quindi, ricapitolando: innanzitutto l’offerta che rende sublime l’azione; poi la moralità, cioè lealtà con gli scopi immanenti all’azione; in terzo luogo, la gratuità come affezione al regno di Cristo, che è la Chiesa e che è il movimento, in tutto quello che fa.

129 – L’obbedienza è quel principio di conoscenza e di azione che supera la propria misura e la propria volontà, cioè il proprio criterio e la propria affettività; è un criterio di conoscenza, di affezione e di azione che supera, cioè distacca, stacca dal proprio criterio e dalla propria affezione, dalla propria misura e dalla propria volontà

Amare/amore

23 – (Ne Il racconto’Anticristo di Solo’ëv) Di fronte a un sempre più sparuto numero di cristiani, l’Imperatore, per dimostrare il suo sincero amore per i cristiani, chiede loro: «Ditemi ciò che vi sta più a cuore nel cristianesimo, affinché io possa dirigere i miei sforzi in quella direzione. Io voglio che il cristianesimo ci sia». Tutti hanno infatti stima o amore per il cristianesimo. L’Imperatore offre questo, benevolmente, ai cristiani, il compito di essere l’autorità spirituale per il bene comune di tutto il mondo, di essere cioè un fattore di aiuto per i valori comuni necessari alla vita consociata.

La risposta del vecchio starets è chiara: «Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità». Ciò che abbiamo di più caro è Dio fatto uomo.

36 – L’uomo nuovo, quest’uomo che si è in qualche modo imbattuto in Cristo, che in qualche modo ti ha riconosciuto, o Signore, è come se fosse definito innanzitutto da qualcosa di assolutamente gratuito. […]

Io credo che questo sia il punto più puro della nostra gioia, quello che rende possibile la gioia: questo amore alla verità fatta carne, questa affezione quasi senza sentimento, anzi, no, carica di un sentimento profondo, l’attaccamento.

47 – La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo è quella di rendere il mondo più umano: «Il mondo degli uomini può diventare sempre più umano solo se introdurremo nel multiforme ambito dei rapporti interumani e sociali […] quell’amore misericordioso che costituisce il messaggio messianico del Vangelo».

55 – Perciò, koinonìa, la comunione cristiana, era chiamata anche l’agàpe, cioè l’«amore», oppure eirène, che voleva dire «pace», la realtà della pace, in latino concordia: La Chiesa era chiamata «la concordia». oppure anche pax, che traduce il termine greco eirène.

Ma che cosa avevano in comune questi cristiani? Avevano in comune il riconoscimento, la scoperta, l’incontro di Cristo, cioè del senso della vita, di Colui che era il senso della loro vita e della vita del mondo: «Io sono la via, la verità e la vita».

68 – Amare anche i nostri nemici e pregare per i nostri persecutori non è possibile a un qualsiasi temperamento e a una qualsiasi educazione naturale; non può essere una bonomia di carattere e non può essere una superiorità che detti un atteggiamento di estraneità.

Per amare i nemici fino a pregare per i persecutori, occorre un cuore nuovo, occorre una vita nuova, occorre una umanità nuova.

95 – «Ti prego, Signore, fammi gustare attraverso l‘amore quello che sento attraverso la conoscenza. Fammi sentire attraverso l’affetto quello che sento attraverso l’intelletto. Tutto ciò che è Tuo per condizione» – (la nostra vita è tutta data, condizionata) – «Fa’ che sia Tuo per per amore», (fa’ che io lo abbracci e lo accetti, così che l’unità della mia persona si espliciti, si esprima, si espanda. «Attirami tutto al Tuo Amore. fa’ Tu, o Cristo, quello che il mio cuore non può» (fammi vivere cioè questa intensità affettiva nell’aderire al vero e prima ancora questa acutezza nel percepire il vero, che io non sono capace di realizzare). «Tu che mi fai chiedere, concedi».

Sant’Anselmo d’Aosta

111-114 – «Siamo accecati non tanto dalla forza del sentimento» – dall’istintività che ci prende, per cui diciamo che siamo trascinati dall’inclinazione e dalla istintività, dalla passione -, «quanto dalla mancanza di umiltà. È una mancanza di umiltà verso quello che dovrebbe essere l’amore nella sua vera essenza.»

K.Wojtila «La bottega dell’orefice»

112 – Questo è il delitto che sta alla radice del cuore dell’uomo, delitto libero […], una mancanza contro l’amore nella sua vera essenza. Quella di Adamo fu una mancanza contro l’amore nella sua vera essenza.

«Lo Sposo è colui che ama. La Sposa viene amata: è colei che riceve l’amore, per amare a sua volta»

Mulieris dignitatem

Definendo così acutissimamente la differenza del dinamismo originale dell’uomo e della donna. Lo sposo ama. La sposa è colei che è amata e perciò ama. Non per nulla la sposa, la donna, è la madre, è quella che fa nascere l’uomo, è quella da cui l’uomo trae la sua natura. Ma l’uomo come tale ama solo se riconosce e accetta di essere amato. E, infatti, lo sposo ama, l’uomo ama, perché la bellezza è come una testimonianza che è amato e che è voluto bene. Comunque sia, l’uomo ama solo se riconosce di essere amato. Tutte le resistenze e le cattiverie nostre, tutte le trasgressioni – tentativamente giustificate sempre, cinicamente sopportate sempre, perché si sopporta il proprio male anche quando si dice o si sostiene che è bene, che è giusto – dipendono da una tua mancanza «verso quello che dovrebbe essere l’amore nella sua essenza».

113 – Nella sua essenza l’amore è una “reazione”, per così dire, una capacità che viene dal riconoscimento, dalla scoperta di essere amati, dalla scoperta accettata di essere amati.

Perché noi non siamo Dio, non siamo l’Essere, la sorgente dell’amore.

Deus caritas est, Dio è amore. L’amore è l’Infinito: noi creature, solo se prendiamo coscienza di essere volute, di essere amate, allora incominciamo a poter amare.

Noi amiamo Dio perché ci ha amati per primo.

Noi amiamo Dio perché Dio ci ha amati per primo, noi possiamo amare solo se riconosciamo di essere amati.

114 – L’uomo può amare solo se riconosce d’essere amato. L’io sta e agisce solo davanti un tu, per un tu.


(Si apre un capitolo tutto sull’amore fino a pagina 156)

La risposta all’amore ricevuto

132-156 – Il primo punto di cui voglio parlare è la nostra situazione. È una questione di amore dato e ricevuto.

In quello che abbiamo evocato stamattina(Amore di Dio), la nostra situazione qual è?

Quello che emerge , come tempesta vincente, è la nostra incapacità. Alla nostra incapacità ha risposto Dio: l’amore dato è la risposta alla nostra incapacità fondamentale, che è il nulla.

«Dio ha dimostrato il Suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora delinquenti, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati dal suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui

Rm 5,8-9

133 – «Per mezzo di lui» noi saremo ributtati nella positività dell’essere, dell’esistere. Tutto è bene, dice san Paolo «per coloro che riconoscono l’amore di Dio».

«Tutto coopera al bene per quelli che accettano l‘amore di Dio, anche il male.»

sant’Agostino

«In questo s’è manifestato l’amore di Dio per noi: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito a morire per noi»

1Gv 4,9-10

«Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per gli amici»

Gv 15,13

«Da questo abbiamo conosciuto l’amore. Egli ha dato la sua vita per noi»

1Gv 3,16

134-135 – (Giussani si immedesima raccontando l’episodio in cui Gesù chiede tre volte a Pietro se gli vuole bene).

136 – Il tradimento (di Pietro) era come una punta rivelatrice, veniva a galla la sua miseria. .

Quando Pietro ha risposto: «Signore, certo, io ti amo»; quando ha detto: «Signore tu sai tutto: nonostante queste apparenze, nonostante tutte le apparenze di me stesso, tu sai che ti voglio bene» – perché «ti voglio bene» vuol dire ti affermo, riconosco quel che sei, riconosco quel che sei per me e per tutti»- questo è stato lo sconvolgimento del moralismo e della giustizia fatta con le nostre mani.

Il Signore ha affidato la testimonianza Sua, ha affidato il Suo regno nel mondo a quel meschino peccatore.

137 – Il modo con cui la testimonianza si svolge, a partire dal nostro «Sì, Signore, io ti amo», come questo «sì» si svolga e renda testimonianza al Signore, come lo debba fare, nessuno di noi lo sa.

Se il valore dell’esistere è la gloria di Cristo, è l’affermazione del Mistero, non puoi vantarti di niente.

139 – Vediamo ora la dinamica che può investire e trasformare questa situazione (di incapacità)

«Nell’esperienza di un grande amore tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito»

R. Guardini, L’essenza del cristianesimo

140 – È la definizione di un soggetto nuovo. È provvisorio, nell’esperienza di un grande amore; con Cristo no.

Si tratta di un soggetto nuovo che implica una identificazione con Cristo, in cui non diventa più obiezione la mia miseria. Il peccato non definisce più il nostro soggetto.

141 – L’imitazione è quello che Gesù disse: «Come il Padre mi ama, così io vi amo».

Ciò che muove il “soggetto Gesù” è l’imitazione del Padre, il Suo riverbero dell’amore di un Altro.

Quanto più fisso gli occhi su questo Altro, quanto più vivo la memoria di questa Presenza, tanto più il mio agire, l’agire del mio soggetto ha come movente l’imitazione Sua.

Si chiama carità, e la carità è solo questo.

142 – Vale a dire, il mio soggetto stabilisce e vive i rapporti per il movente stesso per cui Gesù si muove: è l’amore, l’amore all’uomo, riverbero di quell’amore del Padre che ha evocato dal nulla gli uomini e che, attraverso una storia, li sta salvando. Per questo l’unica giustizia è l‘amare.

L’agire in questo modo, pur dentro tutta la montagna dei nostri errori e delle nostre scorie, non è da noi.

143 – Dice perciò san Paolo: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è dato»: questa è la sorgente.

147 – Dunque, immaginatemi coperto da una montagna di errori, di sbagli , di tradimenti. Ma dentro tutto questo «l’amore di Cristo ci strugge, al pensiero che […] se uno è morto per tutti, è morto affinché tutti non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro».

L’itinerario dello Spirito è, dunque, uno struggimento per la gloria di Cristo, perché Cristo sia conosciuto, per far capire Cristo. Ma per far capire Cristo bisogna fare come ha fatto Lui verso di noi.

148 – Che cosa ha fatto verso di me? «Nessuno ama tanto come chi dà la vita». È la carità. L’unico modo per testimoniare Cristo è la carità. Non sarà mai una dottrina schematizzata. Il segno quindi del cristiano, dell’uomo che riconosce Cristo, è l’amor scambievole.

«Fratelli non amiamo con parole, con la lingua soltanto, ma a fatti»

1Gv 3,18

Amare è un esistere, è una esistenza condotta.

149 – Vorrei elencarvi, però, tutte le condizioni perché un amore sia reale, una carità reale a imitazione di Cristo.

  1. Innanzitutto l’amore è personale, nel senso che il suo oggetto proprio è la persona. L’amore è un rapporto personale: occorre la condivisione del bisogno, dell’esigenza. Se una persona è una trama di bisogni e di esigenze, il rapporto con una persona è l’incontro con un bisogno e con una esigenza: questa è la condivisione.
  2. (pag. 150)Per essere tali, incontro e condivisione devono essere costruttivi nel tempo.
  3. La carità – non l’amore generico, ma la carità – è di una concretezza assoluta. La concretezza fino all’ultimo è propria dell’amare, è propria della carità. Quelle che ho chiamate «condizioni» sono le conseguenze dell’amore a Cristo. E l’amore a Cristo non è là dove uno è perfetto, ma dove uno ne fa memoria, lo ricorda e dice: «Vieni, Signore!»
  4. Un’altra caratteristica conseguenza è che l’amore, oltre a essere personale – condivisione -, costruttivo nel tempo, lealissimo con le condizioni concrete fin nelle sfumature, è lieto.
  5. Un’altra condizione, o conseguenza, è l‘assenza della contraffazione, della menzogna, che è il capovolgimento dell’amore: invece che «io amo», «io affermo me stesso». C’è un amore di sé, che può rientrare nell’azione amorosa, ma è il contrario dell’amore: uno, cioè, fa le cose per essere adeguato all'ideale che ha di sé. (pag. 153)«Più autentico è l’amore che dai ad un essere che non puoi in alcun modo aiutare». «Giacché quando aiuti un povero, desideri forse elevarti davanti a lui e ai tuoi stessi occhi e che egli stia sotto di te. Desidera, invece, che sia tuo uguale.»(Sant’Agostino – In Epistolam Joannis)
  6. Ma questo amici miei, vale anche rispetto a ciò che chiamerei «la cura del più debole». Innanzitutto i più deboli sono i bambini. (pag. 154) Diceva un pagano: «Al bambino bisogna portare un rispetto assoluto» (Giovenale, Satire, XIV,47). Ma il più debole in genere è chi è indifeso. Chi è più indifeso in questo mondo? Quando sbaglia – i peccatori -, quando sbaglia o non sa di sbagliare. La cura del più debole: bambini e indifesi, soprattutto chi ha sbagliato. Guardiamo Cristo: i suoi prediletti erano i peccatori.
  7. L’ultima conseguenza, l’ultima condizione, che è la più importante di tutte: il perdono. Il perdono è proprio il diventare fisicamente sensibile, affettivamente sperimentabile della perfezione di Dio, di questa positività senza limite che è il mare dell’Essere, vincendo nel bene anche il male. Il perdono è il veicolo a questo Essere, a questa vita, a questa pace, a questa giustizia, all’amore: amore e perdono sono la stessa croce e la stessa resurrezione.

182-183 – L’amore che nasce tra l’uomo e la donna è il simbolo, è il segno più grande o più grave di ciò che la liturgia di oggi ci vuole richiamare. Ed è provvidenziale che ce lo richiami all’inizio di questo breve cammino che facciamo insieme tutti i giorni: c’è un criterio solo nella vita, Dio.

183 – Da questo criterio soltanto nasce una capacità di comprensione, di perdono, di amore, nasce la misericordia.

199-200 – Kiergeegaard: «Il dovere assoluto può allora condurre a fare ciò che l’etica proibirebbe [l’etica come sta nella nostra testa, nella nostra misura], ma non può in nessun caso portare il cavaliere della fede a smettere di amare»: Abramo non ha smesso di amare il suo figlio Isacco dicendo di sì a Dio.

200 – Nel momento in cui vuol sacrificare Isacco, secondo la morale bisognerebbe dire che lo odia.

Il sacrificio è nell’amore, è un amore più grande dentro l’amore terreno, è l’amore più grande che dà eternità all’amore terreno.

«Abramo ama Isacco con tutta l’anima, e quando Dio glielo domanda egli lo ama, se fosse possibile, ancora di più e solo così egli può farne sacrificio»

S. Kierkegaard, Timore e tremore

210-211 – «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna»(Gal 4,4).

«Nato da donna». Questo vuol dire il Mistero come amore. Che è anche l’inverso: l’amore è Mistero, è «il» Mistero. Il Mistero è amore: Deus caritas est.

211 – In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo dunque sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, […] lui ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati».

1Gv 4,9-16

213-214 – Ben lo so, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui, eletti a riconoscere ciò che è accaduto. E non a tutti è dato. A tutti sarà dato, ma non a tutti è dato. Perché questo Mistero, che si rivela essere amore, rivelandosi come amore è come se approfondisse il Mistero.

214 – Bisogna che si manifesti il Tuo amore, bisogna che si manifesti nel mio amore a Te. Questo sarà l’ultimo giorno, quando una evidenza abissale persuaderà tutti e l’immenso dolore diventerà eterno amore.

222 – Non esiste nessun sintomo della grandezza della nostra vita, della grazia del nostro incontro e del miracolo della nostra appartenenza, più evidente della capacità di amare l’istante.

amore a Cristo

60 – Che grande storia quella dei missionari, non dei “terzomondisti”, ma dei missionari, di coloro che sono andati in tutto il mondo per amore di Cristo, non per dare il loro corpo alle fiamme, non per dare via tutto, neanche ai poveri, ma per amore a Cristo.

L’amore a Cristo ci rende generatori di opere.

65 – Le tre cose che abbiamo viste: la memoria di Cristo, l’amore a Cristo, la carità; la legge della koinonìa, la tendenza a mettere tutto in comune: il costruire l’opera, cioè un pezzo di umanità nuova riguarda il quotidiano.

127 – In tutte le cose, si stabilisce una incidenza dell’offerta come gratuità, come amore al regno di Cristo che è la Chiesa, che tu faccia la tua impresa, la tua cooperativa, la tua famiglia.

227 – Un ragazzo mi ha detto l’altro giorno: «Non sarei riuscito a voler così bene alla mia parrocchia, al mio parroco, se non fosse stato per il movimento». È l’amore a Cristo e alla Chiesa lì e qui.

Appartenenza/appartenere

220-222 – «Non si è cristiani perché si è giunti un certo livello morale. intellettuale, magari spirituale. Si è cristiani perché si “appartiene” a una certa razza ascendente», tesa all’ideale, che è Cristo, a «una razza mistica»- che fa l’esperienza del Mistero, perché il Mistero si è reso presenza e perciò si è reso sperimentabile -a «una certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue»

Ch. Péguy – Cahiers de la Quinzaine

Questo è la nostra compagnia, a cui la grazia che mi ha investito nella storia mi fa appartenere.

Ora, in questa appartenenza a una «unità imperfetta, ma reale», tanto imperfetta quanto veicolo di Cristo e del Mistero della Chiesa, in questa appartenenza che cosa è il mio soggetto, la mia persona?

221 – La personalità, la persona, il soggetto è consapevolezza di un avvenimento che è diventato storia, l’avvenimento di Cristo nel suo comunicarsi al mondo: Chiesa, corpo Suo.

222 – Lettera di un sacerdote: «Un ragazzo gravemente ammalato, che quindi frequenta la scuola solo saltuariamente, è rimasto impressionato dal fatto che molti suoi compagni di classe gli hanno detto di essere molto colpiti dalla sua testimonianza di fede, più da lui che da altri che partecipano da più tempo a GS. Raccontandomi la cosa, quasi con disagio l’ha commentata così: “È proprio vero che, quando uno appartiene, basta che respiri per essere una presenza”».

È una coscienza totalizzante che investe le cose, che investe innanzitutto l’istante a questo livello.

È soltanto nella coscienza dell’appartenenza che l’istante diventa qualcosa di grande, diventa qualcosa di turgido e di fecondo, proprio dentro le nostre mani, dentro gli occhi, dentro il cuore; fisicamente uno è lieto del suo istante anche doloroso.

225-226 – «La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione». (completezza).

Tommaso d’Aquino – Summa Theologiae – IIa, IIae, q.179, a 1co

Qual è l’affetto che principalmente lo sostiene? Tu, Cristo, dentro questa compagnia cui appartengo, che mi ha fatto incontrare, in cui ho incontrato Te, con una consapevolezza matura. L’appartenenza è come essere posseduti da questa gente: da te, o Cristo, in questa gente; da te, o Cristo, in questo rapporto con la moglie, col marito – non si chiama «sacramento?»-, in questo Mistero della Chiesa in cui siamo immersi.

247 – Ieri si è parlato di appartenenza: perché, per come l’abbiamo concepita, per come concepiamo la nostra compagnia, per come abbiamo identificato l’origine e lo scopo della nostra compagnia, è proprio una appartenenza della nostra persona che essa esige.

E una appartenenza o è totalizzante o non serve, non c’è «appartengo alla Fraternità e al movimento fino a qui, in politica no».

appartenere a Cristo

50-54 – Ma un uomo, chiunque, è definito dal contenuto della sua appartenenza: il contenuto dell‘autocoscienza, della coscienza di sé, è dato da ciò cui pensiamo di appartenere, cui riconosciamo di appartenere.

L’uomo moderno ha creduto di evitare la questione dicendo: «Io appartengo a me stesso». Se c’è una cosa ridicolmente mentitrice è questa. È una menzogna ridicola.

Se uno pensa soltanto al fatto che non c’era e non ci sarà: a chi appartiene, a che cosa appartiene?

Ecco, la carità è riconoscere la presenza di Colui cui tutto di me appartiene. Ed è dalla coscienza di questa appartenenza che deriva, perfino senza che uno se ne accorga, una modulazione diversa del pensare, del sentire, dell’agire.

52 – La coscienza di ciò cui appartengo: questo è il punto. Non si può creare una realtà nuova, che può cambiare, e di fatto cambia, l’uomo e il mondo, senza la coscienza d’appartenenza, se non partendo dalla coscienza dell’appartenenza a Cristo.

Così nasce la morale cristiana, solo da questa coscienza. Il resto, i valori umani, i valori comuni o non comuni, nascono da un’altra coscienza di appartenenza.

53 -(Racconto di quando Giuda fa notare a Gesù che con tutto quel profumo che Maria aveva cosparso sui piedi di Gesù) La prima posizione (di Maria) è appartenenza a quell’Uomo, la seconda è appartenenza alle proprie opinioni, alle proprie idee o ai propri nascosti interessi.

54 – Tutto deve derivare da questa coscienza di appartenenza a Cristo, non all’idea di Cristo che abbiamo, ma al Cristo reale, quello che nella storia si prolunga dentro l’unità dei credenti in quanto uniti al Papa, al vescovo di Roma.

A partire da questa appartenenza a Cristo, in cui è la carità, allora uno può dare via il suo corpo e la sua vita, come padre Kolbe, può dare il suo corpo alle fiamme come i tanti martiri, può dare via tutti i suoi soldi ai poveri, come tantissimi santi noti hanno fatto, può dedicarsi alla scienza per alleviare il male dell’umanità e il morbo umano o per fare progredire l’uomo nella sua curiosità grandiosa, che è il segno del destino di conoscenza infinita, può governare i popoli in un certo modo.

124 – «Tu doni, o Signore, alla Chiesa di Cristo di celebrare misteri ineffabili.

Se noi siamo una sola cosa con Cristo, mistero ineffabile è tutto ciò che facciamo in quanto lo riconosciamo appartenente a Cristo, cioè se ci riconosciamo appartenenti a Cristo, se ci riconosciamo di Cristo.


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